Testo integrale con note e bibliografia
1. La pandemia e gli interventi emergenziali per lavoratori autonomi
Tra le molteplici situazioni di bisogno rese trasparenti dall’emergenza epidemiologica da Covid-19, soprattutto a causa del blocco autoritativo di molte attività economiche e della sospensione della vita sociale, quella riguardante i lavoratori autonomi è forse stata una delle più rilevate e rilevanti.
Nell’immediato la risposta della legislazione emergenziale è stata una disorganica serie di erogazioni economiche di carattere temporaneo ed eccezionale, i cui tratti caratterizzanti sono, in sintesi: a) l’accesso generalizzato a prescindere da una situazione di bisogno effettivo, solo in tempi più recenti richiedendosi una riduzione del reddito, del fatturato o dei corrispettivi, in comparazione con l’anno precedente (2020 su 2019); b) il finanziamento attraverso risorse statali; c) la conseguente qualificazione in senso assistenziale.
Peraltro, questa qualificazione non va intesa in senso tecnico: infatti, il ricorso alla fiscalità generale non è più esclusivo dell’area coperta dall’art. 38, comma 1, Cost. ed era comunque obbligato nella situazione data.
Si comprende, dunque, perché, in una prospettiva che guardi oltre la fase emergenziale, le proposte elaborate e la prima misura introdotta per ammortizzare le situazioni di sospensione o riduzione dell’attività di lavoro autonomo siano subito tornate al finanziamento contributivo.
Le proposte cui si allude sono un disegno di legge approntato dal CNEL (da ora d.d.l. CNEL) , il documento stilato dalla Commissione ministeriale istituita durante il secondo esecutivo Conte (da ora Commissione Barbieri) , mentre la prima misura di tutela è l’indennità straordinaria di continuità reddituale e operativa (ISCRO), introdotta in via sperimentale per il triennio 2021-2023 dalla legge di bilancio 2021 (art. 1, commi 386-401, l. n. 178/2020).
2. L’ISCRO e le altre misure proposte: una sintesi
Vanno richiamati in sintesi i contenuti della misura e delle due proposte.
L’ISCRO è rivolta ai lavoratori autonomi iscritti alla Gestione separata che esercitano per professione abituale attività di lavoro autonomo produttiva di redditi ai sensi dell’art. 53 T.U.I.R.: non vi rientrano, perciò, né i lavoratori occasionali né i collaboratori coordinati e continuativi.
Molteplici sono i requisiti richiesti per conseguire la prestazione: a) non essere titolari di trattamento pensionistico diretto e non essere assicurati presso altre forme previdenziali obbligatorie, per tutta la durata della prestazione; b) non essere beneficiari di Reddito di cittadinanza, sempre durante il periodo di erogazione dell’indennità; c) avere prodotto, nell’anno precedente alla presentazione della domanda, un reddito di lavoro autonomo inferiore al cinquanta per cento della media dei redditi da lavoro autonomo conseguiti nei tre anni anteriori a quello precedente la presentazione della domanda; d) avere dichiarato, nell’anno precedente alla presentazione della domanda, un reddito non superiore a 8.145 euro, annualmente rivalutato; e) essere in regola con la contribuzione previdenziale obbligatoria; f) essere titolari di partita IVA attiva da almeno quattro anni, alla data di presentazione della domanda (comma 388).
L’indennità è erogata per sei mensilità, può essere richiesta una sola volta nel triennio (commi 390 e 394) e il suo godimento dovrebbe essere condizionato alla partecipazione a percorsi di aggiornamento professionale, da definire con un decreto ministeriale, previa intesa con la Conferenza Stato-Regioni (comma 400).
L’importo della prestazione è pari al venticinque per cento, su base semestrale, dell’ultimo reddito da lavoro autonomo certificato dall'Agenzia delle Entrate e già trasmesso da quest’ultima all’INPS alla data di presentazione della domanda (comma 390) e, comunque, non può essere inferiore a 250 euro e superiore a 800 (comma 392).
A finanziamento della misura è disposto, per i potenziali beneficiari, un incremento dell’aliquota di contribuzione alla Gestione separata (comma 398).
In realtà, a prospettare l’ISCRO è stato il d.d.l. CNEL, dove la misura era definitiva, rinnovabile per un massimo di tre volte, purché a distanza di cinque anni dalla conclusione della precedente, accessibile a chi avesse una anzianità almeno triennale di iscrizione alla Gestione separata, di importo massimo complessivo di 6516 euro per i sei mesi d’erogazione.
Dal canto suo, la Commissione Barbieri ha ipotizzato di estendere la disciplina propria del lavoro subordinato ai lavoratori autonomi economicamente dipendenti, individuati in ragione dell’aver percepito da un solo committente più del cinquanta per cento del proprio fatturato. Invece, per i lavoratori autonomi non occasionali né imprenditori e con un reddito complessivo non superiore a 35.000 euro – accompagnato da un tetto ISEE – la tutela dovrebbe intervenire in presenza di una riduzione di almeno un terzo del fatturato rispetto alla media dei tre anni precedenti. Il trattamento sarebbe erogato per dodici mesi e commisurato alla riduzione del fatturato, con garanzia di un minimo corrispondente al reddito di cittadinanza.
La Commissione si è anche interrogata su: a) l’estensione dell’intervento ai liberi professionisti iscritti alla Casse privatizzate, prospettandosi comunque la garanzia di un reddito pari a quello di cittadinanza per i primi tre anni di iscrizione; b) la riduzione a 3000 euro del reddito esente da imposizione fiscale e contributiva, al fine di ricondurre «nel sistema il segmento più povero del lavoro», ossia i lavoratori autonomi occasionali e gli incaricati di vendite a domicilio ex art. 44, comma 2, d.l. n. 269/2003, convertito in l. n. 326/2003.
Quanto al primo aspetto, peraltro, va attentamente valutata la sostenibilità economica e la ragionevolezza complessiva di una simile ipotesi rispetto al peculiare sistema di esclusivo autofinanziamento delle Casse privatizzate.
Non convince, invece, la seconda proposta, perché nella Gestione separata l’accredito di un intero anno di contribuzione è legato al versamento di una somma pari al minimale contributivo vigente nelle Gestioni speciali degli artigiani, commercianti e coltivatori diretti, nel 2021, più di sette volte superiore a 3000 euro (art. 1, comma 3, l. n. 233/1990). Pertanto, ove i redditi percepiti siano particolarmente bassi la contribuzione risulterebbe priva di effettiva utilità futura, al contempo decurtando le già ridotte entrate del lavoratore.
3. Apparenza e sostanza degli ammortizzatori sociali per il lavoro autonomo
È interessante leggere questi dati filtrandoli alla luce della disciplina della Cassa integrazione guadagni. Anticipando le conclusioni, risulta chiaro che solo formale è la similitudine strutturale tra l’ISCRO (e le altre proposte) e le integrazioni salariali, che in realtà differiscono profondamente quanto alle rationes e agli assetti complessivi.
Innanzitutto, in tutte le soluzioni prospettate o attuate è carente la tipica polifunzionalità delle integrazioni salariali, perché non esistono altri interessi meritevoli di tutela oltre quello del lavoratore autonomo, al contempo debitore dell’opera e organizzatore dell’attività esercitata. Manca altresì la previsione di qualsiasi “causa integrabile” sia di impossibilità oggettiva sia di mera difficoltà a proseguire l’attività.
In realtà, il solo elemento a cui è agganciabile una valutazione oggettiva del bisogno è il reddito del lavoratore: difatti sia nell’ISCRO - pure nella versione del d.d.l. CNEL - sia nella proposta della Commissione Barbieri a identificare l’evento tutelato e far le veci delle causali è la sua riduzione percentuale rispetto alla media percepita in un predefinito arco temporale.
In questa prospettiva, tuttavia, va considerato che quello professionale può essere uno tra i cespiti reddituali del lavoratore autonomo, nel loro insieme tali da escludere l’esistenza di una condizione di bisogno.
In realtà, stando alla lettera dell’art. 38 Cost., se il possesso dei «mezzi necessari per vivere» è preclusivo dell’intervento assistenziale, non lo è di quello previdenziale. Tuttavia, la generale rilevanza di una condizione di bisogno è argomentabile in base all’art. 3, co. 2, Cost. Nel caso dell’integrazione salariale, in realtà, essa è presunta in ragione della perdita totale o parziale della retribuzione, perciò c’è da chiedersi se la stessa conclusione possa o debba valere per il lavoro autonomo.
La questione è delicata e, direi, “nuova”, nel senso che sono le misure in esame ad averla messa in luce.
Nell’ISCRO, anche nella versione del d.d.l. CNEL (art. 3, co. 2), tuttavia, non è chiaro se quello complessivo o solo professionale il reddito dichiarato nell’anno precedente la domanda e, comunque inferiore al 50% della media dei redditi - in tal caso da lavoro autonomo (non però nel d.d.l., che nulla dice al riguardo) -, conseguiti nei tre anni anteriori a quello precedente la presentazione della domanda. Si tratta, comunque, di un valore particolarmente basso, non superiore a 8145 euro, soglia esentasse e irrilevante per lo stato di disoccupazione.
La risposta negativa, in realtà, discende dall’esigenza che la comparazione, perché possa ritenersi ragionevole, avvenga tra cespiti omogenei, e difatti l’INPS ha precisato che si tratta di reddito da lavoro autonomo (circolare 30 giugno 2021, n. 94).
Nella proposta della Commissione Barbieri, invece, è indicato un massimale di reddito complessivo cui dovrebbe accompagnarsi un tetto ISEE.
Non va inoltre dimenticato che più d’una sono le forme di tassazione del reddito da lavoro autonomo, tra loro alternative e rimesse alla scelta del soggetto d’imposta, secondo valutazioni evidentemente di opportunità personale: il pensiero corre subito al regime forfettario con aliquota del 15% per i redditi entro 65.000 euro, ritenuto di maggior favore per i lavoratori, anche se il tema è, in realtà, più complesso.
Occorrerà dunque valutare attentamente come l’operatività della misura sia influenzata dal regime fiscale applicato al reddito da lavoro autonomo.
Qualche ulteriore indicazione rispetto alla situazione di bisogno rilevante si ricava dagli altri requisiti richiesti per l’ISCRO. Invero, l’esclusione dal suo godimento dei titolari di trattamento pensionistico diretto, degli «assicurati presso altre forme previdenziali obbligatorie» e dei beneficiari del reddito di cittadinanza sembrano dare rilievo ad una condizione di bisogno effettivo, connotando la misura di una funzione di chiusura o d’ultima istanza, anche in considerazione della sostenibilità finanziaria.
Se si prescinde da quest’ultimo tema, peraltro, la razionalità delle scelte legislative non è scontata: manca un coordinamento complessivo con l’accennato problema dei redditi ulteriori, mentre gli ulteriori requisiti richiesti sono eterogenei e a volte d’incerta formulazione. Tralasciando gli altri due, l’assenza di assicurazione in altra forma di previdenza obbligatoria, intesa in senso letterale, rischia di pregiudicare i soggetti in possesso, al momento della domanda e durante la percezione della prestazione, di una posizione previdenziale inattiva, non corrispondente, cioè, a un’attività lavorativa in essere .
Invece, la richiesta di regolarità contributiva (art. 1, comma 388, lett. e), l. n. 178/2020) ribadisce, senza nulla aggiungere, l’indubbia inapplicabilità del principio di automaticità delle prestazioni ai lavoratori protetti, tutti debitori diretti dell’ente previdenziale, per l’intero ammontare della contribuzione dovuta.
4. Le ragioni della diversità e la necessità di un’attenta verifica
Il sintetico esame comparativo ha evidenziato, come accennato, differenze di logiche e di assetti tra ammortizzatori sociali per il lavoro subordinato e per quello autonomo.
La ragione di questa diversità risiede nell’assenza nel contratto d’opera della contrapposizione di interessi tra lavoratore e datore di lavoro, nel lavoro subordinato legata all’esistenza di un’organizzazione cui il lavoratore resta estraneo. È questa struttura a fondare la polifunzionalità della CIG.
Nel lavoro autonomo, invece, l’eventuale attività organizzativa fa comunque capo al prestatore d’opera anche se non assume forma di (piccola) impresa. Rileva, inoltre, che a qualificare i rapporti tra prestatore e committente sia l’assunzione in capo al primo tanto del rischio dell’utilità dell’opera quanto, nei limiti fissati dall’art. 2228 c.c., dell’impossibilità sopravvenuta.
Questa struttura fa del “rischio” un connotato specifico del lavoro autonomo, che è possibile apprezzare nella prospettiva della partita IVA, la cui titolarità attiva da almeno quattro anni attesta nell’ISCRO la continuità lavorativa.
In generale, infatti, secondo la giurisprudenza, «dall’attribuzione della partita Iva ad un soggetto…deriva, per ragioni di ordine logico-giuridico, la presunzione relativa della esistenza di stabile organizzazione» .
Nel caso della Gestione separata, in particolare, la partita IVA attesta l’esistenza del presupposto fattuale del rapporto contributivo, ossia lo svolgimento abituale, ancorché non esclusivo, di attività di lavoro autonomo, dove «l’abitualità di cui si discute deve essere apprezzata nella sua dimensione di scelta ex ante del libero professionista, coerentemente con la disciplina che è propria delle gestioni dei lavoratori autonomi, e non invece come conseguenza ex post desumibile dall’ammontare di reddito prodotto» .
Il carattere “abituale” non è perciò contraddetto dal verificarsi di fasi di inattività o di riduzione dell’attività per mancanza o calo delle commesse, che è, anzi, dimensione fisiologica del lavoro autonomo.
Non è un elemento irrilevante nel momento che si pone mano alla sperimentazione di un ammortizzatore sociale per questa categoria di lavoratori. Ad esempio, esso pone la questione di come conciliare l’accesso al trattamento con il possibile rifiuto di una commessa d’opera da parte del titolare della partita IVA, laddove il compenso percepito determinasse la fuoriuscita dall’area ISCRO. Un comportamento, questo, per sua natura tanto difficile da accertare quanto da ritenere, per le ragioni dette, legittimo. Non è probabilmente un caso che le misure di condizionalità, al di là dei legittimi dubbi su tale scelta, soprattutto sulla capacità degli operatori pubblici di realizzarli, siano formulate negli esclusivi termini di «percorsi di aggiornamento professionale».
È opportuno, perciò, sfruttare questo triennio per valutare attentamente come conciliare l’esigenza di tutela con la specificità strutturale del lavoro autonomo.