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Cruciale e delicata è la scelta delle tempistiche per dare alle stampe un commentario; soprattutto quando ha ad oggetto il licenziamento, un istituto giuridico dalla «storia movimentata e assai sofferta» (come rilevato nella presentazione dal curatore Luigi Di Paola).
Le scelte regolative in tema di recesso del datore dal rapporto di lavoro assumono, d’altra parte, una peculiare rilevanza per le ripercussioni che innescano sul bilanciamento complessivo della struttura ordinamentale lavoristica.
L’interesse per l’istituto non è mai venuto meno tra i commentatori e gli interpreti, a partire almeno dalla metà degli anni Sessanta del secolo passato (ma senza dimenticare il pionieristico contributo del 1955 ove Ugo Natoli propose, senza successo, di introdurre dei limiti al licenziamento per via interpretativo-costituzionale).
Interesse ulteriormente accresciuto nel recente passato, a seguito del dibattito politico sulla flessibilità in uscita e sull’eventuale opportunità di attenuare l’indice nazionale di “employment protection legislation”, così da rendere più competitivo il sistema produttivo italiano al cospetto dell’economia globalizzata.
Come noto, dopo alcuni interventi normativi che solo indirettamente hanno toccato la disciplina, il legislatore ha deciso di modificare strutturalmente l’impianto normativo posto a rimedio dell’esercizio illegittimo del recesso datoriale: prima con la l. 92/2012, poi con il d.lgs. 23/2015.
Una complessa revisione dell’istituto portata avanti con l’utilizzo di previsioni normative di non agevole intelligibilità, che tradiscono l’elaborazione in un contesto politico di compromesso.
Il commentario in oggetto viene licenziato a distanza di quasi un decennio dalla riforma del Jobs Act. Intervallo di tempo che ha certo consentito a interpreti e commentatori di approcciarsi alla lettura delle previsioni con crescente consapevolezza. Eppure non è stato sufficiente per superare alcune incertezze interpretative.
Dinanzi ad un quadro ermeneutico che mantiene una significativa plasticità, è opportuna e comprensibile la scelta del curatore Luigi Di Paola e degli altri Autori, tutti magistrati esperti di diritto del lavoro, di concentrare l’attenzione sul momento interpretativo.
Nei ventisei capitoli in cui si articola il commentario sono particolarmente valorizzate le pronunce e gli orientamenti della giurisprudenza di legittimità, così come le importanti e recenti decisioni della Consulta; meno spazio è riservato alle decisioni di merito, cui pure talvolta viene fatto rinvio. Il lettore potrà apprezzare una trattazione completa e ben articolata, che non si esime di affrontare e analizzare alcuni profili interpretativi ancora incerti, su cui si può immaginare interverranno ulteriori assestamenti.
Nonostante la evidente centratura sugli aspetti ermeneutici, gli Autori hanno avuto cura di valorizzare alcune proposte dottrinali, soprattutto quelle idonee a confrontarsi direttamente con gli orientamenti giurisprudenziali.
È da evidenziare come il costante dialogo con i principi e le regole del diritto civile sia in grado di arricchire l’approccio e l’architettura argomentativa dei commenti.
L’indice dà conto di una convincente e apprezzabile scansione delle tematiche rilevanti. Il testo contiene utili rinvii alle sedi in cui vengono approfonditi i differenti profili della disciplina in esame, risolvendo così i problemi di sovrapposizione espositiva.
Vi sono capitoli assai corposi che affrontano temi d’indubbia centralità; si vedano, ad esempio, quelli dedicati al licenziamento nullo (cap. 4), al licenziamento disciplinare (cap. 6), al licenziamento per motivo oggettivo (cap. 7).
A tali approfondimenti si affiancano altri capitoli, dedicati a temi meno esplorati in altri commentari e la cui consultazione è particolarmente utile: vi è spazio per il licenziamento orale (cap. 5), per il danno “ulteriore” (cap. 12), per l’intimazione del recesso da parte di un soggetto diverso dal titolare del rapporto (cap. 15), per le organizzazioni di tendenza (cap. 19), per l’impresa sequestrata o confiscata (cap. 23), per il recesso nell’ambito della disciplina della crisi d’impresa e dell’insolvenza (cap. 24). Questo secondo blocco fornisce informazioni e spunti preziosi: e in alcuni casi dispiace che la trattazione sia limitata a poche pagine. È immaginabile che le esigenze editoriali di contenimento abbiano influito su tale scelta, ma resta meritorio aver messo in luce dei profili sovente accantonati nelle trattazioni di taglio generalista.
Alla sapiente illustrazione degli istituti si alternano pagine in cui emerge un approccio più meditato, frutto delle qualità di analisi critica degli Autori; e in diversi momenti si apprezza la profondità argomentativa dei contributi. Per limitarsi a qualche esempio, nell’approfondimento dedicato all’impugnativa del licenziamento e delle decadenze (cap. 16) viene affrontato il delicato tema del momento in cui il secondo termine decadenziale inizia a decorrere. Si tiene conto di una nota pronuncia della Consulta, cui sono seguiti orientamenti interpretativi di segno diverso, sino al deciso intervento in tema della S.C. con diverse pronunce a partire da Cass. 9203/2014. L’A. sottopone la motivazione posta a base dell’orientamento prevalente ad una valutazione critica, rilevando come la soluzione sia giustificata dal soddisfare celermente l’interesse datoriale alla certezza del rapporto; ma che tale finalità non ha più ragione alla luce dell’introduzione del doppio termine decadenziale. Si rileva perciò come, operativamente, la celerità «si risolve in una contrazione temporale, a favore del datore, di tre o quattro giorni, tale essendo il lasso ordinariamente intercorrente tra la spedizione dell'impugnativa stragiudiziale e la sua ricezione; e, in ogni caso, l’ulteriore appendice temporale non determina alcuna incertezza del rapporto». Il superamento del regime fondato su un solo termine di decadenza impedisce al lavoratore «riottoso ad adire il giudice in tempi brevi e a volte propenso a lucrare gratuite poste monetarie entro il termine prescrizionale» di adottare condotte abusive; il residuale lasso di tempo di breve incertezza, legato alle regole sull’atto recettizio, sarebbe allora affatto tollerabile per il recedente.
Un altro passaggio in cui si evidenzia quanto detto sopra è quello dedicato al tema delle presunzioni nel licenziamento nullo (cap. 4). Nell’ambito del licenziamento discriminatorio viene affrontata la questione delle caratteristiche peculiari che assume la prova basata sulle presunzioni: si rileva come la gravità, nel diritto antidiscriminatorio, non sia un requisito di ammissibilità e perciò «è il connotato della gravità degli indizi a risultare recessivo rispetto al modello generale della prova presuntiva». Restano invece decisivi i connotati di precisione e concordanza, con la conseguenza che viene rifiutata dall’A. la lettura che «vorrebbe spingere la linea di agevolazione probatoria sino a negare la necessità d’una pluralità d’indizi».
Un commentario che mette al centro la giurisprudenza, così da valorizzare le specifiche competenze dei magistrati coinvolti. Un commentario che, rifuggendo un approccio apodittico e tetragono, dà conto delle zone di penombra negli orientamenti interpretativi in tema di licenziamento. E proprio questa scelta di fondo consente di ritenere che la consultazione della trattazione non perderà di utilità nemmeno per gli anni a venire, al di là di ulteriori interventi del legislatore, di indicazioni (o ammonizioni) della Corte costituzionale, dell’eventuale successo delle iniziative referendarie.

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