TESTO INTEGRALE CON NOTE E BIBLIOGRAFIA
1. Gli arresti della S.C. che qui si commentano, si segnalano per la sorprendente soluzione data a una questione che fino ad oggi era stata solo sfiorata nel dibattito sull’efficacia nel tempo del contratto collettivo, assumendosene come pacifica la soluzione opposta rispetto a quella fatta adesso propria dai giudici di legittimità.
La questione attiene al regime giuridico che, sotto il profilo dell’efficacia nel tempo, assume il contratto collettivo (di diritto comune ) cui sia stato apposto un termine di durata, quando il termine venga - automaticamente o previa tempestiva disdetta - a scadenza, e tuttavia il contratto stesso sia munito anche di una clausola che ne disponga la perdurante efficacia fino alla stipulazione di un nuovo contratto collettivo (cd. “ultrattività” ).
Le sentenze toccano, in verità, anche altri punti importanti in materia di efficacia temporale e soggettiva del contratto collettivo, e pour cause: la vicenda riguardava, infatti, la pretesa di alcune case di cura private e di residenza sanitaria assistenziale, affiliate all’Associazione Italiana dell’Ospedalità Privata (AIOP), di non dare più applicazione al ccnl stipulato dalla stessa AIOP con le federazioni di categoria delle maggiori confederazioni sindacali - che per comodità chiameremo “ccnl maggioritario” - , tra cui la UIL (ricorrente assieme ad alcuni lavoratori ad essa iscritti), e di applicare invece un diverso ccnl , stipulato dalla stessa AIOP con diversi sindacati , quando il primo contratto, venuto a scadenza, si trovava in regime di ultrattività convenzionale.
Dunque si poneva innanzi tutto una questione ormai classica del diritto della contrattazione collettiva, quale quella dell’efficacia del contratto nei confronti di lavoratori dissenzienti e non iscritti a un sindacato firmatario; nonché quella, di più recente ingresso nell’agone gius-sindacale, della successione cronologica tra contratti collettivi stipulati con parti sindacali non coincidenti (cdd. “accordi separati”).
La S.C., tuttavia, non affronta tali questioni, avendole considerate assorbite in quella che costituisce la vera novità della sentenza in esame: l’aver ritenuto, cioè, che il contratto collettivo scaduto e in regime di ultrattività, sia a sua volta un contratto a tempo determinato, e che dunque non possa a sua volta essere oggetto di recesso (come sarebbe stato invece, pacificamente, possibile se si fosse trattato di contratto collettivo sine die ).
Eppure, le questioni non affrontate presentano, almeno sotto il profilo teorico, connessioni così profonde col tema affrontato dalla Corte, da renderne necessaria almeno la delibazione, al fine di inquadrare correttamente il tema dell’efficacia ultrattiva del contratto collettivo (separato).
Che poi le connessioni fossero tali da mettere in dubbio anche la scelta processuale di considerare le altre questioni come assorbite, è altro discorso, che, nonostante la ellitticità della ricostruzione dei “fatti di causa” (e nonostante, come vedremo, il ccnl “maggioritario” non fosse stato affatto disdetto), va risolto negativamente, poiché, come pure di seguito argomenteremo, nel caso di specie ricorreva effettivamente una ipotesi di ultrattività convenzionale, e non una vicenda sostitutoria del contratto “maggioritario” precedente ad opera di quello “separato” successivo.
2. Quel che dai “fatti di causa” appare certo è solo che fino al 30.6.2012 la società avesse applicato il ccnl “maggioritario”, stipulato nel 2004 ; che tale contratto si trovasse in regime di ultrattività a far data, per la parte economica, dal 31.12.2003, e per la parte normativa dal 31.1.2005; e che dal 1.7.2012 la società aveva preteso di applicare il ccnl “separato”, stipulato (da AIOP: la propria associazione di rappresentanza) il 22.3.2012.
Non è invece chiaro chi e quando avesse disdetto il ccnl “maggioritario”: diamo solo per assodato, in questa sede, che la “ipotetica disdetta del ccnl 23.11.2004” cui si allude sub 2.c), sia stata intimata (tempestivamente) dai soggetti collettivi astrattamente legittimati, e non dallo stesso datore di lavoro .
Ma, come si accennava, non è nemmeno certo, ed anzi è improbabile, che disdetta in senso tecnico sia stata data (da parte di AIOP): ci induce a escluderlo, proprio il testo dell’art. 4 dell’asseritamente disdetto ccnl (riportato nelle sentenze), nel quale, indicate le scadenze, si legge solo che “in ogni caso, il presente contratto conserva la sua validità fino alla sottoscrizione del nuovo CCNL”.
Dunque, non era previsto alcun onere di (tempestiva) disdetta: l’effetto estintivo non era condizionato alla comunicazione di una disdetta, ma si era prodotto automaticamente alla scadenza dei predetti termini ; dopodiché il ccnl “maggioritario” era entrato in regime di ultrattività convenzionale.
Stando così le cose, il dilemma da sciogliere era se il contratto “separato” fosse idoneo a sostituire quello “maggioritario”, vincolando anche i lavoratori iscritti al sindacato dissenziente; o se invece la mera successione cronologica dei due contratti si fosse risolta nella efficacia soggettivamente limitata ai destinatari iure communi dei rispettivi atti negoziali.
Ciò, a meno di non ipotizzare che la stessa stipula dell’accordo “separato” contenesse in sé la “disdetta” del (rectius, “recesso dal) contratto collettivo “maggioritario”: così accedendosi alla tesi, sostenuta in dottrina, secondo cui, come il più contiene il meno, così l’accordo firmato con altri soggetti sindacali e di contenuto incompatibile con il contratto precedente, conterrebbe in sé la volontà di recedere da quest’ultimo .
Se così fosse; se cioè ciò che in sentenza viene chiamato ora “disdetta” (sub 2.c), ora “recesso” (sub 14.), altro non fosse che la stessa stipulazione del ccnl “separato”, allora la questione da risolvere si sarebbe esaurita nell’acclarare se sia legittimo recedere da un contratto collettivo in regime di ultrattività; ovvero, da punto di vista diverso ma funzionalmente equivalente, se la stipula di un contratto “separato” possa identificarsi con la “sottoscrizione del nuovo ccnl” richiesta dalla clausola di ultrattività.
E’ quest’ultima la questione focalizzata dalle sentenze in commento, riassumibile nel quesito se a detto regime di ultrattività inerisca lo status di contratto sine die, liberamente recedibile con preavviso , o se invece esso resti un contratto collettivo ad diem, laddove il dies ad quem sarebbe rappresentato dal giorno della “sottoscrizione del nuovo ccnl”.
Ma prima di affrontarla a nostra volta, conviene delibare quella dell’idoneità del contratto “separato” a sostituire quello “maggioritario”.
3. A proposito dell’efficacia soggettiva dei contratti collettivi che si succedano cronologicamente nello stesso ambito oggettivo di pretesa applicazione, la vicenda FIAT di 10 anni fa ci ha insegnato (ma c’era da dubitarne ?) che la regola “di diritto comune” secondo cui il contratto collettivo disciplina solo i rapporti di lavoro che presentino collegamenti negoziali con esso, opera inesorabilmente anche nell’ipotesi in cui siano i lavoratori (e le loro organizzazioni sindacali), e non il datore di lavoro, a “rifiutare” il contratto: proprio quell’esperienza giudiziaria ha ribadito, infatti, l’inapplicabilità iure communi del contratto collettivo a lavoratori dissenzienti e non iscritti al sindacato stipulante, o iscritti a un sindacato esplicitamente dissenziente .
La conclusione potrebbe mutare, ma pur sempre in virtù della necessaria applicazione delle regole civilistiche, in virtù di una clausola di rinvio al contratto collettivo, quando una siffatta clausola sia contenuta nel contratto di lavoro (espressamente, nella lettera di assunzione; o implicitamente, tramite applicazione di fatto del contratto collettivo).
In particolare, la valenza espansiva dell’efficacia soggettiva del contratto collettivo sarebbe massima e davvero erga omnes, laddove si ammettesse la legittimità, anche nel nostro ordinamento, della clausola di rinvio dinamico cd. “forte”, facente cioè rinvio, non esclusivamente ai contratti collettivi stipulati da determinati soggetti sindacali, bensì a quelli che il datore di lavoro fosse tempo per tempo tenuto ad applicare in virtù della sua affiliazione sindacale o (in caso di contratto aziendale, semplicemente) per averlo sottoscritto .
Si contrappongono, sul punto, due opinioni: l’una favorevole alla legittimità di dette clausole, “poiché il rinvio dinamico opera in connessione con la conclusione” del “contratto e non già in relazione all’identità delle parti che lo hanno firmato” ; l’altra contraria, in quanto esse sarebbero contrastanti col principio di determinatezza o determinabilità dell’oggetto del contratto .
Quale che sia la soluzione al problema, preme qui evidenziare una prima interconnessione col tema della disdetta del contratto collettivo a tempo determinato. La stessa dottrina favorevole, in linea teorica, alla legittimità della clausola dinamica forte, ha ritenuto di dover distinguere tra il caso in cui il patto modificativo (separato) sia stipulato in presenza di una disdetta o recesso dal precedente contratto collettivo, e l’ipotesi in cui sia ancora in vigore il contratto precedente, in quanto non disdetto: nel primo caso (tabula rasa), il patto modificativo separato sarebbe efficace per tutti i firmatari della clausola di rinvio dinamico; mentre nel secondo caso esso sarebbe efficace solo per gli iscritti alle OO.SS. stipulanti .
La tesi non ci sembra condivisibile, giacché non si comprende perché mai il rinvio dinamico forte non dovrebbe valere in entrambi i casi.
Ma ci interessa in questa sede valutarne l’impatto su situazioni caratterizzate (come quella in esame) dalla circostanza che l’applicazione del ccnl separato sia avvenuta durante il periodo in cui il precedente e “diverso” ccnl era scaduto e convenzionalmente ultrattivo: ditalché, anche laddove, nel caso nostro, le lettere di assunzione dei lavoratori ricorrenti fossero state portatrici di una clausola di rinvio dinamico forte, il ccnl “separato” sarebbe stato, comunque, inapplicabile ad essi.
Viceversa, ove si ritenga - come noi riteniamo - che la clausola di rinvio dinamico forte, oltre che essere legittima, prescinda dalla cessata efficacia del precedente contratto, ne conseguirebbe l’equiparazione della successione temporale tra contratti collettivi a una vera e successione giuridica: in altre parole, il contratto separato non si aggiungerebbe (con diversa efficacia soggettiva), bensì si sostituirebbe al contratto precedentemente applicato.
Vero è che una siffatta quaestio iuris la S.C. non avrebbe potuto delibare, poiché i fatti di causa non contemplavano l’esistenza di clausole di rinvio; tantomeno di tipo “dinamico forte”.
Ma non si può fare a meno di far cenno all’impatto semplificatore che una simile esegesi produrrebbe sulla eterna, e oggi nuovamente “calda”, questione dell’efficacia erga omnes del contratto collettivo, anche in funzione di antidoto ai cdd. “contratti separati”.
4. Venuti così al cuore (e al novum) delle due decisioni in commento, non possiamo non osservare, in limine, che esse si pongono in contrasto con la communis opinio secondo cui “l’ultrattività convenzionale comporta la trasformazione in contratto a tempo indeterminato del contratto collettivo inizialmente sottoposto a un termine finale” .
Esse sono criticabili sotto plurimi profili.
Sotto il profilo strettamente esegetico, agli arresti in commento può muoversi il rilievo di aver equiparato al termine finale un evento incerto sia nell’an che nel quando, come “la sottoscrizione del nuovo ccnl”.
A dire il vero, gli ermellini danno in certi passi l’impressione di volersi addirittura discostare dalla dogmatica civilistica, considerando sufficiente alla sussistenza di termine finale l’incertezza del quando: come laddove, distorcendo il significato di un passo di Cass. s.u. n. 11325/2005, affermano che “La previsione della perdurante vigenza fino alla nuova stipulazione ha il significato della previsione, mediante la clausola di ultrattività, di un termine di durata, benché indeterminato nel quando", senza avvedersi che il supremo consesso intendeva semplicemente, e letteralmente, affermare che dalla clausola di ultrattività prende corpo un contratto collettivo a tempo – appunto – “indeterminato” e non determinato.
Sarebbe atto di presunzione menzionare, di fronte alla Cassazione, la millenaria tradizione del diritto giustinianeo dalla quale ci perviene l’insegnamento per cui nel dies ad quem può essere incertus il quando, ma non l’an: in ciò consistendo, per l’appunto, la differenza con la condizione.
Sicché un evento incertus an et quando quale la stipula del nuovo ccnl giammai potrebbe considerarsi termine finale, ma semmai condizione risolutiva del contratto ultrattivo .
Piuttosto, a noi sembra che l’argomentare della S.C., nonostante l’esplicita adesione all’arresto con cui le sezioni unite hanno sancito l’incompatibilità dell’ultrattività legale con il principio di libertà sindacale, e l’ammissibilità di un’ultrattività solo convenzionale , segnali una tendenza all’ ipostatizzazione di un malinteso principio di continuità della disciplina collettiva, che, com’è noto, era tipico dell’ordinamento corporativo , ma non può ascriversi a un sistema basato sulla libertà sindacale.
E’ probabilmente un siffatto approccio analitico che conduce la Corte, se non a postulare analoga necessaria continuità della odierna regolazione collettiva dei rapporti di lavoro, a considerare come certa, anziché incerta - come di fatto è - , “la sottoscrizione del nuovo contratto collettivo”.
Non si avvede la Corte che, così facendo, finisce per contraddire lo stesso assunto, ormai consolidato, della libertà di recesso dal contratto collettivo a tempo indeterminato : ché non si vede perché l’autonomia negoziale debba potersi liberare in ogni momento da un vincolo privo di scadenza temporale, mentre debba restare prigioniera di un vincolo che promette di scadere nell’aleatorio e imprevedibile momento in cui i liberi contraenti, addiverranno, se lo vorranno, ad una pattuizione sostitutiva di quella precedente, scaduta e ultrattiva. La verità è che il vincolo durevole, il cui venir meno sia condizionato al raggiungimento di un accordo - ossia al volere altrui - , non è in nulla diverso dal vincolo la cui durata non ha una scadenza: anche il primo non ha una scadenza.
Ciò appare tanto più chiaro, ove si consideri che la cessazione del regime di ultrattività è legata alla stipula di un nuovo contratto tra le medesime parti stipulanti: cosa che rende ancora più incerto e aleatorio il prodursi dell’effetto estintivo della scadenza del termine (con o senza onere di disdetta) .
E’ dunque molto auspicabile che l’orientamento espresso dalle due sentenze in commento sia rivisto; non potendosi anzi escludere un intervento delle sezioni unite, giacché detto orientamento si pone solo in apparenza all’interno, ma in realtà al di fuori del solco segnato dalla precedente giurisprudenza di legittimità in materia di libera recedibilità ad nutum dai contratti collettivi sine die, e di ultrattività convenzionale del contratto collettivo a termine.