Se c’è un fenomeno che la pandemia sembra aver amplificato enormemente è proprio quello delle disuguaglianze, in particolare quelle di genere (non a caso il Governo italiano ha elaborato per la prima volta nel luglio 2021 una vera e propria Strategia Nazionale per la parità ).
Ecco perché, nell’attuale fase storica, questo volumetto curato da Cristina Giachi e Maria Luisa Vallauri appare tanto più prezioso.
Ripercorrendo brevemente quella parte della imponente produzione di Simone de Beauvoir rivolta alla liberazione della donna “dalla prigione dell’immanenza, nella quale la costruzione del femminile l’ha rinchiusa” , le due curatrici si prefiggono infatti, un obiettivo più alto: porre l’attenzione sul fatto che, pur essendo il lavoro il prioritario strumento di emancipazione individuale e di partecipazione politica dell’essere umano, ancora oggi le donne si trovano, da un lato, imprigionate nella “trappola della conciliazione” e, dall’altro, in qualche modo beffate dal fenomeno delle c.d. “donne alibi”.
La prima trappola consiste nel fatto che i pur importanti strumenti sviluppati dal nostro legislatore per il sostegno della genitorialità (come i congedi parentali, i contratti flessibili, etc…), limitandosi a conciliare il ruolo genitoriale tout court con quello professionale, finiscono spesso per indurre solo le donne – su cui ricade, di regola, in modo preponderante il lavoro di cura – a farvi ricorso, così finendo per perpetuare (anziché superare) il tradizionale modello di ripartizione dei compiti c.d. male-breadwinner versus female-caregiver (come del resto sembrano aver pienamente dimostrato i dati durante la pandemia) .
Quanto al fenomeno delle “donne alibi”, esso consiste nell’utilizzare strumentalmente la presenza di alcune donne in posizioni apicali al fine di negare l’esistenza di una effettiva disparità tra i generi (fenomeno, quest’ultimo, messo recentemente in luce da una ricerca che ha evidenziato come la legge che obbliga le società quotate e pubbliche a introdurre quote di genere negli organi di amministrazione e controllo , pur avendo aumentato il numero di donne negli organi apicali, non sia purtroppo riuscita a promuovere la parità di genere a tutti i livelli organizzativi).
Sebbene non si tratti di tematiche di facile soluzione vi sono, non di meno, due dati – messi in luce da Simone in quella che forse può essere definita la sua opera più importante – che, uniti all’ormai assodata consapevolezza circa l’esistenza di una relazione inversamente proporzionale tra gender gap e PIL , sembrano non più sottovalutabili. Il primo, quantitativo, è che le donne rappresentano la maggioranza (non la minoranza) del genere umano; il secondo, culturale, è che l’uomo (inteso come maschio) non è una specie naturale quanto, piuttosto, una idea storica (in quanto tale modificabile).
Stando così le cose non vi è chi non veda come oggi gli “ingredienti” sul tavolo appaiano sufficienti quanto meno per provare – vuoi per amore di libertà, vuoi per necessità – a delineare «un nuovo patto sociale di genere» .