L'azione legislativa del Ministero: un bilancio e una prospettiva
di Giuliano Poletti, Ministro del Lavoro e delle Politiche Sociali
Gli interventi legislativi sul lavoro promossi dai Governi Renzi e Gentiloni hanno prodotto cambiamenti strutturali nella regolazione della materia.
Il primo provvedimento, il decreto legge 34/2014 (convertito nella legge 78/2014), ha semplificato il contratto di apprendistato ed il contratto a tempo determinato, stabilendo, per quest’ultimo, l’eliminazione della causale, un limite massimo complessivo di durata del rapporto di lavoro, un numero massimo di proroghe possibili e la percentuale massima di lavoratori a tempo determinato rispetto all’organico aziendale.
Con lo stesso decreto, abbiamo realizzato un intervento importante di semplificazione amministrativa, introducendo la procedura per il rilascio on-line del Durc: un contributo di rilievo per rendere più semplice la vita delle imprese italiane, facendo loro risparmiare tempo e denaro.
Questo primo intervento è stato seguito dal Jobs Act che, vale la pena ricordarlo, è stato attuato in tempi rapidi, se si pensa che la legge delega fu approvata dal Parlamento a dicembre 2014 ed il pacchetto degli otto decreti legislativi di attuazione fu portato a compimento entro settembre 2015.
Con il Jobs Act abbiamo riordinato e semplificato l’impianto complessivo delle relazioni contrattuali con l’introduzione del contratto a tempo indeterminato a tutele crescenti, più moderno e in linea con l’Europa, e l’eliminazione di forme particolarmente precarizzanti come le collaborazioni a progetto e l’associazione in partecipazione, procedendo, al contempo, ad una importante ridefinizione delle caratteristiche del lavoro subordinato e del lavoro autonomo.
Abbiamo semplificato le procedure e gli adempimenti connessi alla costituzione e alla gestione dei rapporti di lavoro; esteso il diritto all’indennità di maternità a tutte le lavoratrici e rafforzato la strumentazione per favorire la conciliazione dei tempi di vita e di lavoro; razionalizzato il sistema dei controlli e delle ispezioni; resa impossibile l’odiosa pratica delle cosiddette ‘dimissioni in bianco’.
Abbiamo modificato gli ammortizzatori sociali, ampliando le coperture ed estendendole anche ai lavoratori delle imprese di minori dimensioni e distinguendo con maggiore precisione le situazioni di disoccupazione involontaria da quelle di effettiva continuità dei rapporti di lavoro. Infine, abbiamo riformato il sistema delle politiche attive, con l’obiettivo di realizzare un modello di sostegno e di accompagnamento dei lavoratori più efficace e coerente con il costante processo di cambiamento legato alla digitalizzazione e all’automazione.
L’impegno riformatore in materia di lavoro si è poi completato con un intervento normativo riguardante il lavoro autonomo non imprenditoriale e il lavoro agile, con la presentazione di uno specifico disegno di legge che è stato definitivamente approvato a maggio di quest’anno. Il provvedimento punta a sostenere e valorizzare il lavoro autonomo non imprenditoriale, attraverso un sistema di tutele specifiche, e a migliorare la qualità della vita dei lavoratori dipendenti, favorendo la conciliazione tra tempi di vita e tempi di lavoro.
Per quanto riguarda, specificamente, il lavoro autonomo, le misure contenute nella legge prevedono più tutele nelle transazioni commerciali e contro i ritardi nei pagamenti, la deducibilità delle spese collegate all’attività professionale ed alla formazione, la possibilità di aggregarsi per accedere a bandi di gara nazionali ed internazionali.
Di particolare significato il riconoscimento dell’indennità di maternità a prescindere dall’effettiva astensione dal lavoro e l’aumento del congedo parentale da tre a sei mesi, fruibili entro i primi tre anni di vita del bambino.
Altra tutela di rilievo è quella introdotta dalla disposizione che rende strutturale la Dis.Coll, l’indennità di disoccupazione per i collaboratori, tra l’altro ampliando la platea dei beneficiari, che ora comprende anche gli assegnisti e i dottorandi di ricerca.
Per quanto riguarda il lavoro agile, le misure approvate definiscono strumenti innovativi per favorire una modalità di organizzazione del lavoro che da una parte risponde all’evoluzione del sistema produttivo e, dall’altra, permette una migliore conciliazione dei tempi di lavoro con i tempi di vita. Tutto questo, delineando un quadro di tutele dei lavoratori che vanno dal diritto ad un trattamento economico non inferiore a quello complessivamente applicato nei confronti dei lavoratori che svolgono le medesime mansioni esclusivamente all’interno dell’azienda, alle garanzie in tema di salute e sicurezza, all’assicurazione obbligatoria per gli infortuni e le malattie professionali.
Quali gli effetti delle riforme attuate? È ancora troppo presto per valutare quelli legati alle nuove disposizioni per il lavoro autonomo e agile.
Per quanto riguarda, invece, il Jobs Act e la riforma del contratto a tempo determinato, sul piano specificamente giuridico, gli elementi di semplificazione e di chiarezza introdotti dalle novità normative hanno prodotto, come effetto più evidente, quello di una rilevante riduzione del contenzioso giudiziale in materia lavoristica.
I dati recentemente diffusi dal Ministero della Giustizia, riferiti al primo semestre 2017, attestano che i procedimenti iscritti a ruolo presso i tribunali ordinari relativi ai rapporti di lavoro a tempo determinato sono solo 490 (erano 2.867 nel 2014).
Analoga tendenza si registra nel contenzioso sui licenziamenti.
Sul piano economico-sociale, possiamo dire che il complesso degli interventi, insieme con la decontribuzione mirata per le assunzioni a tempo indeterminato, ha prodotto un contesto che ha favorito, in parallelo con la ripresa dell’economia, una crescita degli occupati: secondo i dati Istat, da febbraio 2014 ad oggi, sono 986mila in più, 535mila dei quali stabili, mentre i disoccupati sono 380mila in meno e gli inattivi, cioè coloro che non cercano un’occupazione, sono calati di 886mila unità.
Sono risultati che testimoniano, insieme con la riduzione del ricorso agli ammortizzatori sociali, una dinamica positiva del mercato del lavoro, che recentemente ha visto tornare il numero complessivo degli occupati ad un livello sostanzialmente analogo a quello precedente alla crisi, ma che non fanno venire meno l’esigenza di proseguire l’impegno per rafforzare la crescita dell’occupazione, in particolare di quella giovanile.
Va in questa direzione l’incentivo strutturale all’occupazione giovanile stabile, inserito nella legge di bilancio 2018, attualmente all’esame del Parlamento, che prevede una decontribuzione triennale del 50%, fino ad un tetto di 3.000 Euro, per l’assunzione a tempo indeterminato di giovani fino a 29 anni (fino a 35 per il solo 2018).
Si tratta di un incentivo strutturale (si applicherà a tutte le nuove assunzioni stabili di giovani da quando la norma sarà in vigore) e “portabile” (un giovane che dovesse essere assunto da un’impresa, e poi licenziato dopo un anno, si porterebbe in dote i due anni residui di incentivo in caso di assunzione da parte di un’altra impresa).
La misura può essere applicata anche alle trasformazioni in contratto a tempo indeterminato di rapporti di lavoro a termine ed alla stabilizzazione di contratti di apprendistato professionalizzante.
L’incentivo sale al 100% (sempre con tetto a 3.000 Euro) per le assunzioni con contratto a tutele crescenti per i giovani che hanno svolto alternanza o contratti di apprendistato di primo o di terzo livello. Vengono inoltre confermati gli sgravi al 100% (per il 2018) per l’assunzione di Neet iscritti a Garanzia Giovani e quelli di ‘Occupazione Sud’ per i giovani disoccupati e per i disoccupati da almeno sei mesi di tutte le età.
Da queste misure ci aspettiamo un sensibile aumento delle assunzioni di giovani con contratto a tempo indeterminato già nel triennio 2018-2020.
Nel disegno di legge di bilancio sono inoltre state inserite misure di sostegno al reddito in favore di lavoratori coinvolti in processi riorganizzativi complessi o piani di risanamento complessi di crisi delle imprese per le quali lavorano. In concreto, si prevedono fino a 12 mesi in più di CIGS per le imprese in crisi con organico superiore a 100 unità lavorative, di rilevanza economica strategica anche a livello regionale, per i casi in cui il programma di riorganizzazione aziendale preveda investimenti complessi non attuabili nel tetto massimo di durata della CIGS (oggi 24 mesi) o piani di recupero occupazionale, compresi gli interventi di ricollocazione degli esuberi.
L’eventuale allungamento della CIGS varrà per il 2018 ed il 2019 e sarà finanziato con 100 milioni per ciascuno dei due anni (risorse a valere sul fondo occupazione e formazione). Una misura analoga prevede la prosecuzione CIGS e mobilità in deroga anno 2018 nelle aree di crisi complessa, intervento finanziato con fondi non spesi.
Ancora, si prevede la possibilità di utilizzare l’assegno di ricollocazione anche per i lavoratori in cassa integrazione. Si tratta di un’opportunità lasciata alla libera scelta del lavoratore che, in caso di nuova assunzione presso un’altra azienda, beneficerà della detassazione delle eventuali buonuscite previste dall’azienda (fino a 9 mensilità) e di un “bonus” pari alla metà degli assegni di cassa integrazione non incassati.
Per quanto riguarda le prospettive di medio periodo, concludo ricordando l’attivazione, presso il nostro Ministero, con la partecipazione dei Ministeri dello Sviluppo Economico e dell’Istruzione e delle parti sociali, di un tavolo di confronto sulle tematiche del ‘lavoro che cambia’.
Le politiche del lavoro, negli anni futuri, dovranno sempre più fare i conti con i cambiamenti profondi determinati dagli effetti della digitalizzazione, dell’automazione e della globalizzazione.
Dovremo essere capaci di fronteggiare i rischi che questi cambiamenti producono anche nel mondo del lavoro e di comprenderne e sfruttarne, invece, le opportunità.
Come abbiamo sostenuto nelle conclusioni del G7 lavoro svoltosi a fine settembre a Torino occorre un impegno comune per la promozione e l’implementazione di “politiche solide ed efficaci per aumentare la qualità e la quantità del lavoro e per promuovere mercati del lavoro e società inclusive”. In questo senso, particolarmente importante sarà l’investimento sociale per acquisire, adattare e sviluppare le competenze richieste per i lavori del futuro lungo tutto l’arco delle loro vite lavorative.