Testo integrale con note e bibliografia
Testo della sentenza CEDU 13 dicembre 2022
1. Premessa
Come è noto, nella regolazione del rapporto di lavoro subordinato intervengono interessi, tra loro molto differenti, dei lavoratori e dei datori di lavoro, interessi che trovano un punto di equilibrio nel contratto collettivo e, prima ancora, nella legge, che peraltro segna i limiti di intervento dell’autonomia privata collettiva.
Quanto al potere di controllo nello svolgimento dell’attività lavorativa, si fronteggiano, da un lato, il diritto del datore di verificare l’esattezza della prestazione, a cui è tenuto il debitore; da un altro, il diritto del lavoratore di evitare che il controllo possa espandersi fino a violare il diritto alla riservatezza.
Ecco perché l’intervento della legge è quanto mai opportuno, finalizzato, da un lato, a limitare l’esercizio di un potere sempre più pervasivo per effetto delle nuove tecnologie che potenzialmente possono ridurre, se non addirittura negare, princìpi fondamentali del nostro ordinamento giuridico (p.es., libertà, riservatezza…) ; da un altro, a evitare eventuali condotte autolesive del lavoratore alla luce dello squilibrio nei rapporti intercorrenti tra imprenditore e lavoratore.
E’ stata, questa, la ratio sottesa al Titolo I dello Statuto dei lavoratori, non casualmente rubricato “Della libertà e della dignità del lavoratore”, con l’apposizione di specifici limiti in capo al datore di lavoro: il riferimento è in generale agli artt. 2, 3, 5, 6, e nello specifico all’art. 4 (installazione di impianti e apparecchiature di controllo anche a distanza i lavoratori), caratterizzato da un rapido processo di obsolescenza e divenuto quasi inutile con il trascorrere del tempo anche per le finalità originarie della sua introduzione, con alcune di queste e, forse, quella più importante all’epoca, nemmeno indicate (evitare furti, specie nella grande distribuzione organizzata).
Il minimo comun denominatore delle descritte disposizioni legali non è stato quello di vietare il potere datoriale di controllo, ma quello di sottoporre a un contemperamento e a una razionalizzazione le modalità del suo esercizio in funzione dei canoni, fino ad allora non sempre tenuti presenti (dignità, libertà e riservatezza del lavoratore) .
E così il legislatore del tempo innanzi tutto ha determinato con precisione le condotte vietate, poi ha demandato alle parti interessate (datore di lavoro e rappresentanze sindacali aziendali) il compito di regolamentare le modalità di esercizio degli impianti e delle apparecchiature, purché giustificate da esigenze legittime, ma da cui potessero derivare anche ulteriori effetti (possibili forme di controllo a distanza nei confronti dell’attività lavorativa).
Proprio la procedura sindacale, disciplinata dall’art. 4, e il suo ruolo dopo la novella legislativa del 2015/2016, per effetto del c.d. Jobs Act, rappresentano il fulcro dell’analisi, oltre a brevi osservazioni sul Codice in materia di protezione dei dati e sulla contrattazione di prossimità del 2011 che, tra le molteplici materie oggetto di regolamentazione, ha inserito gli impianti audiovisivi e le nuove tecnologie.
2. Il precedente contenuto dell’art. 4 St. lav.
Prima della modifica legislativa del biennio 2015-2016, l’art. 4 St. lav. vietava l’uso di impianti audiovisivi e di altre apparecchiature «per finalità di controllo a distanza dell’attività dei lavoratori» (co. 1), ma consentiva l’installazione di impianti dai quali potesse derivare «anche» un controllo a distanza sull’attività lavorativa solo per ragioni organizzative, produttive e di tutela della sicurezza del lavoro, previo accordo con le rappresentanze sindacali aziendali (rsa) o, in mancanza di queste, con la commissione interna (CI) oppure, in loro assenza o nell’eventualità di mancato accordo, con l’autorizzazione dell’Ispettorato del lavoro.
Nell’àmbito di una legge che in generale ne ha sensibilmente rafforzato ruolo e funzioni, con l’art. 4 il sindacato è diventato il soggetto “geneticamente necessitato”, con cui il datore di lavoro avrebbe dovuto confrontarsi ogni qual volta avesse ritenuto opportuno introdurre impianti audiovisivi ed eventuali apparecchiature in possesso anche di caratteristiche di controllo a distanza.
Nel caso poi di mancato accordo contrattuale, si è comunque fatta salva la facoltà per lo stesso datore di non essere costretto comunque a disciplinare pattiziamente tali modalità d’uso con le rsa, poiché il legislatore ha consentito l’intervento regolatore della pubblica amministrazione, prevedendo sì l’apposizione di penetranti limiti, ma consentendo nel contempo l’esercizio del suo potere organizzativo e di controllo.
Il legislatore, quindi, ha operato una scelta precisa: gli impianti dai quali possa derivare anche il controllo dell’attività dei lavoratori possono essere installati previo accordo con il sindacato o, in via subordinata, attraverso l’autorizzazione dell’Ispettorato del lavoro.
Di conseguenza, non ha attribuito alcuna legittimazione ad agire in capo ai lavoratori atomisticamente considerati, nemmeno nel caso della loro totalità. La ratio, peraltro, è ben intuibile e condivisibile: si è temuto, infatti, che si sarebbe potuto trattare non tanto di una genuina manifestazione di volontà, quanto di un consenso forzato o, nella migliore delle ipotesi, “spintaneo”.
Proprio alla luce di tale conclusione, non è condivisibile quell’interpretazione della giurisprudenza di legittimità, secondo cui il consenso manifestato da tutti i lavoratori avrebbe la stessa efficacia dell’accordo sindacale . Infatti, il consenso è solo una parte della “protezione” prevista dallo Statuto contro l’invasività del controllo: l’accordo presuppone che le parti abbiano convenuto le modalità di utilizzo delle apparecchiature .
A conferma della descritta interpretazione, secondo cui le modalità di uso di impianti audiovisivi e di altre attrezzature debbano essere disciplinate bilateralmente o super partes (la pubblica amministrazione), è confermato anche dalla facoltà del ricorso gerarchico (esperibile dal datore di lavoro, dalle rsa o dai sindacati rappresentativi, di cui all’art. 19 st. lav.) avverso le prescrizioni dell’Ispettorato del lavoro, in merito alle modalità di impiego degli strumenti di controllo.
Perciò, l’assenza dell’accordo sindacale o, eventualmente, dell’autorizzazione amministrativa rende illegittima l’installazione degli impianti dai quali derivi anche il possibile controllo a distanza dei lavoratori: questa rappresenta l’essenza della scelta del legislatore statutario di affidare alla mediazione sindacale il delicato equilibrio tra esigenze dei lavoratori e interesse del datore di lavoro .
Si tratta, peraltro, di un’interpretazione fatta propria dalla stessa Corte di Cassazione in altre pronunce, allorché ha affermato che integrano il reato, di cui agli art. 4 e 28 St. lav., anche gli impianti audiovisivi non occulti, essendo sufficiente la semplice idoneità del controllo a distanza dei lavoratori senza l’accordo con le rsa .
3. I controlli sui lavoratori nel Codice in materia di protezione dei dati personali: brevi note
Rispetto alla previgente normativa (l. 675/1996), le innovazioni del d. lgs. 196/2003 si riferiscono sia alla sostituzione del precedente rinvio generico allo statuto dei lavoratori con un puntuale riferimento all’art. 4 , sia all’introduzione di una disposizione , secondo cui la sanzione penale, di cui all’art. 38 st. lav., è applicabile non più quale conseguenza della violazione dell’art. 4, ma della violazione delle disposizioni del Codice richiamate da tale articolo.
La conseguenza non è di poco conto, perché in tal modo le disposizioni dell’art. 4 sono diventate parte organica del d. lgs. 196/2003: la violazione dell’art. 4 è, dunque, sanzionata penalmente, in quanto violazione dello stesso Codice .
Perciò, il Garante per la protezione dei dati personali ha affermato che nella raccolta, mediante strumenti tecnologici, di informazioni utilizzabili anche per il controllo a distanza dei lavoratori vi sia l’obbligo di rispettare non solo l’art. 4, ma anche i princìpi e le regole del d. lgs. 196/2003 .
Alla luce dell’orientamento del Garante, perciò, su istanza dei lavoratori interessati, il giudice ha la facoltà di valutare non solo la regolarità formale della procedura di consultazione sindacale, di cui all’art. 4, ma anche il merito dell’accordo, verificando il contenuto delle misure necessarie a minimizzare gli effetti sui diritti dei lavoratori prima ancora di autorizzare l’installazione degli strumenti tecnologici richiesti dal datore di lavoro .
Tuttavia, il possibile ricorso all’autorità giudiziaria da parte dei lavoratori è stato più teorico che pratico, in quanto anche - ad avviso della stessa interpretazione del Garante - proprio il contenuto originario dell’art. 4 st. lav. ha reso remota l’eventualità che i lavoratori avessero interesse a sollevare davanti al giudice una questione di legittimità dell’accordo stipulato per violazione dei limiti e dei princìpi, di cui al d. lgs. 196/2003, nella definizione delle modalità della raccolta delle informazioni.
4. I controlli dopo i contratti di prossimità
La normativa sui controlli a distanza ha dimostrato la sua progressiva e rapida inadeguatezza rispetto al decorrere del tempo, specie con la rivoluzione tecnologica e il repentino avvento dell’intelligenza artificiale, che hanno mutato radicalmente i confini tradizionali tra strumenti di controllo a distanza e strumenti per svolgere la prestazione.
Perciò, a fronte del precoce processo di obsolescenza dell’art. 4, sempre più incapace di fornire risposte efficaci rispetto ai radicali cambiamenti nel sistema economico, è emerso un orientamento dottrinale, ad avviso del quale il datore di lavoro non dovesse più negoziare con le rsa oppure, nell’ipotesi di mancato accordo, ottenere l’autorizzazione amministrativa dell’Ispettorato del lavoro in presenza di strumenti “necessari a svolgere la prestazione lavorativa”, anche se con possibili controlli sui lavoratori .
In realtà nella prassi giurisprudenziale si è affermato l’orientamento esattamente contrario con un alto tasso di inapplicazione della disposizione .
In attesa di un nuovo intervento regolativo e a fronte della grave crisi economica, allora in corso, una prima modifica della disciplina in esame è avvenuta per effetto dell’art. 8, d.l. 138/2011, con cui si è stabilita l’efficacia, «nei confronti di tutti i lavoratori interessati», delle «specifiche intese», stipulate «a livello aziendale o territoriale da associazioni dei lavoratori comparativamente più rappresentative sul piano nazionale o territoriale ovvero dalle loro rappresentanze sindacali operanti in azienda ai sensi della normativa di legge e degli accordi interconfederali vigenti compreso l’accordo interconfederale del 28 giugno 2011», seppur sottoscritte sulla base di un criterio maggioritario e in presenza di determinate finalità .
Si è anche stabilito che tali accordi debbano riguardare «la regolazione delle materie inerenti l’organizzazione del lavoro e della produzione» in riferimento a una serie di materie specificamente elencate , peraltro tassative, fatti salvi alcuni limiti e vincoli, non particolarmente incisivi («fermo restando il rispetto della Costituzione, nonché i vincoli derivanti dalle normative comunitarie e dalle convenzioni internazionali sul lavoro»), e che tali accordi possano operare «anche in deroga alle disposizioni di legge che disciplinano le materie richiamate dal comma 2 ed alle relative regolamentazioni contenute nei contratti collettivi nazionali di lavoro» .
Senza entrare nel merito della tecnica normativa utilizzata, molto differente rispetto alla precedente tradizione di devoluzione di funzioni a favore della contrattazione collettiva, derogatoria in peius solo in alcune materie e in parti di esse (p. es., nei contratti c.d. flessibili), con l’art. 8 l’episodicità si trasforma in organicità, la particolarità della deroga diventa generalità (investe interi istituti e materie), la straordinarietà cede il passo all’ordinarietà .
A prescindere dalle molteplici, differenziate valutazioni sull’art. 8, norma di carattere “generale” per finalità, soggetti, livelli e materie, vanno sottolineate, seppur sinteticamente, le ampie possibilità derogatorie della disposizione con riferimento «agli impianti audiovisivi e alla introduzione di nuove tecnologie» .
In proposito, non si può non rilevare la sostanziale inesistenza del requisito finalistico, prima indicato, l’unico abilitato a legittimare l’introduzione di un’eventuale disciplina derogatoria rispetto alla disciplina statutaria. Infatti, è quasi impossibile sostenere, con un minimo di fondatezza giuridica, che possibili profili derogatori sui controlli relativi all’attività lavorativa possano eventualmente contribuire all’effettivo perseguimento di una qualsiasi delle finalità giustificatrici della contrattazione collettiva di prossimità (tra le altre, maggiore occupazione, emersione del lavoro irregolare, incrementi di competitività e di salario, gestione delle crisi aziendali, avvio di nuove attività…).
Peraltro, la facoltà derogatoria di un contratto ex art. 8 non potrebbe essere estesa fino a prevedere l’installazione di impianti audiovisivi o di attrezzature finalizzate al controllo dei lavoratori, perché contrasterebbe irrimediabilmente con molteplici princìpi giuridici, anche di rango costituzionale. Più semplicemente, purché in presenza di una delle differenti fattispecie finalistiche, un eventuale accordo di prossimità si sarebbe potuto limitare a incrementare il numero degli strumenti di lavoro che, ormai dopo la novella legislativa, non richiedono più la stipula di un accordo sindacale o l’autorizzazione amministrativa (infra).
L’unico, possibile àmbito di intervento della contrattazione collettiva di prossimità, anche dopo la modifica dell’art. 4 St. lav. nel biennio 2015/2016, si riferisce ai soggetti stipulanti. Infatti, il “nuovo” art. 4 indica la sede aziendale per sottoscrivere accordi che giustifichino l’installazione di impianti anche con possibili controlli in merito all’attività dei lavoratori, oppure consente, nell’ipotesi di imprese con una pluralità di unità produttive, ubicate in più province e/o regioni, di stipulare accordi collettivi di gruppo con le associazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale.
Al contrario, purché in presenza delle descritte finalità giustificatrici, con l’art. 8 si possono sottoscrivere accordi, sia territoriali (con le associazioni sindacali comparativamente rappresentative sul piano territoriale), sia aziendali. In quest’ultimo caso, l’accordo potrà essere stipulato direttamente dai sindacati comparativamente più rappresentativi sul piano nazionale.
Una conferma in tal senso è rinvenibile in uno dei pochi contratti ex art. 8 stipulati in deroga all’art. 4 St. lav., almeno rispetto a quelli “noti”, perché - per una pluralità di motivi che non è qui il caso di analizzare - anche le più importanti parti sociali del nostro sistema di relazioni industriali preferiscono non pubblicizzare i contenuti della contrattazione di prossimità, in quanto derogatoria. Nel contratto qui richiamato la disciplina statutaria sui controlli a distanza (nella formulazione originaria) è stata derogata quanto ai soggetti stipulanti, prevedendo che l’accordo di gruppo possa essere sottoscritto dalle organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale.
5. La “nuova” disciplina dell’art. 4 St. lav. tra luci e ombre
Sollecitata dalla dottrina per decenni, la novella legislativa dell’art. 4 St. lav. è stata approvata solo nel 2015, poi completata l’anno successivo nell’àmbito di una profonda revisione delle opzioni di politica del diritto del Governo Renzi.
A differenza del passato, il fulcro del Jobs Act è stato rappresentato da una flessibilità maggiore nella gestione del rapporto di lavoro individuale (ius variandi, i controlli sul lavoratore), ma soprattutto rilevante in uscita, compensata da un favor nell’incentivare i rapporti di lavoro a tempo indeterminato a tutele crescenti rispetto a forme di lavoro temporaneo/precario.
E’ cambiata l’impostazione di fondo del legislatore: la finalità non è più tutelare il lavoratore nel rapporto individuale di lavoro, quanto garantirgli un efficace sostegno nel mercato del lavoro. Infatti, il legislatore ha ritenuto opportuno intervenire con nuove politiche attive - con esiti largamente deficitari rispetto agli intenti originari, che però erano alla base della scelta di flessibilizzare i licenziamenti - per ricollocare il lavoratore in altri impieghi a tempo indeterminato, la cui diffusione avrebbe dovuto essere incentivata anche dalla previsione di un notevole sgravio contributivo, temporalmente decrescente e caratterizzato da un regime transitorio .
Nel nuovo art. 4 sono diverse le innovazioni normative rispetto al testo previgente: il primo dato, una vera e propria inversione di centottanta gradi, è il superamento del divieto assoluto - a favore del datore - di utilizzare impianti audiovisivi e altri strumenti, pur in possesso della possibilità di controllare a distanza i lavoratori.
Subito dopo, il legislatore attenua il descritto superamento del divieto, tanto è vero che introduce le stesse finalità, già contenute nel precedente art. 4 (“esigenze organizzative e produttive, per la sicurezza del lavoro”), rispetto alle quali ne aggiunge una, non indicata nel 1970: la tutela del patrimonio aziendale.
Resta, invece, sostanzialmente invariata la procedura prevista, il cui puntuale rispetto è essenziale ai fini di una legittima installazione di impianti o di altri strumenti: la regolamentazione delle modalità della loro introduzione con il soggetto collettivo rappresentativo dei lavoratori.
Cambiano solo i soggetti collettivi, legittimati a trattare: non è più citata la commissione interna, in realtà già all’epoca superata; sono mantenute le rsa, ma non più quale primo soggetto negoziale indicato nella disposizione, e sono introdotte le rsu, menzionate non casualmente per prime alla luce della prassi delle nostre relazioni industriali.
Oltre a ratificare una situazione di fatto, l’indicazione delle rsu è importante, perché in passato si era registrato un limitato contenzioso in merito alla loro abilitazione a negoziare, in quanto non citate nella versione originaria dell’art. 4 per il semplice fatto dello loro inesistenza all’epoca .
Inoltre, con scelta sicuramente condivisibile in virtù della finalità di prevedere una disciplina unitaria, abilitate a sottoscrivere un accordo collettivo di gruppo sono le associazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale, nel caso di un’impresa articolata su più unità produttive, ubicate in più provincie della stessa regione o in più regioni.
Come per il passato, si è disciplinata la possibilità di superare lo stallo decisionale tra le parti in caso di mancato accordo, con una differenza rispetto al 1970 (infra). Infatti, competenti a fornire le prescrizioni sulle modalità di impiego degli impianti audiovisivi e degli altri strumenti e, quindi, a rilasciare l’autorizzazione sono le sedi territoriali dell’Ispettorato nazionale del lavoro; nel caso di imprese con più unità produttive dislocate in più provincie, la competenza è attribuita alla sede centrale dello stesso Ispettorato .
Infine, rispetto alla previgente disposizione manca la facoltà per le parti (datore di lavoro e sindacati) di promuovere un ricorso amministrativo: perciò, i provvedimenti decisi in tale sede sono definitivi .
Particolare rilevanza, anche ai fini di una totale semplificazione degli oneri autorizzativi in capo al datore di lavoro, sono le disposizioni contenute ai commi 2 e 3 dell’articolo qui analizzato.
Dal loro combinato disposto scaturiscono due princìpi importanti nella disciplina in esame: innanzi tutto, il rispetto della procedura sindacale (ed eventualmente amministrativa) non è più richiesto al datore di lavoro in relazione agli «strumenti utilizzati dal lavoratore per rendere la prestazione lavorativa» e a quelli «di registrazione degli accessi e delle presenze» .
Che si sia introdotta una sensibile riduzione della mediazione sindacale, nonché amministrativa, nella procedimentalizzazione dell’esercizio del potere datoriale di controllo, è indubbio: però, per valutare al meglio la portata e gli effetti della novella legislativa, vanno analizzati i singoli casi di specie e interpretare che cosa si intenda esattamente per gli strumenti prima indicati.
Il secondo, nuovo principio introdotto per effetto della novella legislativa è l’indicazione, secondo cui le informazioni raccolte da questo uso siano utilizzabili «a tutti i fini connessi al rapporto di lavoro», purché preventivamente «sia data al lavoratore adeguata informazione delle modalità d’uso degli strumenti e di effettuazione dei controlli e nel rispetto di quanto disposto dal decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196» .
In sintesi, se nel complesso dalla novella legislativa emergono, sia un ridimensionamento del ruolo attribuito alla mediazione sindacale (e amministrativa) sia un rafforzamento del potere datoriale di controllo, più ampio rispetto al passato, la possibile controtendenza rispetto a tale indicazione potrebbe essere costituita da un eventuale, più incisivo ruolo della stessa mediazione in tema di controlli difensivi , per i quali, prima delle modifiche del 2015/2016, secondo la giurisprudenza nettamente maggioritaria, il datore non doveva rispettare la procedura negoziale.
Alla luce delle modifiche legislative dell’art. 4, in virtù della necessità dell’accordo o dell’autorizzazione amministrativa per gli impianti audiovisivi e gli altri strumenti installati, anche ai fini della tutela del patrimonio aziendale, oggi, si pone il problema se occorra o no la descritta mediazione.
Gli orientamenti in dottrina sono divisi tra favorevoli e contrari , ferma restando l’interpretazione della giurisprudenza, che ha continuato a ritenere prevalente l’esigenza di evitare condotte illecite.
Nel complesso, dopo le modifiche legislative del 2015/2016, il sindacato è stato comunque ridimensionato nel suo ruolo rispetto alla previgente disciplina. Anche in virtù di una certa indeterminatezza della nuova disposizione legale, potrà comunque svolgere in senso lato una funzione di tutela, resa ancora più necessaria in una fase caratterizzata dalla crescente pervasività delle moderne tecnologie e dell’intelligenza artificiale, che rendono il lavoratore in una posizione di maggiore debolezza.