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SENTENZA DELLA CORTE (Quinta Sezione)
9 novembre 2017 (*)
«Rinvio pregiudiziale – Direttiva 97/81/CE – Accordo quadro UNICE, CEEP e CES sul lavoro a tempo parziale – Clausola 4 – Lavoratori di sesso maschile e lavoratori di sesso femminile – Parità di trattamento in materia di previdenza sociale – Direttiva 79/7/CEE – Articolo 4 – Lavoratore a tempo parziale di tipo verticale – Prestazioni di disoccupazione – Normativa nazionale che esclude i periodi di contribuzione dei giorni non lavorati ai fini della determinazione della durata della prestazione»
Nella causa C 98/15,
avente ad oggetto la domanda di pronuncia pregiudiziale proposta alla Corte, ai sensi dell’articolo 267 TFUE, dallo Juzgado de lo Social n. 33 de Barcelona (Tribunale del lavoro n. 33 di Barcellona, Spagna), con decisione del 6 febbraio 2015, pervenuta in cancelleria il 27 febbraio 2015, nel procedimento
María Begoña Espadas Recio
contro
Servicio Público de Empleo Estatal (SPEE),
LA CORTE (Quinta Sezione),
composta da F. Biltgen (relatore), facente funzione di presidente di sezione, A. Tizzano, vicepresidente della Corte, E. Levits, A. Borg Barthet e M. Berger, giudici,
avvocato generale: E. Sharpston
cancelliere: V. Tourrès, amministratore
vista la fase scritta del procedimento e in seguito all’udienza del 15 giugno 2016,
considerate le osservazioni presentate:
– per Maria Begoña Espadas Recio, da A.Calvo Calmache, abogado,
– per il governo spagnolo, da A. Gavela Llopis, V. Ester Casas, L. Banciella Rodríguez-Miñón e A. Rubio González, in qualità di agenti;
– per la Commissione europea, da S. Pardo Quintillán, A. Szmytkowska e M. van Beek, in qualità di agenti,
sentite le conclusioni dell’avvocato generale, presentate all’udienza del 16 marzo 2017,
ha pronunciato la seguente
Sentenza
1 La domanda di pronuncia pregiudiziale verte sull’interpretazione, da un lato, della clausola 4 dell’accordo quadro sul lavoro a tempo parziale, concluso il 6 giugno 1997 (in prosieguo: l’«accordo quadro»), contenuta nell’allegato della direttiva 97/81/CE del Consiglio, del 15 dicembre 1997, relativa all’accordo quadro sul lavoro a tempo parziale concluso dall’UNICE, dal CEEP e dalla CES (GU 1998, L 14, pag. 9), e, dall’altro, dell’articolo 4 della direttiva 79/7/CEE del Consiglio, del 19 dicembre 1978, relativa alla graduale attuazione del principio di parità di trattamento tra gli uomini e le donne in materia di sicurezza sociale (GU 1979, L 6, pag. 24).
2 Tale domanda è stata presentata nell’ambito di una controversia tra la sig.ra María Begoña Espadas Recio e il Servicio Público de Empleo Estatal (SPEE) (Servizio statale per il pubblico impiego, Spagna), relativamente alla determinazione della base di calcolo della durata della prestazione di disoccupazione per i lavoratori a tempo parziale di tipo verticale.
Contesto normativo
Diritto dell’Unione
3 Il considerando 4 dell’accordo quadro così recita:
«[C]onsiderando che le conclusioni del Consiglio europeo di Essen hanno sottolineato la necessità di promuovere l’occupazione e le pari opportunità tra donne e uomini e hanno auspicato l’assunzione di misure che abbiano come obiettivo un “aumento dell’intensità occupazionale della crescita, in particolare attraverso un’organizzazione del lavoro più flessibile che risponda tanto agli auspici dei lavoratori quanto alle esigenze della concorrenza”».
4 L’accordo quadro, a termini della sua clausola 1, lettera a), ha per oggetto «di assicurare la soppressione delle discriminazioni nei confronti dei lavoratori a tempo parziale e di migliorare la qualità del lavoro a tempo parziale».
5 A norma della successiva clausola 2, punto 1, l’accordo quadro «si applica ai lavoratori a tempo parziale che hanno un contratto o un rapporto di lavoro definito per legge, contratto collettivo o in base alle prassi in vigore in ogni Stato membro».
6 La successiva clausola 3, punto 1, definisce come «lavoratore a tempo parziale» il lavoratore il cui orario di lavoro normale, calcolato su base settimanale o in media su un periodo di impiego che può andare fino ad un anno, è inferiore a quello di un lavoratore a tempo pieno comparabile.
7 La clausola 4, paragrafi 1 e 2, dell’accordo medesimo dispone quanto segue:
«1. Per quanto attiene alle condizioni di impiego, i lavoratori a tempo parziale non devono essere trattati in modo meno favorevole rispetto ai lavoratori a tempo pieno comparabili per il solo motivo di lavorare a tempo parziale, a meno che un trattamento differente sia giustificato da ragioni obiettive.
2. Dove opportuno, si applica il principio “pro rata temporis”».
8 A termini della successiva clausola 5, punto 1, lettera a),:
«Nel quadro della clausola 1 del presente accordo e del principio di non-discriminazione tra lavoratori a tempo parziale e lavoratori a tempo pieno:
a) gli Stati membri, dopo aver consultato le parti sociali conformemente alla legge o alle prassi nazionali, dovrebbero identificare ed esaminare gli ostacoli di natura giuridica o amministrativa che possono limitare le possibilità di lavoro a tempo parziale e, se del caso, eliminarli».
9 La direttiva 79/7 si applica, ai sensi del suo articolo 2, in particolare ai lavoratori la cui attività si trovi interrotta per disoccupazione involontaria.
10 Conformemente all’articolo 3 della direttiva medesima, rientrano altresì nel suo ambito di applicazione i regimi normativi istituiti a protezione contro la disoccupazione.
11 Il successivo articolo 4, paragrafo 1, dispone quanto segue:
«Il principio della parità di trattamento implica l’assenza di qualsiasi discriminazione direttamente o indirettamente fondata sul sesso, in particolare mediante riferimento allo stato matrimoniale o di famiglia, specificamente per quanto riguarda:
– il campo di applicazione dei regimi e le condizioni di ammissione ad essi,
– l’obbligo di versare i contributi e il calcolo degli stessi,
– il calcolo delle prestazioni, comprese le maggiorazioni da corrispondere per il coniuge e per le persone a carico, nonché le condizioni relative alla durata e al mantenimento del diritto alle prestazioni».
Quadro normativo spagnolo
12 Gli articoli da 203 a 234 della Ley General de la Seguridad Social (legge generale sulla previdenza sociale), nel testo approvato dal Real Decreto Legislativo 1/1994 (regio decreto legislativo 1/1994), del 20 giugno 1994 (BOE n. 154, del 29 giugno 1994, pag. 20658) (in prosieguo: la «LGSS»), disciplinano la tutela dei disoccupati.
13 Conformemente all’articolo 204, paragrafo 1, della LGSS, la tutela contro la disoccupazione implica un regime contributivo e un regime assistenziale, entrambi di carattere pubblico e obbligatorio. Il procedimento principale riguarda il regime contributivo.
14 L’articolo 204, paragrafo 2, della LGSS definisce il regime contributivo come «[avente] lo scopo di fornire prestazioni sostitutive dei redditi salariali non percepiti a causa della perdita del precedente impiego o della riduzione dell’orario di lavoro».
15 Per quanto concerne la durata della prestazione di disoccupazione nella sua parte contributiva, l’articolo 210, paragrafo 1, della LGSS così recita:
«La durata della prestazione di disoccupazione è determinata in base ai periodi di contribuzione nei sei anni precedenti alla situazione legale di disoccupazione o al momento in cui è cessato l’obbligo di versare i contributi, secondo la seguente scala:
Periodo di contribuzione (in giorni) / Durata della prestazione (in giorni)
Da 360 a 539: 120
Da 540 a 719: 180
Da 720 a 899: 240
Da 900 a 1 079: 300
Da 1 080 a 1 259: 360
Da 1 260 a 1 439: 420
Da 1 440 a 1 619: 480
Da 1 620 a 1 799: 540
Da 1 800 a 1 979: 600
Da 1 980 a 2 159: 660
Oltre 2.160: 720».
16 Riguardo ai lavoratori a tempo parziale, disposizioni regolamentari sono state adottate dal Real Decreto 625/1985 por el que se desarrolla la Ley 31/1984, de 2 de agosto, de Protección por Desempleo (regio decreto 625/1985, recante applicazione della legge 31/1984, del 2 agosto, sulla tutela dei disoccupati), del 2 aprile 1985 (BOE n. 109, del 7 maggio 1985, pag. 12699; in prosieguo: il «RD 625/1985»).
17 L’articolo 3, paragrafo 4, del RD 625/1985 stabilisce che, qualora gli accrediti contributivi corrispondano a un lavoro a tempo parziale o al lavoro effettivo nei casi di riduzione dell’orario di lavoro, ogni giorno lavorativo viene computato come giorno di contribuzione, indipendentemente dall’orario di lavoro.
Procedimento principale e questioni pregiudiziali
18 Nel periodo compreso tra il 23 dicembre 1999 e il 29 luglio 2013, la sig.ra Espadas Recio svolgeva, senza soluzione di continuità, attività lavorativa a tempo parziale come addetta alle pulizie. Il suo orario di lavoro era così strutturato: due ore e mezza il lunedì, il mercoledì e il giovedì di ogni settimana, e quattro ore il primo venerdì di ogni mese.
19 Successivamente alla cessazione del suo rapporto di lavoro, la sig.ra Espadas Recio chiedeva di beneficiare delle prestazioni di disoccupazione. Con decisione dello SPEE del 30 settembre 2013, il beneficio di tali prestazioni le veniva concesso per un periodo di 120 giorni.
20 Ritenendo di aver diritto a prestazioni di disoccupazione per un periodo di 720 giorni, e non di 120 giorni soltanto, la sig.ra Espadas Recio proponeva reclamo avverso detta decisione.
21 Con decisione del 9 dicembre 2013, lo SPEE riconosceva alla sig.ra Espadas Recio il beneficio di 420 giorni di prestazioni di disoccupazione. Nel determinare tale periodo di 420 giorni, lo SPEE si basava sul rilievo che, in applicazione del combinato disposto dell’articolo 210 della LGSS e dell’articolo 3, paragrafo 4, del RD 625/1985, in caso di lavoro a tempo parziale, se la durata della prestazione di disoccupazione è determinata in funzione dei giorni di contribuzione nei sei anni precedenti, occorre prendere in considerazione unicamente i soli giorni effettivamente lavorati, nel caso di specie 1 387, e non i sei anni di contribuzione nel loro complesso.
22 Ritenendo di aver versato i contributi integralmente negli ultimi sei anni, la sig.ra Espadas Recio proponeva ricorso dinanzi allo Juzgado de lo Social n. 33 de Barcelona (Tribunale del lavoro n. 33 di Barcellona, Spagna) al fine di contestare i conteggi individuali come determinati dallo SPEE.
23 La domanda della sig.ra Espadas Recio verte sulla durata della prestazione di disoccupazione riconosciutale dallo SPEE. A suo avviso, avendo lavorato per sei anni consecutivi, versando i contributi per 30 o 31 giorni al mese (per un totale di 2 160 giorni), avrebbe diritto ad una prestazione di disoccupazione della durata di 720 giorni, anziché alla prestazione di 420 giorni riconosciutale, ovvero i tre quinti della durata massima. A suo parere, l’esclusione dei giorni non lavorati, ai fini del calcolo della sua prestazione di disoccupazione, equivarrebbe ad istituire una disparità di trattamento a sfavore dei lavoratori a tempo parziale di tipo verticale. Il lavoro a tempo parziale è denominato «verticale» quando la persona che lo esercita concentra le sue ore di lavoro su alcuni giorni lavorati della settimana, e «orizzontale» quando la persona che lo esercita lavora tutti i giorni lavorati della settimana. Nel caso di specie, la sig.ra Espadas Recio ha concentrato le sue ore di lavoro essenzialmente su tre giorni alla settimana.
24 Il giudice del rinvio rileva che l’interessata dimostra di aver versato i contributi integralmente negli ultimi sei anni precedenti alla cessazione del suo rapporto di lavoro e che i contributi mensili sono stati calcolati in base alla retribuzione percepita nel corso di un intero mese (ossia 30 o 31 giorni), e non delle ore o dei giorni lavorati. Lo stesso giudice osserva tuttavia che, nel caso di un lavoratore a tempo parziale verticale quale la ricorrente, la normativa nazionale oggetto del procedimento principale consentirebbe di tener conto dei soli giorni lavorati, e non dell’insieme dei sei anni di contribuzione. Pertanto, i giorni di contribuzione obbligatoria non sarebbero presi in considerazione nella loro totalità ai fini della determinazione della durata della prestazione di disoccupazione.
25 In realtà, secondo detto giudice, tale categoria di lavoratori risulterebbe doppiamente penalizzata, dato che il principio del pro rata temporis si applicherebbe due volte nel caso del lavoro a tempo parziale verticale: in primo luogo, la retribuzione mensile meno elevata in ragione del lavoro a tempo parziale comporterebbe una prestazione di disoccupazione di importo proporzionalmente inferiore e, in secondo luogo, la durata di tale prestazione risulterebbe ridotta, venendo presi in considerazione solo i giorni lavorati, sebbene il periodo di contribuzione sia più esteso.
26 Per contro, agli altri lavoratori, svolgenti attività lavorativa a tempo parziale orizzontale (lavoro durante tutti i giorni lavorati) o a tempo pieno (indipendentemente dalla ripartizione delle ore di lavoro nel corso di una settimana), verrebbe riconosciuto il beneficio di una prestazione di disoccupazione per un periodo calcolato sull’integralità dei giorni di contribuzione.
27 Il giudice del rinvio aggiunge che è dimostrato che la normativa in questione nel procedimento principale incide in proporzione ben maggiore sulle donne che sugli uomini.
28 Ciò considerato, lo Juzgado de lo Social n. 33 de Barcelona (Tribunale del lavoro n. 33 di Barcellona) ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali:
«1) Se, in applicazione della giurisprudenza risultante dalla sentenza [del 10 giugno 2010,] Bruno e altri (C 395/08 e C 396/08, EU:C:2010:329), la clausola 4 dell’[accordo quadro] debba essere considerata applicabile a una prestazione contributiva di disoccupazione come quella di cui all’articolo 210 della [LGSS], finanziata esclusivamente con i contributi versati dal lavoratore e dai suoi datori di lavoro e calcolata in base ai periodi di impiego per i quali siano stati versati contributi nei sei anni precedenti alla situazione legale di disoccupazione.
2) In caso di risposta affermativa alla questione precedente, se, in applicazione della giurisprudenza risultante dalla sentenza [del 10 giugno 2010,] Bruno e altri (C 395/08 e C 396/08, EU:C:2010:329), la clausola 4 dell’accordo quadro debba essere interpretata nel senso che osti ad una disposizione nazionale, quale l’articolo 3, paragrafo 4, del [RD 625/1985], richiamato dalla regola quarta della settima disposizione addizionale, paragrafo 1, della [LGSS], che, nei casi di lavoro a tempo parziale “verticale” (lavoro per tre soli giorni alla settimana), escluda, ai fini del calcolo della durata della prestazione di disoccupazione, i giorni non lavorati, sebbene siano stati versati i contributi corrispondenti a tali giorni, con conseguente riduzione della durata della prestazione riconosciuta.
3) Se il divieto di discriminazione, diretta o indiretta, fondata sul sesso, di cui all’articolo 4 della [direttiva 79/7], debba essere interpretato nel senso che osti o si opponga ad una disposizione nazionale, quale l’articolo 3, paragrafo 4, del [RD 625/1985], che, nei casi di lavoro a tempo parziale “verticale” (lavoro per tre soli giorni alla settimana), escluda dal computo dei giorni di contribuzione i giorni non lavorati, con conseguente riduzione della durata della prestazione di disoccupazione».
Sulle questioni pregiudiziali
Sulla prima questione
29 Con la prima questione, il giudice del rinvio chiede sostanzialmente se la clausola 4, punto 1, dell’accordo quadro sia applicabile a una prestazione contributiva di disoccupazione come quella in discussione nel procedimento principale.
30 In proposito, per giurisprudenza costante della Corte, la clausola 4, punto 1, dell’accordo quadro vieta di trattare, per quanto attiene alle condizioni di impiego, i lavoratori a tempo parziale in modo meno favorevole rispetto ai lavoratori a tempo pieno comparabili per il solo motivo che lavorino a tempo parziale, a meno che un trattamento differente sia giustificato da ragioni obiettive (sentenza del 13 luglio 2017, Kleinsteuber, C 354/16, EU:C:2017:539, punto 25).
31 Inoltre, la Corte ha dichiarato, da un lato, che dal preambolo dell’accordo quadro emerge che quest’ultimo riguarda le «condizioni di lavoro dei lavoratori a tempo parziale, riconoscendo che le questioni relative ai regimi legali di sicurezza sociale rinviano alle decisioni degli Stati membri» (sentenza del 14 aprile 2015, Cachaldora Fernández, C 527/13, EU:C:2015:215, punto 36).
32 La Corte ha rilevato, dall’altro, che rientrano nella nozione di «condizioni di impiego», ai sensi di detto accordo quadro, le pensioni che dipendono da un rapporto di lavoro tra il lavoratore e il datore di lavoro, ad esclusione delle pensioni legali di previdenza sociale, meno dipendenti da un rapporto siffatto che da considerazioni di ordine sociale (sentenze del 22 novembre 2012, Elbal Moreno, C 385/11, EU:C:2012:746, punto 21, e del 14 aprile 2015, Cachaldora Fernández, C 527/13, EU:C:2015:215, punto 37).
33 Nel caso di specie, dagli atti di causa a disposizione della Corte risulta che, sebbene la prestazione di cui trattasi nel procedimento principale sia finanziata esclusivamente dai contributi versati dal lavoratore e dal datore di lavoro, tali contributi sono versati in applicazione della normativa nazionale e, di conseguenza, non sono regolati dal contratto di lavoro concluso tra il lavoratore e il datore di lavoro. Pertanto, come rilevato dall’avvocato generale al paragrafo 38 delle sue conclusioni, tale sistema presenta più analogie con un regime previdenziale amministrato dallo Stato, ai sensi della giurisprudenza richiamata nel punto precedente. Detti contributi, pertanto, non possono rientrare nella nozione di «condizione di impiego».
34 Di conseguenza, si deve rispondere alla prima questione pregiudiziale dichiarando che la clausola 4, punto 1, dell’accordo quadro non è applicabile a una prestazione contributiva di disoccupazione come quella in discussione nel procedimento principale.
Sulla seconda questione
35 Alla luce della risposta fornita alla prima questione, non occorre rispondere alla seconda questione.
Sulla terza questione
36 Con la terza questione, il giudice del rinvio chiede, sostanzialmente, se l’articolo 4, paragrafo 1, della direttiva 79/7 debba essere interpretato nel senso che osti ad una normativa di uno Stato membro che, nel caso di lavoro a tempo parziale verticale, escluda i giorni non lavorati dal calcolo dei giorni di contribuzione, con conseguente riduzione del periodo di erogazione della prestazione di disoccupazione, quando la maggior parte dei lavoratori a tempo parziale verticale sia costituita da donne che subiscano le conseguenze negative di dette misure nazionali.
37 Per rispondere a tale questione, occorre ricordare che, pur essendo pacifico che il diritto dell’Unione rispetta la competenza degli Stati membri ad organizzare i propri sistemi previdenziali e che, in mancanza di un’armonizzazione a livello dell’Unione, spetta alla normativa di ciascuno Stato membro determinare le condizioni per la concessione delle prestazioni in materia previdenziale, resta tuttavia fermo che, nell’esercizio di tale competenza, gli Stati membri devono rispettare il diritto dell’Unione (sentenze del 16 maggio 2006, Watts, C 372/04, EU:C:2006:325, punto 92 e giurisprudenza ivi citata, nonché del 5 novembre 2014, Somova, C 103/13, EU:C:2014:2334, punti da 33 a 35 e giurisprudenza ivi citata).
38 Per quanto riguarda la questione se una normativa come quella in esame nel procedimento principale realizzi, come suggerito dal giudice del rinvio, una discriminazione indiretta nei confronti delle donne, da costante giurisprudenza della Corte emerge che vi è discriminazione indiretta quando l’applicazione di un provvedimento nazionale, pur formulato in termini neutri, sfavorisca di fatto un numero molto più alto di donne che di uomini (sentenze del 20 ottobre 2011, Brachner, C 123/10, EU:C:2011:675, punto 56 e giurisprudenza ivi citata, nonché del 22 novembre 2012, Elbal Moreno, C 385/11, EU:C:2012:746, punto 29).
39 Nel caso di specie si deve rilevare che la disposizione nazionale oggetto del procedimento principale riguarda il gruppo dei lavoratori a tempo parziale, il quale, alla luce dei rilievi effettuati dal giudice del rinvio, è costituito in grande maggioranza da lavoratori di sesso femminile. Si deve quindi rispondere alla questione sollevata basandosi su tali rilievi.
40 Va precisato, al riguardo, che la controversia oggetto del procedimento principale si distingue da quella sfociata nella sentenza del 14 aprile 2015, Cachaldora Fernández (C 527/13, EU:C:2015:215), nella quale la Corte ha concluso che la normativa in questione, relativa alla determinazione della base di calcolo di una pensione per invalidità permanente totale, non comportava una discriminazione ai sensi dell’articolo 4, paragrafo 1, della direttiva 79/7. In tale sentenza, la Corte ha infatti considerato, da un lato, che essa non disponeva di informazioni statistiche inconfutabili concernenti il numero di lavoratori a tempo parziale le cui contribuzioni erano state interrotte o che indicassero che tale gruppo di lavoratori era costituito principalmente da donne (v., in tal senso, sentenza del 14 aprile 2015, Cachaldora Fernández, C 527/13, EU:C:2015:215, punto 30) e, dall’altro, che la misura in esame aveva effetti aleatori, poiché alcuni lavoratori a tempo parziale, gruppo asseritamente sfavorito da detta misura, potevano essere addirittura avvantaggiati dall’applicazione della medesima misura.
41 Orbene, nel caso di specie, oltre al fatto che i dati statistici forniti dal giudice del rinvio non sono contestati, dagli atti a disposizione della Corte risulta chiaramente che i lavoratori a tempo parziale verticale rientranti nell’ambito di applicazione della misura nazionale in questione nel procedimento principale sono tutti pregiudicati da tale misura nazionale, poiché, a causa di quest’ultima, il periodo durante il quale essi possono beneficiare di una prestazione di disoccupazione è ridotto rispetto a quello riconosciuto ai lavoratori a tempo parziale orizzontale. Inoltre, è stato dimostrato che nessun lavoratore appartenente a tale gruppo può trarre un vantaggio dall’applicazione di una misura del genere.
42 Inoltre, nel procedimento principale, il giudice del rinvio ha avuto cura di precisare che i dati statistici relativi al lavoro a tempo parziale riguardano in ugual misura tutti i lavoratori a tempo parziale, a prescindere dal fatto che il loro orario di lavoro sia strutturato in modo orizzontale o verticale. Pertanto, secondo il giudice del rinvio, mentre la percentuale compresa tra il 70% e l’80% dei lavoratori a tempo parziale verticale è costituita da donne, la stessa proporzione si ripete per quanto concerne i lavoratori a tempo parziale orizzontale. Tali informazioni consentono di concludere che un numero molto più elevato di donne che di uomini risulta sfavorito dalla misura nazionale oggetto del procedimento principale.
43 Ciò considerato, è giocoforza concludere che una misura come quella oggetto del procedimento principale costituisce una disparità di trattamento a sfavore delle donne ai sensi della giurisprudenza richiamata al punto [38] supra.
44 Orbene, una misura di tal genere è contraria all’articolo 4, paragrafo 1, della direttiva 79/7, salvo che non risulti giustificata da fattori obiettivi ed estranei a qualsiasi discriminazione fondata sul sesso. Ciò avviene se i mezzi scelti rispondono ad uno scopo legittimo di politica sociale, se sono idonei a raggiungere tale obiettivo e se sono necessari a tal fine (v., in tal senso, sentenza del 22 novembre 2012, Elbal Moreno, C 385/11, EU:C:2012:746, punto 32).
45 Nel caso di specie occorre rilevare che, sebbene la domanda di pronuncia pregiudiziale non contenga alcun riferimento all’obiettivo perseguito dalla misura in discussione nel procedimento principale, il Regno di Spagna ha fatto valere, all’udienza, che il principio del «contributo al sistema previdenziale» giustifica l’esistenza della disparità di trattamento constatata. Pertanto, poiché il diritto alla prestazione di disoccupazione e la durata di tale prestazione sono determinati esclusivamente in base al periodo durante il quale il lavoratore ha prestato la propria attività lavorativa o è stato iscritto al sistema di previdenza sociale, occorrerebbe, al fine di rispettare il principio di proporzionalità, tener conto unicamente dei giorni effettivamente lavorati.
46 A tal riguardo, e sebbene spetti in ultima analisi al giudice nazionale valutare se tale obiettivo sia effettivamente quello perseguito dal legislatore nazionale, è sufficiente rilevare che la misura nazionale oggetto del procedimento principale non sembra idonea a garantire la correlazione che, secondo il governo spagnolo, deve sussistere tra i contributi versati dal lavoratore e i diritti che questi può richiedere in materia di prestazione di disoccupazione.
47 Infatti, come rilevato dall’avvocato generale al paragrafo 59 delle conclusioni, un lavoratore a tempo parziale verticale che abbia versato contributi per ogni giorno di tutti i mesi dell’anno riceve una prestazione di disoccupazione per un periodo di tempo inferiore rispetto a un lavoratore a tempo pieno che abbia versato gli stessi contributi. Pertanto, nei confronti del primo di questi due lavoratori, la correlazione invocata dal governo spagnolo non è manifestamente garantita.
48 Orbene, come osservato dall’avvocato generale al paragrafo 58 delle conclusioni, tale correlazione potrebbe essere garantita se, per quanto concerne i lavoratori a tempo parziale verticale, le autorità nazionali tenessero conto di altri elementi, quali ad esempio, il periodo durante il quale tali lavoratori e i loro datori di lavoro hanno versato i contributi, l’importo totale dei contributi versati o il cumulo delle ore di lavoro, e detti elementi, secondo le spiegazioni fornite dal giudice del rinvio, sono presi in considerazione per tutti i lavoratori il cui orario di lavoro è strutturato in modo orizzontale, a prescindere dal fatto che essi lavorino a tempo pieno o a tempo parziale.
49 Alla luce di tutte le suesposte considerazioni, si deve rispondere alla terza questione dichiarando che l’articolo 4, paragrafo 1, della direttiva 79/7 dev’essere interpretato nel senso che esso osta a una normativa di uno Stato membro che, nel caso di lavoro a tempo parziale verticale, escluda i giorni non lavorati dal calcolo dei giorni di contribuzione, con conseguente riduzione del periodo di erogazione della prestazione di disoccupazione, quando la maggior parte dei lavoratori a tempo parziale verticale sia costituita da donne che subiscano le conseguenze negative di detta normativa.
Sulle spese
50 Nei confronti delle parti nel procedimento principale la presente causa costituisce un incidente sollevato dinanzi al giudice del rinvio, cui spetta quindi statuire sulle spese. Le spese sostenute da altri soggetti per presentare osservazioni alla Corte non possono dar luogo a rifusione.
Per questi motivi, la Corte (Quinta Sezione) dichiara:
1) La clausola 4, punto 1,dell’accordo quadro sul lavoro a tempo parziale, concluso il 6 giugno 1997, contenuta nell’allegato della direttiva 97/81/CE del Consiglio, del 15 dicembre 1997, relativa all’accordo quadro sul lavoro a tempo parziale concluso dall’UNICE, dal CEEP e dalla CES, non è applicabile a una prestazione contributiva di disoccupazione come quella oggetto del procedimento principale.
2) L’articolo 4, paragrafo 1, della direttiva 79/7/CEE del Consiglio, del 19 dicembre 1978, relativa alla graduale attuazione del principio di parità di trattamento tra gli uomini e le donne in materia di sicurezza sociale, dev’essere interpretato nel senso che osta ad una normativa di uno Stato membro che, nel caso di lavoro a tempo parziale verticale, escluda i giorni non lavorati dal calcolo dei giorni di contribuzione, con conseguente riduzione del periodo di erogazione della prestazione di disoccupazione, quando la maggior parte dei lavoratori a tempo parziale verticale sia costituita da donne che subiscano le conseguenze negative di tale normativa.
Firme
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* Lingua processuale: lo spagnolo.