Testo integrale con note e bibliografia
1. Nota di metodo
Che il diritto del lavoro dell’Unione europea non possa ridursi alle categorie e partizioni proprie del diritto del lavoro nazionale descritto dai manuali universitari è oramai metodologicamente assodato. Così come risulta impossibile comprenderlo a fondo senza inquadrarlo nel contesto più generale del processo storicamente chiamato di «integrazione europea», oggi espresso in particolar modo dalle strutture della governance europea .
Il rischio di proiettare nel contesto ordinamentale sovranazionale le dinamiche proprie del diritto del lavoro italiano non è sfuggito agli autori delle due opere che qui si offrono in lettura, ossia “Diritto del lavoro dell’Unione Europea” di M. ROCCELLA, T. TREU, M. AIMO e D. IZZI (8a ed., Cedam, 2019, 524 pp.) e “Diritto del lavoro dell’Unione Europea” a cura di F. CARINCI e A. PIZZOFERRATO (2a ed., Giappichelli, 2018, 495 pp.). Entrambe le opere, seppur con traiettorie e approfondimenti diversi, rendono infatti evidente che l’ordinamento nazionale è talmente permeabile rispetto al quadro sovranazionale da potersi concepire oramai gli spazi residui del legislatore domestico quali eccezioni alle pervasive, regolari e sistemiche influenze del diritto europeo.
Tale considerazione vale tanto più per chi applica quotidianamente il diritto del lavoro (giudici e avvocati in primo luogo), per i quali la conoscenza approfondita della matrice europea delle discipline interne non costituisce soltanto un approfondimento necessario, ma si può rivelare essenziale a cogliere aspetti che solo i problemi concreti riescono a scovare e a far divenire – anche mediante strategic litigation – il punto di partenza di importanti questioni pregiudiziali.
Le osservazioni che seguono hanno lo scopo di evidenziare similitudini e differenze fra i predetti manuali, e contestualizzarne i contenuti rispetto ai più recenti sviluppi del diritto del lavoro europeo. Si cercherà, seppur sporadicamente, di estendere i riferimenti ad altre opere altrettanto utili per lo studio della materia, il cui taglio più specifico , innovativo , o approfondito non consente in questa sede un’adeguata comparazione.
In vero, il modello della recensione si attaglia solo in parte alla lettura di manuali universitari diretti principalmente agli studenti, poiché questi ultimi sono per certo migliori recensori di chi scrive. Si è dunque prescelto il modello della “guida alla lettura”, che dia conto delle impostazioni dei testi, apparenti dalla loro struttura, e dell’idea di fondo da essi perseguita.
2. Struttura dei manuali
La centralità dei processi di integrazione degli ordinamenti giuridici nazionali e dei relativi formanti («storici, ideologici, politici, sociali, economici» ) può apprezzarsi anzitutto guardando alla struttura dei due manuali in lettura. Essi hanno in comune una corposa parte introduttiva dedicata all’evoluzione dell’intervento dell’UE in campo sociale e alla sistematizzazione delle fonti e degli atti normativi dell’UE, che nel primo manuale (ROCCELLA-TREU-AIMO-IZZI) occupano quasi 90 pagine e nel secondo (CARINCI-PIZZOFERRATO) addirittura quasi 130 (includendo capitoli specifici sulle istituzioni e gli organi “comunitari” e sulle politiche sociali dell’Unione). Assegnare un tale rilievo all’evoluzione della c.d. Europa sociale è funzionale all’enucleazione di successi e incertezze dell’intervento dell’Unione Europea nel campo delle politiche e dei diritti sociali , scandito a più riprese dall’approvazione di cataloghi di diritti e principi, e da sempre più elaborati documenti di policy , culminati da ultimo nella proclamazione del Pilastro dei diritti sociali . Ma è ancor più utile per contestualizzare l’evoluzione – di recente definita metamorfosi – della c.d. costituzione economica europea e la crescente difficoltà di riconciliazione tra integrazione economica e modelli sociali nazionali .
Né il primo né il secondo manuale si interrogano frontalmente sulla questione dell’autonomia del diritto del lavoro europeo, che ha occupato la dottrina sin dal suo decennio d’oro, gli anni ’90. Nondimeno, sembrano entrambi potersi ascrivere al filone dottrinale inaugurato da Brian BERCUSSON, che concepiva il diritto del lavoro europeo non solo quale «diritto del lavoro», e neppure quale «diritto europeo», ma come settore dotato di autonome basi normative e concettuali e in crescente sviluppo, che manifesta una vera e propria «simbiosi» fra i due versanti ordinamentali e consente di discorrere pacificamente di «ordinamento multilivello» . Certo, non mancano le riflessioni critiche di quanti segnalano la decrescente pregnanza del coté sociale del diritto europeo , tanto a Bruxelles quanto sui tavoli nazionali di confronto politico-istituzionale, riflessa nella sempre minore considerazione delle ragioni sociali rispetto agli imperativi economici, di cui la Corte di giustizia e le stesse iniziative dei decisori politici dell’Unione rendono quotidianamente testimonianza . Rimangono, tuttavia, vivide tracce di potenziali positivi sviluppi nelle stesse norme primarie, e in particolare – come correttamente osservato nel primo manuale (ROCCELLA-TREU-AIMO-IZZI) – nelle clausole orizzontali, prima fra tutte l’art. 9 TFUE .
Dopo questa prima parte, i due manuali si dedicano alla considerazione delle libertà di circolazione (per circa 90 pagine il primo, e circa 75 il secondo). Trattano in particolare, per un verso, della libera circolazione dei lavoratori, per l’altro, delle interazioni fra libertà economiche fondamentali e tutela del lavoro. Le controverse vicende del distacco di lavoratori nell’ambito di una prestazione transnazionale di servizi fungono da banco di prova per saggiare lo stato del bilanciamento, siccome definito dalla giurisprudenza post-Laval e dalle più recenti direttive (Dir. 2014/67 e Dir. 2018/957), e verificare l’efficacia delle misure di contrasto al dumping sociale, considerato endemico nell’attuale contesto socio-economico .
Alla base della libera circolazione dei lavoratori vi è l’annosa questione dell’ambito soggettivo di applicazione dell’art. 45 TFUE, ossia della definizione di «lavoratore» nel diritto del lavoro europeo. Tale questione – che si snoda a partire da Lawrie-Blum e giunge sino a FNV Kunsten – è trattata analiticamente nel primo manuale (ROCCELLA-TREU-AIMO-IZZI) (pp. 92 e seguenti) e rimane in ombra nel secondo (CARINCI-PIZZOFERRATO). Ad avviso di chi scrive, essa risulta centrale sia nel contesto dei diritti di circolazione, perché ne identifica la porta d’ingresso , sia nel più generale contesto delle direttive settoriali , non ultima la direttiva sulle condizioni di lavoro trasparenti e prevedibili (Dir. 2019/1152) la cui potenziale applicazione a rapporti di lavoro non subordinati (e sinanco ai lavoratori della c.d. gig-economy) è attualmente al vaglio critico della dottrina, rendendone particolarmente interessante l’implementazione nazionale. Si noti, infatti, come nel Considerando 8 vengono in rilievo i criteri elaborati dalla Corte di giustizia per determinare la condizione di lavoratore, criteri che, ove soddisfatti, consentirebbero di includere nell’ambito di applicazione della direttiva «i lavoratori domestici, i lavoratori a chiamata, i lavoratori intermittenti, i lavoratori a voucher, i lavoratori tramite piattaforma digitale, i tirocinanti e gli apprendisti» . Questa premessa trova il suo pendant nel corpo della Direttiva medesima, che all’art. 1 vi include con formula ambigua «tutti i lavoratori nell’Unione che hanno un contratto di lavoro o un rapporto di lavoro quali definiti dal diritto, dai contratti collettivi o dalle prassi in vigore in ciascuno Stato membro, tenendo conto della giurisprudenza della Corte di giustizia» . Come consolidata metodologia, saranno l’interpretazione teleologica e l’argomento dell’effet utile a consentire alla Corte una lettura la più ampia possibile di tale norma .
Segue una parte centrale in entrambi i manuali, dedicata ad aspetti diversi del rapporto di lavoro, che includono la disciplina dei lavori “atipici” o non-standard (lavoro a tempo parziale, a termine e in somministrazione), la parità di trattamento e i divieti di discriminazione, la disciplina dell’orario di lavoro, le ristrutturazioni d’impresa, la privacy del lavoratore, e la salute e sicurezza sul lavoro (capitoli V/X nel primo manuale; capitoli V, VI, VII, VIII e X nel secondo).
Con esiti differenziati, in tutti questi ambiti è la Corte di giustizia ad avere maggiormente contribuito all’evoluzione del diritto del lavoro europeo negli anni più recenti. Ne sono esempi importanti AGET Iraklis sul potere di veto della pubblica autorità in ipotesi di licenziamento collettivo per chiusura di uno stabilimento, regolata dalla Dir. 98/59 ; CCOO sull’obbligo del datore di lavoro di dotarsi di sistemi di rilevazione dell’orario di lavoro nonostante l’assenza di una specifica disposizione nella Dir. 2003/88 ; Alemo Herron che fa leva sull’art. 16 CDFUE per escludere che, in ipotesi di trasferimento d’azienda, il cessionario sia vincolato a clausole contenute nei contratti individuali di lavoro che rinviano in senso dinamico a pattuizioni collettive frutto di negoziazione collettiva cui il cessionario stesso non abbia potuto prendere parte ; e Betriebsrat der Ruhrlandklinik, che estende le nozioni di «lavoratore tramite agenzia interinale» e di «agenzia interinale» sino a ricomprendervi la prestazione di lavoro di infermiere facenti parte di un’associazione affiliata alla croce rossa, al fine di garantire loro il rispetto del principio di parità di trattamento sancito dall’art. 5(1), Dir. 2008/104 .
Nei predetti ambiti sono attesi ulteriori, interessanti sviluppi. È, ad esempio, attualmente pendente la questione circa le interazioni fra la Dir. 99/70 sul lavoro a termine e la Dir. 2008/104 sul lavoro tramite agenzia , che potrebbe spingersi ben oltre l’esito del tutto insoddisfacente del caso Della Rocca e far emergere, come suggerito dal giudice rimettente (Tribunale di Brescia), che l’art. 5(5), Dir. 2008/104 «osti all'applicazione del D. Lgs. 276/2003, come modificato dal D.L. 34/2014, che: a) non prevede limiti alle missioni successive del medesimo lavoratore presso la stessa impresa utilizzatrice; b) non subordina la legittimità del ricorso alla somministrazione di lavoro a tempo determinato all’indicazione delle ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo del ricorso alla somministrazione stessa; c) non prevede il requisito della temporaneità dell'esigenza produttiva propria dell’impresa utilizzatrice quale condizione di legittimità del ricorso a tale forma di contratto di lavoro» .
La parte finale dei due manuali si concentra sulle relazioni collettive, includendovi aspetti sostanziali (diritti di informazione e consultazione; modelli di partecipazione) e strutturali (dialogo sociale e strutture di rappresentanza a livello europeo) (per circa 100 pagine il primo manuale, per circa 30 il secondo). Vengono qui in luce le complicazioni (e “finzioni” ) del processo di fissazione di regole che a livello domestico viene denominato “contrattazione collettiva” e che a livello europeo stenta a mostrare autonomia e rilevanza . Emerge altresì la difficoltà – in specie nella giurisprudenza della Corte di giustizia – di comprendere a fondo e rispettare modelli nazionali di relazioni industriali talmente diversificati da non consentire alcuna pratica armonizzazione, secondo la lezione di Otto KAHN-FREUND. Fa eccezione il ricco dibattito scaturito dal caso Erzberger in materia di diritti di partecipazione , che ha visto la Corte preservare il modello tedesco di cogestione dall’apparente contrasto con le libertà di circolazione .
Entrambi i manuali sono dotati di un indice analitico relativamente dettagliato, che consente di rintracciare agevolmente il paragrafo in cui la singola voce è trattata, nonché di esaurienti e per lo più aggiornati apparati bibliografici – inseriti direttamente nelle note a piè di pagina nel primo manuale (ROCCELLA-TREU-AIMO-IZZI) e all’inizio di ciascun capitolo nel secondo (CARINCI-PIZZOFERRATO).
3. Caratteristiche e divergenze
Pur nel sostanziale parallelismo delle tematiche trattate, emergono sensibili differenze, di impostazione e di approfondimento, con riguardo ad alcuni aspetti, che sembra interessante evidenziare.
Il primo manuale (ROCCELLA-TREU-AIMO-IZZI) dedica ampio spazio alla disciplina dell’orario di lavoro, letta non soltanto alla luce delle fonti formali – e in particolare quale disciplina derivante dalla protezione della salute e sicurezza dei lavoratori di cui alla Direttiva madre 89/391 –, bensì specialmente della giurisprudenza della Corte di giustizia. Come noto, è proprio il tema dell’orario di lavoro che, insieme al diritto antidiscriminatorio , ha rappresentato la porta d’ingresso in giurisprudenza della Drittwirkung dei diritti fondamentali sanciti dalla Carta di Nizza, sub specie del diritto alle ferie annuali retribuite riconosciuto dall’art. 31(2) CDFUE. Tale attenzione (costante e crescente rispetto alle precedenti edizioni del ROCCELLA-TREU) allo stratificarsi degli orientamenti della Corte di Lussemburgo risulta uno dei tratti metodologici più evidenti e condivisibili del primo manuale, e viene puntualmente osservata in una serie di ambiti distinti (sul trasferimento d’azienda, sul contratto a termine, sulla non-discriminazione).
È a tutti noto il filone giurisprudenziale inaugurato nel novembre 2018 dalla Corte nei casi Bauer e Max Planck , ove si è affermato che «nel caso in cui sia impossibile interpretare una normativa nazionale come quella discussa nei procedimenti principali in modo da garantirne la conformità all’articolo 7 della direttiva 2003/88 e all’articolo 31, paragrafo 2, della Carta dei diritti fondamentali, il giudice nazionale (…) deve disapplicare tale normativa nazionale e assicurarsi che (…) venga concesso (…) il beneficio di un’indennità finanziaria per le ferie annuali retribuite maturate ai sensi delle citate disposizioni e non godute da tale lavoratore prima del suo decesso». La Corte ha peraltro precisato che tale obbligo «grava sul giudice nazionale sulla base (…) dell’articolo 31, paragrafo 2, della Carta dei diritti fondamentali (…) se la controversia ha luogo tra il successore e un datore di lavoro che ha la qualità di privato» . Infatti, poiché « il diritto di ogni lavoratore alle ferie annuali retribuite implica, per sua stessa natura, un corrispondente obbligo in capo al datore di lavoro, ossia quello di concedere tali ferie retribuite o un’indennità per le ferie annuali retribuite non godute alla cessazione del rapporto di lavoro» , il giudice dovrà garantire la piena efficacia dell’art. 31(2) CDFUE disapplicando all’occorrenza la disposizione nazionale difforme .
L’impatto sull’interpretazione della Carta di Nizza e le ulteriori potenzialità di tale filone giurisprudenziale costituiscono uno degli aspetti di maggiori rilievo nel diritto europeo attuale , e vengono opportunamente posti in luce dalla nuova edizione del primo manuale (ROCCELLA-TREU-AIMO-IZZI). La Corte non si limita, infatti, ad affermare l’effetto diretto dell’art. 7, Dir. 2003/88, ma disciplina per la prima volta le condizioni necessarie a dotare le disposizioni della Carta di efficacia diretta orizzontale nel campo del diritto del lavoro . Ed è proprio su tali condizioni che la Corte di Cassazione italiana ha formulato la recente domanda pregiudiziale nella quale chiede alla Corte di giustizia se il ragionamento condotto in Bauer e Max Planck valga anche in ipotesi di cessazione del rapporto di lavoro dovuta a un licenziamento dichiarato illegittimo con conseguente reintegrazione del lavoratore . Analoga questione è pendente in virtù di un rinvio pregiudiziale di poco anteriore proveniente da un tribunale del lavoro bulgaro, che si interroga sul fondamento di una domanda risarcitoria presentata da una lavoratrice contro la Bulgaria, per avere la Corte di cassazione bulgara dichiarato inammissibile il ricorso «avverso una decisione giudiziale con cui è stata accertata l’insussistenza del diritto dell’attrice a ferie annuali retribuite per il periodo in cui la stessa non avrebbe potuto godere delle ferie a causa del suo illegittimo licenziamento» .
Il secondo manuale (CARINCI-PIZZOFERRATO) si distingue per avere incluso quattro capitoli di particolare interesse – in tema di licenziamento individuale (cap. IX), rapporti di lavoro con elementi di transnazionalità (cap. XI), sicurezza sociale (cap. XII) e politiche europee in materia di immigrazione e asilo (cap. XIV). Per ragioni diverse, tali originali apporti consentono al lettore di attingere a temi normalmente estranei alle trattazioni manualistiche ma nondimeno centrali nel dibattito dottrinale.
Essenziale risulta il capitolo sul sistema di coordinamento della sicurezza sociale nel diritto europeo (trattato peraltro anche dal primo manuale, al capitolo III, sez. I, paragrafi 8 e 9), tema troppo spesso relegato ai margini del dibattito dottrinale ma foriero di importantissime implicazioni, sistemiche e pratiche. Alle numerose questioni interpretative sollevate dal Reg. 883/2004 e dalle più recenti riforme pensionistiche italiane (nonché dalla Dir. 2004/38 sulla cittadinanza europea), il secondo manuale dedica molto opportunamente 27 pagine, con aggiornati riferimenti, anche giurisprudenziali.
Il capitolo sul licenziamento individuale tratta specialmente delle interazioni fra l’art. 30 CDFUE, l’art. 24 della Carta sociale Europea e gli ordinamenti nazionali, e si interroga sul problema della diretta applicabilità dell’art. 30 (negata peraltro dalla quasi totalità degli autori) , per concludere in senso (sembra) adesivo rispetto al percorso argomentativo intrapreso dalla Corte costituzionale italiana nella nota sentenza sul regime di protezione contro il licenziamento illegittimo di cui al Jobs Act .
Sul punto è interessante notare come le stesse norme evocate dalla Corte italiana abbiano portato la Cour de Cassation francese a escludere che il sistema di tutela introdotto dalla riforma Macron (detto barème d’indemnisation), plasmato proprio sul Jobs Act italiano, sia in contrasto con gli artt. 30 e 24 citati e con la stessa “giurisprudenza” del Comitato europeo dei diritti sociali .
È peraltro da verificare se la stessa Corte di giustizia, investita dal Tribunale di Milano di un’ulteriore questione pregiudiziale sul tema del licenziamento (fondata peraltro sulle Dir. 99/70 e 98/59), utilizzerà il riferimento all’art. 30 in guise diverse rispetto al passato .
Pare utile infine menzionare l’opportunità di includere, nel secondo manuale (CARINCI-PIZZOFERRATO), un capitolo dedicato alle politiche europee in materia di immigrazione e asilo, e alla correlativa disciplina italiana, che coglie con accuratezza l’importanza sistematica e pratica (ma anche culturale) del tema.
4. Manuali stranieri comparabili
Nel panorama dei principali sistemi giuridici europei, i due manuali in commento si distinguono per completezza e aggiornamento, e contribuiscono in maniera fondamentale alla formazione giuslavoristica attuale, insieme ovviamente a comparabili opere in lingua straniera.
Fra i manuali in lingua inglese, dopo le eccellenti trattazioni di C. BARNARD e A.C.L. DAVIES del 2012 (il primo, corposissimo e complesso , il secondo più sintetico ma ottimo sul piano didattico ), sono stati pubblicati o aggiornati con minor frequenza alcuni testi non altrettanto fruibili sul piano didattico .
La raccolta dei saggi contenuti nel Research Handbook on EU Labour Law è l’ultimo esempio in ordine cronologico dell’apporto fondamentale della dottrina britannica alla comprensione e sviluppo del diritto del lavoro europeo , e risulta di cruciale importanza per la sistematizzazione dei rapporti fra ordinamento europeo, ordinamenti nazionali, e sistemi di regole transnazionali (prestando altresì attenzione al discorso sui diritti umani) .
Una diversa impostazione, di tradizione tipicamente tedesca, è riflessa nel commentario alle principali direttive sul tema intitolato EU Labour Law. A Commentary e nell’enciclopedico e più aggiornato commentario intitolato International and European Labour Law. Article-by-Article Commentary , ove sono sistematicamente ordinati i variegati materiali derivanti da fonti primarie e secondarie del diritto europeo e dai testi di diritto internazionale del lavoro (Convenzioni e Raccomandazioni OIL e Carta europea dei diritti dell’uomo).
L’opera più recente in lingua inglese – European Labour Law – include, ordinandoli in forma manualistica, capitoli di vari importanti autori, e costituisce un utilissimo supporto didattico, per completezza, aggiornamento e chiarezza dei contenuti. Come (anzi, meglio) dei testi menzionati in precedenza, include un’iniziale lista dei casi e degli atti normativi citati, nonché in calce una dettagliata bibliografia generale e un altrettanto preciso indice analitico. Si segnala, in particolare, il capitolo conclusivo, di uno dei curatori, che con convinzione argomenta a favore del processo di integrazione nel campo dei diritti sociali e attribuisce all’inattività o contrarietà degli Stati membri, piuttosto che alle istituzioni politiche dell’Unione, l’attuale inadeguatezza del bilanciamento fra diritti sociali e libertà economiche fondamentali .
Completano il panorama dei manuali in lingua straniera più completi e aggiornati il bellissimo testo di Sophie ROBIN-OLIVIER , che si distingue per l’impostazione, unica nel panorama comparato, ove viene in particolar modo valorizzato l’impatto del diritto europeo su quello degli Stati membri (letto nell’alternativa tra diritti economici del mercato unico e diritti sociali espressione tipica dei sistemi nazionali), e prestata opportuna attenzione alle tecniche dell’armonizzazione minima e del non regresso .
Fra i manuali in lingua spagnola, si segnala il recente volume collettaneo diretto da M.E. CASAS BAAMONDE e R. GIL ALBURQUERQUE e coordinato da I. GARCÍA-PERROTE ESCARTÍN, A. GÓMEZ GARCÍA-BERNAL e A.V. SEMPERE NAVARRO . Esso è completo e aggiornato, e si presenta al lettore con un’originale struttura a cascata, che parte da capitoli generali di inquadramento della materia a partire dai testi costituzionali (Trattati e Carte), affronta in maniera orizzontale le questioni dell’efficacia e dell’applicazione del diritto UE, per poi dipanarsi attraverso le direttive settoriali (dal diritto antidiscriminatorio alla disciplina dei rapporti di lavoro, dal diritto collettivo alla sicurezza sociale), e chiudere con due capitoli di diritto internazionale del lavoro, sostanziale (Roma I) e processuale (Bruxelles I-bis).
5. Considerazioni conclusive
Nell’ultimo decennio si sono moltiplicate le opere monografiche e collettanee che hanno rimarcato, con accenti diversi, l’impatto della crisi economico-finanziaria sui diritti sociali, a livello nazionale e di conseguenza europeo. Si inizia solo ora a interrogarsi sulle traiettorie future del diritto del lavoro europeo “dopo la crisi”. In particolare, è sempre più ricorrente l’idea di solidarietà, che dovrebbe permeare l’assetto istituzionale e politico dell’Unione e i rapporti fra i suoi Stati membri, così come i principali attori sociali. Solidarietà che dovrebbe riflettersi quale valore fondamentale tanto più nelle decisioni rese dalla Corte di giustizia.
Certo, come correttamente osservato, non può esservi un’Europa sociale senza iniziative determinanti da parte del legislatore europeo . In tal senso non può sottovalutarsi il potenziale innovativo del Pilastro dei diritti sociali, che già a partire dalle due direttive su distacco (Dir. 2018/957) e condizioni di lavoro trasparenti (2019/1152) ha marcato una forte discontinuità rispetto alle precedenti iniziative . Nella stessa lettera di missione del nuovo commissario europeo al lavoro (Jobs and Social Rights) è chiaro l’impegno della Commissione ad elaborare, tra l’altro, una proposta legislativa in materia di salario minimo, un’azione europea in materia di lavoro su piattaforma, un sussidio di disoccupazione su base europea, e un rafforzamento dei sistemi di protezione sociale mediante le Raccomandazioni specifiche indirizzate nel quadro del semestre europeo .
Tutto questo deve, ovviamente, poggiarsi su basi più stabili delle attuali, il cui consolidamento è anzitutto compito tipico della giurisprudenza della Corte di giustizia. L’interpretazione giudiziaria del diritto europeo – come ammoniva Pierre PESCATORE già nel 1986 – è un processo creativo, sia allorquando contribuisce a consolidare o rendere più chiari principi dapprima incerti, sia quando favorisce sviluppi ulteriori . Ciò tuttavia non è appannaggio esclusivo della Corte di Lussemburgo, ma si estende alla giurisdizione diffusa dei tribunali e delle corti nazionali, che contribuiscono sempre più alla stratificazione di principi e regole uniformi.
A questa duplice direzione delle dinamiche del diritto del lavoro europeo contribuiscono in maniera determinante i due manuali offerti in lettura, strumenti imprescindibili ai giuristi del lavoro e utilissime basi per ulteriormente orientarsi nel panorama all’apparenza sconfinato del social aquis.