testo integrale con note e bibliografia

La recente riforma dello sport e, in particolare, del lavoro sportivo presenta numerosi profili di interesse sul piano giuslavoristico, tanto sul versante delle scelte di politica del diritto, quanto a livello di tecnica impiegata dal legislatore.
Da un lato, si è assistito al superamento probabilmente definitivo della primigenia idea, già messa peraltro ampiamente in discussione sul finire del secolo scorso su sollecitazione del Giudice europeo (si pensi, su tutti, al caso Bosman, ma si consideri anche, da ultimo, la vicenda della Superlega, per il cui esame si rinvia allo scritto di Stella Riberti) , di un’autonomia del diritto sportivo e, di conseguenza, di un’impenetrabilità dello stesso da parte dei principi e delle regole proprie dell’ordinamento civile.
Senonché, come puntualizzato da Anna Trojsi nel suo approfondimento dedicato alle fonti , lo sport è stato oggetto di un processo riformatore che non solo ha investito la legislazione ordinaria (v., per quel che concerne il lavoro sportivo, il d.lgs. n. 36/2021), ma che ha anche visto, in una logica di integrazione e non di contrapposizione tra i diversi “sistemi”, l’espresso riconoscimento, all’interno della Carta Costituzionale (v. il settimo comma all’articolo 33), del valore educativo, sociale e di promozione del benessere psicofisico dell’attività sportiva in tutte le sue forme.
Né, sempre in una prospettiva di policy, può essere sottovalutata la rilevanza, nello stesso ambito sportivo, della questione di genere, la cui centralità nella riforma dello sport costituisce, come emerge dal contributo di Roberta Nunin, lo specchio di una legislazione lavoristica sempre più impegnata nel garantire l’effettività del principio di parità all’interno di tutti i luoghi di lavoro .
Dall’altro lato, la riforma pure offre, a livello di tecnica normativa, significativi spunti nella direzione dell’universalismo delle tutele, la quale passa attraverso la costruzione della figura trans-tipica del lavoratore sportivo, su cui si incentra la riflessione di Marco Biasi , che, comunque, evidenzia una certa discontinuità tra la prima e la seconda fase di gestazione della riforma in punto di equilibrio tra l’estensione dei diritti e la salvaguardia dell’equilibrio economico/finanziario dei sodalizi sportivi (segnatamente, dilettantistici).
D’altro canto, ad avviso di Giorgio Molteni , residuano molteplici differenze anche tra la regolamentazione del lavoro sportivo e la disciplina comune di diritto del lavoro, dovute, ad avviso dell’A., alle caratteristiche peculiari del fenomeno sportivo, le quali richiedono che le tradizionali categorie del lavoro subordinato e del lavoro autonomo vengano in vario modo adattate alle esigenze del settore, ivi inclusa quella, per l’appunto, della sostenibilità economica.
Ancora, se si considera la carriera lavorativa dell’atleta, un profilo tutt’altro che secondario concerne – mutuando il linguaggio giuslavoristico – la relativa “transizione occupazionale”, ovvero il passaggio dall’attività sportiva agonistica ad un’altra occupazione. Su questo tema insiste il contributo di Federico Venturi Ferriolo e di Lorenzo Vittorio Caprara , i quali valorizzano la funzione di ausilio e di supporto svolta dall’avvocato dello sport in tale delicato frangente della vita, professionale e non, dell’atleta dallo stesso rappresentato.
Ciò premesso, è indubbia la primaria importanza del diritto del lavoro sportivo per la stessa disciplina lavoristica generale, il che rende la regolazione di settore un laboratorio per la sperimentazione di nuove soluzioni potenzialmente mutuabili, previo adattamento, ben oltre il “campo sportivo”.

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