La legislatura da poco conclusa è stata caratterizzata da numerosi inter-venti normativi, non sempre coerenti tra loro e con la esigenza di massi-mizzare l'occupazione in una fase segnata dalla ripresa del commercio globale e dall'ingresso di tecnologie rivoluzionarie. I propositi iniziali so-no stati condivisibili in quanto ispirati alla strategia europea della flex-security. Nella colonna della flessibilità si è certamente collocata la sempli-ficazione dei contratti a termine con il superamento di ogni causale e l'al-lungamento del periodo massimo consentito. Dopo questo primo atto, il Governo ha proposto al Parlamento un programma ambizioso declinato attraverso più deleghe dedicate tanto ai profili della semplificazione rego-latoria quanto agli istituti delle politiche attive e passive a sostegno della disoccupazione. Le deleghe sono state approvate con robuste integrazioni non sempre apprezzate se si pensa alla ipotesi inattuata della sostituzione dello Statuto dei Lavoratori con un più moderno testo unico. Dal mio punto di vista di relatore, i decreti delegati sono stati per lo più deludenti. Il Governo infatti, partito con l'intenzione di superare ogni pregiudizio ideologico per fare lavoro, si è presto arenato di fronte ai miti della "su-periorità" del lavoro subordinato e del primato del contratto a tempo in-determinato in quanto sostenuto dalla tutela reale. Ha così riregolato la subordinazione della prestazione separandola rigidamente dalla autono-mia attraverso il criterio della etero-organizzazione. E ciò nonostante la-voro dipendente e indipendente tendano ad avvicinarsi e confondersi nel nuovo assetto orizzontale della produzione indotto dalle tecnologie digi-tali. D'altronde non è forse rinvenibile la etero-organizzazione financo nel rapporto tra committente e professionista ordinistico? La stessa eliminazione delle collaborazioni a progetto è apparsa funzionale solo alla soddisfazione di pulsione ideologiche. Sono stato testimone dell'ingresso di questa fattispecie nell'ordina-mento sulla base di una richiesta delle organizzazioni sindacali. Dopo un lungo periodo di abuso delle collaborazioni, queste chiesero la definizione di criteri utili all'attività ispettiva per qualificare correttamente le presta-zioni ambigue. Biagi, immaginando che molti lavori si sarebbero realizzati per fasi e cicli penso' di soddisfare tanto la giusta esigenza dei lavoratori di essere tutelati da un improprio inquadramento autonomo quanto quelle dei datori di lavoro di avvalersi di collaboratori incaricati di uno specifico progetto fino al suo esaurimento o rinnovo. Paradossalmente proprio Marco Biagi fu accusato di voler "precarizzare" il lavoro attraverso una ti-pologia disegnata con lo scopo opposto. La cancellazione delle collabora-zioni a progetto ha fatto rivivere le modalità sregolate del passato. Il "to-tem" risultava però abbattuto proprio nel momento in cui le prestazioni si facevano più "agili" e perciò bisognose di una regolazione duttile. Anche quando si sarebbe poi prodotta la disciplina esplicitamente dedicata ai la-vori ".. senza precisi vincoli di orario o di luogo di lavoro.....", il Governo ha voluto limitarla ai soli rapporti di subordinazione secondo modalità stabilite dal contratto. Con il risultato di un evidente vuoto normativo nella materia della salute e sicurezza perche' risulta inapplicabile la respon-sabilità del datore di lavoro in relazione a luoghi della prestazione scelti liberamente dal lavoratore. Un analogo impulso ideologico ha condotto alla sostanziale cancellazione dei voucher dopo una prima fase di loro es-tensione a tutti o quasi gli ambiti lavorativi. Ne è conseguita la sommer-sione di molti spezzoni lavorativi non altrimenti regolabili. Anche per quanto riguarda la rivisitazione dell'art. 18, i grandi annunci sono stati se-guiti da un intervento limitato ai nuovi assunti e aperto ancora alla discre-zionalità giurisprudenziale. La prima bozza di decreto delegato disponeva la clausola di opting out in favore di un adeguato indennizzo per il datore di lavoro condannato alla reintegrazione per licenziamento illegittimo. La norma avrebbe, in via di fatto, allineato la disciplina italiana a quella vigente in tutti i paesi europei che tende ovunque ad escludere la coabitazione forzosa. Ed avrebbe avu-to un effetto economico maggiore in termini di propensione a fare lavoro per il suo contenuto certo. I generosi incentivi ai contratti permanenti hanno al più generato l'anticipo di decisioni aziendali, come si evince dall'assestamento successivo alla fase di decontribuzione e dallo sviluppo dei contratti a termine. Meglio sarebbe stata una riduzione generalizzata e strutturale, ancorché graduale, degli oneri indiretti sul lavoro soprattutto quando sproporzionati alle prestazioni. Meglio ancora sarebbe stato l'im-piego, in tutto o in parte, dei circa dodici miliardi dedicati alla decontri-buzione in una forte operazione di investimento crash sulle abilità e com-petenze dei giovani come degli adulti. Ci si riferisce in particolare ad una marcata promozione dell'apprendistato e al piano straordinario di alfabe-tizzazione digitale degli adulti nella economia con la più alta quota di lavo-ri ripetitivi, come tali ad alto rischio di sostituzione. Questa scelta avrebbe dato corpo effettivo alle politiche per la sicurezza che sono invece state implementate da una prevalente azione di ridisegno degli istituti nazionali ad esse dedicati. Ancora una volta il governo ha preferito dedicarsi all'of-ferta dei servizi al lavoro anche se, lodevolmente, sono state abbozzate al-cune politiche a sostegno della domanda, dall'assegno di ricollocamento per i disoccupati, poco attuato, alla deducibilità fiscale delle spese per autoformazione dei professionisti o per l'apprendimento dei dipendenti da parte delle imprese, all'ampliamento della attività dei fondi interprofes-sionali. Oggi avvertiamo l'esigenza di andare oltre il vecchio concetto di politica attiva quale azione straordinaria di soccorso del disoccupato di lungo periodo. In presenza di transizioni continue, quantomeno profes-sionali, dei lavoratori dobbiamo produrre ecosistemi educativi in tutti i territori. Il limite di questa legislatura è stato quindi quello di avere fatto molte cose a metà, senza una solida e coerente visione. Auguriamoci possa ora costi-tuire un utile strumento per la nuova legislatura il Rapporto sul lavoro 4.0 votato all'unanimità dalla commissione del Senato in conclusione del mandato.