Testo integrale con note e bibliografia
1. Premessa
Quale sia il destino del prodotto dell’autonomia negoziale, in generale, ed ancor più del livello integrativo è un interrogativo ancora attuale, in ragione del percorso, anche tortuoso, che il legislatore ha riservato allo stesso dagli albori della riforma del pubblico impiego ad oggi.
La valorizzazione del livello negoziale più prossimo alle sedi lavorative dei pubblici dipendenti, quale risorsa organizzativa e gestionale, propria delle prime fasi di riforma del lavoro degli anni ‘90 è andata progressivamente riducendosi Tra la fine del novecento e i primi anni del nuovo millennio ha beneficiato di ampi margini di autonomia, mostrando una vivacità (anche rispetto a quanto poteva osservarsi nel c.d. lavoro privato) che ha aperto la via ad una inversione di tendenza sì da essere considerata la “maggiore indiziata di una accelerazione retributiva” priva di corrispondenze nel privato e produttiva di modesti risultati sul fronte della produttività ed efficienza delle amministrazioni.
2. Le politiche di incentivazione e la spesa pubblica: la contrattazione “sotto tutela”
La contrattazione collettiva integrativa, considerata negli ultimi anni come una delle principali fonti di spesa, ed ancor più di spesa improduttiva , è stata oggetto di particolari attenzioni che ne hanno progressivamente limitato il raggio di azione . La tendenza a restringere lo “spazio” ad essa riservata si è concentrata, in particolare, sulla quantificazione dei fondi ad essa destinata ed ancor più sui vincoli all’uso degli stessi. In tal senso ha operato non solo il legislatore ma anche lo stesso livello nazionale . Così in primis sono stati ridotti i fondi per la contrattazione integrativa, “sterilizzando”, temporaneamente, alcune fonti di alimentazione; sono state, in seguito, fissate le quantità “congelandole” alla spesa storica sostenuta in un dato anno “base”, impedendo un incremento nel tempo o addirittura prevedendo una riduzione progressiva, in proporzione alle cessazioni dei rapporti di lavoro in essere accompagnate dal blocco del turn over; nonché individuate «nominativamente le (poche) voci retributive che possono incrementare extra tetto gli stessi fondi» . Così operando il legislatore ha assicurato nell’immediato un risultato certo ed efficace in termini di contenimento della spesa, non prendendo in considerazione, invece, la possibilità di introdurre o strumenti di controllo sull’utilizzo degli stessi finalizzato all’efficienza, premialità e produttività, o meccanismi di responsabilizzazione del secondo livello di contrattazione, o di ricondurre le dinamiche dell’integrativo «entro schemi generali di compatibilità e sostenibilità»
I menzionati, e ricorrenti, limiti hanno in parte inficiato uno degli obiettivi sottesi alla “riforma” del 2009 , quale il legame tra “efficientamento e qualità della pubblica amministrazione” e “promozione e sviluppo del personale” da realizzare attraverso la misurazione e valutazione delle prestazioni di lavoro . Bloccati i fondi di amministrazione per il salario accessorio, si è resa di fatto inattiva la “parte vitale” della contrattazione integrativa, fino a giungere in alcuni casi «alle prime inedite prove tecniche di «contrattazione in perdita» per il pubblico impiego» .
3. Nuovi spazi per l’autonomia negoziale: la riforma Madia
La necessità di adeguare il trattamento economico dei dipendenti per diverso tempo “sacrificato” sull’altare del nobile obiettivo di fronteggiare la crisi economica del nuovo millennio 2010-2017 , fu quanto mai sentita e affrontata cercando di coniugare, ancora una volta , l’obiettivo di una gestione virtuosa del personale con l’efficientamento della pubblica amministrazione. Al pari di quanto accade nel settore privato, pur considerando le relative peculiarità, anche nell’impiego pubblico emerge un particolare interesse nei confronti del prestatore di lavoro, sulle leve datoriali incentivanti utili a motivare il personale, a garantire un rendimento migliore del singolo e del gruppo nel quale è inserito.
L’intento iniziale di quella che sarà considerata la quarta fase della riforma del p. impiego, seguiva il fil rouge già tracciato nelle disposizioni allora vigenti per legare i trattamenti accessori alla performance, curvandolo nella direzione della semplificazione e razionalizzazione. Nel passaggio dalla legge delega del 2015 ai decreti attuativi del 2017 si assistette, però, ad un cambio di passo. Complice l’accordo intervenuto nel 2016 tra Governo e parti sociali, venne lasciato alle spalle l’assetto delineatosi nel decennio precedente privilegiando, per quanto conviene in questa sede, il superamento dell’impostazione che aveva caratterizzato le politiche di gestione delle risorse umane .
Le relazioni sindacali riconquistavano spazio in tutti gli ambiti e settori entro i limiti delineati dai contratti collettivi nazionali, allo scopo di incrementare i livelli di produttività. La contrattazione collettiva si riappropriava, non solo, della “potestà piena di delegificazione” potendo disapplicare le norme di legge in materia di lavoro nei limiti e secondo le condizioni fissate dal legislatore, quanto della funzione di autorità salariale, col poter definire la dotazione e la distribuzione delle risorse per il trattamento economico accessorio.
Al livello nazionale è affidato il compito di distribuire le quote delle risorse assegnate fra i diversi istituti economici dovendo tenere conto delle risultanze del sistema di valutazione ai fini della differenziazione dei premi di risultato, nonché considerare l’introduzione di clausole che «impediscano l’aumento delle risorse destinate al trattamento accessorio, qualora si registrino tassi di assenza con «significativi scostamenti rispetto a dati medi annuali o di settore» .
Ferma restando la finalizzazione, riconfermata anche con l’intervento del 2017, di assicurare adeguati livelli di efficienza e produttività dei servizi pubblici, incentivando l’impegno e la qualità della performance, si rinvia all’integrativo il compito di definire i criteri distributivi delle risorse disponibili tra le diverse modalità di utilizzo, quelli per l’attribuzione dei premi correlati alla performance, alle progressioni economiche. Non solo. Vengono meno anche i vincoli di predeterminazione del legislatore. Il modello di destinazione delle risorse decentrate, che dal 2009 doveva essere collegato in via prevalente alla performance individuale, cede infatti il passo all’autonomia negoziale chiamata a stabilire a chi destinare la quota prevalente delle risorse finalizzate ai trattamenti accessori (ex art. 45 c.3 d.lgs. 165/2001) tra profilo individuale o organizzativo, tenendo in debita considerazione i contesti organizzativi, le disponibilità di ente e le valutazioni di ordine sindacale. Di fatto, nella riconosciuta libertà di stabilire se debba «prevalere l’aspetto della performance individuale» o quella organizzativa, nell’utilizzo del fondo di amministrazione, si offre un assist a favore di quest’ultima , privilegiata dagli attori sindacali . La tornata contrattuale alle nostre spalle, tuttavia, non sembra essersi esposta in tal senso, ricorrendo a formule di equilibrio fra dimensione individuale e collettiva. Nella ripartizione dei fondi, derogando in parte al comma 3 bis dell’art. 40 tupi, ha infatti destinato la quota prevalente del “fondo risorse decentrate” alla remunerazione di voci del trattamento economico accessorio che vanno ben oltre l’istituto della performance , per riservare al rendimento individuale una incidenza di almeno un terzo sull’utilizzo delle risorse destinate all’istituto stesso e alle indennità correlate alle condizioni di lavoro, nonché valorizzarlo prevedendo la “differenziazione del premio individuale”.
Nello spazio disegnato da meno di un lustro, l’apertura, tuttavia, è stata timida. Come inizialmente accennato, il legislatore pur prevedendo, in ossequio ai contenuti dell’accordo del 2016, una modifica e semplificazione dei fondi per la contrattazione di “secondo livello”, non si è allontanato troppo da una logica di vincoli finanziari che “congelano” il budget relativo ad un dato momento storico. Eccettuato l’inserimento di qualche elemento di attenuazione delle rigidità pregresse, ancora una volta «l’ammontare complessivo delle risorse destinate annualmente al trattamento economico accessorio del personale … non può superare il corrispondente importo determinato per l’anno 2016». Si riconoscono spazi alla contrattazione collettiva, ma si ripropongono «linee di contenimento e di controllo dei fondi» che incidono direttamente su quel livello negoziale che è stato oggetto di attenzione in materia di spesa del personale, che è stato «messo sotto tutela», con possibili ricadute sulle funzioni di quest’ultima. Non pare così illogica la considerazione che, in una situazione di scarsità di risorse, la contrattazione integrativa possa a fatica operare per quel fine che dovrebbe caratterizzarla, ovvero stabilire un collegamento virtuoso fra produttività e salari .
4. All’alba di un nuovo giorno…
Il limite finanziario riproposto con l’art. 23 c. 2, d.lgs. 75/2017, ha visto restringere il suo campo d’azione con provvedimenti normativi ad hoc per specifiche realtà e categorie, non ultima quella in ambito sanitario , a fronte delle diverse necessità che si sono palesate all’orizzonte, così come per l’intervento della Corte dei conti in funzione nomofilattica . Da tali eccezioni si è giunti, ora, alla generalizzazione. La complicità dell’esperienza maturata nel corso degli ultimi due anni, insieme alla possibilità di disporre di risorse economiche cospicue, consente di affrontare le fragilità del sistema delle p.a. e riprovare a dare slancio alle amministrazioni puntando congiuntamente su una pluralità di fattori: sul capitale umano ‘futuro’ con un rilancio delle capacità assunzionali; sul personale ‘in servizio’ valorizzandolo e motivandolo sia sotto il profilo professionale sia economico.
Nel quadro sommariamente delineato va, così, ad innestarsi l’art. 3 comma 2 d.l. 80/2021 intervenendo sui vincoli di spesa previsti dal citato art. 23, comma 2. Si prevede, in particolare, un possibile superamento di quella soglia economica ferma al 2016 da realizzare secondo criteri e modalità che dovranno essere definite nell'ambito dei ccnl, nei limiti delle risorse finanziarie destinate a tale finalità e compatibilmente con il raggiungimento degli obiettivi di finanza pubblica .
Viene riconosciuta una opportunità in capo ai soggetti negoziali, in linea con l’impegno assunto dal Governo con il Patto per l’Innovazione del lavoro pubblico e per la coesione sociale , un po’ di respiro in ordine al tema delle risorse utili a rendere plausibili gli obiettivi di innovazione, per scommettere sulla valutazione oggettiva della produttività, sulla valorizzazione economica del personale tenendo conto, anche, delle peculiarità delle singole amministrazioni.
Spetterà, di conseguenza, all’autonomia negoziale il compito di fare emergere, se vorrà, le potenzialità della contrattazione integrativa negli spazi consentiti, di rivitalizzarla in quella che dovrebbe essere il suo valore e funzione principale, senza ricadere nelle “storture” che caratterizzarono un passato non troppo lontano . Un obiettivo, questo, forse raggiungibile perseguendo diverse vie, in parte già avanzate dalla comunità scientifica nel corso dell’ultimo decennio. Potrebbe optarsi per una effettiva valorizzazione dell’«autonomia della contrattazione integrativa ancorandola a precisi elementi di responsabilità sugli equilibri economico-finanziari» , in linea ad esempio con percorsi già tracciati all’interno dell’impiego pubblico ; o svincolare le risorse da una predefinizione e stanziamento a monte per correlarle ai servizi resi, all’adozione di misure strategiche ed organizzative orientate al miglioramento delle performance complessiva – dotata di maggiore efficacia nel rafforzare le relazioni interne tra gli stessi dipendenti - della singola amministrazione .