Vito tenore, Giuffré Editore, 2017, pp.845, €92,00
A distanza di quindici anni da un suo contributo sulla responsabilità ed il procedimento disciplinare nel pubblico impiego privatizzato Vito Tenore torna ad occuparsi del tema con un nuovo studio alla luce della legge anticorruzione e della riforma Madia.
Come si legge nella presentazione di Raffaele Cantone e nella premessa dello stesso autore, l’argomento ha assunto negli ultimi tempi una sua specifica attualità, di fronte al fenomeno – ampiamente pubblicizzato nei mass media – di episodi di malcostume, che hanno suscitato nell’opinione pubblica una notevole risonanza (il riferimento è ai c.d. furbetti del cartellino), anche perché la tempistica e la farraginosità delle regole del procedimento disciplinare talora hanno portato a risultati ampiamente insoddisfacenti per l’impossibilità di applicare sanzioni che, a prima vista e nel sentire comune, sembravano ineludibili. Il fatto era che – ad esempio - la doverosa necessità di garantire il diritto di difesa dell’incolpato e la lentezza della macchina burocratica, il condizionare il procedimento disciplinare a quello penale – sono stati fattori che possono aver reso impossibile o quanto meno inutile (come nel caso di cessazione del rapporto per ragioni “fisiologiche”) l’adozione delle sanzioni.
L’A, che ha al suo attivo una lunga esperienza di magistrato e di docente della materia oltre che di attento studioso, si è fatto carico in questo studio del tessuto normativo non sempre coerente nelle sue articolazioni, della giurisprudenza che negli anni si è andata formando ai vari livelli, delle questioni pratiche venute alla sua conoscenza in occasione dei numerosi incontri di formazione tenuti per coloro che di quella disciplina dovevano provvedere all’applicazione. Il risultato di tutto questo è un’opera che, senza nulla togliere al rigore scientifico ed alla fedeltà al dato normativo, non distoglie la sua attenzione dalle ricadute pratiche delle soluzioni proposte. Va detto, senza mezzi termini, che non di rado opere di elaborazione dottrinale non tengono conto di quali paradossi si possono verificare: non è questione di una “supremazia della pratica” ma, nel rispetto delle scelte del legislatore, compito dell’ interprete è saper trovare le soluzioni più consone allo spirito della legge ed alla coscienza sociale.
Pensare che il riordino del procedimento disciplinare possa bastare a rendere più efficiente l’azione amministrativa è però una pura illusione: se è vero che le difficoltà di comprendere le regole di comportamento ed il timore di incorrere in sanzioni diventano un deterrente per un’agevole esercizio dei compiti dei pubblici dipendenti, è anche vero che la chiarezza dei diritti e dei doveri degli stessi può aiutare all’ attuazione di una politica di garanzie dell’imparzialità e correttezza del loro agire, agevolando anche la loro formazione di soggetti capaci di svolgere il proprio compito istituzionale.
Proprio l’attenzione a questo insieme di elementi, che da tempo ha caratterizzato la poliedrica attività dell’A., ha fatto sì che tesi da lui prospettate in varie sedi sono state recepite non solo dalla giurisprudenza di legittimità, ma anche dallo stesso legislatore in occasione delle varie riforme avutesi negli ultimi anni.
Passando all’esame della trama dell’opera, con il primo capitolo – dopo aver premesso che quando si parla di un’etica del lavoro non bisogna riferirsi solo a regole, in qualche modo codificatene negli ordinamenti di vario genere, ma anche a quei valori personali e collettivi che sono alla base di ogni civile convivenza – è passata in rassegna la natura dei vari regimi disciplinari (amministrativa, giurisdizionale, negoziale), ponendosi in evidenza la natura negoziale – in quanto frutto della contrattazione collettiva – del lavoro pubblico privatizzato.
Il secondo capitolo tratta delle fonti degli obblighi disciplinari, ricordando l’evoluzione della disciplina al riguardo, passata da una progressiva erosione della contrattazione collettiva a favore della legislazione. Segue il richiamo ad alcuni principi cardine circa la correttezza dell’azione disciplinare posti a tutela del dipendente. Viene poi sottolineata la significativa differenza rispetto al rapporto di lavoro tra privati, dato che non è possibile una rinnovazione del procedimento disciplinare, qualora la sanzione sia stata annullata per vizio di forma, anche se nella riforma Madia si è avuto un ravvicinamento tra le due regolamentazioni nella misura in cui è stato previsto che il vizio formale (che tante volte inficia il procedimento) non sempre ne comporta la invalidità, a meno che non si traduca in violazione del diritto di difesa. Altra regola introdotta con tale riforma è la rinnovabilità del procedimento annullato per difetto di proporzionalità.
Ai problemi relativi alla procedura da osservare è dedicato il terzo capitolo, con frequenti richiami ai precedenti giurisprudenziali ed ai contrasti che si sono avuti in precedenza. Una riflessione specifica, con un’attenzione ai vari momenti del procedimento, è dedicata alla natura dei termini, che sono comunque definiti come perentori, con la precisazione – però - che il dies a quo decorre dalla conoscenza (o conoscibilità) piena da parte della P.A., mentre il termine ad quem è quello che va rispettato per l’adozione del provvedimento, che al riguardo va distinto dalla comunicazione rilevante non ai fini della validità ma solo della sua efficacia.
Il capitolo affronta anche la problematica dei rapporti con il procedimento penale, ripresa nel successivo capito insieme all’esame dei rapporti con la responsabilità civile, amministrativa e contabile. Uno spazio adeguato è destinato alla differenza tra la responsabilità disciplinare e la responsabilità dirigenziale, correlata quest’ultima alla verifica del raggiungimento degli obiettivi in modo da consentire la rimozione tempestiva del dirigente rivelatosi inidoneo alla funzione, per garantire l’attuazione del principio di efficienza e di buon andamento degli uffici pubblici.
Un’accurata disamina è poi riservata alla sospensione cautelare ed alle conseguenze di ordine economico per il dipendente (capitolo quinto) ed agli strumenti di tutela avverso le sanzioni disciplinari (capitolo sesto), con una parte finale dedicata a proposte correttive in vista di alcune modifiche in fieri, proposte tutte suggerite dalla lunga esperienza sul campo dell’A.
Il volume si chiude con un’appendice normativa, nella quale sono riportare varie fonti legislative (anche in fase di elaborazione) e contrattuali, nonché con un accurato indice analitico, che consente un agevole ricerca dei vari problemi affrontati.
In definitiva, un’opera completa, che realizza l’intento di ricostruire un sistema organico dell’intera materia, con un occhio attento ai vari problemi, la cui soluzione è tutt’altro che agevole per il succedersi delle discipline, ma che l’A. affronta con competenza e chiarezza di esposizione, così da realizzare un’opera utile sia ai teorici del diritto che a quanti quotidianamente si trovano ad affrontare la realtà delle situazioni concrete.