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L'inizio della XVIII Legislatura è stato caratterizzato da una marcata discontinuità rispetto alle politiche liberiste dei governi precedenti in materia di lavoro. Le direttrici lungo le quali - fin da subito - l'Esecutivo e la maggioranza parlamentare che lo sostiene hanno deciso di muoversi sono sintetizzabili in 5 parole chiave.
La prima di queste è Dignità. Non a caso, il primo provvedimento affrontato dalla Commissione Lavoro del Senato che presiedo è stato proprio l'omonimo decreto (n. 87/2018). L'obiettivo dichiarato del Dl è quello di favorire le assunzioni stabili arginando una precarizzazione estrema che si concretizza principalmente con il proliferare di contratti a tempo determinato e di somministrazione di lavoro. Infatti il cuore del provvedimento è la ridefinizione della durata massima delle condizioni del contratto a termine. In particolare, vengono adottate le seguenti misure: a) viene accorciato il limite temporale complessivo da 36 a 24 mesi; b) viene ridotto da 5 a 4 il numero di proroghe; c) vengono reintrodotte le causali sia nel contratto a tempo determinato di durata complessiva superiore a 12 mesi sia nella somministrazione di lavoro. Inoltre, la legge aumenta l'importo dell'indennità risarcitoria riconosciuta al lavoratore in caso di licenziamento ingiustificato (la minima passa da 4 a 6 mensilità e la massina 24 a 36 mensilità) e allunga il termine per l'impugnazione stragiudiziale per i contratti a tempo determinato, portandolo da 120 a 180 giorni. Il motivo di questa azione poggia sul fatto che le misure contenute nel Decreto Poletti prima (D. Lgs. n. 34/2014) e nel Jobs Act poi (D. Lgs. 23/2015; D. Lgs 81/2015) avevano fortemente indebolito la disciplina protettiva dei licenziamenti illegittimi e completamente liberalizzato l'istituto del contratto a termine, abolendo del tutto le causali previste per giustificare il ricorso a questo. Lasciando, come unico limite, quello relativo alla durata massima di 36 mesi presidiato dalla direttiva comunitaria 1999/70/CE. Tutto ciò, una volta terminati gli incentivi previsti nella Finanziaria 2014 per la stipula di contratti a tempo indeterminato, ha avuto come unico effetto il fatto che oltre il 90% di nuove assunzioni è avvenuto con contratti precari. Il Decreto Dignità non solo ha permesso di allineare la disciplina italiana a quella europea, concretizzando la previsione della suddetta direttiva secondo la quale la forma comune di rapporto di lavoro è quella del contratto subordinato a tempo indeterminato. Ma sta già dando i propri frutti: infatti, come recentemente certificato dall'Osservatorio sul precariato dell'Inps, nel bimestre novembre-dicembre 2018 (cioè quando il provvedimento è entrato in vigore a tutti gli effetti), le trasformazioni da tempo determinato a tempo indeterminato rispetto allo stesso periodo dell'anno precedente sono più che raddoppiate, passando da 52mila a 114mila.

2. Più dignità vuol dire più diritti: è questa la seconda delle 5 summenzionate parole chiave della nostra azione. Proprio per questo, l'altro, grande intervento che questo Governo ha già approvato in materia di lavoro è il Decreto contenente Reddito di Cittadinanza e Quota 100 (n. 4/2019). Si tratta di un provvedimento storico, doveroso e necessario per salvaguardare la coesione sociale del nostro Paese. Una battaglia di cui per prima, nel 2013, quando il MoVimento 5 Stelle varcò la soglia delle Aule parlamentari, mi sono fatta promotrice (cfr. ddl A.S. 1148 del 29 ottobre 2013) e che è diventata ancora più urgente alla luce dell'aumento esponenziale delle persone che vivono in condizione di estremo disagio. Secondo la più recente indagine dell'Istat sulla povertà in Italia, le famiglie in povertà assoluta sono oltre 1.700.000 e al loro interno vivono 5 milioni di individui. Sono proprio quelli a cui la misura si rivolge, affondando le proprie radici nel Pilastro europeo dei Diritti sociali che all'art. 14 statuisce che «chiunque non disponga di risorse sufficienti ha diritto ad un adeguato reddito minimo che garantisca una vita dignitosa in tutte le fasi della vita e l'accesso a beni e servizi. Per chi può lavorare, il reddito minimo dovrebbe essere combinato con incentivi alla reintegrazione nel mercato del lavoro». Proprio queste sono ratio e finalità del Reddito di Cittadinanza. È stata istituita una misura unica fondamentale di sostegno al reddito e di politica attiva del lavoro, che permette di contrastare la povertà, le disuguaglianze e l'esclusione sociale e - al contempo - favorisce e promuove quelle condizioni che rendono effettivo il diritto al lavoro e alla formazione, in piena attuazione degli artt. 3, 4 e 38 della nostra Costituzione. Con tale misura viene fortemente puntellato il nostro sistema di sicurezza sociale, garantendo, in maniera strutturale, una rete di protezione sociale universale indispensabile per realizzare una politica pro-attiva di gestione del mercato del lavoro. Così facendo si pongono le basi per attuare l'ambizioso programma europeo della flexicurity bilanciando le massicce dosi di flessibilità nel rapporto introdotte dai governi precedenti con un sistema di sicurezza nel mercato idoneo a garantire i cittadini nelle transizioni lavorative.
In questa sede, tengo a ribadire che il Reddito di Cittadinanza non è solo sostegno al reddito ma, anche e soprattutto, una misura proattiva collegata all'inserimento nel contesto sociale e lavorativo del cittadino. Collegato al godimento del beneficio è infatti previsto un sistema di condizionalità che si estrinseca nel "Patto per il Lavoro" e nel "Patto per l'Inclusione sociale". I quali prevedono la dichiarazione di immediata disponibilità al lavoro e/o l'adesione ad un percorso personalizzato di accompagnamento all'inserimento lavorativo e/o all'inclusione sociale contenenti specifici percorsi formativi e di riqualificazione professionale; percorsi di ricerca attiva di lavoro; servizi alla comunità attraverso 8 ore settimanali di lavori di pubblica utilità; altri impegni individuati dai servizi competenti tra i quali rientrano il completamento degli studi per i membri del nucleo familiari assoggettati all'obbligo formativo. Tutto questo processo sarà favorito da un ingente investimento in personale altamente qualificato nei Centri per l'Impiego pubblici e nei servizi per il lavoro comunali. Tale investimento non era più rinviabile considerando la carenza strutturale in termini di risorse umane dei nostri Centri per l'impiego nei quali vengono impiegati appena 8.000 unità contro le 110.000 della Germania e le 54.000 della Francia. Ma anche nell'interoperabilità delle banche dati, tramite la creazione di un sistema informativo unico in grado di collegare tutte le informazioni inerenti il lavoratore e un sistema nazionale per l'incrocio di domanda offerta di lavoro. Senza dimenticare, infine, un potenziamento delle politiche attive del lavoro a cui sono destinate specifiche risorse.
In questo contesto, non va certamente dimenticata la cosiddetta Quota 100, un altro dei punti qualificanti del programma con il quale il MoVimento 5 Stelle si è presentato alle elezioni Politiche del 2018. Una misura grazie alla quale, raggiunti almeno 62 anni d'età e 38 di versamenti contributivi, nel prossimo triennio un milione di persone potranno anticipare la pensione fino a 5 anni rispetto ai requisiti della Legge Fornero. Ma non solo. Infatti sempre nel Decreto su Reddito di Cittadinanza e Quota 100 sono state confermate due misure, Ape Social e Opzione Donna, che - alla luce di determinati requisiti - garantiranno maggiori finestre a lavoratrici e lavoratori per accedere al pensionamento anticipato.

3. Un Paese con più dignità e più diritti è un Paese che guarda a un futuro migliore. Proprio in quest'ottica, in Commissione Lavoro si sono da poco concluse le audizioni sul disegno di legge, a mia prima firma, per l'istituzione del salario minimo orario (cfr. ddl A.S. 658 del 12 luglio 2018). Infatti è possibile rilanciare la produttività e i consumi solo emancipando i cittadini dalla condizione di bisogno e dal ricatto occupazione e salariale. Oggi, come rilevato dal rapporto Eurostat In-work poverty in the EU (16 marzo 2018), in Italia quasi il 12% dei lavoratori dipendenti riceve un salario inferiore ai minimi contrattuali contro una media Ue del 9,6%. Mentre la fissazione per legge di una retribuzione minima oraria è già realtà in 22 Paesi Ue su 28 - anche laddove non è fissato per legge, come nei Paesi scandinavi e in Austria, la contrattazione collettiva prevede minimi salariali ben superiori a quelli italiani - nel nostro Paese nessun governo tra quelli che ci hanno preceduti è mai seriamente intervenuto per risolvere la questione salariale e il dumping contrattuale. Il nostro ddl affronta questi due specifici aspetti, scegliendo la via del riconoscimento dell'autorità salariale, dell'autonomia collettiva "qualificata" dalla maggiore rappresentatività comparata, fissando indici di misurazione della rappresentatività e la definizione degli ambiti di riferimento del CCNL leader. Nello specifico, il disegno di legge prevede che è da considerarsi retribuzione proporzionata e sufficiente, ai sensi dell'art. 36 comma 1 della Costituzione, «il trattamento economico complessivo proporzionato alla quantità e qualità del lavoro prestato, non inferiore a quello previsto dal Contratto collettivo nazionale in vigore per il settore e per la zona nella quale si eseguono le prestazioni di lavoro, stipulato dalle associazioni dei datori e dei prestatori di lavoro più rappresentative sul piano nazionale, il cui ambito di applicazione sia maggiormente connesso e obiettivamente vicino in senso qualitativo anche considerando nel suo complesso l'attività svolta dai lavoratori anche in maniera prevalente», purché non inferiore a 9 euro lordi all'ora.
Il combinato disposto di Reddito di Cittadinanza e salario minimo orario avrà effetti positivi sull'economia, in quanto aumenterà il potere d'acquisto per i lavoratori, rilancerà i consumi e conseguentemente alimenterà la domanda interna con più profitti per le imprese, alle quali saranno destinate ulteriori misure di riduzione del cuneo fiscale. In una parola, la quarta che muove l'azione del Governo: crescita.

4. Infine, per recuperare il senso di comunità, quinta e ultima parola dei nostri valori-guida, è già stato depositato un disegno di legge (cfr. ddl A.S. 813 del 20 settembre 2018) volto a contrastare il ricorso al falso lavoro autonomo. L'obiettivo è quello di assicurare a tutti i lavoratori contrattualmente ed economicamente deboli gli stessi diritti e le stesse garanzie di quelli dipendenti. Il fenomeno delle finte partite IVA e/o dei "nuovi" lavori formalmente autonomi ma economicamente dipendenti (es. i riders), rappresentano una distorsione della società contemporanea che toglie dignità a migliaia di giovani e non solo. Individui costretti a lavorare in condizioni di precarietà estrema, esclusi da ogni tutela contro il licenziamento illegittimo, senza la garanzia di un compenso adeguato alla qualità e quantità delle ore passate al lavoro né protezione in caso di malattia, infortunio e maternità. Una situazione per noi non più tollerabile. Questo ddl va al cuore del problema e consiste in una norma di interpretazione autentica dell'articolo 2.094 del codice civile. Grazie alla quale la fattispecie del contratto di lavoro si amplia e viene a ricomprendere tanto gli attuali rapporti di lavoro subordinato quanto quelli parasubordinati, atipici, economicamente dipendenti, così da attualizzare e rendere più trasparente la contrapposizione tra lavoro autonomo genuino e subordinato.
Dignità, diritti, futuro, crescita e comunità: solo perseguendo congiuntamente questi 5 obiettivi potremo realmente adempiere all'ambizioso impegno contenuto all'art. 3 comma 2 della nostra Costituzione di «rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l'uguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese».

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