Testo integrale con note e bibliografia
1. Prologo.
È un grande onore essere stato coinvolto in questo pomeriggio di studi che trae spunto dalla pubblicazione della IX edizione del Manuale “Diritto dei lavori e dell’occupazione” del prof. Giuseppe Santoro Passarelli e del quarto volume della raccolta dei suoi scritti intitolata a “Realtà e forma del diritto del lavoro” .
Si tratta di un’occasione per me particolarmente gradita non solo per l’importanza degli Scritti del nostro Onorato, ma anche perché la pubblicazione della IX edizione del Manuale si lega ad un ricordo personale del mio percorso accademico.
L’invito a questo Convegno mi ha infatti riportato alla memoria la presentazione della I edizione del Manuale del prof. Santoro Passarelli, che si tenne nella primavera del 2002 in un Convegno organizzato dal prof. Arturo Maresca presso l’Università Roma Tre e che ha costituito, per me che muovevo i primi passi nella materia del diritto del lavoro, uno dei primi Convegni durante i quali ho avuto modo di ascoltare studiosi importanti della Dottrina giuslavoristica.
Nella ricerca di un tema da proporre al dibattito di questo Convegno, il ricordo della presentazione della I edizione del Manuale mi ha stimolato a confrontare l’indice di quell’edizione con quello della IX che presentiamo oggi, nella convinzione che da tale confronto potesse emergere qualche interessante spunto di riflessione nella prospettiva suggerita dal titolo dato al Convegno di oggi: ossia quella di ragionare sull’evoluzione e sulle prospettive evolutive della nostra materia.
Un confronto, quello tra le due edizioni del Manuale, utile non tanto, o non solo, alla valutazione di come il diritto del lavoro sia cambiato in questi 20 anni. Già sotto questo versante, l’analisi si rivelerebbe di grande interesse, poiché idoneo a disvelarci in maniera plastica la portata dei cambiamenti intervenuti in questo lasso temporale, caratterizzato da riforme continue, spesso molto significative. Riforme tali da dare l’impressione di un legislatore italiano “che non trova pace” e che, con il suo interventismo, rende impossibile un’effettiva valutazione della bontà dei singoli cambiamenti apportati all’impianto complessivo della materia, spesso rimossi prima che sia trascorso un tempo di applicazione adeguato a valutarne l’idoneità ad assicurare tutele più efficienti e un miglior funzionamento del mercato del lavoro.
Il confronto tra due edizioni così lontane del Manuale è però utile anche da un altro punto di vista, ossia quello della considerazione del metodo utilizzato dall’Autore per selezionare gli argomenti da trattare al fine di valutare se siano riscontrabili degli elementi di novità. Novità, in altri termini, che possano dirsi significative di una diversa rilevanza acquisita da alcuni temi e delle relative regole nell’architettura complessiva dell’edificio del diritto del lavoro.
Comparando le due edizioni in questa prospettiva, ci si avvede agevolmente di come siano numerosi i temi che hanno vista accresciuta la loro rilevanza in questi anni. Si pensi, per fare un esempio, al ruolo delle politiche attive del lavoro e dei servizi per l’impiego, di importanza tale da indurre l’Autore a modificare anche il titolo del Manuale, per inserirvi un riferimento esplicito.
Tra i vari argomenti meritevoli di attenzione, vorrei qui soffermarmi su uno che, tradizionalmente assente nella trattazione manualistica, è invece considerato nel IX edizione del Manuale e che, a mio parere, è dotato di significative potenzialità di sviluppo negli anni a venire.
Il tema al quale mi riferisco e quello della tutela del lavoro nella crisi dell’impresa, il quale ha acquisito una veste regolativa nuova per effetto della riforma delle procedure concorsuali varata con il Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza (d.lgs. 14/2019, d’ora in poi CCII).
Com’è noto, il CCII, a differenza della legge fallimentare, dedica un ampio spazio alla disciplina del rapporto di lavoro, sotto diversi punti di vista. Solo per richiamare i punti sui quali l’impatto appare più significativo, va evidenziato che il CCII: regola espressamente, differentemente da quanto fatto dalla legge fallimentare, gli effetti dell’insolvenza sui rapporti di lavoro; ha introdotto una specifica procedura di informazione e consultazione sindacale in materia di composizione negoziata della crisi; ha riformato la disciplina del trasferimento dell’azienda in crisi .
Non è questa la sede per ripercorrere, anche solo per sommi capi e limitatamente alle regole applicabili ai rapporti di lavoro, i contenuti innovativi e per molti versi dirompenti di questa disciplina.
Piuttosto, nella prospettiva da cui ci sollecita a riflettere il titolo del nostro incontro di oggi, vale la pena soffermarsi su di un tassello a mio parere molto significativo della riforma, realizzato tramite l’introduzione di un secondo comma nell’art. 2086 c.c., la cui rubrica viene modificata in “Gestione dell’impresa”.
Come cercherò di dimostrare nelle poche battute che seguono, la disposizione inserita nel secondo comma dell’art. 2086 c.c., che potrebbe a prima vista apparire di scarsa rilevanza per i profili di regolazione del lavoro , può assumere invece un’importanza centrale non solo per gli obblighi che dalla stessa si può desumere scaturiscano in capo all’imprenditore collettivo nei confronti dei lavoratori, ma anche per la rilevanza sistematica che la stessa norma può assumere nella rilettura complessiva degli obblighi di informazione e consultazione sindacale disseminati nel nostro ordinamento, non solo nell’ambito della disciplina della crisi d’impresa.
Proprio questa rilettura potrà essere utile per riprendere, in conclusione a queste brevi note, la ricostruzione del prof. Santoro Passarelli circa gli effetti che il mancato corretto espletamento della procedura di informazione e consultazione sindacale in materia di trasferimento d’azienda è destinato a produrre sui rapporti di lavoro inclusi nella cessione, per ragionare in concreto sulle possibili implicazioni pratiche della riforma dell’art. 2086 c.c.
2. Il nuovo secondo comma dell’art. 2086 c.c.
Il nuovo secondo commo dell’art. 2086 c.c., inserito dall’art. 368 del CCII, così testualmente recita: “l’imprenditore, che operi in forma societaria o collettiva, ha il dovere di istituire un assetto organizzativo, amministrativo e contabile adeguato alla natura e alle dimensioni dell'impresa, anche in funzione della rilevazione tempestiva della crisi dell'impresa e della perdita della continuità aziendale, nonché di attivarsi senza indugio per l'adozione e l'attuazione di uno degli strumenti previsti dall'ordinamento per il superamento della crisi e il recupero della continuità aziendale”.
La disposizione in parola costituisce uno dei principali strumenti ai quali il legislatore del CCII ha inteso affidare la realizzazione della ratio di fondo della riforma delle procedure concorsuali. Ratio che può essere identificata nell’obiettivo di favorire e incentivare la rilevazione tempestiva dello stato di crisi, allo scopo di rendere possibili interventi precoci .
Già la Raccomandazione della Commissione europea del 12 marzo 2014 su “un nuovo approccio al fallimento delle imprese e all’insolvenza” indicava, infatti, agli Stati membri la strada della istituzione di un quadro giuridico che consenta alle imprese di ristrutturarsi in una fase precoce al fine di evitare l’insolvenza.
La Commissione individuava nei meccanismi volti a consentire la ristrutturazione precoce, il mezzo per la “salvaguardia dei posti di lavoro, con effetti positivi sull’economia in generale” .
Il Parlamento europeo e il Consiglio dell’UE hanno poi dato seguito a tale Raccomandazione con il varo della Direttiva (UE) 2019/1023, la quale prevede, tra i suoi assi portanti, la realizzazione di “quadri di ristrutturazione preventiva per il debitore che versa in difficoltà finanziarie e per il quale sussiste una probabilità di insolvenza, al fine di impedire l'insolvenza e di garantire la sostenibilità economica del debitore” (art. 1, co. 1, lett. a).
L’idea di fondo della istituzione dei quadri di ristrutturazione preventiva è che un intervento precoce abbia maggiori probabilità di successo di un’azione che si decida di attuare quando la crisi (ossia la condizione di squilibrio economico e finanziario) sia già conclamata.
L’intervento precoce si impone dunque per salvare l’impresa, vista come valore da proteggere non solo per i creditori e per l’economia in generale, ma anche per i lavoratori ai quali quell’impresa assicura possibilità di occupazione .
In ragione degli obiettivi così individuati, la Direttiva non impone però interventi volti a consentire la ristrutturazione di qualunque impresa in condizione di squilibrio economico finanziario, ma esclusivamente delle imprese sane in difficoltà finanziarie.
Perché l’economia europea possa trarre vantaggio in generale dai quadri di ristrutturazione preventiva, detto altrimenti, lo sforzo, le risorse e il sacrificio richiesto ai creditori devono essere concentrati sulle imprese che presentano prospettive di risanamento.
Al contrario, “le imprese non sane che non hanno prospettive di sopravvivenza dovrebbero essere liquidate il più presto possibile”. Ciò poiché, come sempre è esplicitamente detto nella Direttiva, “se un debitore che versa in difficoltà finanziarie non è sano o non può tornare a esserlo in tempi rapidi, gli sforzi di ristrutturazione potrebbero comportare un'accelerazione e un accumulo delle perdite a danno dei creditori, dei lavoratori e di altri portatori di interessi, come anche dell'economia nel suo complesso” (considerando n. 3).
All’interno della logica appena sintetizzata deve essere contestualizzata la nuova obbligazione posta a carico dell’imprenditore collettivo dal secondo comma dell’art. 2086 c.c.
La costruzione di un assetto organizzativo adeguato deve ora essere finalizzata anche all’obiettivo di consentire una rilevazione tempestiva dello stato di crisi. L’assetto adeguato costituisce così il primo presidio per l’attuazione degli obiettivi della normativa europea.
L’obbligazione non ha però ad oggetto esclusivamente la predisposizione di assetti idonei a leggere gli indicatori dell’andamento dell’attività di impresa allo scopo di rilevare la condizione di difficoltà in maniera tempestiva, ma anche l’attivazione degli strumenti idonei a risolvere la crisi nell’ottica di assicurare la continuità dell’attività aziendale.
Guardando alla disposizione sin qui richiamata dal punto di vista della salvaguardia dei posti di lavoro che la continuità dell’attività aziendale consente di assicurare, possiamo ravvisare nell’obbligo di istituzione degli assetti adeguati il primo meccanismo volto ad assicurare il bilanciamento, da sempre molto difficile, tra interesse dei creditori e tutela dei lavoratori impiegati nell’impresa.
Un bilanciamento tradizionalmente squilibrato a vantaggio della posizione dei creditori, tanto da aver indotto una parte della dottrina a sottolineare la sostanziale incomunicabilità tra (quello che una volta veniva denominato) diritto fallimentare e diritto del lavoro . Difficoltà di dialogo dovute principalmente al fatto che le ragioni della pronta e migliore realizzazione del credito sono destinate a prevalere sulla conservazione dell’occupazione. Conservazione alla quale le regole del diritto fallimentare davano rilevanza (come regola generale), solo se funzionale alla migliore soddisfazione dei creditori.
L’obbligo di una rilevazione anticipata della crisi e di un intervento precoce per la sua risoluzione realizza, dunque, a ben vedere lo strumento forse più importante - laddove si riesca a renderlo effettivo e realmente funzionante - per soddisfare contestualmente l’interesse dei creditori (tra i quali rientrano anche i lavoratori) alla realizzazione del proprio credito e quello dei lavoratori alla conservazione della propria occupazione. È infatti la salvaguardia dell’impresa (e, quindi) la continuità dell’attività produttiva), con la redditività e l’occupazione che la stessa assicura, a permettere che quegli interessi possano trovare allo stesso modo realizzazione.
3. È configurabile un interesse collettivo alla istituzione di assetti adeguati?
Se dal piano della ricerca delle ragioni di fondo della introduzione dell’obbligo di istituire assetti adeguati, ci si sposta sul piano dell’analisi delle condotte idonee ad adempiere quel medesimo obbligo, ci si deve interrogare se, al di là della ratio di politica del diritto alla base dell’intervento, quel medesimo obbligo sia posto anche nell’interesse dei lavoratori.
Il che, detto altrimenti, induce ad interrogarsi se sia configurabile un interesse giuridicamente rilevante dei lavoratori alla realizzazione dell’assetto adeguato e, quindi, se sia configurabile una pretesa giuridicamente vincolante nel caso in cui quell’obbligo non sia adempiuto integralmente o parzialmente.
Vi sono diverse ragioni che inducono a fornire una risposta positiva al quesito appena posto.
La prima ragione è ravvisabile in quanto si è qui sin qui già argomentato, avendo dimostrato come nella riforma delle procedure concorsuali non solo nelle fonti europee, ma anche in quelle nazionali, la salvaguardia dell’occupazione sia individuata come uno degli obiettivi del sistema normativo riformato.
Una seconda importante ragione è identificabile nella scelta fatta dal legislatore italiano di inserire l’obbligo di istituzione degli assetti organizzativi adeguati non (o meglio non solo) nel CCII , ma in prima battuta all’interno di una delle disposizioni codicistiche sulle quali si basa la ricostruzione in termini negoziali della relazione tra datore di lavoro e lavoratore .
La scelta di inserire all’interno dell’art. 2086 c.c. l’obbligo di istituire assetti adeguati ci dice, in altri termini, che quello stesso obbligo non è posto nell’interesse esclusivo dei soci o dei creditori, ma è posto anche nell’interesse dei lavoratori che vengono inseriti all’interno dell’organizzazione dell’impresa per effetto della stipulazione del contratto di lavoro.
La conferma della rilevanza non meramente interna (ossia nel rapporto tra management e soci), ma esterna dell’obbligazione di istituire assetti adeguati è fornita dal fatto che la costruzione degli assetti adeguati e l’intervento tempestivo sono strumenti di cui viene gravato l’imprenditore collettivo e non i suoi amministratori . Ciò dimostra che si tratta di un impegno di cui è gravata la persona giuridica in quanto tale, non solo nell’interesse dei soci, ma di tutti i terzi che sono interessati al valore dell’impresa (tra cui i lavoratori).
Non a caso, la rubrica dell’art. 2086 c.c. è stata mutata in “gestione dell’impresa”, accantonando, così, la dimensione istituzionale e gerarchica per una prospettiva di definizione delle responsabilità di chi amministra l’impresa nei confronti di coloro che sono interessati al valore dell’impresa, alla sua funzionalità e operatività: non solo i soci, ma anche i terzi (e tra questi anche i creditori e i lavoratori) interessati alla sopravvivenza e alla piena operatività dell’impresa.
La predisposizione di assetti adeguati e il dovere di agire con prontezza assume, dunque, una valenza generale, che attiene al modo stesso di “fare impresa”.
Se ne può desumere che il datore di lavoro è gravato dell’obbligo di attivare tutti gli strumenti che l’ordinamento mette a disposizione per il superamento precoce della crisi laddove questa si manifesti . Sicché, si può concludere che l’imprenditore abbia non già una facoltà, quanto piuttosto un obbligo di avvalersi di strumenti quali, ad esempio, la composizione negoziata della crisi, la CIGS, l’avvio di trattative per la stipulazione di accordi di transizione occupazionale, laddove gli stessi presentino potenziali capacità di risolvere la crisi nell’obiettivo di salvaguardare l’impresa e l’occupazione da questa assicurata.
Seguendo il ragionamento appena impostato, è lecito a questo punto chiedersi se l’indubbio interesse dei lavoratori all’istituzione di un assetto adeguato assuma anche una rilevanza tale da fondare una pretesa giuridicamente rilevante ed azionabile nel caso in cui quell’obbligo non sia stato adempiuto. Nel caso si possa rispondere affermativamente a tale quesito, ci si deve interrogare se l’istituzione di un assetto adeguato assuma una rilevanza sul piano del rapporto di lavoro (interesse individuale), sul piano delle relazioni sindacali (interesse collettivo) o su entrambi.
Lo spazio limitato qui a disposizione, induce a limitare l’indagine alla possibilità di ammettere o meno la configurabilità di interesse collettivo alla costruzione di assetti adeguati.
Una volta dimostrato di poter rispondere positivamente a tale quesito, proveremo a misurarne i risvolti applicativi soffermandoci sul rapporto tra l’obbligo di istituire assetti adeguati e l’obbligo di informazione e consultazione sindacale che la legge pone in caso di cessione dell’azienda o di un suo ramo.
La configurabilità di interesse collettivo alla predisposizione degli assetti adeguati previsti dall’art. 2086 c.c. è confermata dalla rilevanza che nel CCII è attribuita alla continuità aziendale, da perseguire anche in ragione dell’occupazione che la stessa garantisce.
Il riconoscimento normativo dell’interesse collettivo alla corretta gestione dell’impresa è inoltre espressamente reperibile nell’impianto del d.lgs. 25/2007, il quale, nel dettare un generale obbligo di informazione e consultazione sindacale in capo al datore di lavoro, prevede che la tali obblighi vadano assolti con riferimento a: “a) l'andamento recente e quello prevedibile dell'attività dell'impresa, nonché la sua situazione economica; b) la situazione, la struttura e l'andamento prevedibile dell'occupazione nella impresa, nonché, in caso di rischio per i livelli occupazionali, le relative misure di contrasto; c) le decisioni dell'impresa che siano suscettibili di comportare rilevanti cambiamenti dell'organizzazione del lavoro, dei contratti di lavoro, anche nelle ipotesi di cui all'art. 7, c. 1” (art. 4, c. 3).
La disposizione che prevede l’istituzione di procedure di informazione e consultazione sindacale sull’andamento dell’impresa, sulla sua situazione economica e sull’impatto che l’andamento degli stessi possa avere sull’occupazione, dimostra come sia configurabile un interesse collettivo a che l’impresa sia conservata ed operi, allo scopo di salvaguardarne il valore quale mezzo per la realizzazione del fine della continuità occupazionale.
L’importanza di salvaguardare tale coinvolgimento è peraltro confermato dalla direttiva 2019/1023, la quale esclude, con l’art. 13, che l’attuazione degli interventi finalizzati a salvare l’impresa attraverso la sua ristrutturazione preventiva possa avvenire pregiudicando i diritti di informazione e consultazione sindacale previsti dalla legge e dalla contrattazione collettiva. Deve quindi in ogni caso essere assicurato il coinvolgimento dei rappresentanti dei lavoratori attraverso l’informazione sull’evoluzione dell’attività di impresa - per consentire agli stessi di “comunicare al debitore le preoccupazioni sulla situazione dell'impresa e sulla necessità di prendere in considerazione meccanismi di ristrutturazione” – e sulle procedure di ristrutturazione preventiva che si intenda attivare.
Infine, la necessità del coinvolgimento sindacale è confermata dalla previsione dell’art. 4 d.lgs. 14/2019 che, nel regolare la composizione negoziata della crisi d’impresa, disciplina una specifica procedura di informazione e consultazione sindacale destinata in ogni caso ad essere attivata “ove non siano previste, dalla legge o dai contratti collettivi di cui all'art. 2, co. 1, lett. g), d.lgs. 25/2007, diverse procedure di informazione e consultazione”.
In conclusione, si può affermare che le procedure di informazione e consultazione sulla formazione delle decisioni imprenditoriali o sull’attuazione delle decisioni già prese, in quanto volte a realizzare il coinvolgimento dei terzi interessati al valore dell’impresa, alla sua salvaguardia e redditività, costituiscono esse stesse parte del corretto adempimento dell’obbligo di istituire assetti organizzativi aziendali adeguati alla rilevazione della crisi e all’attuazione degli strumenti per la ristrutturazione dell’impresa.
A conferma di ciò è utile rilevare, anche allo scopo di aprire all’ultimo passaggio del ragionamento che si sta provando a sviluppare in queste pagine, che tra gli strumenti utili ad affrontare le crisi ve ne sono di alcuni per la cui attuazione è previsto il coinvolgimento dei rappresentanti dei lavoratori.
È quanto avviene, per esempio, per l’accesso alla cassa integrazioni guadagni, per la gestione di un licenziamento collettivo, per l’attuazione di un trasferimento d’azienda.
Tali disposizioni, lette insieme con le regole dettate dal d.lgs. 25/2007, confermano che la realizzazione di un assetto organizzativo adeguato imposta dall’art. 2086 c.c. presuppone il corretto adempimento delle procedure di informazione e consultazione sindacale che trovano il loro fondamento nella legge, o perché espressamente regolate o perché introdotte dalla contrattazione collettiva in attuazione di quanto disposto dal d.lgs. 25/2007.
Le procedure di informazione e consultazione sindacale di fonte legale insieme con quelle di fonte collettiva assumono così una rilevanza che va oltre lo spazio circoscritto del conflitto collettivo, divenendo parte integrante delle modalità di gestione dell’impresa che sono fonte di responsabilità per la società e i suoi amministratori nei confronti dei soggetti che vantano un interesse giuridicamente rilevante alla sopravvivenza e redditività dell’impresa medesima.
4. Risvolti applicativi della prospettiva proposta: la procedura di informazione e consultazione in caso di trasferimento d’azienda.
Giunti a questo punto del ragionamento, ci si può avviare alla conclusione riflettendo sulle possibili implicazioni sul piano applicativo che possono dirsi collegate a quanto sin qui illustrato.
Detto altrimenti, muovendo dalla considerazione che la violazione degli obblighi di informazione e consultazione sindacale configurano anche un inadempimento dell’obbligo di istituire assetti adeguati ai sensi dell’art. 2086 c.c., ci si deve chiedere se ciò assuma rilevanza dal punto di vista della individuazione dei rimedi a disposizione del sindacato per reagire alla condotta antisindacale.
Si può provare a rispondere a tale quesito prendendo in considerazione lo strumento del trasferimento d’azienda, per il quale, com’è noto, l’ordinamento non stabilisce in maniera chiara quali siano gli effetti del mancato esatto adempimento della procedura di informazione e consultazione sindacale prevista dall’art. 47 l. 428/1990.
Dispone infatti l’art. 47 l. 428/1990 che “il mancato rispetto, da parte del cedente o del cessionario, degli obblighi previsti dai commi 1 e 2 costituisce condotta antisindacale ai sensi dell'art. 28 l. 300/1970”.
Ciò significa, richiamando la nota tesi di G. Santoro Passarelli, che “la rimozione degli effetti in questo caso non determina l’invalidità del negozio traslativo dell’azienda, ma ha come oggetto le conseguenze del trasferimento sui rapporti di lavoro. Pertanto la rimozione degli effetti comporta la sospensione dell’efficacia dei provvedimenti che concernono i rapporti di lavoro oggetto di trasferimento” .
Seguendo tale impostazione, la procedura di informazione e consultazione sindacale non costituisce condizione di legittimità del negozio traslativo della titolarità dell’azienda o del suo ramo.
Tale conclusione si desume altresì dalla circostanza che la procedura di informazione e consultazione non deve avere ad oggetto la decisione sul se procedere al trasferimento, ma esclusivamente gli effetti sui rapporti di lavoro che sono collegati all’attuazione di tale scelta.
Il mancato corretto espletamento della procedura non condiziona, dunque, la piena efficacia dell’atto traslativo, ma incide esclusivamente sugli effetti che quel trasferimento è idoneo a produrre sui lavoratori facenti parte della struttura oggetto del trasferimento (cfr. Cass. 6 giugno 2003, n. 9130, Cass. 4 gennaio 2000, n. 23).
La tesi appena illustrata, che appare prevalente in dottrina , trova nuova linfa nell’introduzione dell’art. 2086 c.c., il quale, come si è cercato di dimostrare, consente di ricondurre il corretto adempimento delle procedure di informazione e consultazione sindacale all’interno del modo stesso di fare impresa, divenendo parte della costruzione di assetti organizzativi adeguati ai sensi della medesima disposizione.
Il corretto espletamento della procedura di informazione e consultazione sindacale non assume dunque rilevanza esclusivamente sul piano del rapporto tra datore di lavoro e soggetti sindacali, ma rileva sul piano della corretta gestione dell’impresa, fonte di responsabilità per gli amministratori nei confronti della compagine sociali e dei terzi interessati.
Detto altrimenti, se nel trasferimento d’azienda il coinvolgimento dei rappresentanti sindacali dei lavoratori mira a rendere possibile una trattativa sulle “conseguenze giuridiche, economiche e sociali per i lavoratori” e non già sull’adozione della scelta imprenditoriale di attuare la cessione, ciò non toglie che una condotta volta ad impedire l’avvio e il corretto svolgimento di tale trattativa sia fonte di responsabilità nei confronti di tutti i soggetti a vantaggio dei quali l’art. 2086 c.c. impone l’istituzione di assetti adeguati.
In conclusione, la riforma dell’art. 2086 c.c. induce a ritenere che vi siano i margini per un ripensamento complessivo della funzione delle procedure di informazione e consultazione sindacale rispetto alla gestione dell’attività imprenditoriale.
Procedure che sono destinate ad accrescere, grazie alle implicazioni collegate all’applicazione dell’art. 2086 c.c., la capacità degli attori sindacali di condizionare le scelte imprenditoriali.
Le procedure di informazione e consultazione sindacale sono così destinate a rimanere la “via italiana” alla partecipazione dei lavoratori, di fronte alla perdurante difficoltà di immaginare di dare attuazione, per via legislativa o negoziale, all’art. 46 Cost.