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1.- Il dibattito e le scelte alla Costituente

Il senso e l’esistenza stessa del Consiglio Nazionale dell’Economia e del Lavoro sono sempre stati oggetto di valutazioni differenti, spesso opposte, che riflettono concezioni non omogenee delle istituzioni e della democrazia. Lo testimonia già il dibattito alla Costituente, che registra proposte anche molto diverse di eminenti personaggi: dal costituzionalista Mortati a Fanfani, dal sindacalista Di Vittorio a Paratore.
Il tema, o lo spettro, del Cnel come “terza camera” è tanto incombente quanto esorcizzato nel dibattito e contribuisce a frenare la proposta, pur presente, di attribuire al costituendo Consiglio funzioni forti: di controllo sociale dell’attività economica dell’impresa (Fanfani) o di regolazione diretta. Per esempio: formulare regolamenti per incarico del Parlamento; predisporre disegni di legge di propria iniziativa; giudicare per arbitrati nelle questioni del lavoro; dare pareri obbligatori per tutti i progetti diretti a disciplinare in modo unitario le attività produttive del paese.
Nel dibattito costituente prevale l’orientamento di Ruini: qualificare il Cnel come organo ausiliario dei maggiori organi costituzionali dello Stato – Governo e Parlamento – con compiti di consulenza, di proposta e anche di iniziativa legislativa.
La configurazione del Cnel così proposta doveva essere largamente condivisa. Tanto è vero che l’art 99 della Costituzione fu votato quasi all’unanimità in un clima di “fiduciosa sicurezza”, anzi per alcuni nella convinzione che di fatto sarebbe stato possibile attribuire al nuovo Consiglio più compiti di quelli allora definiti. I fatti non dovevano dar ragione a questa sicurezza.
Critiche e ostilità hanno circondato l’attività del Cnel fino ai giorni nostri, ma non hanno impedito ai suoi componenti di mantenere la convinzione della sua ragion d’essere e di impegnarsi per avvalorarla nei fatti.

2.- Le modifiche della legge del 1986

Le criticità della vita del Cnel, insieme ad alcune indicazioni su come ripensarne il ruolo, sono presentate già da Sergio Mattarella nella Relazione al disegno di legge 3566 del marzo 1986 di riforma di quest’organo di rilevanza costituzionale. In tale relazione si attribuisce al disegno di legge di allora l’obiettivo di ridare all’organismo “rappresentatività e capacità operativa”.

Riprendendo le indicazioni del dibattito alla Costituente, la Relazione sottolinea, fra le funzioni essenziali del Consiglio, quella – centrale nella visione dei Costituenti – di essere un’importante “struttura di razionalizzazione del rapporto fra le forze sociali e il potere politico”, oltre a costituire un terreno di confronto oggettivo sui grandi di temi sociali ed economici, garantito dalla compresenza sia di tutte le organizzazioni più rappresentative, sia di esperti tecnicamente competenti.

Questo, a mio avviso, è ancora il nucleo principale della missione del Cnel. Sono convinto che tale compito risponda bene alla funzione che le grandi organizzazioni del lavoro e dell’impresa possono svolgere, riunite insieme in un luogo istituzionale a ciò dedicato. La vera sfida è quella di saper adeguare le strategie e gli strumenti per svolgere efficacemente tale funzione in un contesto economico e sociale nuovo e molto diverso da quello delle origini. La legge del 1986 ha comunque introdotto modifiche utili a migliorare l’operatività del Consiglio e a ridare slancio alle sue iniziative.
In effetti le vicende successive testimoniano i molti momenti di grande attività e azioni innovative su diversi fronti. Per esempio, durante la presidenza di Giuseppe De Rita, i grandi progetti dei “patti territoriali” hanno segnato una intensa attività del Cnel nei territori, specie del Mezzogiorno. Invece successivamente, cioè in anni più recenti, si sono registrate nuove difficoltà che hanno portato a smarrire il senso del Cnel. Uno smarrimento del quale molti Consiglieri, me compreso, sono stati testimoni, fino all’approvazione della legge di riforma costituzionale contenente la norma di soppressione dell’organismo.
Di fronte a una simile prospettiva, il Consiglio di allora ha reagito avviando nel 2014 un ampio dibattito tra organizzazioni delle parti sociali, gruppi di esperti e centri di ricerca, tutti convinti della persistente utilità del Cnel. E ha approvato una proposta di autoriforma intesa rilanciare e aggiornare le funzioni del Cnel, proposta peraltro rimasta senza esito dato il contesto politico del momento.

Dopo la bocciatura della riforma costituzionale nel referendum del 4 dicembre 2016, il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella e il Presidente del Consiglio Paolo Gentiloni hanno ritenuto di riattivare la procedura per la ricostituzione dell’assemblea del Cnel. Questa decisione è stata presa non solo per il rispetto dell’esito referendario, ma anche per la convinzione della persistente utilità di questa istituzione di rappresentanza. Una convinzione corrispondente alle idee da sempre professate da questi rappresentanti delle più alte autorità della Repubblica.

3. .- Il nuovo CNEL: una fase costituente

La nuova consiliatura, insediata il 5 giugno 2018, si trova a dover riconsiderare tutti gli interrogativi e le criticità del passato, per di più in un contesto reso incerto dal mutato quadro politico uscito dalle elezioni del marzo 2018 e a fronte di un nuovo Governo, il cui programma contiene una dichiarazione di sfiducia nell’utilità del Cnel e ne propone l’abrogazione. Perciò, all’insediamento del Consiglio, ho dichiarato la necessità non solo di interrogarsi sui motivi delle difficoltà e delle critiche ricevute, ma anche di ripensare il senso della missione del Cnel. Si tratta di aprire una fase costituente, con il duplice proposito di rilanciarne l’attività e di avanzare, sulla base delle riflessioni finora sviluppate, proposte concrete di riforma da sottoporre al Governo e al Parlamento.

A tal fine l’assemblea ha deciso all’unanimità di rivolgere un appello alle forze politiche per ribadire la perdurante utilità del Cnel e la necessità di una sua autoriforma, sottolineando che esso è tanto più importante nel momento in cui il Governo dichiara di voler incrementare la democrazia mediante un’ampia partecipazione popolare. Senza dire che l’abolizione del Cnel “darebbe una prova ulteriore dello scarso valore attribuito da Governo e Parlamento al lavoro umano e alla cooperazione delle forze produttive nell’allestimento di un serio piano industriale del Paese” (Rusciano). Va sottolineato che l’appello ha ottenuto l’adesione formale e il sostegno di tutte le maggiori organizzazioni sociali, anche di quelle non presenti nel Consiglio.

Il contesto in cui oggi il Cnel deve operare è ovviamente molto cambiato rispetto a quello delle origini. Il conflitto degli anni passati è sfumato, è cambiato nella sua morfologia ma non è certo scomparso. Anzi il tessuto sociale e del lavoro è attraversato da nuove tensioni, indotte dalle crescenti diseguaglianze, dalla paura delle diversità e della perdita di identità, spesso alimentata da movimenti cd. “populisti”. Il Cnel è chiamato a contribuire alla coesione e alla cooperazione sociale, che sono essenziali in un momento di difficoltà e di smarrimento come quello attuale. La coesione sociale è un bene pubblico necessario per tenere insieme la società: sia per ricostruire la fiducia fra i cittadini, sia per rilanciare prospettive di sviluppo in una economia ancora debilitata dalla crisi.
I Consiglieri – che, è bene ricordare, prestano la loro opera a titolo gratuito – hanno assicurato l’impegno personale e delle organizzazioni di appartenenza a rendere il Cnel effettivamente utile al paese. Questo impegno si è già concretato in una intensa attività all’interno del CNEL e nei rapporti con la società e con le istituzioni. Dunque il CNEL è ripartito e dimostra la sua volontà di iniziativa su temi di grande rilevanza sociale e politica, che qui di seguito segnalo nelle linee principali.

 

 

4. – Impegni e attività in prospettiva
a). Più partecipazione e più democrazia.
Uno dei punti di riforma già approvati dal Consiglio è quello di allargare la partecipazione a organizzazioni sociali non ancora presenti e in generale di aprirsi all’ascolto sistematico di voci della società civile, spesso non raccolte dai canali istituzionali e talora neppure dalle organizzazioni rappresentative.
Inoltre, sulla base del nuovo regolamento approvato dall’assemblea, è stata avviata una serie di consultazioni pubbliche, specie sui temi riguardanti l’Europa, secondo le indicazioni della Commissione di Bruxelles in vista delle elezioni del Parlamento Europeo del prossimo anno. Si tratta di un’iniziativa volta a sollecitare un’ampia partecipazione dei cittadini al disegno di un futuro dell’Europa più sensibile ai bisogni sociali e a rafforzare a tal fine una forma di democrazia diretta, che il Consiglio ritiene assai utile, e non in sostituzione ma a integrazione, della democrazia rappresentativa e della partecipazione dei corpi sociali. Perché è l’insieme delle diverse manifestazioni della democrazia – quella rappresentativa, quella sociale e quella diretta – che contribuisce a creare la “democrazia compiuta” prefigurata dalla nostra Costituzione e posta all’origine del Cnel secondo le idee di Ruini.

 

b). Analisi e riordino della contrattazione collettiva

Un altro punto di forza, per il rilancio del Cnel, riguarda l’attività, da tempo avviata, di analisi e di riordino dei contratti collettivi nazionali e quella più recente di censimento dei contratti collettivi aziendali. Quest’ultima, in particolare, assume un’importanza straordinaria, considerata la grande rilevanza e diffusione della contrattazione decentrata in questa fase storica delle relazioni industriali. Infatti, se è vero che i dati sulla contrattazione di secondo livello sono periodicamente raccolti presso il Ministero del lavoro – sulla base delle richieste delle aziende per ottenere i benefici fiscali e contributivi, previsti dalle recenti leggi finanziarie – è vero anche che è indispensabile un’analisi accurata di questi dati, la quale fuoriesce dalle competenze del Ministero. Perciò il Cnel ha stipulato una Convenzione con il Ministero del lavoro – ora confermata - per ottenere una regolare trasmissione dei dati medesimi al fine di analizzare tecnicamente contenuti e tendenze della contrattazione decentrata, specie in materia di “retribuzioni di risultato” e di “Welfare aziendale”.
Una prima indagine in argomento, svolta in collaborazione con Anpal e Inapp, è stata presentata nel rapporto sul mercato del lavoro di fine 2017 (vedere il testo sul sito CNEL). Questo rapporto costituisce uno dei contributi di maggiore utilità per la conoscenza delle tendenze attuali dell’occupazione. Nel nuovo rapporto per il 2018 (in corso di preparazione a cura del prof. Lucifora, esperto del Cnel, e in collaborazione con le agenzie del Ministero del lavoro, Anpal e Inapp) verranno approfondite le indagini sulla contrattazione di secondo livello in modo da fornire una conoscenza sistematica delle sue tendenze.
Questo contributo del Cnel, sulla falsariga di quanto hanno fatto da tempo i maggiori paesi europei, colma una grave lacuna nella conoscenza del nostro sistema di relazioni industriali, del quale la contrattazione aziendale costituisce ormai un elemento centrale.
Altrettanto importante, e non solo a fini conoscitivi, è l’attività in corso relativa all’Archivio della contrattazione collettiva nazionale, che contiene una raccolta e una catalogazione completa di questi contratti, unica in Italia. Il deposito dei contratti presso il Cnel avviene in base a un obbligo di legge (l. n. 78/2014 art. 5, co 1- ter) finalizzato a favorire la diffusione delle buone pratiche e il monitoraggio costante delle risorse impegnate.
A decorrere dal 1° ottobre i contratti collettivi nazionali e decentrati del settore pubblico vengono trasmessi dalle Pubbliche Amministrazioni utilizzando la procedura automatizzata ARAN-CNEL, che ha unificato le rispettive piattaforme, e confluiscono in una specifica banca-dati on line, accessibile all’utenza esterna all’indirizzo www.contrattiintegrativi.pa.
Attualmente, su impulso delle Parti sociali rappresentaste al CNEL, è in corso una revisione della struttura dell’Archivio, che introduce una procedura standard per la tempestiva trasmissione informatizzata all’Archivio di tutti i nuovi accordi di contrattazione nazionale sottoscritti nei vari ambiti produttivi del settore privato.
Inoltre la nuova struttura classificatoria, in via di definizione, consentirà di integrare le banche dati sulla contrattazione nazionale di CNEL e INPS, facilitando la ricerca degli accordi collettivi applicati in ciascun settore ed offrendo la possibilità di ricostruire la successione storica degli accordi nonché la loro evoluzione.
Le procedure concordate con le parti sociali, per il deposito dei contratti collettivi con modalità univoche e informatizzate, permettono di avere un quadro certo di tutti i contratti vigenti e di quelli passati. La verifica incrociata con l’Inps dei codici degli stessi contratti – codici che attualmente sono spesso discordanti – permette di eliminare un numero considerevole di doppioni e di informazioni inesatte sulla contrattazione. Inoltre, al fine della progressiva standardizzazione degli archivi dei CCNL esistenti in molti paesi membri della UE.
Al fine della progressiva standardizzazione degli Archivi dei CCNL esistenti in molti paesi membri della UE, insieme all’Università di Amsterdam e all’Istituto di ricerca CELSI di Bratislava, il CNEL partecipa al progetto europeo di ricerca COLBAR-EUROPE con l’obiettivo di migliorare la conoscenza del contenuto dei contratti collettivi nei paesi europei, solo in minima parte raccolti in database nazionali e oggetto di accordi sui codici dei paesi tali da consentire confronti internazionali.

 

c). Selezione dei contratti collettivi più rappresentativi.
In tema di contrattazione nazionale, al Cnel si prospetta una sfida ulteriore molto impegnativa. L’accordo fra Cgil-Cisl-Uil e Confindustria del marzo 2018 – il c. d. “patto della fabbrica” – affida al Cnel una funzione decisiva per la conoscenza e per il buon funzionamento del sistema contrattuale italiano: quella di effettuare una precisa ricognizione sia dei perimetri della contrattazione collettiva di categoria, sia dei soggetti stipulanti i contratti nazionali dei diversi settori per verificarne l’effettiva rappresentatività sulla base di dati oggettivi. Che si tratti di un compito urgente è testimoniato dal fatto che, negli ultimi anni, si è verificata una preoccupante proliferazione del numero dei contratti nazionali. Infatti nell’Archivio del CNEL se ne contano ora 868: con un incremento del 74% dal 2010 al 2017 e un numero in continua variazione. Paradossalmente, molti di questi contratti riguardano una stessa categoria: sono ben 213 nel settore del commercio; 68 nell’edilizia; 34 per i chimici; e 31 per i metalmeccanici e per i tessili. E’ necessario chiarire i confini fra i vari contratti per evitare sovrapposizioni indebite, che creano pericolose confusioni sulle norme applicabili e sui diritti-doveri delle parti.
Grazie a una Convenzione con l’Inps, il Cnel ha cominciato a identificare i dati oggettivi su cui basare l’accertamento della rappresentatività dei contratti collettivi. La quale non s’identifica con la rappresentatività delle organizzazioni sindacali e datoriali stipulanti, anche se la comprende. I criteri presi in considerazione nei primi incontri con il Ministero del lavoro, con l’Inps e con le parti sociali sono più d’uno e riprendono, in linea di massima, quelli utilizzati più volte dalla giurisprudenza.
Oltre alla rappresentatività delle organizzazioni stipulanti il contratto, sono rilevanti: il numero dei datori di lavoro che dichiarano di applicare il contratto collettivo nazionale; il numero delle unità produttive facenti capo a tali datori; il numero dei lavoratori cui il contratto si applica; l’importo complessivo delle retribuzioni imponibili ai fini previdenziali. In questa direzione si è mosso anche l’Ispettorato Nazionale del Lavoro con la circolare n. 3 del 2018, contenente direttive agli Ispettori per identificare situazioni aziendali di rischio e contrastare evasioni e omissioni contributive. La base di tali accertamenti dell’Inps è la normativa della legge 389/1989, modificata dall’articolo 2, comma 25, della legge 549/1995, secondo cui la retribuzione da prendere come base per i contributi previdenziali non può essere inferiore agli importi stabiliti dai contratti collettivi stipulati dalle organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale. Sulla scorta di tale principio l’Ispettorato procede, di volta in volta, a identificare i contratti (considerati contratti leader) cui i datori di lavoro dei vari settori devono attenersi ai fini contributivi, pena le sanzioni di legge. Il rispetto di tali contratti da parte delle imprese è anche condizione per avere diritto a una serie di benefici fiscali e contributivi previsti da varie leggi. In tal modo si identificano, attraverso i soggetti stipulanti (rappresentativi), i contratti collettivi più rappresentativi agli effetti delle rilevanti disposizioni di legge.
Con tale attività le indicazioni del Cnel, verificate con gli organi pubblici ricordati e con le parti sociali, possono contribuire a dare basi oggettive e argomentate all’individuazione di tali contratti, da porre in evidenza nell’Archivio (con il c. d. bollino blu). La selezione dei contratti, così autorevolmente avallata, serve a dare certezza alle imprese circa gli accordi da rispettare, fra quelli presenti nell’Archivio del Cnel, e garantisce così maggiore efficacia alle intese fra le parti.
In tal modo, pur non potendosi ottenere l’attribuzione di efficacia generalmente vincolante ai contratti collettivi – che soltanto la legge può disporre – si realizza tuttavia un rafforzamento indiretto dell’efficacia generale per la parte retributiva dei contratti oggettivamente più rappresentativi, nel rispetto della garanzia costituzionale secondo cui tutti i lavoratori hanno diritto a una retribuzione equa e sufficiente (art. 36 Cost.). Tale garanzia, storicamente affermata dalla giurisprudenza fin dai primi anni ’50 del secolo scorso, trova ora un sostegno su dati e criteri espressi dal Ministero del lavoro e dall’Inps grazie all’analisi tecnica del Cnel.

d). Certificazione della rappresentatività sindacale e criteri per la rappresentatività delle associazioni datoriali

La descritta attività di selezione dei contratti deve giovarsi del buon funzionamento del sistema di misurazione della rappresentatività sindacale, che le parti sociali hanno stabilito in uno specifico protocollo con l’Inps. Qui si prevede che la raccolta dei dati rilevanti (associativi ed elettorali) dei sindacati spetta all’Inps in collaborazione con l’Ispettorato del lavoro e si prevedono criteri per la ponderazione tra dato associativo e dato elettorale. Ma, trattandosi di un’operazione non semplicemente aritmetica e di evidente delicatezza, è opportuno che la certificazione dei suoi risultati sia affidata a un’istituzione terza come il Cnel.
Per completare il quadro della rappresentatività, anche per la certificazione dei contratti nazionali, manca peraltro un anello fondamentale, cioè la definizione dei criteri di rappresentatività delle associazioni dei datori di lavoro. Il tema, sinora trascurato, è ormai diventato urgente in quanto la frammentazione del panorama associativo non si riscontra più soltanto nel campo sindacale, ma è cresciuta anche e soprattutto fra le associazioni datoriali e costituisce la causa forse prevalente della recente crescita del numero di contratti collettivi nazionali, molti dei quali sono spesso stipulati da associazioni datoriali sconosciute e inconsistenti. Il momento è maturo per definire criteri certi di accertamento della rappresentatività delle associazioni dei datori di lavoro, della cui necessità peraltro sono ormai convinte le maggiori confederazioni datoriali: non solo Confindustria, ma anche altre importanti confederazioni.
Un’utile indicazione al riguardo può venire dalla recente legislazione francese (legge 17 agosto 2015 n. 994), che ha segnato il definitivo superamento, anche per le rappresentanze datoriali, della “rappresentatività presunta” affidata al mutuo riconoscimento dei soggetti contraenti. Nella normativa d’oltralpe si ritengono rilevanti vari criteri cumulativi: rispetto dei valori repubblicani; indipendenza e trasparenza finanziaria; attività negoziali da almeno due anni; autorevolezza legata all’attività svolta; infine il numero di imprese aderenti all’associazione, che è variabile a seconda dei livelli di negoziazione. La legge considera adesione l’iscrizione dell’impresa che abbia effettivamente versato contributi all’associazione. Per essere “rappresentativa”, una confederazione datoriale deve esserlo almeno in due settori; e le federazioni, come le associazioni territoriali che la compongono, devono rappresentare l’8% delle imprese aderenti alle organizzazioni datoriali di quel settore. Analogamente, a livello categoriale, la rappresentatività è riconosciuta alle organizzazioni che rappresentano l’8% delle imprese aderenti alle organizzazioni datoriali del settore. Alcune sigle datoriali hanno sollevato obiezioni sui criteri fondati sul numero delle imprese aderenti anziché sul numero dei lavoratori. Questione sottoposta al Consiglio costituzionale francese.
Il Cnel ritiene opportuno che la scelta dei criteri di rappresentatività datoriale, come avvenuto per i sindacati dei lavoratori, sia definita anzitutto fra le parti sociali; e offre la sua collaborazione, se richiesta, per agevolare un accordo. Ove non si raggiunga alcun accordo, rimane l’urgenza, largamente condivisa da studiosi e operatori, che sia il legislatore a stabilire i criteri di rappresentatività: sia dei sindacati, sia delle associazioni datoriali. Un intervento necessario a porre termine a un’incertezza che pesa negativamente sul nostro sistema di relazioni industriali. Anche su questo il Cnel è in grado di intervenire utilmente attraverso studi e valutazioni comparate, da elaborare con l’aiuto del Consiglio Economico e Sociale Europeo e dei Consigli Economici e Sociali – omologhi del Cnel – presenti in 21 paesi europei.

 

8.- Il Board per la competitività nazionale
Vanno infine ricordate alcune attività, previste nel programma del Cnel per il 2018, di particolare rilievo nel momento presente. Anzitutto il Consiglio si candida a essere la sede istituzionale in cui incardinare il National Competitiveness Board, un organismo autonomo richiesto dall’Europa – ma non ancora istituito nel nostro paese – per esaminare tutti gli aspetti e le criticità della situazione competitiva dei vari paesi. La candidatura del Cnel, e le sue implicazioni, sono frutto di un esame con le parti sociali e di contatti coi ministeri competenti. Che si tratti di un tema di cruciale importanza, in particolare per l’Italia (ma non solo), è sotto gli occhi di tutti ed è testimoniato da molte indagini internazionali condotte al riguardo. Darvi seguito richiede naturalmente, oltre all’impegno del Consiglio, la partecipazione delle diverse istituzioni dotate di competenze in materia: dai Ministeri economici alla Banca d’Italia, dall’Istat all’Inps. Affinché il Competitiveness Board sia all’altezza delle richieste europee e delle aspettative del paese sarà dunque necessario mobilitare competenze scientifiche e istituzionali diverse, attingendo anche al patrimonio di conoscenze delle organizzazioni rappresentate nel Cnel. Un ruolo di rilievo potrà svolgere, anche a questo proposito, l’unità di ricerca, costituita in collaborazione con l’Università di Roma La Sapienza dedicata allo studio della complessità economica. Tale unità si avvale di un modello previsionale (sviluppato dal Prof. Luciano Pietronero), già utilizzato dalla Banca Mondiale per l’analisi delle economie di paesi come Cina e Brasile. Attualmente l’unità di ricerca sta provvedendo a testare il modello previsionale su alcune realtà regionali italiane, (inizialmente Lombardia, Sardegna, Lazio e Puglia) per individuarne le potenzialità di sviluppo economico. I primi risultati del test sono stati presentati al Cnel il 13 settembre 2018, dalla prof.ssa A Simonazzi, consigliere esperto del Cnel e dal gruppo di ricerca del prof. L. Pietronero. Il relativo rapporto, dal titolo “The economic fitness of Italy and its regions” è reperibile sul sito Cnel (www.Cnel.it).
Queste analisi sulla competitività saranno inserite in un programma generale di riflessioni e ricerche sulla sostenibilità economica e sociale dello sviluppo: problema sul quale il Cnel intende impegnarsi nei prossimi mesi (con la collaborazione del Prof. Enrico Giovannini). Si ritiene infatti che le valutazioni sulla competitività e sulle prospettive di sviluppo vadano condotte avendo come parametro fondamentale di riferimento la sostenibilità e i suoi indicatori, individuati dai Sustainable Development Goals delle Nazioni Unite.
In tale quadro saranno inserite anche le analisi sulle valutazioni delle politiche pubbliche che è un compito istituzionale da tempo svolto dal Cnel. L’ultimo rapporto (il VI) è stato presentato alla Camera il 24 maggio 2018 ed è reperibile sul sito del Cnel (www.Cnel.it). Tale relazione, come le precedenti, è stata curata dal Cnel in un’ottica di collaborazione interistituzionale col oltre 30 enti, organi e amministrazioni, coinvolgendoli in un esercizio pluriennale di monitoraggio sui parametri di efficienza, efficacia, economicità e misurazione del risultato.
Il prossimo Rapporto sarà arricchito dalla applicazione (iniziale) di un modello di valutazione dell’impatto economico delle politiche pubbliche in rapporto agli stessi indicatori di sostenibilità, che è stato presentato al Cnel il 12 settembre 2018 dai proff. Bosello, Campagnolo e Ciferri.
I testi dei loro contributi sono reperibili sul sito del Cnel (www.Cnel.it).

 

9.- La blockchain per migliorare la conoscenza del mercato del lavoro
Da ultimo va ricordato che è stato costituito presso il Cnel, in cooperazione con l’Università degli studi Roma Tre, l’Osservatorio italiano della blockchain, che opera in collaborazione con l’EU blockchain Observatory europeo lanciato dalla Commissione al fine di progettare e realizzare applicazioni della stessa tecnologia nel campo dell’economia e del mercato del lavoro. L’idea base (sviluppata dai Proff. Ciucciovino e Faioli, esperti del Cnel) è di applicare la blockchain alla costruzione e all’alimentazione del fascicolo elettronico del lavoratore, che è uno strumento trasparente posto al centro di tutte le politiche attive del lavoro, dove confluiscono i dati – riferiti al singolo lavoratore – in possesso dei diversi soggetti della rete nazionale, in grado di tracciare i percorsi educativi, i periodi lavorativi, la fruizione di provvidenze pubbliche e i versamenti contributivi ai fini del godimento degli ammortizzatori sociali. Un sistema del genere consente di realizzare efficacemente il coordinamento dei sistemi informativi di tutti gli attori della rete nazionale di politiche del lavoro, senza la necessità di creare nuove banche-dati e dunque senza che sia necessario né il trasferimento né la duplicazione di banche esistenti. Come pure non sarà necessario il trasferimento di dati fra soggetti istituzionali, preservando così l’autonoma generazione e gestione delle rispettive fonti informative da parte dei diversi soggetti che sono in rete.
Lo strumento consente di superare gran parte delle resistenze e delle difficoltà che, fino a oggi, hanno rallentato la messa in atto del fascicolo elettronico del lavoratore e del sistema informativo unitario del lavoro, perché realizza un vero e proprio data management condiviso fra istituzioni pubbliche e private, che accedono alla rete nazionale. Instaurando una blockchain tra soggetti della rete nazionale, i diversi settori abilitati a partecipare rimangono nella piena titolarità ed esclusiva gestione delle proprie basi-dati e concorrono alla costruzione dei singoli blocchi della catena inserendo ciascuno i dati rilevanti per la parte di propria competenza.
La blockchain, insieme con l’applicazione di opportune tecniche di machine learning e di trattamento efficiente dei big-data, può concorrere a delineare un’offerta lavorativa congrua e a favorire l’incontro tra chi domanda e chi offre lavoro. Può anche servire a monitorare le performance dei soggetti accreditati per l’erogazione delle politiche attive, creando le condizioni per immettere principi di competizione virtuosa nel sistema. Una prima applicazione sperimentale della Blockchain per la gestione dei dati sul mercato del lavoro secondo il progetto elaborato dal Cnel in collaborazione con l’università di Roma 3 sarà avviata in alcune aree (distretti) di quattro regioni italiane: Lombardia, Sardegna, Lazio e Puglia. Le modalità della sperimentazione sono state discusse la Presidente della Commissione Lavoro del Senato, sen. Catalfo, che ha assicurato il suo appoggio al progetto anche in fase attuativa.
I soggetti che partecipano alla sperimentazione stipuleranno un protocollo mediante il quale si obbligano a far confluire alcuni dati dei lavoratori coinvolti.
La blockchain viene attivata e gestita dall’Università, coinvolgendo in parte i CPI e le Agenzie del lavoro che sono i soggetti da cui parete la blockchain. Le imprese partecipate accedono alla blockchain per visionare i dati o per attivare il matching con le offerte di lavoro sulla base di effettive necessità occupazionali.
Il rilevamento dei dati sarà periodico (in principio mensile) e comprenderà non solo dati occupazionali, ma anche le condotte amministrative riguardanti i rapporti di lavoro, per dimostrare la maggiore efficacia della blockchain.

 

10.- Proposte di cambiamento alle forze sociali e alla politica

L’appello approvato dalla recente assemblea del Cnel non è solo una richiesta alla società organizzata di sostenere le buone ragioni dell’esistenza del Consiglio. Segnala anzitutto la volontà di coinvolgere tutte le sue espressioni in un dibattito aperto per ricercare proposte di cambiamento delle proprie strategie, da discutere insieme e da sottoporre alle forze sociali e alla politica.
Le esperienze passate e i nuovi indirizzi con cui rafforzare le attività del Cnel confermano a mio avviso che la missione principale assegnata al Cnel dai Costituenti è ancora attuale: promuovere la razionalizzazione dei rapporti fra forze sociali e politica costituendo un ponte fra i due momenti, dell’analisi e della decisione, entrambi essenziali per una buona politica. Per questo l’attività del Cnel va potenziata e aggiornata, non ostacolata; bloccarla o sopprimerla significherebbe ridurre gli spazi della democrazia e non allargarli, come invece tutti auspicano.
In definitiva, e riepilogando, sono questi alcuni punti prioritari, su cui discutere per un cambiamento del Cnel che risulti effettivamente utile al paese: a) rendere le sue strutture e regole di funzionamento più efficienti, come si è già cominciato a fare con il nuovo regolamento approvato dall’assemblea; b) aprire l’interlocuzione con nuove espressioni della società organizzata non ancora presenti nel Cnel: a cominciare dalle nuove professioni e dai nuovi lavori, per i quali si è già avviata la costituzione di un’apposita Consulta rappresentativa; c) attivare forme di consultazione diretta e sistematica dei cittadini, secondo le norme del nuovo regolamento, affrontando i temi del futuro dell’Europa in vista delle prossime elezioni del Parlamento europeo; d) potenziare alcune attività, in particolare l’identificazione dei contratti collettivi più rappresentativi, essenziali per il miglioramento delle relazioni industriali, per dare certezza alle parti circa i loro diritti e obblighi e per combattere abusi e sottosalari; e) impegnare il Cnel, in collaborazione con altre istituzioni pubbliche competenti e tramite l’uso di nuove tecnologie, sui grandi temi dell’efficienza del mercato del lavoro, della competitività del paese e delle sue prospettive di sviluppo; f) inserire le analisi sull’efficienza e sulla competitività – sia del settore privato, sia delle pubbliche amministrazioni – in un programma generale di ricerche sull’impatto delle politiche pubbliche in ordine alla sostenibilità economica e sociale dello sviluppo: secondo gli indicatori di benessere e i parametri individuati dai Sustainable Development Goals delle Nazioni Unite.

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