Recensione di Bruno Nascimbene,
già ordinario di Diritto dell’Unione europea nell’Università degli Studi di Milano
Il volume di Remo Danovi, presentato a Milano in occasione di un convegno dedicato a “Deontologia e giustizia” (Sala Napoleonica dell’Università degli Studi di Milano, 22 febbraio 2019), è un rapporto sulla giustizia molto particolare. Lo è sia per i contenuti (in riferimento alla giustizia italiana, ma anche a quella europea e internazionale), sia per i destinatari. Il rapporto è strutturato come la lettera ovvero il messaggio che in un noto volume del 1899, E. Hubbard descrive come oggetto di consegna a una persona perché la recapiti a tale Garcia, un generale dei ribelli che combattevano a Cuba quando era in essere il conflitto fra Spagna e Stati Uniti per il controllo dell’isola. Dove fosse tale Garcia, e perché dovesse essere recapitata la lettera, e quando, non era noto: né la persona incaricata della consegna nulla chiese a chi gli aveva conferito tale incarico. Il messaggio in quell’occasione, come in quella del volume di Danovi che contiene il rapporto sulla giustizia, è di fare bene il lavoro che viene affidato, di ben adempiere al compito assegnato: insomma di onorare la vita che si è vissuta e di impegnarsi in quella futura. Un messaggio che è un invito, una forte raccomandazione.
L’Autore immagina di rappresentare ai giovani le negatività della giustizia sotto più profili: le lacune delle leggi e l’incertezza che ne deriva, l’illegalità assai diffusa, le violenze di genere, il razzismo e il più recente fenomeno del bullismo. Si tratta di negatività che affliggono anche l’ambiente in cui viviamo (è spesso l’uomo la causa dei disastri naturali), il mondo del lavoro, con le sue insufficienze:. A queste insufficienze e lacune sono dedicate varie riflessioni, che riguardano soprattutto la mancanza di lavoro, la brevità del rapporto, la precarietà. Sono, queste, caratteristiche ben individuate e segnalate dall’Autore, con stile incisivo ed efficace, che non possono non essere apprezzate dal lettore (anche non giurista o giuslavorista).
Difendere la legalità, la giustizia, il lavoro e l’ambiente è il contenuto del rapporto, diviso in quattro capitoli. Quello sul lavoro si articola in vari paragrafi, dedicati, precisamente, al lavoro forzato, al lavoro breve (donne, minori, precari), al rapporto fra lavoro e salute e fra lavoro ed economia, concludendo il capitolo con alcune riflessioni sulle “macchine”, sull’ “intelligenza artificiale” e sulla “dignità”. L’Autore conduce il lettore a riflettere sulla realtà, e quindi sull’utilità rappresentata , appunto, dalle macchine, dai computer, dai robot. Non vi è dubbio che siano utili, anzi indispensabili ma non possiamo (giuristi e non giuristi) prescindere dai valori che accompagnano l’umanità e la dignità. Il lavoro, sottolinea Danovi, “dà la dignità di essere se stessi”, aiuta a “dare le risposte necessarie ai problemi che emergono”; l’umanità è il “bene superiore che dovremmo sempre orgogliosamente e appassionatamente difendere”.
Il volume aiuta il lettore in generale, e, ad avviso di chi scrive, non solo le giovani generazioni, a riflettere su di sé e sugli altri..E’ un invito per il futuro (“Immagini di futuro” è il titolo del IV capitolo, conclusivo) a conoscere, a comunicare, a partecipare, a vivere, a “non abdicare”, insomma, nel percorso della vita quotidiana e professionale. Malgrado le negatività, deve affermarsi,e imporsi, uno stimolo perché siano riscoperte l’etica e il rispetto delle persone, perché prevalga sempre il senso della giustizia che deve accompagnare l’applicazione pratica della legge e le decisioni dei giudici.
La “giustizia”, afferma l’Autore, “non è soltanto il prodotto di un processo giudiziario, ma è una condizione di vita”. Deve essere rispettata la persona, deve realizzarsi una “città giusta” in cui i diritti della persona siano rispettati, nell’uguaglianza, nelle opportunità, nella solidarietà.
L’Autore, in più occasioni, fa riferimento a strumenti europei e internazionali che tutelano i diritti fondamentali della persona “faticosamente conquistati”. La considerazione di fonti del diritto diverse da quelle nazionali è rilevante (ed è senz’altro da segnalare) perché il messaggio-rapporto oggetto del volume possa raggiungere, nel migliore dei modi, il suo fine. Sembra utile ricordare, in materia di lavoro, il riferimento all’art. 15 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea; il divieto di forced labour, di discriminazioni, la stretta connessione fra il diritto al lavoro e la protezione della salute (art. 35 della predetta Carta): divieti e principi, questi, contenuti in fonti internazionali prima ancora che in fonti nazionali, e che devono essere tenuti presenti per la migliore ed effettiva tutela dei diritti della persona. L’obbligo del rispetto dei diritti umani indica nuove frontiere per lo Stato e per le sue istituzioni. Per la giustizia, in generale, e non solo per quella semplicemente formale.
Il volume ha un “epilogo”, una risposta dopo che il rapporto ha esaminato il presente e passato. La risposta guarda, soprattutto, al futuro, e l’avvertimento è chiaro: non si possono “aspettare grandi risposte”, perché il futuro appare, oggi, più che mai condizionato, “guidato” dalle macchine e dalle intelligenze artificiali.
La giustizia stessa, invero, sarà condizionata dall’intelligenza artificiale. Quale sarà il risultato immediato? la rapidità massima nell’accertamento e nella condanna degli illeciti e nella definizione delle cause, poiché le macchine conoscono e lavorano i precedenti meglio di qualsiasi giudice professionale e possono formulare un giudizio al termine dello stesso in termini brevissimi, istantanei.
A fronte di un futuro preoccupante, ove sembra quasi imporsi (in virtù di un imponente progresso della scienza e della tecnica) un algoritmo che comanda la vita quotidiana e la giustizia, si può però reagire con una certa dose di ottimismo. L’Autore sollecita una reazione, positiva, ricorrendo ai sentimenti che sono propri dell’uomo, e quindi all’amore (latente) per il giusto. Perché è il “senso del giusto, la luce di ogni avvenire” che deve prevalere.
L’Autore esprime con eleganza il malessere passato, nonché quello attuale, della giustizia; prospetta con altrettanta eleganza, ma anche preoccupazione, l’evoluzione che ci aspetta, soprattutto se ci si impegna a “non abdicare” alle posizioni conquistate o tramandate. Garcia, come si è detto, risponde al messaggio, e quindi “risponde” al rapporto sulla giustizia. Forse è, già di per sé, positivo il fatto che una risposta vi sia, anziché il silenzio o l’indifferenza. Garcia “c’è” e fornisce indicazioni utili e suggerimenti perché si realizzino gli obiettivi del giusto.