Corte di Giustizia dell’Unione Europea
SENTENZA DELLA CORTE (Grande Sezione)
6 settembre 2017 (*)
Indice
I. Decisione impugnata: contesto, genesi e contenuto
A. Contesto della decisione impugnata
B. Genesi della decisione impugnata
C. Contenuto della decisione impugnata
II. Procedimento dinanzi alla Corte e conclusioni delle parti
III. Sui ricorsi
A. Visione d’insieme dei motivi di ricorso
B. Rilievo preliminare
C. Sui motivi di ricorso relativi all’inadeguatezza dell’articolo 78, paragrafo 3, TFUE a fungere da base giuridica della decisione impugnata
1. Sul secondo motivo della Repubblica slovacca e sul primo motivo dell’Ungheria, relativi al carattere legislativo della decisione impugnata
a) Argomenti delle parti
b) Giudizio della Corte
2. Sulla prima parte del quinto motivo della Repubblica slovacca e sul secondo motivo dell’Ungheria, relativi all’assenza di carattere temporaneo della decisione impugnata e all’eccessiva durata di applicazione di tale decisione
a) Argomenti delle parti
b) Giudizio della Corte
3. Sulla seconda parte del quinto motivo della Repubblica slovacca, riguardante il fatto che la decisione impugnata non soddisfa i presupposti di applicazione dell’articolo 78, paragrafo 3, TFUE
a) Argomenti delle parti
b) Giudizio della Corte
D. Sui motivi di ricorso riguardanti la regolarità della procedura di adozione della decisione impugnata e relativi alla violazione delle forme sostanziali
1. Sul primo motivo della Repubblica slovacca e sul settimo motivo dell’Ungheria, relativi ad una violazione dell’articolo 68 TFUE
a) Argomenti delle parti
b) Giudizio della Corte
2. Sulla terza parte del terzo motivo e sulla prima parte del quarto motivo della Repubblica slovacca, nonché sul quinto motivo dell’Ungheria, relativi ad una violazione delle forme sostanziali, in quanto il Consiglio non avrebbe rispettato l’obbligo di consultazione del Parlamento previsto dall’articolo 78, paragrafo 3, TFUE
a) Argomenti delle parti
b) Giudizio della Corte
3. Sulla seconda parte del quarto motivo della Repubblica slovacca e sul terzo motivo dell’Ungheria, relativi ad una violazione di forme sostanziali per il fatto che il Consiglio non ha deciso all’unanimità, in contrasto con l’articolo 293, paragrafo 1, TFUE
a) Argomenti delle parti
b) Giudizio della Corte
4. Sulla prima e sulla seconda parte del terzo motivo della Repubblica slovacca e sul quarto motivo dell’Ungheria, relativi ad una violazione di forme sostanziali, in quanto il diritto dei parlamenti nazionali di emettere un parere in applicazione dei protocolli (n. 1) e (n. 2) non è stato rispettato e il Consiglio ha violato il requisito del carattere pubblico delle discussioni e del voto al suo interno
a) Argomenti delle parti
b) Giudizio della Corte
5. Sul sesto motivo dell’Ungheria, relativo ad una violazione di forme sostanziali per il fatto che, nell’adottare la decisione impugnata, il Consiglio non ha rispettato le norme del diritto dell’Unione in materia di uso delle lingue
a) Argomenti delle parti
b) Giudizio della Corte
E. Sui motivi di ricorso attinenti al merito
1. Sul sesto motivo della Repubblica slovacca, nonché sul nono e sul decimo motivo dell’Ungheria, relativi ad una violazione del principio di proporzionalità
a) Osservazioni preliminari
b) Sul sesto motivo della Repubblica slovacca, in quanto relativo all’inidoneità della decisione impugnata a realizzare l’obiettivo da essa perseguito
1) Argomenti delle parti
2) Giudizio della Corte
c) Sul sesto motivo della Repubblica slovacca, in quanto relativo al carattere non necessario della decisione impugnata in rapporto all’obiettivo da essa perseguito
1) Argomenti delle parti
2) Giudizio della Corte
d) Sul nono motivo dell’Ungheria, relativo al carattere non necessario della decisione impugnata in rapporto all’obiettivo da essa perseguito
1) Argomenti delle parti
2) Giudizio della Corte
e) Sul decimo motivo dell’Ungheria, relativo alla violazione del principio di proporzionalità a causa degli effetti particolari della decisione impugnata sull’Ungheria
1) Argomenti delle parti
2) Giudizio della Corte
2. Sull’ottavo motivo dell’Ungheria, relativo ad una violazione dei principi di certezza del diritto e di chiarezza normativa, nonché della Convenzione di Ginevra
a) Argomenti delle parti
b) Giudizio della Corte
IV. Sulle spese
«Ricorso di annullamento – Decisione (UE) 2015/1601 – Misure temporanee in materia di protezione internazionale a beneficio della Repubblica ellenica e della Repubblica italiana – Situazione di emergenza caratterizzata da un afflusso improvviso di cittadini di paesi terzi nel territorio di alcuni Stati membri – Ricollocazione di tali cittadini nel territorio degli altri Stati membri – Quote di ricollocazione – Articolo 78, paragrafo 3, TFUE – Base giuridica – Presupposti di applicazione – Nozione di “atto legislativo” – Articolo 289, paragrafo 3, TFUE – Carattere obbligatorio per il Consiglio dell’Unione europea di conclusioni adottate dal Consiglio europeo – Articolo 15, paragrafo 1, TUE e articolo 68 TFUE – Forme sostanziali – Modificazione della proposta della Commissione europea – Requisiti di una nuova consultazione del Parlamento europeo e di un voto unanime in seno al Consiglio dell’Unione europea – Articolo 293 TFUE – Principi di certezza del diritto e di proporzionalità»
Nelle cause riunite C‑643/15 e C‑647/15,
aventi ad oggetto alcuni ricorsi di annullamento ai sensi dell’articolo 263 TFUE, proposti rispettivamente il 2 e il 3 dicembre 2015,
Repubblica slovacca, rappresentata dal Ministerstvo spravodlivosti Slovenskej republiky (C‑643/15),
e
Ungheria, rappresentata da M. Z. Fehér e G. Koós, in qualità di agenti (C‑647/15),
ricorrenti,
sostenute da:
Repubblica di Polonia, rappresentata da B. Majczyna e M. Kamejsza, in qualità di agenti,
interveniente,
contro
Consiglio dell’Unione europea, rappresentato da M. Chavrier, K. Pleśniak, N. Pethő e Z. Kupčová, in qualità di agenti,
convenuto,
sostenuto da:
Regno del Belgio, rappresentato da J. Van Holm, M. Jacobs e C. Pochet, in qualità di agenti;
Repubblica federale di Germania, rappresentata da T. Henze, R. Kanitz e J. Möller (C‑647/15), in qualità di agenti;
Repubblica ellenica, rappresentata da M. Michelogiannaki e A. Samoni‑Rantou, in qualità di agenti, con domicilio eletto in Lussemburgo;
Repubblica francese, rappresentata da D. Colas, F.‑X. Bréchot e E. Armoet, in qualità di agenti;
Repubblica italiana, rappresentata da G. Palmieri, in qualità di agente, assistita da L. D’Ascia, avvocato dello Stato;
Granducato di Lussemburgo, rappresentato da A. Germeaux, C. Schiltz e D. Holderer, in qualità di agenti;
Regno di Svezia, rappresentato da A. Falk, C. Meyer‑Seitz, U. Persson, O. Widgren, E. Karlsson e L. Swedenborg, in qualità di agenti;
Commissione europea, rappresentata da M. Condou‑Durande e K. Talabér‑Ritz (C‑647/15) nonché da J. Baquero Cruz, A. Tokár (C‑643/15) e G. Wils, in qualità di agenti, con domicilio eletto in Lussemburgo,
intervenienti
LA CORTE (Grande Sezione),
composta da K. Lenaerts, presidente, A. Tizzano, vicepresidente, R. Silva de Lapuerta, M. Ilešič, L. Bay Larsen e A. Prechal (relatore), presidenti di sezione, J.‑C. Bonichot, A. Arabadjiev, C. Toader, M. Safjan, E. Jarašiūnas, C. G. Fernlund, C. Vajda, S. Rodin e F. Biltgen, giudici,
avvocato generale: Y. Bot
cancelliere: I. Illéssy, amministratore
vista la fase scritta del procedimento e in seguito all’udienza del 10 maggio 2017,
sentite le conclusioni dell’avvocato generale, presentate all’udienza del 26 luglio 2017,
ha pronunciato la seguente
Sentenza
1 Con i loro ricorsi, la Repubblica slovacca e l’Ungheria chiedono l’annullamento della decisione (UE) 2015/1601 del Consiglio, del 22 settembre 2015, che istituisce misure temporanee nel settore della protezione internazionale a beneficio dell’Italia e della Grecia (GU 2015, L 248, pag. 80; in prosieguo: la «decisione impugnata»).
I. Decisione impugnata: contesto, genesi e contenuto
A. Contesto della decisione impugnata
2 Il contesto nel quale è stata adottata la decisione impugnata viene descritto come segue nei considerando da 3 a 7 e da 10 a 16 di quest’ultima:
«(3) La recente situazione di crisi nel Mediterraneo ha indotto le istituzioni dell’Unione [europea] a riconoscere immediatamente l’eccezionalità dei flussi migratori in tale regione e a chiedere misure concrete di solidarietà nei confronti degli Stati membri in prima linea. In particolare, nella riunione congiunta dei ministri dell’interno e degli affari esteri del 20 aprile 2015, la Commissione [europea] ha presentato un piano di azione immediato in dieci punti in risposta alla crisi, che comprende un impegno a vagliare le opzioni per un meccanismo di ricollocazione di emergenza.
(4) Alla riunione del 23 aprile 2015 il Consiglio europeo ha deciso, tra l’altro, di rafforzare la solidarietà e la responsabilità interne e si è impegnato in particolare ad accrescere gli aiuti d’urgenza agli Stati membri in prima linea e a considerare opzioni per l’organizzazione di una ricollocazione di emergenza fra tutti gli Stati membri su base volontaria, nonché a inviare squadre dell’Ufficio europeo di sostegno per l’asilo (EASO) negli Stati membri in prima linea ai fini di un esame congiunto delle domande d’asilo, anche riguardo alla registrazione e al rilevamento delle impronte digitali.
(5) Nella risoluzione del 28 aprile 2015 il Parlamento europeo ha ribadito la necessità per l’Unione di fondare la sua risposta alle recenti tragedie nel Mediterraneo sul principio di solidarietà e di equa ripartizione della responsabilità e di intensificare gli sforzi in questo settore nei confronti degli Stati membri che accolgono il numero più elevato di rifugiati e richiedenti protezione internazionale in termini assoluti o relativi.
(6) Oltre a misure nel settore dell’asilo, gli Stati membri in prima linea dovrebbero intensificare gli sforzi tesi a istituire misure per far fronte a flussi migratori misti alle frontiere esterne dell’Unione europea. Tali misure dovrebbero salvaguardare i diritti delle persone bisognose di protezione internazionale e impedi[re] la migrazione irregolare.
(7) Nella riunione del 25 e 26 giugno 2015 il Consiglio europeo ha fra l’altro deciso che tre aspetti chiave dovrebbero avanzare di pari passo: ricollocazione/reinsediamento, rimpatrio/riammissione/reintegrazione e cooperazione con i paesi di origine e di transito. In particolare il Consiglio europeo, alla luce dell’attuale situazione di emergenza e dell’impegno di rafforzare la solidarietà e la responsabilità, ha raggiunto un accordo sulla ricollocazione temporanea ed eccezionale, su un periodo di due anni, di 40 000 persone in evidente bisogno di protezione internazionale dall’Italia e dalla Grecia in altri Stati membri, cui partecipino tutti gli Stati membri.
(…)
(10) Tra gli Stati membri soggetti a pressione considerevole e alla luce dei tragici eventi verificatisi di recente nel Mediterraneo, soprattutto l’Italia e la Grecia hanno registrato flussi senza precedenti di migranti, fra cui richiedenti in evidente bisogno di protezione internazionale, che arrivano nei loro territori e generano una pressione significativa sui loro sistemi di asilo e migrazione.
(11) Il 20 luglio 2015, rispecchiando le situazioni specifiche degli Stati membri, è stata adottata per consenso una risoluzione dei rappresentanti dei governi degli Stati membri, riuniti in sede di Consiglio [europeo], sulla ricollocazione dalla Grecia e dall’Italia di 40 000 persone in evidente bisogno di protezione internazionale. Durante un periodo di due anni, 24 000 persone saranno ricollocate dall’Italia e 16 000 persone saranno ricollocate dalla Grecia. Il 14 settembre 2015 il Consiglio [dell’Unione europea] ha adottato la decisione (UE) 2015/1523 [che istituisce misure temporanee nel settore della protezione internazionale a beneficio dell’Italia e della Grecia (GU 2015, L 239, pag. 146),] che istituisce un meccanismo di ricollocazione temporanea ed eccezionale dall’Italia e dalla Grecia in altri Stati membri di persone in evidente bisogno di protezione internazionale.
(12) Negli ultimi mesi la pressione migratoria alle frontiere esterne marittime e terrestri meridionali ha registrato una nuova impennata ed è proseguito lo spostamento dei flussi migratori dal Mediterraneo centrale al Mediterraneo orientale e verso la rotta dei Balcani occidentali, per effetto del numero crescente di migranti che arrivano e partono dalla Grecia. Vista la situazione, è opportuno autorizzare ulteriori misure temporanee per allentare la pressione sui sistemi d’asilo di Italia e Grecia.
(13) Secondo i dati dell’Agenzia europea per la gestione della cooperazione operativa alle frontiere esterne (Frontex), nei primi otto mesi del 2015 le rotte del Mediterraneo centrale e orientale sono state le più utilizzate per l’attraversamento irregolare delle frontiere dell’Unione. Dall’inizio del 2015 sono giunti irregolarmente in Italia circa 116 000 migranti (…) Nel maggio e giugno del 2015 Frontex ha rilevato 34 691 attraversamenti irregolari, contro 42 356 in luglio e agosto, pari a un incremento del 20%. Nel 2015 anche la Grecia ha registrato un sensibile aumento degli arrivi: nel paese sono giunti oltre 211 000 migranti irregolari (…) Nel maggio e giugno del 2015 Frontex ha rilevato 53 624 attraversamenti irregolari, contro 137 000 in luglio e agosto, pari a un incremento del 250%. Una percentuale significativa del numero totale di migranti irregolari individuati in queste due regioni era costituita da migranti di nazionalità che, stando ai dati [dell’Ufficio Statistico dell’Unione europea (Eurostat)], godono di un alto tasso di riconoscimento a livello di Unione.
(14) Secondo dati Eurostat e EASO, tra gennaio e luglio 2015 i richiedenti protezione internazionale in Italia erano 39 183, contro 30 755 nello stesso periodo del 2014 (pari a un incremento del 27%). In Grecia è stato registrato un aumento analogo (30%) del numero delle domande, con 7 475 richiedenti.
(15) Finora sono state intraprese molte azioni per sostenere l’Italia e la Grecia nel quadro della politica di migrazione e di asilo, tra cui sostanziali aiuti di emergenza e il sostegno operativo dell’EASO. (…).
(16) A causa dell’instabilità e dei conflitti costanti nel vicinato diretto dell’Italia e della Grecia e delle ripercussioni dei flussi migratori su altri Stati membri, è molto probabile che i loro sistemi di asilo e migrazione continueranno a subire una pressione significativa e crescente, con una percentuale significativa di migranti potenzialmente bisognosi di protezione internazionale. Ciò dimostra la fondamentale necessità di dare prova di solidarietà all’Italia e alla Grecia e di integrare le azioni intraprese finora a sostegno di tali paesi con misure temporanee nel settore dell’asilo e della migrazione».
B. Genesi della decisione impugnata
3 Il 9 settembre 2015, la Commissione ha presentato, sulla base dell’articolo 78, paragrafo 3, TFUE, una proposta di decisione del Consiglio che istituisce misure temporanee nel settore della protezione internazionale a beneficio dell’Italia, della Grecia e dell’Ungheria [COM(2015) 451; in prosieguo: la «proposta iniziale della Commissione»].
4 Lo stesso giorno, la Commissione ha altresì presentato, sulla base dell’articolo 78, paragrafo 2, lettera e), TFUE, une proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio che istituisce un meccanismo di ricollocazione di crisi e modifica il regolamento (UE) n. 604/2013 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 giugno 2013, che stabilisce i criteri e i meccanismi di determinazione dello Stato membro competente per l’esame di una domanda di protezione internazionale presentata in uno degli Stati membri da un cittadino di un paese terzo o da un apolide [COM(2015) 450].
5 La proposta iniziale della Commissione prevedeva la ricollocazione di 120 000 richiedenti una protezione internazionale, a partire dall’Italia (15 600 persone), dalla Grecia (50 400 persone) e dall’Ungheria (54 000 persone) verso gli altri Stati membri. L’allegato che accompagnava tale proposta conteneva tre tabelle che ripartivano detti richiedenti, rispettivamente in provenienza dai tre Stati membri di cui sopra, tra gli altri Stati membri, ad eccezione del Regno Unito, dell’Irlanda e della Danimarca, sotto forma di quote fissate per ciascuno di questi Stati membri ospitanti.
6 Il 13 settembre 2015 la Commissione ha trasmesso tale proposta ai parlamenti nazionali.
7 Con una lettera in data 14 settembre 2015, il Consiglio ha trasmesso la suddetta proposta al Parlamento per consultazione. In tale lettera, il Consiglio chiedeva al Parlamento di esprimere il proprio parere il più rapidamente possibile, tenuto conto della situazione di emergenza nel Mar Mediterraneo e sulla rotta occidentale dei Balcani, e si impegnava a tenere il Parlamento al corrente in via informale in merito agli sviluppi della questione in seno al Consiglio.
8 Il 17 settembre 2015, il Parlamento ha adottato una risoluzione legislativa che ha approvato la medesima proposta alla luce, in particolare, della «situazione di emergenza eccezionale e [della] necessità di porvi rimedio senza indugiare oltre», chiedendo al tempo stesso al Consiglio di essere nuovamente consultato qualora quest’ultimo intendesse modificare in modo sostanziale la proposta iniziale della Commissione.
9 Nel corso delle varie riunioni che si sono tenute in seno al Consiglio tra il 17 e il 22 settembre 2015, la proposta iniziale della Commissione è stata modificata in alcuni punti.
10 In particolare, in occasione di tali riunioni, l’Ungheria ha fatto sapere che rifiutava l’idea di essere qualificata come «Stato membro in prima linea» e che essa non desiderava figurare tra gli Stati membri beneficiari della ricollocazione allo stesso titolo dell’Italia e della Grecia. Pertanto, nel testo finale della proposta, qualsiasi menzione dell’Ungheria come Stato membro beneficiario, anche nel titolo della proposta, è stata soppressa. Allo stesso modo, è stato soppresso l’allegato III della proposta iniziale della Commissione vertente sulla ripartizione di 54 000 richiedenti protezione internazionale riguardo ai quali si era inizialmente previsto che sarebbero stati ricollocati a partire dall’Ungheria. Per contro, l’Ungheria è stata inclusa negli allegati I e II quale Stato membro di ricollocazione dei richiedenti protezione internazionale provenienti, rispettivamente, dall’Italia e dalla Grecia, e le sono state quindi assegnate delle quote in tali allegati.
11 Il 22 settembre 2015, la proposta iniziale della Commissione così modificata è stata adottata dal Consiglio a maggioranza qualificata. La Repubblica ceca, l’Ungheria, la Romania e la Repubblica slovacca hanno votato contro l’adozione di tale proposta. La Repubblica di Finlandia si è astenuta.
C. Contenuto della decisione impugnata
12 I considerando 2, 22, 23, 26, 30, 32, 35 e 44 della decisione impugnata enunciano quanto segue:
«(2) Conformemente all’articolo 80 [TFUE], le politiche dell’Unione relative ai controlli alle frontiere, all’asilo e all’immigrazione e la loro attuazione devono essere governate dal principio di solidarietà e di equa ripartizione della responsabilità tra Stati membri, e gli atti dell’Unione adottati in questo settore devono contenere misure appropriate ai fini dell’applicazione di tale principio.
(…)
(22) A norma dell’articolo 78, paragrafo 3, [TFUE], è opportuno che le misure previste a beneficio dell’Italia e della Grecia siano di natura temporanea. Un periodo di 24 mesi è ragionevole per garantire che le misure previste dalla presente decisione abbiano un impatto reale ai fini del sostegno fornito all’Italia e alla Grecia nella gestione dei forti flussi migratori nei loro territori.
(23) Le misure relative alla ricollocazione dall’Italia e dalla Grecia previste dalla presente decisione comportano una deroga temporanea alla norma prevista all’articolo 13, paragrafo 1, del [regolamento (UE) n. 604/2013 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 giugno 2013, che stabilisce i criteri e i meccanismi di determinazione dello Stato membro competente per l’esame di una domanda di protezione internazionale presentata in uno degli Stati membri da un cittadino di un paese terzo o da un apolide (GU 2013, L 180, pag. 31; in prosieguo: il “regolamento Dublino III”)], in base alla quale l’Italia e la Grecia sarebbero state altrimenti competenti per l’esame delle domande di protezione internazionale in applicazione dei criteri di cui al capo III di detto regolamento, nonché una deroga temporanea alle fasi procedurali, compresi i termini, di cui agli articoli 21, 22 e 29 del medesimo regolamento. Le altre disposizioni del regolamento [Dublino III] (…) restano di applicazione (…) La presente decisione comporta inoltre una deroga al consenso del richiedente protezione internazionale di cui all’articolo 7, paragrafo 2, del [regolamento (UE) n. 516/2014 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 16 aprile 2014, che istituisce il Fondo Asilo, migrazione e integrazione, che modifica la decisione 2008/381/CE del Consiglio e che abroga le decisioni n. 573/2007/CE e n. 575/2007/CE del Parlamento europeo e del Consiglio e la decisione 2007/435/CE del Consiglio (GU 2014, L 150, pag. 168)].
(…)
(26) Tali misure temporanee sono destinate ad alleviare la forte pressione sul sistema di asilo di Italia e Grecia, in particolare ricollocando un numero significativo di richiedenti in evidente bisogno di protezione internazionale che arriveranno nel territorio dell’Italia o della Grecia dopo la data di applicazione della presente decisione. In base al numero complessivo di cittadini di paesi terzi entrati in modo irregolare in Italia e in Grecia nel 2015 e al numero di persone in evidente bisogno di protezione internazionale, dovrebbero essere ricollocati dall’Italia e dalla Grecia, in totale, 120 000 richiedenti in evidente bisogno di protezione internazionale. Questo numero corrisponde a circa il 43% del numero totale di cittadini di paesi terzi in evidente bisogno di protezione internazionale entrati irregolarmente in Italia e in Grecia nel luglio e agosto 2015. La misura di ricollocazione prevista dalla presente decisione costituisce un’equa ripartizione degli oneri tra l’Italia e la Grecia, da un lato, e gli altri Stati membri, dall’altro, considerati i dati globali disponibili sull’attraversamento irregolare delle frontiere nel 2015. Considerate le cifre in gioco risulta opportuno ricollocare il 13% dei richiedenti dall’Italia e il 42% dalla Grecia e il 45% dovrebbe essere ricollocato conformemente alla presente decisione.
(…)
(30) Al fine di attuare il principio di solidarietà e di equa ripartizione della responsabilità, e tenuto conto del fatto che la presente decisione costituisce un ulteriore sviluppo del settore, è opportuno garantire che gli Stati membri che, in applicazione della presente decisione, ricollocano richiedenti in evidente bisogno di protezione internazionale dall’Italia e dalla Grecia ricevano una somma forfettaria per persona ricollocata identica alla somma forfettaria di cui all’articolo 18 del [regolamento n. 516/2014], vale a dire 6 000 EUR, e attuata applicando le stesse procedure. (…).
(…)
(32) Durante tutta la procedura di ricollocazione fino all’effettivo trasferimento del richiedente, dovrebbero essere presi in considerazione la sicurezza nazionale e l’ordine pubblico. Nel pieno rispetto dei diritti fondamentali del richiedente, incluse le pertinenti norme in materia di protezione dei dati, qualora uno Stato membro abbia fondati motivi per ritenere che il richiedente costituisca un pericolo per la sicurezza nazionale o l’ordine pubblico, ne informa gli altri Stati membri.
(…)
(35) Le garanzie giuridiche e procedurali previste dal regolamento [Dublino III] restano applicabili ai richiedenti cui si riferisce la presente decisione. Inoltre, i richiedenti dovrebbero essere informati della procedura di ricollocazione istituita con la presente decisione e della decisione di ricollocazione che costituisce una decisione di trasferimento ai sensi dell’articolo 26 del regolamento [Dublino III]. Considerato che nell’ambito del diritto dell’Unione il richiedente non ha il diritto di scegliere lo Stato membro competente per l’esame della sua domanda, egli dovrebbe avere il diritto a un ricorso effettivo avverso la decisione di ricollocazione, conformemente al regolamento [Dublino III], solo al fine di assicurare il rispetto dei suoi diritti fondamentali. Conformemente all’articolo 27 di tale regolamento, gli Stati membri possono prevedere nel proprio diritto nazionale che il ricorso avverso la decisione di trasferimento non sospenda automaticamente il trasferimento del richiedente, ma che all’interessato sia offerta la possibilità di chiedere di sospendere l’attuazione della decisione di trasferimento in attesa dell’esito del ricorso.
(…)
(44) Poiché gli obiettivi della presente decisione non possono essere conseguiti in misura sufficiente dagli Stati membri ma, a motivo della portata e degli effetti dell’azione in questione, possono essere conseguiti meglio a livello di Unione, quest’ultima può intervenire in base al principio di sussidiarietà sancito dall’articolo 5 [TUE]. La presente decisione si limita a quanto è necessario per conseguire tali obiettivi in ottemperanza al principio di proporzionalità enunciato nello stesso articolo».
13 L’articolo 1 della decisione impugnata, intitolato «Oggetto», recita:
«1. La presente decisione istituisce misure temporanee nel settore della protezione internazionale a beneficio dell’Italia e della Grecia, al fine di aiutare tali Stati membri ad affrontare meglio una situazione di emergenza caratterizzata da un afflusso improvviso di cittadini di paesi terzi nel loro territorio.
2. La Commissione tiene costantemente sotto osservazione la situazione concernente gli afflussi massicci di cittadini di paesi terzi negli Stati membri.
La Commissione presenta, se del caso, proposte volte a modificare la presente decisione onde tener conto dell’evoluzione della situazione sul terreno e del suo impatto sul meccanismo di ricollocazione, nonché dell’evoluzione della pressione sugli Stati membri, in particolare gli Stati membri in prima linea».
14 L’articolo 2 di detta decisione, intitolato «Definizioni», dispone quanto segue:
«Ai fini della presente decisione si intende per:
(…)
e) “ricollocazione”: il trasferimento del richiedente dal territorio dello Stato membro che i criteri di cui al capo III del regolamento [Dublino III] designano come competente per l’esame della domanda di protezione internazionale, verso il territorio dello Stato membro di ricollocazione;
f) “Stato membro di ricollocazione”: lo Stato membro che, ai sensi del regolamento [Dublino III], diventa competente per l’esame della domanda di protezione internazionale di un richiedente a seguito della ricollocazione di quest’ultimo nel suo territorio».
15 L’articolo 3 della citata decisione, intitolato «Ambito di applicazione», prevede quanto segue:
«1. È soggetto a ricollocazione ai sensi della presente decisione solo un richiedente che ha presentato la sua domanda di protezione internazionale in Italia o in Grecia e per il quale tali Stati sarebbero stati altrimenti competenti conformemente ai criteri di determinazione dello Stato membro competente stabiliti al capo III del regolamento [Dublino III].
2. È soggetto a ricollocazione ai sensi della presente decisione solo un richiedente appartenente a una nazionalità per la quale la percentuale di decisioni di riconoscimento della protezione internazionale, in base agli ultimi dati medi trimestrali Eurostat aggiornati disponibili per tutta l’Unione, è pari o superiore al 75% delle decisioni sulle domande di protezione internazionale (…). (…)».
16 L’articolo 4 della medesima decisione, il cui titolo è «Ricollocazione di 120 000 richiedenti negli Stati membri», dispone, ai paragrafi da 1 a 3, quanto segue:
«1. 120 000 richiedenti sono ricollocati negli altri Stati membri come segue:
a) dall’Italia sono ricollocati nel territorio degli altri Stati membri 15 600 richiedenti, in base alla tabella dell’allegato I;
b) dalla Grecia sono ricollocati nel territorio degli altri Stati membri 50 400 richiedenti, in base alla tabella dell’allegato II;
c) 54 000 richiedenti sono ricollocati nel territorio di Stati membri proporzionalmente alle cifre di cui agli allegati I e II, conformemente al paragrafo 2 del presente articolo o mediante una modifica della presente decisione, come previsto all’articolo 1, paragrafo 2, e al paragrafo 3 del presente articolo.
2. A decorrere dal 26 settembre 2016 i 54 000 richiedenti di cui al paragrafo 1, lettera c, sono ricollocati dall’Italia e dalla Grecia, nella proporzione risultante dal paragrafo 1, lettere a) e b), nel territorio di altri Stati membri proporzionalmente alle cifre di cui agli allegati I e II. La Commissione presenta una proposta al Consiglio sulle cifre che devono essere assegnate di conseguenza per Stato membro.
3. Se entro il 26 settembre 2016 la Commissione ritiene che un adattamento del meccanismo di ricollocazione sia giustificato dall’evoluzione della situazione sul terreno o che uno Stato membro sia confrontato a una situazione di emergenza caratterizzata da un afflusso improvviso di cittadini di paesi terzi a seguito di un brusco spostamento dei flussi migratori e tenendo conto dei pareri del potenziale Stato membro beneficiario, può presentare, se del caso, al Consiglio le proposte di cui all’articolo 1, paragrafo 2.
Allo stesso modo, uno Stato membro può notificare al Consiglio e alla Commissione, con le debite motivazioni, che è confrontato a un’analoga situazione di emergenza. La Commissione valuta i motivi addotti e presenta le opportune proposte al Consiglio, come previsto all’articolo 1, paragrafo 2».
17 L’articolo 1 della decisione (UE) 2016/1754 del Consiglio, del 29 settembre 2016 (GU 2016, L 268, pag. 82), ha integrato l’articolo 4 della decisione impugnata aggiungendovi il seguente paragrafo:
«3 bis. Per quanto riguarda la ricollocazione dei richiedenti di cui al paragrafo 1, lettera c), gli Stati membri possono scegliere di adempiere ai loro obblighi ammettendo nel loro territorio cittadini siriani presenti in Turchia, a titolo di programmi nazionali o multilaterali di ammissione legale di persone in evidente bisogno di protezione internazionale diversi dal programma di reinsediamento oggetto delle conclusioni dei rappresentanti dei governi degli Stati membri riuniti in sede di Consiglio del 20 luglio 2015. Il numero di persone ammesse a tale titolo da uno Stato membro comporta una riduzione corrispondente dell’obbligo dello Stato membro in questione.
(…)».
18 Risulta dall’articolo 2 della decisione n. 2016/1754 che quest’ultima è entrata in vigore il 2 ottobre 2016 ed è applicabile fino al 26 settembre 2017 a tutte le persone che, ai fini dell’articolo 4, paragrafo 3 bis, della decisione impugnata, sono state ammesse dagli Stati membri in provenienza dalla Turchia a partire dal 1o maggio 2016.
19 L’articolo 4, paragrafo 4, della decisione impugnata prevede la possibilità di una partecipazione, su base volontaria, dell’Irlanda e del Regno Unito all’attuazione della decisione impugnata. Poiché la partecipazione dell’Irlanda è stata successivamente confermata dalla Commissione, il Consiglio ha fissato un numero di richiedenti da ricollocare verso tale Stato membro ed ha adattato di conseguenza le quote degli altri Stati membri.
20 L’articolo 4, paragrafo 5, di detta decisione prevede che, in circostanze eccezionali, uno Stato membro possa, alle condizioni fissate da tale disposizione, chiedere, entro il 26 dicembre 2015, di beneficiare di una sospensione temporanea della ricollocazione di richiedenti in una percentuale che può raggiungere il 30% della quota di richiedenti che gli è stata assegnata.
21 Tale disposizione è stata applicata su richiesta della Repubblica d’Austria ed ha costituito l’oggetto della decisione di esecuzione (UE) 2016/408 del Consiglio, del 10 marzo 2016, relativa alla sospensione temporanea della ricollocazione del 30% dei richiedenti assegnati all’Austria a norma della decisione [impugnata] (GU 2016, L 74, pag. 36). L’articolo 1 della decisione 2016/408 prevede che la ricollocazione verso tale Stato membro di 1 065 richiedenti nell’ambito della quota di richiedenti ad esso assegnati a titolo della decisione impugnata sia sospesa fino all’11 marzo 2017.
22 L’articolo 5 della decisione impugnata, intitolato «Procedura di ricollocazione», così dispone:
«(…)
2. Gli Stati membri, a intervalli regolari e almeno ogni tre mesi, indicano il numero di richiedenti che sono in grado di ricollocare rapidamente nel loro territorio e qualsiasi altra informazione pertinente.
3. Basandosi su queste informazioni l’Italia e la Grecia, con l’assistenza dell’EASO e, se del caso, dei funzionari di collegamento degli Stati membri di cui al paragrafo 8, identificano i singoli richiedenti che potrebbero essere ricollocati negli altri Stati membri e presentano quanto prima tutte le informazioni pertinenti ai punti di contatto di quegli Stati membri. A tal fine è data priorità ai richiedenti vulnerabili ai sensi degli articoli 21 e 22 della [direttiva 2013/33/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 giugno 2013, recante norme relative all’accoglienza dei richiedenti protezione internazionale (GU 2013, L 180, pag. 96)].
4. A seguito dell’approvazione dello Stato membro di ricollocazione, l’Italia e la Grecia prendono con la massima tempestività una decisione per ciascun richiedente identificato, che ne dispone la ricollocazione in uno specifico Stato membro di ricollocazione, d’intesa con l’EASO, e ne informano il richiedente a norma dell’articolo 6, paragrafo 4. Lo Stato membro di ricollocazione può decidere di non approvare la ricollocazione di un richiedente solo in presenza di fondati motivi, di cui al paragrafo 7 del presente articolo.
(…)
6. Il trasferimento del richiedente verso il territorio dello Stato membro di ricollocazione è effettuato quanto prima dopo la data di notifica della decisione di ricollocazione all’interessato ai sensi dell’articolo 6, paragrafo 4, della presente decisione. L’Italia e la Grecia trasmettono allo Stato membro di ricollocazione la data e l’ora del trasferimento, nonché qualsiasi altra informazione pertinente.
7. Gli Stati membri conservano il diritto di rifiutare la ricollocazione del richiedente solo qualora sussistano fondati motivi per ritenere che la persona in questione costituisca un pericolo per la sicurezza nazionale o l’ordine pubblico (…).
(…)».
23 L’articolo 6 della decisione impugnata, intitolato «Diritti e obblighi dei richiedenti protezione internazionale contemplati dalla presente decisione», dispone quanto segue:
«1. Nell’attuare la presente decisione gli Stati membri considerano in primo luogo l’interesse superiore del minore.
2. Gli Stati membri provvedono affinché i familiari che rientrano nell’ambito di applicazione della presente decisione siano ricollocati nel territorio dello stesso Stato membro.
3. Prima di prendere una decisione di ricollocazione, l’Italia e la Grecia informano il richiedente, in una lingua a lui comprensibile o che ragionevolmente si suppone lo sia, sulla procedura di ricollocazione descritta nella presente decisione.
4. Una volta presa la decisione di ricollocazione e prima dell’effettiva ricollocazione, l’Italia e la Grecia informano l’interessato per iscritto della decisione di ricollocarlo. Tale decisione specifica lo Stato membro di ricollocazione.
5. Il richiedente o beneficiario di protezione internazionale che entri nel territorio di uno Stato membro diverso dallo Stato membro di ricollocazione senza che sussistano le condizioni di soggiorno in quest’altro Stato membro è tenuto a tornare immediatamente indietro. Lo Stato membro di ricollocazione riprende in carico l’interessato senza indugio».
24 L’articolo 7 della decisione impugnata contiene disposizioni in materia di sostegno operativo a beneficio della Repubblica ellenica e della Repubblica italiana.
25 L’articolo 8 di detta decisione prevede misure complementari che devono essere adottate da questi due Stati membri.
26 L’articolo 9 della citata decisione autorizza il Consiglio ad adottare misure temporanee a norma dell’articolo 78, paragrafo 3, TFUE qualora siano soddisfatte le condizioni stabilite da tale disposizione, e dispone che tali misure possono eventualmente comprendere una sospensione della partecipazione alla ricollocazione prevista dalla decisione impugnata per lo Stato membro interessato da un afflusso improvviso di cittadini di paesi terzi.
27 Tale disposizione è stata applicata su richiesta del Regno di Svezia e ha costituito l’oggetto della decisione (UE) 2016/946 del Consiglio, del 9 giugno 2016, che istituisce misure temporanee nel settore della protezione internazionale a beneficio della Svezia, conformemente all’articolo 9 della decisione 2015/1523 e all’articolo 9 della decisione 2015/1601 (GU 2016, L 157, pag. 23). L’articolo 2 della decisione 2016/946 stabilisce che gli obblighi che incombono a tale Stato membro in quanto Stato membro di ricollocazione ai sensi della decisione 2015/1523 e della decisione impugnata sono sospesi fino al 16 giugno 2017.
28 L’articolo 10 della decisione impugnata prevede un sostegno finanziario per ciascuna persona costituente l’oggetto di una ricollocazione ai sensi di tale decisione, e ciò sia per lo Stato membro di ricollocazione sia per la Repubblica ellenica o la Repubblica italiana.
29 L’articolo 11 della decisione impugnata stabilisce che, con l’assistenza della Commissione, intese bilaterali possono essere concluse dai due suddetti Stati membri con gli Stati cosiddetti «associati», vale a dire la Repubblica di Islanda, il Principato del Liechtenstein, il Regno di Norvegia e la Confederazione svizzera, e che, in caso di conclusione di simili intese, il Consiglio adatta di conseguenza, su proposta della Commissione, le quote di ricollocazione degli Stati membri riducendole in proporzione. Accordi del genere sono stati in seguito conclusi e gli Stati associati partecipano dunque alla ricollocazione prevista dalla decisione impugnata.
30 L’articolo 12 della decisione impugnata prevede, in particolare, che la Commissione riferisca al Consiglio, ogni sei mesi, in merito all’attuazione della decisione stessa. La Commissione si è successivamente impegnata a presentare relazioni mensili in merito all’attuazione delle diverse misure di ricollocazione e di reinsediamento dei richiedenti la protezione internazionale adottate a livello dell’Unione, tra cui la decisione impugnata.
31 Infine, a norma dell’articolo 13, paragrafi 1 e 2, della decisione impugnata, quest’ultima è entrata in vigore il 25 settembre 2015 ed è applicabile fino al 26 settembre 2017. L’articolo 13, paragrafo 3, di tale decisione stabilisce che quest’ultima si applica alle persone che arrivano nei territori dell’Italia e della Grecia a decorrere dal 25 settembre 2015 fino al 26 settembre 2017 e ai richiedenti giunti nel territorio di tali Stati membri a decorrere dal 24 marzo 2015.
II. Procedimento dinanzi alla Corte e conclusioni delle parti
32 Nella causa C‑643/15, la Repubblica slovacca chiede che la Corte voglia annullare la decisione impugnata e condannare il Consiglio alle spese.
33 Nella causa C‑647/15, l’Ungheria chiede che la Corte voglia:
– in via principale, annullare la decisione impugnata;
– in subordine, annullare tale decisione nella parte riguardante l’Ungheria, e
– condannare il Consiglio alle spese.
34 Nelle cause C‑643/15 e C‑647/15, il Consiglio chiede che la Corte voglia respingere i ricorsi perché infondati e condannare, rispettivamente, la Repubblica slovacca e l’Ungheria alle spese.
35 Con decisione del presidente della Corte in data 29 aprile 2016, il Regno del Belgio, la Repubblica federale di Germania, la Repubblica ellenica, la Repubblica francese, la Repubblica italiana, il Granducato di Lussemburgo, il Regno di Svezia e la Commissione sono stati ammessi ad intervenire a sostegno delle conclusioni del Consiglio nelle cause C‑643/15 e C‑647/15.
36 Con questa stessa decisione, la Repubblica di Polonia è stata ammessa ad intervenire, nella causa C‑643/15, a sostegno delle conclusioni della Repubblica slovacca e, nella causa C‑647/15, a sostegno delle conclusioni dell’Ungheria.
37 Sentite le parti e l’avvocato generale in merito a tale punto, occorre, per ragioni di connessione, riunire le presenti cause ai fini della sentenza, in conformità dell’articolo 54 del regolamento di procedura della Corte.
III. Sui ricorsi
A. Visione d’insieme dei motivi di ricorso
38 A sostegno del suo ricorso nella causa C‑643/15, la Repubblica slovacca deduce sei motivi, riguardanti: il primo, la violazione dell’articolo 68 TFUE, dell’articolo 13, paragrafo 2, TUE, nonché del principio dell’equilibrio istituzionale; il secondo, la violazione dell’articolo 10, paragrafi 1 e 2, TUE, dell’articolo 13, paragrafo 2, TUE, dell’articolo 78, paragrafo 3, TFUE, degli articoli 3 e 4 del protocollo (n. 1) sul ruolo dei parlamenti nazionali nell’Unione europea, allegato ai Trattati UE e FUE [in prosieguo: il «protocollo (n. 1)»], e degli articoli 6 e 7 del protocollo (n. 2) sull’applicazione dei principi di sussidiarietà e di proporzionalità, allegato ai Trattati UE e FUE [in prosieguo: il «protocollo (n. 2)»], nonché dei principi della certezza del diritto, della democrazia rappresentativa e dell’equilibrio istituzionale; il terzo, la violazione delle forme sostanziali relative alla procedura legislativa, nonché dell’articolo 10, paragrafi 1 e 2, TUE, dell’articolo 13, paragrafo 2, TUE e dei principi della democrazia rappresentativa, dell’equilibrio istituzionale e di buona amministrazione (in via subordinata); il quarto, la violazione delle forme sostanziali, nonché dell’articolo 10, paragrafi 1 e 2, TUE, dell’articolo 13, paragrafo 2, TUE e dei principi della democrazia rappresentativa, dell’equilibrio istituzionale e di buona amministrazione (in via parzialmente subordinata); il quinto, la violazione dei presupposti di applicazione dell’articolo 78, paragrafo 3, TFUE (in via subordinata); infine, il sesto, la violazione del principio di proporzionalità.
39 A sostegno del suo ricorso nella causa C‑647/15, l’Ungheria deduce dieci motivi.
40 Il primo e il secondo motivo riguardano la violazione dell’articolo 78, paragrafo 3, TFUE, in quanto tale norma non fornirebbe al Consiglio una base giuridica appropriata per l’adozione di misure che, nel caso di specie, derogherebbero in maniera vincolante alle disposizioni di un atto legislativo, che sarebbero applicabili per un periodo di 24 mesi o persino, in alcuni casi, di 36 mesi, ed i cui effetti si protrarrebbero al di là di tale periodo, il che sarebbe contrario alla nozione di «misure temporanee».
41 Il terzo, il quarto, il quinto e il sesto motivo di ricorso riguardano la violazione di forme sostanziali, dovuta al fatto che: in primo luogo, in occasione dell’adozione della decisione impugnata, il Consiglio avrebbe violato le disposizioni dell’articolo 293, paragrafo 1, TFUE discostandosi dalla proposta iniziale della Commissione senza un voto unanime (terzo motivo); in secondo luogo, la decisione impugnata introdurrebbe una deroga alle disposizioni di un atto legislativo e sarebbe essa stessa un atto legislativo in virtù del suo contenuto, di modo che, qualora si dovesse decidere che essa è stata validamente adottata sulla base dell’articolo 78, paragrafo 3, TFUE, resterebbe comunque il fatto che sarebbe stato necessario, in occasione della sua adozione, rispettare il diritto dei parlamenti nazionali di esprimere un parere sugli atti legislativi, previsto dal protocollo (n. 1) e dal protocollo (n. 2) (quarto motivo); in terzo luogo, dopo aver consultato il Parlamento, il Consiglio avrebbe modificato sostanzialmente il testo del progetto senza consultare di nuovo il Parlamento in proposito (quinto motivo); infine, in quarto luogo, in occasione dell’adozione della decisione impugnata da parte del Consiglio, le versioni linguistiche del progetto di decisione non sarebbero state disponibili nelle lingue ufficiali dell’Unione (sesto motivo).
42 Il settimo motivo verte su una violazione dell’articolo 68 TFUE e delle conclusioni del Consiglio europeo del 25 e del 26 giugno 2015.
43 L’ottavo motivo riguarda una violazione dei principi di certezza del diritto e di chiarezza normativa, in quanto, in vari punti, i presupposti di attuazione della decisione impugnata non sarebbero chiari, e neppure il modo in cui le disposizioni di tale decisione si integrano con quelle del regolamento Dublino III.
44 Il nono motivo è relativo ad una violazione dei principi di necessità e di proporzionalità, in quanto, dato che l’Ungheria non figura più tra gli Stati membri beneficiari, sarebbe privo di giustificazioni il fatto che la decisione impugnata preveda la ricollocazione di 120 000 persone richiedenti una protezione internazionale.
45 Il decimo motivo, presentato in via subordinata, attiene ad una violazione del principio di proporzionalità nonché dell’articolo 78, paragrafo 3, TFUE per quanto riguarda l’Ungheria, in quanto la decisione impugnata le assegna una quota obbligatoria quale Stato membro ospitante, mentre sarebbe riconosciuto che un gran numero di migranti irregolari è penetrato nel territorio di tale Stato membro ed ha ivi presentato domande di protezione internazionale.
B. Rilievo preliminare
46 Poiché la base giuridica di un atto determina la procedura da seguire per l’adozione dello stesso (v., in tal senso, sentenza del 10 settembre 2015, Parlamento/Consiglio, C‑363/14, EU:C:2015:579, punto 17), occorre esaminare, in primo luogo, i motivi di ricorso relativi all’inadeguatezza dell’articolo 78, paragrafo 3, TFUE a fungere da base giuridica della decisione impugnata, in secondo luogo, i motivi relativi ad irregolarità procedurali commesse in occasione dell’adozione di tale decisione e configuranti violazioni di forme sostanziali, e, in terzo luogo, i motivi attinenti al merito.
C. Sui motivi di ricorso relativi all’inadeguatezza dell’articolo 78, paragrafo 3, TFUE a fungere da base giuridica della decisione impugnata
1. Sul secondo motivo della Repubblica slovacca e sul primo motivo dell’Ungheria, relativi al carattere legislativo della decisione impugnata
a) Argomenti delle parti
47 La Repubblica slovacca e l’Ungheria fanno valere che la decisione impugnata, sebbene sia stata adottata con la procedura non legislativa e costituisca dunque formalmente un atto non legislativo, deve nondimeno essere qualificata come atto legislativo in virtù del suo contenuto e dei suoi effetti, dal momento che, come sarebbe confermato espressamente dal considerando 23 della decisione stessa, essa modifica, per giunta in maniera sostanziale, vari atti legislativi del diritto dell’Unione.
48 Ciò è quanto accadrebbe soprattutto in relazione all’articolo 13, paragrafo 1, del regolamento Dublino III, in virtù del quale la Repubblica ellenica o la Repubblica italiana, a seconda dei casi, sarebbero in linea di principio competenti per l’esame della domanda di protezione internazionale, regola questa che subirebbe una deroga per effetto dell’articolo 3, paragrafo 1, della decisione impugnata.
49 Se invero la decisione impugnata qualifica tali modifiche come semplici «deroghe», la distinzione tra una deroga e una modifica sarebbe artificiosa, in quanto, in entrambi i casi, tali interventi avrebbero come effetto di escludere l’applicazione di una disposizione normativa e, dunque, di pregiudicarne l’effettività.
50 Per contro, risulterebbe dal carattere temporaneo e urgente delle misure contemplate dall’articolo 78, paragrafo 3, TFUE che tale disposizione sarebbe destinata a fornire una base giuridica a misure di sostegno che possono accompagnare atti legislativi adottati sul fondamento dell’articolo 78, paragrafo 2, TFUE. Si tratterebbe in particolare di misure intese a gestire o a mitigare rapidamente una situazione di crisi, in particolare mediante la concessione di un aiuto finanziario o tecnico o la messa a disposizione di personale qualificato.
51 L’articolo 78, paragrafo 3, TFUE non fornirebbe dunque alcuna base giuridica per l’adozione di misure legislative, in quanto tale disposizione non conterrebbe alcuna indicazione in virtù della quale le misure adottate sulla sua base dovrebbero essere adottate secondo una procedura legislativa.
52 La Repubblica slovacca sostiene in particolare che un atto non legislativo fondato sull’articolo 78, paragrafo 3, TFUE, come la decisione impugnata, non può in alcun caso derogare a un atto legislativo. L’entità della deroga e il carattere fondamentale o meno della disposizione oggetto di deroga sarebbero irrilevanti. Qualsiasi deroga, per quanto minima, apportata da un atto non legislativo a un atto legislativo sarebbe vietata in quanto equivarrebbe ad un aggiramento della procedura legislativa, nella fattispecie quella prevista dall’articolo 78, paragrafo 2, TFUE.
53 L’Ungheria fa valere che, in ogni caso, le deroghe ad atti legislativi che sono previste dalla decisione impugnata, pur essendo limitate nel tempo, realizzano un’ingerenza in disposizioni fondamentali di atti legislativi esistenti che si ricollegano ai diritti e agli obblighi fondamentali dei soggetti privati interessati.
54 Infine, l’Ungheria sostiene che l’articolo 78, paragrafo 3, TFUE potrebbe essere interpretato nel senso che l’esigenza di una consultazione del Parlamento prevista da tale disposizione dovrebbe essere considerata come una «partecipazione» del Parlamento, ai sensi dell’articolo 289, paragrafo 2, TFUE, di modo che troverebbe applicazione la procedura legislativa speciale. In tal caso, l’articolo 78, paragrafo 3, TFUE potrebbe effettivamente costituire una valida base giuridica della decisione impugnata, in quanto atto legislativo.
55 Tuttavia, qualora dovesse essere ammessa una siffatta interpretazione dell’articolo 78, paragrafo 3, TFUE, bisognerebbe rispettare i requisiti procedurali che accompagnano l’adozione di un atto legislativo, in particolare quello relativo alla partecipazione del Parlamento e dei parlamenti nazionali all’iter legislativo, ciò che manifestamente non sarebbe avvenuto nel caso di specie.
56 Il Consiglio sostiene che risulta dall’articolo 289, paragrafo 3, TFUE che il criterio di identificazione del carattere legislativo o meno di un atto è esclusivamente procedurale, nel senso che, ogni volta che una base giuridica del Trattato prevede espressamente che un atto venga adottato «secondo la procedura legislativa ordinaria» o «secondo una procedura legislativa speciale», si tratta di un atto legislativo. Detta istituzione nega che la decisione impugnata abbia modificato vari atti legislativi del diritto dell’Unione, sicché essa dovrebbe essere qualificata come atto legislativo in virtù del suo contenuto. Non si potrebbe neppure sostenere che le deroghe introdotte dalla decisione impugnata costituiscano un aggiramento della procedura legislativa ordinaria, quale prevista dall’articolo 78, paragrafo 2, TFUE.
b) Giudizio della Corte
57 Occorre esaminare, in primo luogo, se, come sostenuto dall’Ungheria, l’articolo 78, paragrafo 3, TFUE debba essere interpretato nel senso che gli atti adottati in virtù di tale disposizione devono essere qualificati come «atti legislativi», a motivo del fatto che il requisito relativo alla consultazione del Parlamento, previsto da detta disposizione, costituirebbe una forma di partecipazione di tale istituzione dell’Unione, ai sensi dell’articolo 289, paragrafo 2, TFUE, di modo che l’adozione di atti siffatti dovrebbe avvenire secondo la procedura legislativa speciale, ciò che non è avvenuto nel caso della decisione impugnata.
58 Ai sensi dell’articolo 289, paragrafo 3, TFUE, gli atti giuridici adottati mediante procedura legislativa sono atti legislativi. Pertanto, gli atti non legislativi sono quelli che vengono adottati secondo una procedura diversa da una procedura legislativa.
59 La distinzione tra atti legislativi e atti non legislativi riveste sicura importanza, dal momento che soltanto l’adozione di atti legislativi è assoggettata al rispetto di alcuni obblighi attinenti, in particolare, alla partecipazione dei parlamenti nazionali conformemente agli articoli 3 e 4 del protocollo (n. 1) e agli articoli 6 e 7 del protocollo (n. 2), nonché al requisito, imposto dall’articolo 16, paragrafo 8, TUE e dall’articolo 15, paragrafo 2, TFUE, secondo cui il Consiglio si riunisce in seduta pubblica quando delibera e vota su un progetto di atto legislativo.
60 Risulta inoltre da una lettura combinata delle disposizioni dell’articolo 289, paragrafo 1, e dell’articolo 294, paragrafo 1, TFUE che la procedura legislativa ordinaria, caratterizzata dall’adozione congiunta di un atto del diritto dell’Unione da parte del Parlamento e del Consiglio su proposta della Commissione, si applica soltanto se nella disposizione dei Trattati costituente la base giuridica dell’atto in questione «si fa riferimento» a tale procedura legislativa.
61 Per quanto riguarda la procedura legislativa speciale, caratterizzata invece dal fatto che essa prevede l’adozione di un atto dell’Unione da parte del Parlamento con la partecipazione del Consiglio, oppure da parte del Consiglio con la partecipazione del Parlamento, l’articolo 289, paragrafo 2, TFUE stabilisce che essa si applica «nei casi specifici previsti dai trattati».
62 Ne consegue che un atto giuridico può essere qualificato come atto legislativo dell’Unione soltanto se è stato adottato sul fondamento di una disposizione dei Trattati che fa espresso riferimento o alla procedura legislativa ordinaria o alla procedura legislativa speciale.
63 Un simile approccio sistematico garantisce la certezza del diritto necessaria nell’ambito delle procedure di adozione di atti dell’Unione, in quanto essa consente di identificare in maniera certa le basi giuridiche che legittimano le istituzioni dell’Unione ad adottare atti legislativi, e di distinguere tali basi giuridiche da quelle che possono servire solo quale fondamento per l’adozione di atti non legislativi.
64 Ne consegue che, contrariamente a quanto sostenuto dall’Ungheria, dal riferimento al requisito di una consultazione del Parlamento, contenuto nella disposizione dei Trattati che serve quale base giuridica dell’atto in esame, non può dedursi che la procedura legislativa speciale sia applicabile all’adozione di tale atto.
65 Nel caso di specie, l’articolo 78, paragrafo 3, TFUE, pur prevedendo che il Consiglio adotti le misure temporanee da esso contemplate su proposta della Commissione e previa consultazione del Parlamento, non contiene alcun espresso riferimento né alla procedura legislativa ordinaria né alla procedura legislativa speciale. Per contro, l’articolo 78, paragrafo 2, TFUE stabilisce espressamente che le misure elencate alle lettere da a) a g) di tale disposizione vengono adottate «secondo la procedura legislativa ordinaria».
66 Alla luce di quanto sopra chiarito, occorre dichiarare che misure suscettibili di essere adottate sul fondamento dell’articolo 78, paragrafo 3, TFUE devono essere qualificate come «atti non legislativi», in quanto esse non vengono adottate all’esito di una procedura legislativa.
67 Il Consiglio, allorché ha emanato la decisione impugnata, ha dunque giustamente considerato che tale decisione doveva essere adottata secondo una procedura non legislativa e costituiva, pertanto, un atto non legislativo dell’Unione.
68 Di conseguenza, si pone, in secondo luogo, la questione se, come sostenuto dalla Repubblica slovacca e dall’Ungheria, l’articolo 78, paragrafo 3, TFUE non potesse servire quale base giuridica per l’adozione della decisione impugnata, a motivo del fatto che tale decisione costituisce un atto non legislativo che deroga a svariati atti legislativi, mentre soltanto un atto legislativo potrebbe derogare a un altro atto legislativo.
69 A questo proposito, il considerando 23 della decisione impugnata dichiara che la ricollocazione dall’Italia e dalla Grecia prevista da tale decisione implica una «deroga temporanea» a talune disposizioni di atti legislativi del diritto dell’Unione, tra le quali l’articolo 13, paragrafo 1, del regolamento Dublino III, a norma del quale la Repubblica ellenica o la Repubblica italiana sarebbero state in linea di principio competenti per l’esame di una domanda di protezione internazionale sulla base dei criteri enunciati nel capo III di detto regolamento, e l’articolo 7, paragrafo 2, del regolamento n. 516/2014, il quale esige il consenso della persona richiedente una protezione internazionale.
70 L’articolo 78, paragrafo 3, TFUE non definisce la natura delle «misure temporanee» che possono essere adottate in forza di tale disposizione.
71 Pertanto, la formulazione di detta disposizione non può, contrariamente a quanto sostenuto dalla Repubblica slovacca e dall’Ungheria, suffragare, di per sé stessa, un’interpretazione restrittiva della nozione di «misure temporanee», implicante che quest’ultima contemplerebbe unicamente misure di accompagnamento supportanti un atto legislativo adottato sulla base dell’articolo 78, paragrafo 2, TFUE e vertenti, in particolare, su un sostegno finanziario, tecnico od operativo fornito agli Stati membri che si trovino in una situazione di emergenza caratterizzata da un afflusso improvviso di cittadini di paesi terzi.
72 Tale constatazione è corroborata dall’economia generale e dagli obiettivi delle disposizioni contenute nell’articolo 78, paragrafi 2 e 3, TFUE.
73 Si tratta infatti di due disposizioni di diritto primario dell’Unione distinte che perseguono obiettivi differenti e subordinate a presupposti di applicazione loro propri, le quali forniscono una base giuridica per l’adozione, nel caso dell’articolo 78, paragrafo 3, TFUE, di misure temporanee a carattere non legislativo intese a rispondere a breve termine ad una determinata situazione di emergenza che gli Stati membri si trovino a dover affrontare, e, nel caso dell’articolo 78, paragrafo 2, TFUE, di atti a carattere legislativo che mirano a disciplinare, per un periodo indeterminato e in modo generale, un problema strutturale che si pone nel quadro della politica comune dell’Unione in materia di asilo.
74 Pertanto, le suddette disposizioni rivestono carattere complementare, permettendo all’Unione di adottare, nel quadro di tale politica comune, misure diversificate al fine di dotarsi degli strumenti necessari, in particolare, per rispondere in maniera effettiva, sia a breve che a lungo termine, a situazioni di crisi migratoria.
75 A questo proposito, un’interpretazione restrittiva della nozione di «misure temporanee» contenuta nell’articolo 78, paragrafo 3, TFUE, secondo cui quest’ultima consentirebbe unicamente l’adozione di misure di accompagnamento che si aggiungano agli atti legislativi adottati sul fondamento dell’articolo 78, paragrafo 2, TFUE, e non di misure in deroga a tali atti, oltre a non trovare alcun appoggio nel testo dell’articolo 78, paragrafo 3, TFUE, ridurrebbe anche in modo significativo l’effetto utile di tale norma, in quanto gli atti di cui sopra hanno disciplinato o possono disciplinare i diversi aspetti del regime comune europeo di asilo, elencati nei punti da a) a g) dell’articolo 78, paragrafo 2, TFUE.
76 Ciò vale in modo specifico per la materia contemplata dall’articolo 78, paragrafo 2, lettera e), TFUE, relativa ai criteri e ai meccanismi di determinazione dello Stato membro competente per l’esame di una domanda di asilo o di protezione sussidiaria, la quale costituisce l’oggetto di un insieme completo di norme, tra le quali figurano in primo piano quelle previste dal regolamento Dublino III.
77 Alla luce di quanto sopra esposto, la nozione di «misure temporanee», ai sensi dell’articolo 78, paragrafo 3, TFUE, deve avere una portata sufficientemente estesa per permettere alle istituzioni dell’Unione di adottare tutte le misure temporanee necessarie per rispondere in modo effettivo e rapido a una situazione di emergenza caratterizzata da un afflusso improvviso di cittadini di paesi terzi.
78 Se, in questa prospettiva, occorre ammettere che le misure temporanee adottate sul fondamento dell’articolo 78, paragrafo 3, TFUE possono in via di principio derogare anche a disposizioni di atti legislativi, simili deroghe devono nondimeno essere circoscritte sotto il profilo del loro ambito di applicazione sia sostanziale che temporale, così che esse si limitino a rispondere in modo rapido ed effettivo, mediante una disciplina provvisoria, ad una situazione di crisi precisa, ciò che esclude che dette misure possano avere per oggetto o per effetto di sostituire o di modificare in modo permanente e generale gli atti legislativi di cui sopra, aggirando così la procedura legislativa ordinaria prevista dall’articolo 78, paragrafo 2, TFUE.
79 Orbene, nel caso di specie, occorre constatare che le deroghe previste dalla decisione impugnata obbediscono a tale esigenza di una delimitazione del loro ambito di applicazione sostanziale e temporale e che esse non hanno né per oggetto né per effetto di sostituire o di modificare in modo permanente disposizioni di atti legislativi.
80 Infatti, le deroghe a disposizioni particolari di atti legislativi che sono previste dalla decisione impugnata si applicano unicamente per un periodo di due anni, salva la possibilità di una proroga di tale termine prevista dall’articolo 4, paragrafo 5, della decisione impugnata, e scadranno, nel caso di specie, il 26 settembre 2017. Oltre a ciò, esse riguardano un numero limitato di 120 000 cittadini di alcuni paesi terzi, che hanno presentato una domanda di protezione internazionale in Grecia o in Italia, e appartenenti a una delle nazionalità contemplate dall’articolo 3, paragrafo 2, della decisione impugnata, i quali verranno ricollocati a partire da uno di questi due Stati membri e che sono arrivati o arriveranno in questi ultimi tra il 24 marzo 2015 e il 26 settembre 2017.
81 Date tali circostanze, non si può sostenere che, con l’adozione della decisione impugnata sulla base dell’articolo 78, paragrafo 3, TFUE, sarebbe stata aggirata la procedura legislativa ordinaria prevista dall’articolo 78, paragrafo 2, TFUE.
82 Tenuto conto di quanto precede, il fatto che la decisione impugnata, la cui qualificazione come atto non legislativo non può essere rimessa in discussione, comporti delle deroghe a disposizioni particolari di atti legislativi, non era idoneo ad impedire la sua adozione sulla base dell’articolo 78, paragrafo 3, TFUE.
83 Per gli stessi motivi, occorre respingere anche l’argomentazione della Repubblica slovacca relativa ad una violazione dell’articolo 10, paragrafi 1 e 2, TUE, dell’articolo 13, paragrafo 2, TUE, nonché dei principi di certezza del diritto, di democrazia rappresentativa e dell’equilibrio istituzionale.
84 Pertanto, il secondo motivo di ricorso della Repubblica slovacca e il primo motivo di ricorso dell’Ungheria devono essere respinti perché infondati.
2. Sulla prima parte del quinto motivo della Repubblica slovacca e sul secondo motivo dell’Ungheria, relativi all’assenza di carattere temporaneo della decisione impugnata e all’eccessiva durata di applicazione di tale decisione
a) Argomenti delle parti
85 La Repubblica slovacca e l’Ungheria sostengono che l’articolo 78, paragrafo 3, TFUE non costituisce una base giuridica adeguata per l’adozione della decisione impugnata, dato che quest’ultima non ha carattere temporaneo, contrariamente a quanto richiesto dalla suddetta disposizione.
86 Poiché la decisione impugnata si applica, a norma del suo articolo 13, paragrafo 2, fino al 26 settembre 2017, ossia per un periodo di due anni, il quale può d’altronde essere prolungato di un ulteriore anno ai sensi dell’articolo 4, paragrafi 5 e 6, della medesima decisione, essa non potrebbe essere qualificata come «misura temporanea», ai sensi dell’articolo 78, paragrafo 3, TFUE.
87 Ciò sarebbe tanto più vero per il fatto che, secondo la Repubblica slovacca e l’Ungheria, gli effetti temporali della decisione impugnata nei confronti dei richiedenti una protezione internazionale riguardati supereranno largamente tale periodo di due o persino tre anni. Infatti, tale decisione condurrebbe, con tutta probabilità, a creare dei legami duraturi tra i richiedenti una protezione internazionale e gli Stati membri di ricollocazione.
88 Il Consiglio precisa che, conformemente all’articolo 13, paragrafo 2, della decisione impugnata, quest’ultima si applica per un periodo di 24 mesi, ossia fino al 26 settembre 2017. Una proroga per un periodo massimo di 12 mesi nel quadro specifico del meccanismo di sospensione previsto dall’articolo 4, paragrafo 5, della decisione impugnata non sarebbe più possibile. La durata degli effetti che la decisione impugnata può produrre nei confronti delle persone che hanno costituito l’oggetto di una ricollocazione non sarebbe un elemento pertinente per stabilire il carattere temporaneo della decisione stessa. Tale carattere dovrebbe essere valutato alla luce dell’applicazione nel tempo del meccanismo di ricollocazione che tale decisione prevede, ossia un periodo di 24 mesi.
b) Giudizio della Corte
89 L’articolo 78, paragrafo 3, TFUE permette unicamente l’adozione di «misure temporanee».
90 Un atto può essere qualificato come «temporaneo», nel senso usuale del termine, soltanto qualora esso non sia inteso a disciplinare in modo permanente una materia e si applichi unicamente per un periodo di tempo limitato.
91 Ciò premesso, contrariamente all’articolo 64, paragrafo 2, CE, a norma del quale il periodo di applicazione delle misure adottate sulla base di tale disposizione non poteva eccedere i sei mesi, l’articolo 78, paragrafo 3, TFUE, che è succeduto alla disposizione di cui sopra, non prevede più una siffatta limitazione temporale.
92 Ne consegue che l’articolo 78, paragrafo 3, TFUE, pur esigendo che le misure da esso contemplate siano temporanee, riserva al Consiglio un margine di discrezionalità per stabilire, caso per caso, il loro periodo di applicazione in funzione delle circostanze del caso di specie e, in particolare, alla luce delle specificità della situazione di emergenza che giustifica tali misure.
93 Orbene, risulta dall’articolo 13 della decisione impugnata che quest’ultima è applicabile dal 25 settembre 2015 al 26 settembre 2017, ossia per un periodo di 24 mesi, alle persone che arrivano in Grecia e in Italia nel corso di questo stesso periodo, nonché ai richiedenti protezione internazionale che sono arrivati nel territorio di tali Stati membri a partire dal 24 marzo 2015.
94 Quanto all’articolo 4, paragrafo 5, della decisione impugnata, esso prevede, in presenza di «circostanze eccezionali», e previa notifica da parte di uno Stato membro da effettuarsi entro il 26 dicembre 2015, la possibilità di una proroga del periodo di 24 mesi fissato all’articolo 13, paragrafo 2, di detta decisione per un periodo massimo di 12 mesi nel quadro del meccanismo di sospensione temporanea e parziale dell’obbligo di ricollocazione dei richiedenti protezione internazionale che incombe allo Stato membro interessato. La disposizione sopra citata conferma dunque il carattere temporaneo delle diverse misure contenute in detta decisione. Inoltre, poiché tale meccanismo non può più essere attivato dopo il 26 dicembre 2015, la decisione impugnata arriverà a scadenza definitiva il 26 settembre 2017.
95 Pertanto, occorre constatare che la decisione impugnata si applica per un periodo limitato.
96 Inoltre, il Consiglio non ha manifestamente ecceduto il suo potere discrezionale nel fissare la durata delle misure previste dalla decisione impugnata, là dove esso ha ritenuto, al considerando 22 di tale decisione, che un «periodo di 24 mesi è ragionevole per garantire che le misure previste dalla presente decisione abbiano un impatto reale ai fini del sostegno fornito all’Italia e alla Grecia nella gestione dei forti flussi migratori nei loro territori».
97 Tale scelta di un periodo di applicazione di 24 mesi appare giustificata in considerazione del fatto che una ricollocazione di un numero significativo di persone quale quella prevista dalla decisione impugnata è un’operazione al tempo stesso inedita e complessa, che necessita di un certo tempo di preparazione e di attuazione, in particolare sul piano del coordinamento tra le amministrazioni degli Stati membri, prima che essa produca effetti concreti.
98 Occorre altresì respingere l’argomento della Repubblica slovacca e dell’Ungheria secondo cui la decisione impugnata non ha carattere temporaneo in quanto essa produrrà effetti a lungo termine, dal momento che numerosi richiedenti protezione internazionale resteranno, dopo la loro ricollocazione, nel territorio dello Stato membro di ricollocazione ben oltre il periodo di applicazione di 24 mesi della decisione impugnata.
99 Infatti, se si dovesse tener conto della durata degli effetti di una misura di ricollocazione sulle persone ricollocate al fine di valutare il suo carattere temporaneo ai sensi dell’articolo 78, paragrafo 3, TFUE, nessuna misura di ricollocazione di persone aventi manifestamente bisogno di protezione internazionale potrebbe essere adottata sulla base della disposizione suddetta, in quanto simili effetti a più o meno lungo termine sono inerenti ad una ricollocazione siffatta.
100 Non merita accoglimento neppure l’argomento della Repubblica slovacca e dell’Ungheria secondo cui, per poter essere considerata come avente carattere temporaneo, ai sensi dell’articolo 78, paragrafo 3, TFUE, la durata di applicazione della misura in questione non dovrebbe essere superiore alla durata minima necessaria per l’adozione di un atto legislativo emanato sul fondamento dell’articolo 78, paragrafo 2, TFUE.
101 Infatti, oltre alla circostanza che una siffatta interpretazione dell’articolo 78, paragrafi 2 e 3, TFUE non è fondata su alcun argomento testuale e non tiene in alcun conto la complementarietà delle misure previste, rispettivamente, dai paragrafi 2 e 3 di tale articolo, appare assai difficile, se non impossibile, stabilire anticipatamente il periodo di tempo minimo necessario nel quale un atto legislativo può essere adottato sulla base dell’articolo 78, paragrafo 2, TFUE, sicché tale criterio risulta impraticabile.
102 Ciò è d’altronde evidenziato dal fatto che, nel caso di specie, la proposta di regolamento contenente un meccanismo di ricollocazione permanente, pur essendo stata presentata il 9 settembre 2015, ossia lo stesso giorno in cui è stata presentata la proposta iniziale della Commissione divenuta successivamente la decisione impugnata, a tutt’oggi, giorno di pronuncia della presente sentenza, non è stata adottata.
103 Alla luce di quanto precede, la prima parte del quinto motivo di ricorso della Repubblica slovacca e il secondo motivo di ricorso dell’Ungheria devono essere respinti perché infondati.
3. Sulla seconda parte del quinto motivo della Repubblica slovacca, riguardante il fatto che la decisione impugnata non soddisfa i presupposti di applicazione dell’articolo 78, paragrafo 3, TFUE
a) Argomenti delle parti
104 La Repubblica slovacca sostiene che, sotto tre profili, la decisione impugnata non rispetta il presupposto di applicazione dell’articolo 78, paragrafo 3, TFUE, secondo cui lo Stato membro beneficiario delle misure temporanee deve trovarsi in «una situazione di emergenza caratterizzata da un afflusso improvviso di cittadini di paesi terzi».
105 In primo luogo, la Repubblica slovacca sostiene che l’afflusso di cittadini di paesi terzi in Grecia e in Italia al momento dell’adozione della decisione impugnata o immediatamente prima di tale adozione era ragionevolmente prevedibile e non può dunque essere qualificato come «improvviso».
106 A questo proposito, i dati statistici per gli anni 2013 e 2014 e per i primi mesi dell’anno 2015 indicherebbero che il numero di cittadini di paesi terzi che si dirigevano verso la Grecia e l’Italia era aumentato in maniera continua e che, dalla fine dell’anno 2013 e all’inizio dell’anno 2014, tale aumento era stato considerevole. Inoltre, riguardo all’Italia, i dati per l’anno 2015 avrebbero piuttosto evidenziato una diminuzione del numero di migranti nell’arco degli anni.
107 In secondo luogo, la Repubblica slovacca fa valere che, quantomeno relativamente alla situazione in Grecia, non sussiste un nesso causale tra la situazione di emergenza e l’afflusso di cittadini di paesi terzi in tale Stato membro, quando invece l’esistenza di tale nesso sarebbe richiesta per effetto dell’aggiunta dell’aggettivo «caratterizzata» accanto alla situazione di emergenza contemplata dall’articolo 78, paragrafo 3, TFUE. Sarebbe infatti pacifico che l’organizzazione della politica di asilo della Repubblica ellenica mostrerebbe, da lungo tempo, importanti carenze, le quali non si troverebbero in un nesso di causalità diretta con il fenomeno migratorio caratteristico del periodo nel corso del quale è stata adottata la decisione impugnata.
108 In terzo luogo, la Repubblica slovacca sostiene che, sebbene l’articolo 78, paragrafo 3, TFUE miri a risolvere situazioni di emergenza esistenti o imminenti, la decisione impugnata disciplina, almeno in parte, situazioni ipotetiche future.
109 Infatti, il periodo di applicazione di due o persino tre anni della decisione impugnata sarebbe eccessivamente lungo per poter affermare che, per tutto questo periodo, le misure adottate risponderanno alla situazione di emergenza, attuale o imminente, che tocca la Repubblica ellenica e la Repubblica italiana. Infatti, nel corso di tale periodo, la situazione di emergenza potrebbe venir meno in tali Stati membri. Inoltre, il meccanismo di ricollocazione di 54 000 persone previsto dall’articolo 4, paragrafo 3, della decisione impugnata mirerebbe a far fronte a situazioni totalmente ipotetiche in altri Stati membri.
110 La Repubblica di Polonia appoggia tale punto di vista argomentando che l’articolo 78, paragrafo 3, TFUE contempla una situazione di crisi al tempo stesso preesistente e attuale, la quale esiga l’adozione di misure correttive immediate, e non, come invece farebbe la decisione impugnata, situazioni di crisi che possano presentarsi in avvenire, ma il cui verificarsi, la cui natura e la cui entità siano incerte o difficilmente prevedibili.
111 Il Consiglio e gli Stati membri che lo sostengono fanno valere che la situazione di emergenza senza precedenti che è all’origine della decisione impugnata, evidenziata dai dati statistici menzionati nei considerando 13 e 26 della decisione stessa, è stata al tempo stesso caratterizzata e principalmente causata da un afflusso improvviso e massiccio di cittadini di paesi terzi, in particolare nei mesi di luglio e di agosto 2015.
112 Il Consiglio sostiene inoltre che il fatto che la decisione impugnata si riferisca ad avvenimenti o a situazioni future non è incompatibile con l’articolo 78, paragrafo 3, TFUE.
b) Giudizio della Corte
113 Occorre, in primo luogo, esaminare l’argomento della Repubblica slovacca secondo cui l’afflusso di cittadini di paesi terzi nei territori greco e italiano nel corso dell’anno 2015 non potrebbe essere qualificato come «improvviso», ai sensi dell’articolo 78, paragrafo 3, TFUE, in quanto esso si inseriva nel solco di un afflusso già consistente constatato durante l’anno 2014, sicché esso era prevedibile.
114 A questo proposito occorre considerare che può essere qualificato come «improvviso», ai sensi dell’articolo 78, paragrafo 3, TFUE, un afflusso di cittadini di paesi terzi di una tale portata da essere imprevedibile, e ciò quand’anche esso si inserisca in un contesto di crisi migratoria distribuita su vari anni, in quanto esso rende impossibile il funzionamento normale del regime comune di asilo dell’Unione.
115 Nel caso di specie, come rilevato dall’avvocato generale al paragrafo 3 delle sue conclusioni, la decisione impugnata è intervenuta nel contesto della crisi migratoria, richiamata al considerando 3 di detta decisione, che ha colpito l’Unione a partire dall’anno 2014 e si è poi aggravata durante l’anno 2015, in particolare nel corso dei mesi di luglio e di agosto di quell’anno, nonché nel contesto della catastrofica situazione umanitaria generata da tale crisi negli Stati membri, in particolare quelli situati in prima linea, come la Repubblica ellenica e la Repubblica italiana, che si sono trovati dinanzi ad un afflusso massiccio di migranti la maggior parte dei quali provenienti da paesi terzi come la Siria, l’Afghanistan, l’Iraq e l’Eritrea.
116 Secondo dati statistici dell’agenzia Frontex, forniti in allegato alla memoria di intervento del Granducato di Lussemburgo, nel corso dell’anno 2015, per tutta l’Unione, sono stati conteggiati 1,83 milioni di attraversamenti irregolari delle frontiere esterne dell’Unione a fronte dei 283 500 registrati nell’anno 2014. Inoltre, secondo i dati statistici di Eurostat, nel corso dell’anno 2015 poco meno di 1,3 milioni di migranti hanno chiesto una protezione internazionale nell’Unione contro i 627 000 dell’anno precedente.
117 Risulta inoltre specificamente dai dati statistici menzionati nel considerando 13 della decisione impugnata, provenienti dall’agenzia Frontex, che la Repubblica ellenica e la Repubblica italiana si sono trovate dinanzi, nel corso dei primi otto mesi dell’anno 2015 e, in particolare, nel corso dei mesi di luglio e di agosto di quell’anno, ad un afflusso massiccio di cittadini di paesi terzi nel loro territorio, in particolare di cittadini appartenenti a una nazionalità contemplata dall’articolo 3, paragrafo 2, di detta decisione, sicché la pressione migratoria sui regimi di asilo italiano e greco è fortemente cresciuta durante questo periodo.
118 Infatti, secondo i dati suddetti, per quanto riguarda la Repubblica italiana, durante i primi otto mesi dell’anno 2015 sono stati individuati 116 000 attraversamenti irregolari delle frontiere esterne di tale Stato membro. Nel corso dei mesi di luglio e di agosto 2015, 34 691 migranti sono arrivati in Italia in maniera irregolare, pari ad un aumento del 20% rispetto ai mesi di maggio e di giugno 2015.
119 I dati statistici riguardanti la Repubblica ellenica, menzionati nel considerando 13 della decisione impugnata, sono ancora più indicativi di tale forte aumento dell’afflusso di migranti. Nel corso dei primi otto mesi dell’anno 2015, più di 211 000 migranti in situazione irregolare sono arrivati nel territorio greco. Nei soli mesi di luglio e di agosto di tale anno, l’agenzia Frontex ha contato 137 000 attraversamenti irregolari delle frontiere, pari ad un aumento del 250% rispetto ai mesi di maggio e di giugno 2015.
120 Inoltre, risulta dal considerando 14 della decisione impugnata che, secondo dati provenienti da Eurostat e dall’EASO, 39 183 persone hanno chiesto una protezione internazionale in Italia nei mesi da gennaio a luglio 2015, a fronte di 30 755 nel corso dello stesso periodo dell’anno 2014 (pari a un incremento del 27%), e che un analogo aumento del numero di domande è stato registrato in Grecia, che ha censito 7 475 richiedenti (pari a un aumento del 30%).
121 Risulta inoltre dal considerando 26 della decisione impugnata che il Consiglio ha precisamente fissato il numero complessivo di 120 000 persone da ricollocare sulla base del numero totale di cittadini di paesi terzi che sono entrati irregolarmente in Grecia o in Italia nei mesi di luglio e di agosto dell’anno 2015 e che necessitano manifestamente di una protezione internazionale.
122 Ne consegue che il Consiglio ha così constatato, sulla base di dati statistici non contestati dalla Repubblica slovacca, un forte aumento dell’afflusso di cittadini di paesi terzi in Grecia e in Italia in un breve lasso di tempo, in particolare durante i mesi di luglio e di agosto dell’anno 2015.
123 Orbene, occorre considerare che, in tali circostanze, il Consiglio ben poteva, senza incorrere in un manifesto errore di valutazione, qualificare come «improvviso» ai sensi dell’articolo 78, paragrafo 3, TFUE un siffatto aumento di afflusso, anche se esso si iscriveva nel solco di un periodo di arrivi già massicci di migranti.
124 A questo proposito, va ricordato che occorre riconoscere alle istituzioni dell’Unione un ampio potere discrezionale allorché esse adottano misure in settori che implicano, da parte loro, scelte aventi segnatamente natura politica e valutazioni complesse (v., in tal senso, sentenza del 4 maggio 2016, Polonia/Parlamento e Consiglio, C‑358/14, EU:C:2016:323, punto 79 e la giurisprudenza ivi citata).
125 Per quanto riguarda, in secondo luogo, l’argomento dedotto dalla Repubblica slovacca in merito all’interpretazione restrittiva dell’aggettivo «caratterizzata» che qualifica la «situazione di emergenza» contemplata dall’articolo 78, paragrafo 3, TFUE, occorre rilevare che, sebbene una minoranza delle versioni linguistiche dell’articolo 78, paragrafo 3, TFUE utilizzi non già il termine «caratterizzata» bensì il termine «causata», questi due termini devono, nel contesto di detta disposizione e alla luce dell’obiettivo di quest’ultima inteso a consentire l’adozione rapida di misure provvisorie destinate a reagire in maniera efficace ad una situazione di emergenza migratoria, essere intesi nel medesimo senso dell’esigenza di un nesso sufficientemente stretto tra la situazione di emergenza di cui trattasi e l’afflusso improvviso di cittadini di paesi terzi.
126 Orbene, risulta dai considerando 12, 13 e 26 della decisione impugnata nonché dai dati statistici ivi menzionati che un nesso sufficientemente stretto è stato constatato tra la situazione di emergenza in Grecia e in Italia, vale a dire la pressione considerevole esercitata sui regimi di asilo di tali Stati membri, e l’afflusso di migranti nel corso dell’anno 2015 e in particolare nei mesi di luglio e di agosto di quell’anno.
127 Tale constatazione in punto di fatto non può essere rimessa in discussione dall’esistenza di altri fattori che possono aver anch’essi contribuito a questa situazione di emergenza, tra i quali le carenze strutturali dei regimi suddetti in termini di mancanza di capacità di accoglienza e di trattamento delle domande.
128 Inoltre, l’entità dell’afflusso di migranti con il quale si trovavano a confrontarsi i regimi di asilo greco e italiano nel corso dell’anno 2015 era tale che avrebbe perturbato qualsiasi regime di asilo, ivi compreso un regime non contrassegnato da debolezze strutturali.
129 In terzo luogo, occorre rigettare l’argomento della Repubblica slovacca, sostenuto dalla Repubblica di Polonia, secondo cui la decisione impugnata non poteva essere validamente adottata sulla base dell’articolo 78, paragrafo 3, TFUE, dal momento che essa mirerebbe a risolvere non già una situazione di emergenza sopravvenuta o imminente per la Repubblica ellenica e la Repubblica italiana, bensì, almeno in parte, situazioni ipotetiche e future, vale a dire situazioni riguardo alle quali, al momento dell’adozione di detta decisione, non era possibile affermare con un sufficiente grado di probabilità che si sarebbero verificate.
130 Infatti, risulta dai considerando 13 e 26 della decisione impugnata che questa è stata adottata a motivo di una situazione di emergenza che la Repubblica ellenica e la Repubblica italiana si sono trovate a dover affrontare durante l’anno 2015, più precisamente nei mesi di luglio e di agosto di quell’anno, e che pertanto era già sopravvenuta prima della data di adozione di detta decisione, anche se risulta dal considerando 16 di quest’ultima che il Consiglio ha preso in considerazione pure il fatto che tale situazione di emergenza si sarebbe molto probabilmente protratta a causa dell’instabilità e dei conflitti continui nelle zone immediatamente vicine all’Italia e alla Grecia.
131 Inoltre, tenuto conto del fatto che è inerente ai flussi migratori che questi ultimi possano evolvere rapidamente, in particolare spostandosi verso altri Stati membri, la decisione impugnata prevede diversi meccanismi, in particolare all’articolo 1, paragrafo 2, all’articolo 4, paragrafi 2 e 3, e all’articolo 11, paragrafo 2, intesi ad aggiustare il suo contenuto prescrittivo in funzione di un eventuale mutamento della situazione di emergenza iniziale, in particolare nel caso in cui questa arrivasse a manifestarsi in altri Stati membri.
132 L’articolo 78, paragrafo 3, TFUE non osta a che siffatti meccanismi di aggiustamento si aggiungano alle misure temporanee adottate ai sensi di tale disposizione.
133 Infatti, detta disposizione conferisce un ampio potere discrezionale al Consiglio nella scelta delle misure che possono essere prese al fine di rispondere in maniera rapida ed efficace ad una situazione di emergenza particolare nonché a possibili evoluzioni alle quali quest’ultima potrebbe andare incontro.
134 Come rilevato dall’avvocato generale al paragrafo 130 delle sue conclusioni, rispondere all’emergenza non esclude il carattere evolutivo e modulato della risposta, purché quest’ultima conservi il proprio carattere temporaneo.
135 Pertanto, la seconda parte del quinto motivo di ricorso della Repubblica slovacca deve essere respinta.
D. Sui motivi di ricorso riguardanti la regolarità della procedura di adozione della decisione impugnata e relativi alla violazione delle forme sostanziali
1. Sul primo motivo della Repubblica slovacca e sul settimo motivo dell’Ungheria, relativi ad una violazione dell’articolo 68 TFUE
a) Argomenti delle parti
136 La Repubblica slovacca e l’Ungheria sostengono che, poiché la decisione impugnata è stata adottata a maggioranza qualificata, quando invece dalle conclusioni del Consiglio europeo dei giorni 25 e 26 giugno 2015 risultava che essa doveva essere adottata «per consenso» e «rispecchiando le situazioni specifiche degli Stati membri», il Consiglio ha contravvenuto all’articolo 68 TFUE ed ha violato le forme sostanziali.
137 La Repubblica slovacca e l’Ungheria ritengono che, al momento dell’adozione della decisione impugnata, il Consiglio avrebbe dovuto rispettare gli orientamenti risultanti dalle suddette conclusioni, e in particolare il requisito di una ripartizione dei richiedenti aventi manifestamente bisogno di una protezione internazionale tra gli Stati membri mediante una decisione adottata all’unanimità, ovvero sotto forma di quote volontariamente accettate dagli Stati membri.
138 Il rispetto, da parte del Consiglio, delle conclusioni del Consiglio europeo sarebbe stato di importanza tanto maggiore per il fatto che il Consiglio avrebbe dovuto tener conto del fatto che la ricollocazione di richiedenti una protezione internazionale è una questione politicamente sensibile per vari Stati membri, in quanto una misura siffatta arrecherebbe un pregiudizio considerevole all’attuale sistema risultante dall’applicazione del regolamento Dublino III.
139 L’Ungheria ritiene in particolare che, poiché le conclusioni del Consiglio europeo del 25 e del 26 giugno 2015 prevedevano espressamente l’assunzione di una decisione del Consiglio soltanto per la ricollocazione di 40 000 richiedenti una protezione internazionale, il Consiglio non poteva decidere della ricollocazione di 120 000 richiedenti supplementari senza aver ottenuto un accordo di principio del Consiglio europeo a tal fine. Pertanto, sia la presentazione da parte della Commissione di una proposta di decisione riguardante tale ricollocazione supplementare, sia l’adozione di tale proposta da parte del Consiglio costituirebbero una violazione dell’articolo 68 TFUE e delle forme sostanziali.
140 Il Consiglio sostiene che non esiste contraddizione tra la decisione impugnata e le conclusioni del Consiglio europeo del 25 e del 26 giugno 2015.
141 Inoltre, detta istituzione fa valere che, anche se le conclusioni mediante le quali il Consiglio europeo definisce i propri orientamenti si impongono all’Unione in forza dell’articolo 15 TUE e non hanno dunque carattere puramente politico, esse però non forniscono all’azione delle altre istituzioni né una base giuridica né regole e principi alla luce dei quali può essere esercitato il controllo giurisdizionale della legittimità degli atti delle altre istituzioni dell’Unione.
142 La Commissione sostiene che le conclusioni del Consiglio europeo, non avendo alcun carattere vincolante bensì soltanto conseguenze sul piano politico, non possono condizionare o limitare, dal punto di vista giuridico, il diritto d’iniziativa della Commissione per quanto riguarda la proposta di misure sul fondamento dell’articolo 78, paragrafo 3, TFUE o il potere di decisione di cui dispone il Consiglio in virtù di tale disposizione previa consultazione del Parlamento.
b) Giudizio della Corte
143 Le conclusioni del Consiglio europeo del 25 e del 26 giugno 2015 proclamano che gli Stati membri dovrebbero decidere «per consenso» in merito alla ripartizione, «rispecchiando le situazioni specifiche degli Stati membri». Quanto a tale punto, dette conclusioni prevedono espressamente la «ricollocazione temporanea ed eccezionale, su un periodo di due anni, dagli Stati membri Italia e Grecia ad altri Stati membri, di 40 000 persone in evidente bisogno di protezione internazionale» mediante «la rapida adozione da parte del Consiglio di una decisione in tal senso».
144 Orbene, tale meccanismo di ricollocazione di 40 000 persone ha costituito l’oggetto della decisione 2015/1523 che è stata adottata, il 14 settembre 2015, per consenso. Dunque, tale decisione ha, in ordine a tale punto, integralmente attuato le conclusioni di cui sopra.
145 Per quanto riguarda la presunta incidenza della natura cosiddetta «politica» delle conclusioni del Consiglio europeo del 25 e del 26 giugno 2015, tanto sul potere di iniziativa legislativa della Commissione quanto sulle regole di voto in seno al Consiglio previste dall’articolo 78, paragrafo 3, TFUE, un’incidenza di tale natura, anche supponendola esistente e voluta da parte del Consiglio europeo, non può costituire un motivo per l’annullamento, da parte della Corte, della decisione impugnata.
146 Infatti, da un lato, il potere di iniziativa legislativa riconosciuto alla Commissione dall’articolo 17, paragrafo 2, TUE e dall’articolo 289 TFUE, il quale si inscrive nel principio dell’attribuzione dei poteri sancito all’articolo 13, paragrafo 2, TUE e, in modo più ampio, nel principio dell’equilibrio istituzionale, caratteristico della struttura istituzionale dell’Unione, implica che spetta alla Commissione decidere in merito alla presentazione di una proposta di atto legislativo. In tale contesto, spetta altresì alla Commissione – la quale, a norma dell’articolo 17, paragrafo 1, TUE, promuove l’interesse generale dell’Unione e adotta le iniziative appropriate a tal fine – determinare l’oggetto, la finalità e il contenuto di tale proposta (v., in tal senso, sentenza del 14 aprile 2015, Consiglio/Commissione, C‑409/13, EU:C:2015:217, punti 64 e 70).
147 Tali principi si applicano anche al potere di iniziativa della Commissione nel quadro dell’adozione, sulla base dell’articolo 78, paragrafo 3, TFUE, di atti non legislativi, come la decisione impugnata. A questo proposito, come osservato anche dall’avvocato generale al paragrafo 145 delle sue conclusioni, l’articolo 78, paragrafo 3, TFUE non subordina il potere di iniziativa della Commissione alla previa esistenza di orientamenti definiti dal Consiglio europeo ai sensi dell’articolo 68 TFUE.
148 Dall’altro lato, l’articolo 78, paragrafo 3, TFUE permette al Consiglio di adottare misure a maggioranza qualificata, così come il Consiglio ha fatto adottando la decisione impugnata. Il principio dell’equilibrio istituzionale vieta che il Consiglio europeo modifichi tale regola di voto imponendo al Consiglio, mediante conclusioni formulate ai sensi dell’articolo 68 TFUE, una regola di voto all’unanimità.
149 Infatti, come la Corte ha già statuito, atteso che le norme relative alla formazione della volontà delle istituzioni dell’Unione trovano la loro fonte nei Trattati e che esse non sono derogabili né dagli Stati membri né dalle stesse istituzioni, solamente i Trattati possono, in casi specifici, autorizzare un’istituzione a modificare una procedura decisionale da essi prevista (sentenza del 10 settembre 2015, Parlamento/Consiglio, C‑363/14, EU:C:2015:579, punto 43).
150 Ne consegue che il primo motivo di ricorso della Repubblica slovacca e il settimo motivo di ricorso dell’Ungheria devono essere respinti perché infondati.
2. Sulla terza parte del terzo motivo e sulla prima parte del quarto motivo della Repubblica slovacca, nonché sul quinto motivo dell’Ungheria, relativi ad una violazione delle forme sostanziali, in quanto il Consiglio non avrebbe rispettato l’obbligo di consultazione del Parlamento previsto dall’articolo 78, paragrafo 3, TFUE
a) Argomenti delle parti
151 La Repubblica slovacca e l’Ungheria fanno valere che, poiché il Consiglio ha apportato modifiche sostanziali alla proposta iniziale della Commissione ed ha adottato la decisione impugnata senza consultare di nuovo il Parlamento, esso ha violato le forme sostanziali prescritte dall’articolo 78, paragrafo 3, TFUE, il che deve comportare l’annullamento della decisione impugnata. La Repubblica slovacca ritiene che, procedendo in tal modo, il Consiglio abbia violato anche l’articolo 10, paragrafi 1 e 2, e l’articolo 13, paragrafo 2, TUE, nonché i principi di democrazia rappresentativa, dell’equilibrio istituzionale e di buona amministrazione.
152 Le modifiche più importanti della proposta iniziale della Commissione riguarderebbero il fatto che, nella decisione impugnata, l’Ungheria non figura più tra gli Stati membri beneficiari della ricollocazione allo stesso titolo della Repubblica ellenica e della Repubblica italiana, bensì tra gli Stati membri di ricollocazione, ciò che avrebbe in particolare portato alla soppressione dell’allegato III della proposta iniziale della Commissione, relativo alle quote di ricollocazione a partire dall’Ungheria, e all’inclusione di quest’ultimo Stato membro negli allegati I e II della decisione impugnata.
153 La Repubblica slovacca fa riferimento ad altre modifiche contenute nella decisione impugnata rispetto alla proposta iniziale della Commissione, tra le quali il fatto che tale decisione non stabilisce un elenco esaustivo degli Stati membri che possono beneficiare del regime di ricollocazione da essa istituito, bensì prevede, all’articolo 4, paragrafo 3, che altri Stati membri possano beneficiarne qualora soddisfino i presupposti fissati da tale disposizione.
154 Le parti ricorrenti imputano al Consiglio di non aver consultato nuovamente il Parlamento dopo aver apportato tali modifiche alla proposta iniziale della Commissione, malgrado che, nella sua risoluzione del 17 settembre 2015, il Parlamento avesse chiesto al Consiglio di consultarlo nuovamente qualora esso intendesse modificare in modo sostanziale la proposta della Commissione.
155 Anche se la presidenza dell’Unione avrebbe regolarmente informato il Parlamento, e in particolare la commissione per le libertà civili, la giustizia e gli affari interni del Parlamento, in merito all’evoluzione della pratica presso il Consiglio, tali informazioni non potrebbero sostituire una risoluzione formale del Parlamento adottata in seduta plenaria.
156 L’Ungheria fa riferimento in proposito a due lettere indirizzate dal presidente della commissione per gli affari giuridici del Parlamento al presidente del Parlamento, nelle quali detta commissione sarebbe giunta alla conclusione secondo cui il Consiglio aveva modificato in modo sostanziale la proposta iniziale della Commissione ritirando l’Ungheria dalla cerchia degli Stati membri beneficiari, di modo che il Parlamento avrebbe dovuto nuovamente essere consultato.
157 Il Consiglio sostiene in via principale che, alla luce in particolare dell’urgenza della pratica, esso ha proceduto ad una consultazione sufficiente del Parlamento tale da consentire a questa istituzione di conoscere, in tempo utile, il contenuto del testo finale della decisione impugnata e di pronunciarsi in proposito. Ad ogni modo, il testo della decisione impugnata, così come alla fine adottato e considerato nel suo insieme, non si discosterebbe sostanzialmente da quello sul quale il Parlamento era stato consultato il 14 settembre 2015.
b) Giudizio della Corte
158 In via preliminare, occorre rilevare come il Consiglio faccia valere che le lettere della commissione per gli affari giuridici del Parlamento prodotte dall’Ungheria in allegato alla propria memoria di replica e menzionate al punto 156 della presente sentenza costituiscono elementi di prova irricevibili essendo state ottenute in modo irregolare. Il Consiglio chiede alla Corte, a titolo cautelare, di escluderle dal fascicolo delle presenti cause. Al pari dell’Ungheria, esso chiede alla Corte di adottare una misura istruttoria consistente nell’invitare il Parlamento a confermare l’autenticità di tali lettere e, eventualmente, a chiarire il loro status giuridico, nonché ad informare la Corte in merito al proprio eventuale accordo a che l’Ungheria le utilizzi come elementi di prova.
159 A questo proposito la Corte giudica che, essendo stata sufficientemente informata in merito agli elementi di fatto attinenti alla questione se, nella specie, il Consiglio abbia adempiuto all’obbligo di consultazione del Parlamento che gli incombe, quale enunciato all’articolo 78, paragrafo 3, TFUE, essa è in grado di pronunciarsi su tale questione di diritto senza che occorra imporre al Parlamento la misura istruttoria richiesta.
160 Nel merito, occorre ricordare che la regolare consultazione del Parlamento nei casi previsti dal Trattato costituisce una formalità sostanziale la cui inosservanza determina la nullità dell’atto in questione. Infatti, la partecipazione effettiva del Parlamento al processo decisionale, conformemente alle procedure previste dal Trattato, rappresenta un elemento essenziale dell’equilibrio istituzionale voluto dal Trattato medesimo. Tale competenza costituisce l’espressione di un principio democratico fondamentale, secondo il quale i popoli partecipano all’esercizio del potere per il tramite di un’assemblea rappresentativa (v., in tal senso, segnatamente, sentenze dell’11 novembre 1997, Eurotunnel e a., C‑408/95, EU:C:1997:532, punto 45, e del 7 marzo 2017, RPO, C‑390/15, EU:C:2017:174, punti 24 e 25).
161 Secondo una consolidata giurisprudenza della Corte, l’obbligo di consultare il Parlamento nel corso del procedimento decisionale, nei casi previsti dal Trattato, implica l’esigenza di una nuova consultazione ogni qualvolta il testo infine adottato, considerato nel suo insieme, si discosti nella sua sostanza stessa da quello sul quale il Parlamento è già stato consultato, eccezion fatta per i casi in cui gli emendamenti corrispondono, essenzialmente, al desiderio espresso dallo stesso Parlamento (v., in particolare, sentenze dell’11 novembre 1997, Eurotunnel e a., C‑408/95, EU:C:1997:532, punto 46, e del 7 marzo 2017, RPO, C‑390/15, EU:C:2017:174, punto 26).
162 Costituiscono modifiche sostanziali che richiedono una nuova consultazione del Parlamento quelle modifiche che toccano l’essenza stessa del dispositivo normativo introdotto o che incidono sulla ratio complessiva del progetto (v., in tal senso, sentenza del 1o giugno 1994, Parlamento/Consiglio, C‑388/92, EU:C:1994:213, punti 13 e 18).
163 A questo proposito, se è pur vero che le diverse modifiche della proposta iniziale della Commissione relative al mutamento dello status dell’Ungheria sono state apportate dal Consiglio a seguito del rifiuto di tale Stato membro di beneficiare del meccanismo di ricollocazione quale previsto dalla proposta suddetta, ciò non toglie che, tenuto conto in particolare del fatto che l’articolo 78, paragrafo 3, TFUE prevede l’adozione di misure temporanee a beneficio di uno o più Stati membri che si trovino in una situazione di emergenza ai sensi di tale disposizione, la determinazione degli Stati membri beneficiari di dette misure temporanee costituisce un elemento essenziale di qualsiasi misura adottata sulla base della disposizione di cui sopra.
164 Pertanto, occorre affermare che il testo della decisione impugnata quale infine adottato, considerato nel suo insieme, si discosta nella sua sostanza stessa da quello della proposta iniziale della Commissione.
165 Tuttavia, occorre rilevare che, il 16 settembre 2015, la presidenza del Consiglio ha dichiarato, in occasione di una sessione plenaria straordinaria del Parlamento, quanto segue:
«Vista l’urgenza della situazione e come annunciato nella lettera di consultazione del Parlamento, approfitto dell’occasione per informarvi che vi sarà un importante cambiamento rispetto alla proposta iniziale [della Commissione].
L’Ungheria non si considera come un paese in prima linea e ci ha informato che non desidera essere beneficiaria della ricollocazione.
Il Parlamento potrà tener conto di tale elemento nel proprio parere».
166 Pertanto, nella sua risoluzione legislativa del 17 settembre 2015 che esprimeva il suo sostegno alla proposta iniziale della Commissione, il Parlamento ha necessariamente dovuto tener conto di tale modifica fondamentale dello status dell’Ungheria che si imponeva al Consiglio.
167 Inoltre, se certo, dopo l’adozione della suddetta risoluzione legislativa da parte del Parlamento, il Consiglio ha apportato altre modifiche alla proposta iniziale della Commissione, tali modifiche non hanno però inciso sulla sostanza stessa di tale proposta.
168 Inoltre, la presidenza del Consiglio, nell’ambito dei contatti informali annunciati nella lettera di consultazione, ha pienamente informato il Parlamento di tali modifiche.
169 Pertanto, l’obbligo di consultazione del Parlamento previsto dall’articolo 78, paragrafo 3, TFUE è stato rispettato.
170 Alla luce di quanto sopra esposto, occorre respingere perché infondati la terza parte del terzo motivo di ricorso e la prima parte del quarto motivo di ricorso della Repubblica slovacca, nonché il quinto motivo di ricorso dell’Ungheria.
3. Sulla seconda parte del quarto motivo della Repubblica slovacca e sul terzo motivo dell’Ungheria, relativi ad una violazione di forme sostanziali per il fatto che il Consiglio non ha deciso all’unanimità, in contrasto con l’articolo 293, paragrafo 1, TFUE
a) Argomenti delle parti
171 La Repubblica slovacca e l’Ungheria sostengono che il Consiglio, adottando la decisione impugnata, ha violato la forma sostanziale prescritta dall’articolo 293, paragrafo 1, TFUE, in quanto esso ha emendato la proposta della Commissione senza rispettare l’unanimità richiesta da tale disposizione. La Repubblica slovacca afferma che, così facendo, il Consiglio ha violato anche l’articolo 13, paragrafo 2, TUE, nonché i principi dell’equilibrio istituzionale e di buona amministrazione.
172 Il requisito dell’unanimità previsto dall’articolo 293, paragrafo 1, TFUE si applicherebbe a qualsiasi modifica della proposta della Commissione, compreso il caso di una modifica minore e indipendentemente dalla questione se la Commissione abbia accettato esplicitamente o implicitamente le modifiche apportate alla sua proposta in occasione delle discussioni in seno al Consiglio.
173 Le parti ricorrenti fanno valere che nulla indica che, nel corso della procedura di adozione della decisione impugnata, la Commissione abbia ritirato la propria proposta e presentato una nuova proposta redatta in termini identici a quelli del testo infine adottato. Al contrario, risulterebbe dal verbale della seduta del Consiglio del 22 settembre 2015 che la Commissione non ha depositato alcuna nuova proposta, né ha emesso alcuna previa dichiarazione in merito al progetto modificato quale infine adottato dal Consiglio.
174 Orbene, sarebbe necessario che la Commissione aderisca attivamente ed esplicitamente alle modifiche di cui trattasi per poter ritenere che essa abbia modificato la propria proposta, ai sensi dell’articolo 293, paragrafo 2, TFUE. Il caso di specie sarebbe in proposito diverso da quello che veniva in questione nella causa decisa dalla sentenza del 5 ottobre 1994, Germania/Consiglio (C‑280/93, EU:C:1994:367).
175 Il Consiglio ribatte che, il 22 settembre 2015, in occasione della riunione del Consiglio nel corso della quale è stata adottata la decisione impugnata, la Commissione, rappresentata dal suo primo vicepresidente e dal commissario competente in materia di asilo e di immigrazione, ha accettato tutte le modifiche apportate dal Consiglio alla proposta iniziale della Commissione. Tale accordo, anche se fosse considerato implicito, equivarrebbe ad una modifica della propria proposta da parte di quest’ultima istituzione.
176 Allo stesso modo, la Commissione sostiene che essa ha modificato la propria proposta conformemente alle modifiche adottate dai commissari competenti in suo nome al fine di facilitare l’adozione dell’atto.
b) Giudizio della Corte
177 L’articolo 293 TFUE circonda di una duplice garanzia il potere di iniziativa della Commissione, nella fattispecie quello conferito dall’articolo 78, paragrafo 3, TFUE nell’ambito di una procedura non legislativa. Da un lato, l’articolo 293, paragrafo 1, TFUE stabilisce che, salvi i casi contemplati dalle disposizioni del Trattato FUE menzionate in questa disposizione e che non sono pertinenti nel caso di specie, il Consiglio, allorché delibera, in virtù dei Trattati, su proposta della Commissione, può emendare tale proposta soltanto decidendo all’unanimità. Dall’altro lato, ai sensi dell’articolo 293, paragrafo 2, TFUE, fintantoché il Consiglio non ha deliberato, la Commissione può modificare la propria proposta in ogni fase delle procedure che portano all’adozione di un atto dell’Unione (v., in tal senso, sentenza del 14 aprile 2015, Consiglio/Commissione, C‑409/13, EU:C:2015:217, punti da 71 a 73).
178 Ne consegue che se, in conformità dell’articolo 293, paragrafo 2, TFUE, la Commissione modifica la propria proposta nel corso della procedura di adozione di un atto dell’Unione, il requisito dell’unanimità previsto dall’articolo 293, paragrafo 1, TFUE non deve essere rispettato dal Consiglio.
179 Per quanto riguarda l’articolo 293, paragrafo 2, TFUE, la Corte ha già statuito che le proposte modificate adottate dalla Commissione non devono necessariamente assumere una forma scritta, in quanto esse fanno parte del processo di adozione di atti dell’Unione che è caratterizzato da una certa flessibilità, necessaria per raggiungere una convergenza di vedute tra le istituzioni (v., in tal senso, sentenza del 5 ottobre 1994, Germania/Consiglio, C‑280/93, EU:C:1994:367, punto 36).
180 Orbene, siffatte considerazioni di flessibilità devono a fortiori prevalere nell’ambito della procedura di adozione di un atto sulla base dell’articolo 78, paragrafo 3, TFUE, in quanto tale disposizione mira a permettere la rapida adozione di misure temporanee al fine di rimediare in tempi brevi e in modo efficace ad una «situazione di emergenza», ai sensi di tale disposizione.
181 Ne consegue che, nel particolare contesto dell’articolo 78, paragrafo 3, TFUE, si può ritenere che la Commissione abbia esercitato il proprio potere di modifica previsto dall’articolo 293, paragrafo 2, TFUE qualora risulti chiaramente dalla partecipazione di tale istituzione al processo di adozione dell’atto di cui trattasi che la proposta modificata è stata approvata dalla Commissione medesima. Un’interpretazione del genere risponde alla finalità dell’articolo 293, paragrafo 2, TFUE, che mira a proteggere il potere di iniziativa della Commissione.
182 Nel caso di specie, la Commissione ritiene che il potere di iniziativa che le viene riconosciuto dall’articolo 78, paragrafo 3, TFUE non sia stato violato.
183 A questo proposito, detta istituzione sostiene di aver modificato la propria proposta iniziale, avendo essa approvato le modifiche apportate a tale testo in occasione delle diverse riunioni svoltesi in seno al Consiglio.
184 Essa rileva in tale contesto che era rappresentata nelle suddette riunioni da due dei propri membri, vale a dire dal suo primo vicepresidente e dal commissario incaricato, in particolare, dell’immigrazione, i quali erano debitamente autorizzati dal collegio dei commissari, in conformità dell’articolo 13 del suo regolamento interno, ad approvare le modifiche alla sua proposta iniziale nel rispetto dell’obiettivo prioritario, fissato dal citato collegio dei commissari in occasione della sua riunione del 16 settembre 2015, vale a dire l’adozione da parte del Consiglio di una decisione vincolante e applicabile senza indugio comportante la ricollocazione di 120 000 persone manifestamente bisognose di protezione internazionale.
185 A questo proposito, risulta dall’articolo 13 del regolamento interno della Commissione, interpretato alla luce dell’obiettivo dell’articolo 293, paragrafo 2, TFUE, che mira a tutelare il potere di iniziativa della Commissione, che il collegio dei commissari può autorizzare alcuni dei suoi membri a procedere alla modifica, nel corso del procedimento, della proposta della Commissione entro i limiti da esso preventivamente stabiliti.
186 Se invero la Repubblica slovacca e l’Ungheria contestano il fatto che i due membri della Commissione di cui trattasi fossero stati debitamente autorizzati dal collegio dei commissari, in conformità dell’articolo 13 del regolamento interno di tale istituzione, ad approvare le modifiche apportate alla proposta di quest’ultima, è giocoforza constatare come tali Stati membri non adducano alcun elemento di prova idoneo a mettere in dubbio la veridicità delle affermazioni della Commissione e degli elementi di prova dimessi in atti da quest’ultima.
187 Alla luce di tali elementi, occorre dichiarare che, nel caso di specie, la Commissione ha esercitato il proprio potere di modifica previsto dall’articolo 293, paragrafo 2, TFUE, in quanto risulta chiaramente dalla partecipazione di tale istituzione al processo di adozione della decisione impugnata che la proposta modificata è stata approvata dalla Commissione tramite due dei suoi membri che erano autorizzati dal collegio dei commissari ad adottare le modifiche in questione.
188 Pertanto, il requisito dell’unanimità previsto dall’articolo 293, paragrafo 1, TFUE non doveva essere rispettato dal Consiglio.
189 Alla luce di quanto sopra esposto, occorre respingere perché infondati la seconda parte del quarto motivo di ricorso della Repubblica slovacca e il terzo motivo di ricorso dell’Ungheria.
4. Sulla prima e sulla seconda parte del terzo motivo della Repubblica slovacca e sul quarto motivo dell’Ungheria, relativi ad una violazione di forme sostanziali, in quanto il diritto dei parlamenti nazionali di emettere un parere in applicazione dei protocolli (n. 1) e (n. 2) non è stato rispettato e il Consiglio ha violato il requisito del carattere pubblico delle discussioni e del voto al suo interno
a) Argomenti delle parti
190 La Repubblica slovacca, in via subordinata, e l’Ungheria fanno valere che, in occasione dell’adozione della decisione impugnata, non è stato rispettato il diritto dei parlamenti nazionali di emettere un parere su qualsiasi progetto di atto legislativo, quale previsto dai protocolli (n. 1) e (n. 2).
191 Inoltre, la Repubblica slovacca sostiene, in via subordinata, che, qualora la Corte dovesse statuire che la decisione impugnata doveva essere adottata secondo la procedura legislativa, il Consiglio ha violato una forma sostanziale, in quanto esso ha adottato detta decisione a porte chiuse, in conformità della regola applicabile nell’esercizio delle sue attività non legislative, mentre invece l’articolo 16, paragrafo 8, TUE e l’articolo 15, paragrafo 2, TFUE prevedono che le riunioni del Consiglio siano pubbliche al momento della deliberazione e del voto su un progetto di atto legislativo.
192 Il Consiglio sostiene che, poiché la decisione impugnata è un atto non legislativo, tale decisione non era assoggettata alle condizioni che sono previste per l’adozione di un atto legislativo.
b) Giudizio della Corte
193 Poiché, come risulta dal punto 67 della presente sentenza, la decisione impugnata deve essere qualificata come atto non legislativo, ne consegue che l’adozione di tale atto nel quadro di una procedura non legislativa non era assoggettata ai requisiti riguardanti la partecipazione dei parlamenti nazionali previsti dai protocolli (n. 1) e (n. 2), né a quelli relativi al carattere pubblico della deliberazione e del voto in seno al Consiglio, il cui rispetto si impone soltanto nell’ambito dell’adozione di progetti di atti legislativi.
194 Ne consegue che la prima e la seconda parte del terzo motivo di ricorso della Repubblica slovacca e il quarto motivo di ricorso dell’Ungheria devono essere respinti perché infondati.
5. Sul sesto motivo dell’Ungheria, relativo ad una violazione di forme sostanziali per il fatto che, nell’adottare la decisione impugnata, il Consiglio non ha rispettato le norme del diritto dell’Unione in materia di uso delle lingue
a) Argomenti delle parti
195 L’Ungheria sostiene che la decisione impugnata è viziata da un’irregolarità procedurale sostanziale in quanto il Consiglio non ha rispettato il diritto dell’Unione in materia di uso delle lingue.
196 In particolare, il Consiglio avrebbe violato l’articolo 14, paragrafo 1, del proprio regolamento interno, nella misura in cui i testi che riprendono le modifiche successivamente apportate alla proposta iniziale della Commissione, ivi compreso, alla fine, il testo della decisione impugnata quale adottato dal Consiglio, sarebbero stati inviati agli Stati membri unicamente in lingua inglese.
197 Nella sua memoria di replica, la Repubblica slovacca deduce un motivo di ricorso analogo, che essa qualifica come di ordine pubblico, relativo ad una violazione delle forme sostanziali, a motivo del fatto che il Consiglio non avrebbe rispettato il regime dell’uso delle lingue, e in particolare l’articolo 14, paragrafo 1, del proprio regolamento interno, in occasione dell’adozione della decisione impugnata.
198 Il Consiglio sostiene che le deliberazioni del Consiglio hanno avuto luogo in piena osservanza del diritto dell’Unione in materia di uso delle lingue e, in particolare, del regime linguistico semplificato che si applica agli emendamenti, a norma dell’articolo 14, paragrafo 2, del proprio regolamento interno.
b) Giudizio della Corte
199 In via preliminare, senza che occorra pronunciarsi sulla ricevibilità del motivo dedotto dalla Repubblica slovacca e relativo ad una violazione del diritto dell’Unione in materia di uso delle lingue, occorre rilevare come tale motivo si confonda con il sesto motivo di ricorso fatto valere dall’Ungheria, che deve essere esaminato nel merito.
200 Questo sesto motivo dell’Ungheria riguarda una violazione dell’articolo 14 del regolamento interno del Consiglio, intitolato «Deliberazioni e decisioni in base a documenti e progetti redatti nelle lingue previste dal regime linguistico in vigore», e segnatamente dell’articolo 14, paragrafo 1, di tale regolamento, il quale stabilisce che, salvo decisione contraria adottata dal Consiglio all’unanimità e motivata dall’urgenza, tale istituzione delibera e decide soltanto in base a documenti e progetti redatti nelle lingue previste dal regime linguistico in vigore. Ai sensi dell’articolo 14, paragrafo 2, di detto regolamento, ciascun membro del Consiglio può opporsi alla deliberazione qualora il testo degli eventuali emendamenti non sia redatto nelle lingue designate a norma del paragrafo 1 del medesimo articolo 14.
201 Il Consiglio sostiene che l’articolo suddetto deve essere interpretato – e viene in pratica applicato da detta istituzione – nel senso che, sebbene il suo paragrafo 1 prescriva che i progetti che sono «alla base» delle deliberazioni del Consiglio – nel caso di specie, la proposta iniziale della Commissione – devono in linea di principio essere redatti in tutte le lingue ufficiali dell’Unione, il paragrafo 2 del medesimo articolo 14 prevede un regime semplificato per gli emendamenti che non devono essere imperativamente disponibili in tutte le lingue ufficiali dell’Unione. Sarebbe soltanto in caso di opposizione di uno Stato membro che dovrebbero essere presentate al Consiglio anche le versioni linguistiche designate da tale Stato prima che detta istituzione possa continuare a deliberare.
202 Il commento del Consiglio relativo al proprio regolamento interno precisa, nel medesimo senso, che l’articolo 14, paragrafo 2, di tale regolamento consente in particolare a ciascun membro del Consiglio di opporsi alla deliberazione qualora il testo degli eventuali emendamenti non sia redatto in tutte le lingue ufficiali dell’Unione.
203 Anche se, come la Corte ha già rilevato, l’Unione attribuisce grande rilievo alla preservazione del multilinguismo, la cui importanza viene ricordata all’articolo 3, paragrafo 3, quarto comma, TUE (v., in tal senso, sentenza del 5 maggio 2015, Spagna/Consiglio, C‑147/13, EU:C:2015:299, punto 42), l’interpretazione offerta dal Consiglio riguardo al proprio regolamento interno deve essere accolta. Essa deriva infatti da un approccio equilibrato e flessibile che favorisce l’efficacia e la rapidità dei lavori di tale istituzione, che rivestono una speciale importanza nel particolare contesto di urgenza che caratterizza la procedura di adozione delle misure temporanee prese sulla base dell’articolo 78, paragrafo 3, TFUE.
204 È pacifico che, nel caso di specie, la proposta iniziale della Commissione è stata messa a disposizione di tutte le delegazioni degli Stati membri in tutte le lingue ufficiali dell’Unione. Inoltre, l’Ungheria non ha contestato neppure il fatto che nessuno Stato membro si è opposto ad una deliberazione sulla base di testi che riprendevano le modifiche concordate redatte in lingua inglese, e che, inoltre, tutte le modifiche sono state lette dal presidente del Consiglio e interpretate simultaneamente in tutte le lingue ufficiali dell’Unione.
205 Alla luce di quanto sopra esposto, occorre respingere perché infondati il motivo di ricorso dedotto dalla Repubblica slovacca nonché il sesto motivo di ricorso dell’Ungheria, relativi ad una violazione del regime linguistico dell’Unione.
E. Sui motivi di ricorso attinenti al merito
1. Sul sesto motivo della Repubblica slovacca, nonché sul nono e sul decimo motivo dell’Ungheria, relativi ad una violazione del principio di proporzionalità
a) Osservazioni preliminari
206 In via preliminare, occorre ricordare che, secondo una costante giurisprudenza della Corte, il principio di proporzionalità esige che gli atti delle istituzioni dell’Unione siano idonei a realizzare i legittimi obiettivi perseguiti dalla normativa di cui trattasi e non eccedano i limiti di quanto è necessario alla realizzazione di tali obiettivi, fermo restando che, qualora sia possibile una scelta tra più misure appropriate, si deve ricorrere a quella meno restrittiva e che gli inconvenienti causati non devono essere eccessivi rispetto agli scopi perseguiti (v., segnatamente, sentenza del 4 maggio 2016, Polonia/Parlamento e Consiglio, C‑358/14, EU:C:2016:323, punto 78 e la giurisprudenza ivi citata).
207 Per quanto riguarda il controllo giurisdizionale del rispetto di tale principio, occorre altresì ricordare che, come già indicato al punto 124 della presente sentenza, bisogna riconoscere un ampio potere discrezionale alle istituzioni dell’Unione allorché esse adottano misure in settori che implicano, da parte loro, scelte segnatamente di natura politica e valutazioni complesse. Di conseguenza, solo il carattere manifestamente inappropriato di una misura decisa in uno di tali settori, rispetto all’obiettivo che dette istituzioni intendono perseguire, può inficiare la legittimità della misura in questione (v. in tal senso, segnatamente, sentenza del 4 maggio 2016, Polonia/Parlamento e Consiglio, C‑358/14, EU:C:2016:323, punto 79 e la giurisprudenza ivi citata).
208 I principi sanciti da questa giurisprudenza della Corte trovano piena applicazione alle misure adottate nel settore della politica comune dell’Unione in materia di asilo e, in particolare, alle misure temporanee adottate sulla base dell’articolo 78, paragrafo 3, TFUE, quali quelle previste dalla decisione impugnata, le quali implicano scelte essenzialmente di natura politica e valutazioni complesse da effettuarsi, per giunta, entro termini brevi al fine di rispondere in maniera rapida e concreta ad una «situazione di emergenza», ai sensi della disposizione sopra citata.
b) Sul sesto motivo della Repubblica slovacca, in quanto relativo all’inidoneità della decisione impugnata a realizzare l’obiettivo da essa perseguito
1) Argomenti delle parti
209 La Repubblica slovacca, sostenuta dalla Repubblica di Polonia, fa valere che la decisione impugnata non è idonea a realizzare l’obiettivo da essa perseguito ed è pertanto contraria al principio di proporzionalità, quale sancito all’articolo 5, paragrafo 4, TUE nonché agli articoli 1 e 5 del protocollo (n. 2).
210 La decisione impugnata non sarebbe idonea a realizzare tale obiettivo in quanto il meccanismo di ricollocazione che essa prevede non è di natura tale da rimediare alle carenze strutturali dei regimi di asilo greco e italiano. Tali carenze, collegate alla mancanza di capacità di accoglienza e di trattamento delle domande di protezione internazionale, dovrebbero essere previamente risolte prima che detta ricollocazione possa essere effettivamente attuata. Inoltre, il numero poco elevato di ricollocazioni effettuate a tutt’oggi dimostrerebbe che il meccanismo di ricollocazione previsto dalla decisione impugnata era, sin dalla sua adozione, inadatto al raggiungimento dell’obiettivo ricercato.
211 Il Consiglio e gli Stati membri che lo sostengono fanno valere che, anche se i regimi di asilo greco e italiano presentano carenze strutturali, il meccanismo di ricollocazione previsto dalla decisione impugnata è idoneo a realizzare l’obiettivo di quest’ultima, in quanto esso alleggerisce la pressione insostenibile esercitata sui regimi di asilo della Repubblica ellenica e della Repubblica italiana a seguito dell’afflusso senza precedenti di migranti nei loro rispettivi territori nel corso dell’anno 2015, il quale sarebbe stato d’altronde insostenibile per qualsiasi Stato membro, compresi quelli i cui regimi di asilo non presentano debolezze strutturali. Inoltre, detto meccanismo di ricollocazione farebbe parte di un largo ventaglio di misure finanziarie e operative intese a venire in aiuto ai regimi di asilo della Repubblica ellenica e della Repubblica italiana. Oltre a ciò, la decisione impugnata imporrebbe degli obblighi a questi due Stati membri, destinati a migliorare l’efficacia del loro rispettivo regime di asilo.
2) Giudizio della Corte
212 L’obiettivo del meccanismo di ricollocazione previsto dalla decisione impugnata, in rapporto al quale occorre esaminare la proporzionalità del meccanismo stesso, è, ai sensi dell’articolo 1, paragrafo 1, di detta decisione, letto alla luce del considerando 26 di quest’ultima, di aiutare la Repubblica ellenica e la Repubblica italiana ad affrontare una situazione di emergenza, caratterizzata da un afflusso improvviso, nel loro rispettivo territorio, di cittadini di paesi terzi manifestamente bisognosi di protezione internazionale, alleggerendo la pressione considerevole che grava sui regimi di asilo di questi due Stati membri.
213 Orbene, non si può ritenere che il meccanismo di ricollocazione di un numero significativo di richiedenti aventi manifestamente bisogno di protezione internazionale previsto dalla decisione impugnata sia una misura manifestamente inadatta a contribuire all’obiettivo di cui sopra.
214 Appare altrettanto difficilmente contestabile che qualsiasi regime di asilo, anche uno che non presentasse debolezze strutturali in termini di accoglienza e di capacità di trattamento delle domande di protezione internazionale, sarebbe stato gravemente perturbato dall’afflusso senza precedenti di migranti che ha avuto luogo in Grecia e in Italia nel corso dell’anno 2015.
215 Inoltre, il meccanismo di ricollocazione previsto dalla decisione impugnata fa parte di un insieme di misure intese ad alleggerire l’onere gravante su questi due Stati membri, un certo numero delle quali hanno per l’appunto l’obiettivo di migliorare il funzionamento del rispettivo regime di asilo di tali Stati, sicché l’idoneità di detto meccanismo a realizzare i propri obiettivi non può essere valutata isolatamente, bensì deve essere considerata nel quadro dell’insieme di misure in cui esso si inserisce.
216 In concreto, la decisione impugnata prevede, all’articolo 8, misure complementari, segnatamente in materia di rafforzamento della capacità, della qualità e dell’efficacia dei regimi d’asilo, da adottarsi a cura della Repubblica ellenica e della Repubblica italiana, le quali si aggiungono alle misure già imposte dall’articolo 8 della decisione 2015/1523, e il cui scopo è, secondo il considerando 18 della decisione impugnata, di obbligare tali Stati membri a «fornire soluzioni strutturali per ovviare alle pressioni eccezionali sui loro sistemi di asilo e migrazione, istituendo un quadro strategico solido che consenta di far fronte alla situazione di crisi e intensifichi il processo di riforma in corso in questi settori».
217 Inoltre, l’articolo 7 della decisione impugnata prevede la fornitura di un sostegno operativo ai suddetti Stati membri, mentre l’articolo 10 della medesima decisione prevede un sostegno finanziario a loro beneficio per ciascuna persona ricollocata.
218 Il meccanismo di ricollocazione previsto dalla decisione impugnata si aggiunge del resto ad altre misure che mirano a sostenere i regimi di asilo italiano e greco che sono stati gravemente perturbati dagli afflussi massicci succedutisi constatati a partire dall’anno 2014. È questo il caso del programma europeo di reinsediamento di 22 504 persone bisognose di protezione internazionale, che gli Stati membri e gli Stati associati al sistema derivante dall’applicazione del regolamento Dublino III hanno concordato il 20 luglio 2015, della decisione 2015/1523 vertente sulla ricollocazione di 40 000 persone manifestamente bisognose di protezione internazionale, o anche dell’istituzione di «hotspot» in Italia e in Grecia nell’ambito dei quali l’insieme delle agenzie dell’Unione competenti in materia di asilo ed esperti degli Stati membri lavorano concretamente con le autorità nazionali e locali per aiutare gli Stati membri interessati ad adempiere ai loro obblighi previsti dal diritto dell’Unione nei confronti di tali persone, in termini di controllo, di identificazione, di registrazione delle testimonianze e di raccolta di impronte digitali.
219 Inoltre, come ricordato dal considerando 15 della decisione impugnata, la Repubblica ellenica e la Repubblica italiana hanno potuto beneficiare di un sostegno operativo e di aiuti finanziari notevoli dell’Unione nel quadro della politica migratoria e di asilo.
220 Infine, non si può dedurre a posteriori dal numero poco elevato di ricollocazioni effettuate a tutt’oggi in applicazione della decisione impugnata che quest’ultima fosse, sin dall’origine, inadatta al raggiungimento dell’obiettivo perseguito, così come sostenuto dalla Repubblica slovacca, nonché dall’Ungheria nell’ambito del suo nono motivo di ricorso.
221 Infatti, risulta dalla consolidata giurisprudenza della Corte che la validità di un atto dell’Unione non può dipendere da valutazioni retrospettive riguardanti il suo grado di efficacia. Quando il legislatore dell’Unione si trova a valutare gli effetti futuri di una normativa da adottare, malgrado che questi non possano essere previsti con esattezza, la sua valutazione può essere censurata solo qualora appaia manifestamente erronea alla luce degli elementi di cui esso disponeva al momento dell’adozione della normativa stessa (v., in particolare, sentenze del 12 luglio 2001, Jippes e a., C‑189/01, EU:C:2001:420, punto 84, e del 9 giugno 2016, Pesce e a., C‑78/16 e C‑79/16, EU:C:2016:428, punto 50).
222 Nel caso di specie, come risulta in particolare dai considerando 13, 14 e 26 della decisione impugnata, allorché ha adottato il meccanismo di ricollocazione di un numero significativo di richiedenti una protezione internazionale, il Consiglio ha proceduto, sulla base di un esame dettagliato dei dati statistici disponibili all’epoca, ad un’analisi prognostica degli effetti di tale misura sulla situazione di emergenza in questione. Orbene, alla luce di tali dati, l’analisi di cui sopra non appare manifestamente erronea.
223 Inoltre, risulta che il numero poco elevato di ricollocazioni effettuate a tutt’oggi in applicazione della decisione impugnata può spiegarsi con un insieme di elementi che il Consiglio non poteva prevedere al momento dell’adozione di quest’ultima, tra cui, in particolare, la mancanza di cooperazione di alcuni Stati membri.
224 Alla luce di quanto sopra esposto, occorre respingere perché infondato il sesto motivo di ricorso della Repubblica slovacca, in quanto relativo all’inidoneità della decisione impugnata a realizzare l’obiettivo da essa perseguito.
c) Sul sesto motivo della Repubblica slovacca, in quanto relativo al carattere non necessario della decisione impugnata in rapporto all’obiettivo da essa perseguito
1) Argomenti delle parti
225 La Repubblica slovacca, sostenuta dalla Repubblica di Polonia, fa anzitutto valere che l’obiettivo perseguito dalla decisione impugnata poteva essere realizzato in maniera altrettanto efficace ricorrendo ad altre misure che avrebbero potuto essere adottate nell’ambito di strumenti normativi esistenti e che sarebbero state meno restrittive per gli Stati membri e meno incidenti sul diritto «sovrano» di ciascuno di essi di decidere liberamente dell’ammissione nel proprio territorio di cittadini di paesi terzi, nonché sul diritto degli Stati membri, enunciato all’articolo 5 del protocollo (n. 2), a che l’onere finanziario ed amministrativo sia il meno elevato possibile.
226 Infatti, in primo luogo, sarebbe stato possibile applicare il meccanismo previsto dalla direttiva 2001/55/CE del Consiglio, del 20 luglio 2001, sulle norme minime per la concessione della protezione temporanea in caso di afflusso massiccio di sfollati e sulla promozione dell’equilibrio degli sforzi tra gli Stati membri che ricevono gli sfollati e subiscono le conseguenze dell’accoglienza degli stessi (GU 2001, L 212, pag. 12).
227 La direttiva 2001/55 mirerebbe in sostanza a rispondere a situazioni di afflusso massiccio di migranti identiche a quelle contemplate dalla decisione impugnata, prevedendo una procedura di ricollocazione delle persone beneficianti di una protezione temporanea. Tuttavia, tale direttiva sarebbe meno lesiva del diritto sovrano di ciascuno Stato membro di decidere liberamente dell’ammissione nel proprio territorio di cittadini di paesi terzi, soprattutto in quanto essa consentirebbe agli Stati membri di decidere essi stessi il numero di persone da ricollocare nel loro territorio tenendo conto delle proprie capacità di accoglienza. Inoltre, lo status di protezione temporanea conferirebbe meno diritti rispetto allo status di protezione internazionale che la decisione impugnata mira a concedere, segnatamente sotto il profilo della durata di tale protezione, e imporrebbe dunque oneri nettamente inferiori a carico dello Stato membro di ricollocazione.
228 In secondo luogo, la Repubblica slovacca sostiene che la Repubblica ellenica e la Repubblica italiana avrebbero potuto attivare il meccanismo cosiddetto di «protezione civile dell’Unione», previsto dall’articolo 8 bis del regolamento (CE) n. 2007/2004 del Consiglio, del 26 ottobre 2004, che istituisce un’Agenzia europea per la gestione della cooperazione operativa alle frontiere esterne degli Stati membri dell’Unione europea (GU 2004, L 349, pag. 1). Tale meccanismo avrebbe potuto fornir loro l’assistenza materiale necessaria.
229 La Repubblica ellenica e la Repubblica italiana avrebbero potuto anche, in terzo luogo, richiedere un’assistenza all’agenzia Frontex sotto forma di «interventi rapidi». Allo stesso modo, in conformità dell’articolo 2, paragrafo 1, lettera f), e dell’articolo 9, paragrafi 1 e 1 ter, del regolamento n. 2007/2004, questi due Stati membri avrebbero potuto sollecitare l’agenzia Frontex affinché procurasse loro l’assistenza necessaria per l’organizzazione delle operazioni di rimpatrio.
230 Una siffatta assistenza da parte dell’agenzia Frontex sarebbe idonea ad alleggerire direttamente i regimi di asilo e di migrazione dei due Stati membri interessati, in quanto avrebbe consentito loro di concentrare le proprie risorse sui migranti che chiedono la concessione di una protezione internazionale.
231 Poi, non sarebbe stato necessario adottare ulteriori misure sul fondamento dell’articolo 78, paragrafo 3, TFUE, dato che la decisione 2015/1523 lascia agli Stati membri il compito di decidere, in uno spirito di solidarietà, in quale misura essi intendono partecipare all’impegno comune. Tale decisione sarebbe dunque meno lesiva della loro sovranità. Poiché la decisione impugnata è stata adottata soltanto otto giorni dopo la decisione 2015/1523 che prevedeva la ricollocazione di 40 000 persone, sarebbe stato impossibile, in un lasso di tempo così breve, concludere per l’inappropriatezza della decisione 2015/1523 a far fronte alla situazione esistente a quell’epoca. Infatti, al momento dell’adozione della decisione impugnata, nulla avrebbe consentito al Consiglio di ritenere che le misure di accoglienza previste dalla decisione 2015/1523 sarebbero divenute rapidamente insufficienti e che sarebbero state necessarie misure supplementari.
232 Inoltre, l’articolo 78, paragrafo 3, TFUE consentirebbe anche di adottare misure meno restrittive per gli Stati membri, pur restando idonee ai fini della realizzazione dell’obiettivo perseguito, quali la fornitura di un aiuto per facilitare il rimpatrio e la registrazione ovvero un sostegno finanziario, materiale, tecnico e personale ai regimi di asilo italiano e greco. Gli Stati membri potrebbero altresì assumere, su base volontaria, iniziative bilaterali al fine di fornire un sostegno siffatto, e iniziative del genere sarebbero state d’altronde intraprese.
233 Infine, la ricollocazione dei richiedenti prevista dalla decisione impugnata comporterebbe inevitabilmente un onere finanziario e amministrativo per gli Stati membri. Orbene, l’imposizione di tale onere non sarebbe stata necessaria, in quanto sarebbero state ipotizzabili altre misure meno vincolanti. Di conseguenza, tale decisione costituirebbe una misura superflua e prematura che si porrebbe in contrasto con il principio di proporzionalità e con l’articolo 5 del protocollo (n. 2).
234 Il Consiglio sostiene che, al momento dell’adozione della decisione impugnata, esso si è assicurato, in conformità al principio di proporzionalità, che non esistessero misure alternative tali da consentire di raggiungere in modo altrettanto efficace l’obiettivo perseguito da tale decisione, arrecando al contempo il minor pregiudizio possibile alla sovranità degli Stati membri o ai loro interessi finanziari. Le misure alternative elencate dalla Repubblica slovacca non andrebbero però in tal senso.
2) Giudizio della Corte
235 Prima di esaminare i diversi argomenti che la Repubblica slovacca adduce per dimostrare che la decisione impugnata non sarebbe stata necessaria, in quanto il Consiglio avrebbe potuto raggiungere l’obiettivo contemplato da tale decisione adottando misure meno restrittive e lesive del diritto degli Stati membri di decidere, nel rispetto delle regole adottate dall’Unione nel settore della politica comune in materia di asilo, sull’accesso nel loro territorio di cittadini di paesi terzi, occorre ricordare il contesto particolarmente delicato in cui la decisione impugnata è stata adottata, vale a dire la situazione di grave emergenza, esistente all’epoca in Grecia e in Italia, caratterizzata da un afflusso massiccio e improvviso di cittadini di paesi terzi durante i mesi di luglio e di agosto dell’anno 2015.
236 In un siffatto contesto particolare, e tenuto conto dei principi già ricordati ai punti da 206 a 208 della presente sentenza, occorre riconoscere che la decisione di adottare un meccanismo vincolante di ricollocazione di 120 000 persone in base all’articolo 78, paragrafo 3, TFUE, se certo deve essere fondata su criteri oggettivi, può essere censurata dalla Corte soltanto qualora si constati che il Consiglio, quando ha adottato la decisione impugnata, ha commesso, tenuto conto delle informazioni e dei dati disponibili in quel momento, un errore manifesto di valutazione, nel senso che avrebbe potuto essere adottata entro gli stessi termini un’altra misura meno vincolante ma altrettanto efficace.
237 Orbene, a questo proposito occorre rilevare, in primo luogo, che, se è pur vero che la decisione 2015/1523 è stata adottata il 14 settembre 2015, ossia otto giorni prima della decisione impugnata, esiste però un collegamento tra questi atti.
238 Infatti, la decisione 2015/1523 intendeva dare attuazione alle conclusioni del Consiglio europeo del 25 e del 26 giugno 2015 nonché all’accordo intervenuto tra gli Stati membri, che aveva preso la forma di una risoluzione datata 20 luglio 2015. Come risulta dai dati statistici menzionati nei considerando 10 e 11 della decisione 2015/1523, quest’ultima era intesa a rimediare a una situazione di emergenza che si era manifestata nel corso dei primi sei mesi dell’anno 2015.
239 Risulta inoltre dal considerando 21 di questa stessa decisione che il numero complessivo di 40 000 richiedenti è stato fissato sulla base, da un lato, del numero totale di cittadini di paesi terzi che sono entrati irregolarmente in Grecia o in Italia nel corso dell’anno 2014 e, dall’altro, del numero di quelli che avevano manifestamente bisogno di una protezione internazionale, i quali rappresentavano all’incirca il 40% del numero complessivo di cittadini di paesi terzi. È sulla base di tali dati statistici relativi all’anno 2014 che si è deciso che il 60% di queste 40 000 persone dovevano essere ricollocate dall’Italia e il 40% dalla Grecia.
240 Per contro, risulta dalle considerazioni e dai dati statistici sui quali il Consiglio si è fondato allorché ha adottato la decisione impugnata, e che risultano in particolare dai considerando 12, 13 e 26 di quest’ultima, che detta istituzione ha ritenuto che un meccanismo di ricollocazione di 120 000 persone, in aggiunta a quello previsto dalla decisione 2015/1523, dovesse essere istituito per alleggerire la pressione che si esercitava sulla Repubblica italiana e soprattutto sulla Repubblica ellenica in considerazione di una nuova situazione di emergenza derivante dall’afflusso massiccio di migranti in situazione irregolare in tali Stati membri che si era verificato nel corso dei primi otto mesi dell’anno 2015, e in particolare nel corso dei mesi di luglio e di agosto di quell’anno.
241 Questo nuovo afflusso, di un’entità senza precedenti, era caratterizzato anche dal fatto che derivava – come indicato nel considerando 12 della decisione impugnata – da uno spostamento dei flussi migratori che era proseguito, dal Mediterraneo centrale al Mediterraneo orientale e verso la rotta dei Balcani occidentali. Tale spostamento parziale della crisi dall’Italia verso la Grecia chiarisce d’altronde perché, sul totale di 120 000 richiedenti una protezione internazionale, si è deciso che il 13% di essi sarebbe stato ricollocato dall’Italia e il 42% dalla Grecia.
242 Date tali circostanze, non si può ritenere che il Consiglio abbia commesso un errore manifesto di valutazione per il fatto di aver ritenuto, alla luce dei dati più recenti che erano a sua disposizione, che la situazione di emergenza esistente alla data del 22 settembre 2015 giustificasse la ricollocazione di 120 000 persone e che la ricollocazione di 40 000 persone già prevista dalla decisione 2015/1523 non sarebbe stata sufficiente.
243 In secondo luogo, per quanto riguarda l’incidenza della decisione impugnata sul quadro normativo disciplinante l’ammissione di cittadini di paesi terzi, occorre rilevare che il meccanismo di ricollocazione previsto da tale decisione, pur avendo carattere vincolante, si applica però soltanto per un periodo di due anni e riguarda un numero limitato di migranti manifestamente bisognosi di protezione internazionale.
244 L’effetto vincolante della decisione impugnata risulta altresì limitato dal fatto che tale decisione esige, quale presupposto per la ricollocazione, che gli Stati membri indichino, a intervalli regolari, e almeno ogni tre mesi, il numero di richiedenti che essi sono in grado di ricollocare rapidamente nel loro territorio (articolo 5, paragrafo 2, della decisione impugnata), e che essi siano d’accordo con la ricollocazione della persona in questione (articolo 5, paragrafo 4, di detta decisione), restando inteso però che, a norma dell’articolo 5, paragrafo 7, della suddetta decisione, uno Stato membro non può rifiutarsi di ricollocare un richiedente se non in presenza di un motivo legittimo attinente all’ordine pubblico o alla sicurezza nazionale.
245 In terzo luogo, per quanto riguarda l’argomentazione della Repubblica slovacca secondo cui la decisione impugnata costituirebbe una misura sproporzionata in quanto imporrebbe senza necessità un meccanismo vincolante che comporta una ripartizione su base numerica e obbligatoria, sotto forma di quote, delle persone ricollocate tra gli Stati membri, non risulta che il Consiglio, avendo scelto di imporre un siffatto meccanismo vincolante di ricollocazione, abbia commesso un errore manifesto di valutazione.
246 Infatti, il Consiglio ha potuto a ragione ritenere, nell’ambito dell’ampio margine di discrezionalità che deve essergli riconosciuto al riguardo, che il carattere vincolante della ripartizione delle persone ricollocate si imponesse in considerazione della situazione di emergenza particolare nella quale la decisione impugnata doveva essere adottata.
247 Il Consiglio ha d’altronde rilevato, senza essere contraddetto sul punto, che esso aveva dovuto constatare come la ripartizione per consenso tra gli Stati membri delle 40 000 persone interessate dalla decisione 2015/1523 si fosse conclusa, malgrado lunghe trattative, con un fallimento, sicché tale decisione è stata alla fine adottata senza che ad essa fosse acclusa una tabella riportante gli impegni degli Stati membri in termini di ricollocazione.
248 È parimenti pacifico che, nell’ambito dei negoziati in seno ad esso relativi alla decisione impugnata, era risultato rapidamente evidente che una decisione per consenso, in particolare riguardo alla ripartizione delle persone ricollocate, si sarebbe rivelata impossibile a breve termine.
249 Orbene, il Consiglio, dinanzi alla situazione di emergenza in cui si trovavano la Repubblica ellenica e la Repubblica italiana a seguito di un afflusso senza precedenti di migranti durante i mesi di luglio e di agosto dell’anno 2015, doveva adottare delle misure rapidamente attuabili e atte a produrre effetti concreti al fine di aiutare tali Stati membri a controllare gli importanti flussi migratori nel loro territorio.
250 Inoltre, alla luce delle considerazioni e dei dati statistici contemplati, segnatamente, ai considerando da 12 a 16 della decisione impugnata, non si può validamente sostenere che il Consiglio abbia commesso un errore manifesto di valutazione ritenendo che tale situazione imponesse l’adozione di una misura temporanea di ricollocazione a carattere vincolante.
251 Infatti, risulta, da un lato, dal considerando 15 della decisione impugnata che il Consiglio aveva constatato come numerose misure fossero già state adottate per venire in soccorso alla Repubblica ellenica e alla Repubblica italiana nel quadro della politica migratoria e di asilo, nonché, dall’altro lato, dal considerando 16 di detta decisione che, poiché la pressione significativa e crescente sui regimi di asilo greco e italiano rischiava di perdurare, il Consiglio aveva considerato che fosse essenziale dar prova di solidarietà nei confronti di questi due Stati membri e completare le misure fino allora adottate disponendo le misure temporanee previste dalla suddetta decisione.
252 A questo proposito, nell’adottare la decisione impugnata, il Consiglio era effettivamente tenuto, come risulta d’altronde dal considerando 2 di detta decisione, a dare attuazione al principio di solidarietà e di equa ripartizione delle responsabilità tra gli Stati membri, anche sul piano finanziario, la cui osservanza si impone, a norma dell’articolo 80 TFUE, nell’ambito dell’attuazione della politica comune dell’Unione in materia di asilo.
253 Pertanto, nel caso di specie, non si può imputare al Consiglio di aver commesso un errore manifesto di valutazione per il fatto di aver ritenuto di dover adottare, in considerazione dell’urgenza specifica della situazione, sulla base dell’articolo 78, paragrafo 3, TFUE, letto alla luce dell’articolo 80 TFUE e del principio di solidarietà tra Stati membri in esso sancito, misure temporanee consistenti nell’imporre un meccanismo di ricollocazione vincolante, quale quello previsto dalla decisione impugnata.
254 In quarto luogo, contrariamente a quanto sostengono la Repubblica slovacca e l’Ungheria, la scelta di un meccanismo di ricollocazione vincolante non può essere censurata a motivo del fatto che l’articolo 78, paragrafo 3, TFUE consentirebbe unicamente l’adozione di misure temporanee che possono essere rapidamente messe in atto, mentre un siffatto meccanismo di ricollocazione esigerebbe un certo tempo di preparazione e di attuazione prima che si possa raggiungere un ritmo sostenuto di ricollocazioni.
255 Infatti, poiché la disposizione sopra citata è intesa all’introduzione di misure utili e non fissa a tal fine alcun termine entro il quale devono essere messe in atto misure provvisorie, occorre dichiarare che il Consiglio non ha travalicato l’ampio margine di discrezionalità di cui dispone là dove ha considerato che la situazione esistente nel luglio e nell’agosto del 2015 giustificava il fatto che venisse adottato un meccanismo di ricollocazione vincolante per porre rimedio alla stessa e che quest’ultimo venisse attuato il più rapidamente possibile al fine di produrre in modo altrettanto rapido risultati concreti, al termine di un eventuale periodo di preparazione e di attuazione.
256 Per quanto riguarda in particolare la direttiva 2001/55, il Consiglio ha altresì sostenuto, senza essere contraddetto sul punto, che il sistema di protezione temporanea previsto dalla medesima direttiva non offriva una risposta effettiva al problema che si poneva nel caso di specie, ossia la saturazione completa delle infrastrutture di accoglienza in Grecia e in Italia e la necessità di sgravare questi Stati membri il più rapidamente possibile di un numero rilevante di migranti già arrivati sul loro territorio, dato che tale sistema di protezione temporanea prevede che le persone ammesse a beneficiarne hanno diritto a una protezione nello Stato membro in cui esse si trovano.
257 In quinto luogo, la scelta operata nella decisione impugnata di concedere una protezione internazionale piuttosto che uno status che conferisce diritti più limitati, quale quello della protezione temporanea previsto dalla direttiva 2001/55, è una scelta essenzialmente politica, la cui opportunità non può essere esaminata dalla Corte.
258 Per quanto riguarda, in sesto luogo, le altre misure prospettate dalla Repubblica slovacca e che costituirebbero misure meno restrittive rispetto alla decisione impugnata, occorre anzitutto osservare che delle misure intese al rafforzamento delle frontiere esterne o anche delle misure intese a concedere un sostegno finanziario od operativo ai regimi di asilo greco e italiano non costituiscono, a differenza del meccanismo di ricollocazione previsto dalla decisione impugnata, una risposta sufficiente alla necessità di alleggerire la pressione su tali regimi provocata da un afflusso di migranti che si era già prodotto.
259 Si tratta, infatti, di misure complementari che possono contribuire a controllare meglio nuovi afflussi di migranti, ma che, come tali, non possono rimediare al problema esistente della saturazione dei regimi d’asilo greco e italiano determinata da persone che sono già presenti nel territorio di tali Stati membri.
260 Infine, in settimo luogo, per quanto riguarda l’argomento secondo cui l’attuazione del meccanismo di ricollocazione previsto dalla decisione impugnata comporterebbe oneri sproporzionati per gli Stati membri, la Repubblica slovacca non ha addotto alcun elemento concreto che dimostri che le misure alternative da essa proposte, quali l’aumento delle risorse, in particolare tecniche e finanziarie, a beneficio della Repubblica ellenica e della Repubblica italiana, comporterebbe manifestamente costi minori rispetto a quelli di un meccanismo temporaneo di ricollocazione.
261 Ne consegue che gli argomenti presentati dalla Repubblica slovacca intesi a contestare il carattere necessario della decisione impugnata devono essere respinti perché infondati. Pertanto, il sesto motivo della Repubblica slovacca dev’essere integralmente respinto.
d) Sul nono motivo dell’Ungheria, relativo al carattere non necessario della decisione impugnata in rapporto all’obiettivo da essa perseguito
1) Argomenti delle parti
262 L’Ungheria, sostenuta dalla Repubblica di Polonia, fa valere che, poiché, contrariamente a quanto prevedeva la proposta iniziale della Commissione, essa non figura più, nel testo finale della decisione impugnata, tra gli Stati membri beneficiari, non era giustificato che la decisione impugnata prevedesse la ricollocazione di 120 000 richiedenti e che, pertanto, detta decisione è contraria al principio di proporzionalità.
263 Infatti, la fissazione di tale numero complessivo di 120 000 persone la cui ricollocazione è prevista dalla decisione impugnata andrebbe oltre quanto è necessario per raggiungere l’obiettivo perseguito da tale decisione, in quanto il numero di cui sopra include un numero di 54 000 persone che, secondo la proposta iniziale della Commissione, dovevano essere ricollocate a partire dall’Ungheria. Non sarebbe giustificato che il numero complessivo di richiedenti che dovevano costituire l’oggetto di un’operazione di ricollocazione non sia stato riveduto al ribasso, in quanto tale numero complessivo era stato fissato, inizialmente, sulla base non di due bensì di tre Stati membri beneficiari.
264 Inoltre, la ripartizione dei 54 000 richiedenti per i quali era inizialmente previsto che fossero ricollocati a partire dall’Ungheria sarebbe divenuta ipotetica e incerta, in quanto la decisione impugnata prevedrebbe che tale ripartizione costituirà l’oggetto di una decisione definitiva sulla base di futuri sviluppi.
265 L’Ungheria sostiene che, mentre l’articolo 78, paragrafo 3, TFUE è destinato a far fronte in maniera rapida ad una situazione non ipotetica bensì esistente, non era chiaramente dimostrato, al momento dell’adozione della decisione impugnata, che la ricollocazione di questi 54 000 richiedenti fosse necessaria e, quand’anche così fosse stato, a partire da quali Stati membri beneficiari tale ricollocazione dovesse essere effettuata.
266 Il Consiglio respinge gli argomenti dell’Ungheria e sostiene, in particolare, che, sulla base di tutti i dati statistici disponibili al momento dell’adozione della decisione impugnata, esso ha potuto giustamente ritenere che, anche dopo il ritiro dell’Ungheria quale Stato membro beneficiario, occorresse mantenere il totale di 120 000 persone da ricollocare.
2) Giudizio della Corte
267 Risulta, anzitutto, dal considerando 26 della decisione impugnata che il Consiglio ha ritenuto che occorresse ricollocare «un numero significativo di richiedenti in evidente bisogno di protezione internazionale» e che il numero di 120 000 richiedenti è stato fissato «[i]n base al numero complessivo di cittadini di paesi terzi entrati in modo irregolare in Italia e in Grecia nel 2015 e al numero di persone in evidente bisogno di protezione internazionale».
268 Al considerando 13 della decisione impugnata, il Consiglio ha in particolare precisato i dati statistici relativi al numero di ingressi irregolari in Grecia e in Italia nel corso dell’anno 2015, e più in particolare durante i mesi di luglio e di agosto di quell’anno, che esso ha preso in considerazione al fine di determinare tale cifra di 120 000 richiedenti.
269 Risulta da tali indicazioni che il Consiglio ha scelto, anche dopo il ritiro dall’Ungheria quale Stato membro beneficiario, di conservare il numero complessivo di 120 000 persone da ricollocare alla luce della gravità della situazione esistente in Grecia e in Italia nel corso dell’anno 2015, e in particolare nel corso dei mesi di luglio e di agosto di quell’anno.
270 Si può altresì dedurre dal considerando 26 della decisione impugnata che il Consiglio ha mantenuto tale cifra complessiva di 120 000 persone in quanto riteneva che soltanto la ricollocazione di un numero «significativo» di richiedenti aventi manifestamente bisogno di una protezione internazionale potesse ridurre concretamente la pressione gravante, a quell’epoca, sui regimi di asilo greco e italiano.
271 La necessità di conservare il numero di 54 000 richiedenti che era inizialmente destinato a ricollocazioni dall’Ungheria può altresì trovare sostegno nel considerando 16 della decisione impugnata. Da questo risulta infatti che, a motivo della situazione di instabilità e dei continui conflitti nelle zone immediatamente vicine alla Grecia e all’Italia, era assai probabile che una pressione significativa e crescente avrebbe continuato ad esercitarsi sui regimi di asilo greco e italiano dopo l’adozione della decisione impugnata.
272 Poiché l’Ungheria non ha dimostrato, sulla base di elementi precisi, che i dati statistici presi in considerazione dal Consiglio per fissare a 120 000 il numero complessivo di persone da ricollocare non fossero pertinenti, occorre constatare che il Consiglio, avendo stabilito tale cifra, sulla base delle considerazioni e dei dati di cui sopra, anche dopo il ritiro dell’Ungheria quale Stato membro beneficiario della ricollocazione, non ha commesso alcun errore manifesto di valutazione.
273 Poi, l’Ungheria sostiene che le regole disciplinanti il numero di 54 000 richiedenti, per il quale si prevedeva inizialmente che sarebbe stato destinato a ricollocazioni dall’Ungheria, costituiscono un regime ipotetico e incerto, a motivo del fatto che la decisione impugnata prevede che le ricollocazioni costituiranno, al riguardo, l’oggetto di una decisione definitiva adottata alla luce di successivi sviluppi.
274 Tuttavia, risulta dall’articolo 4, paragrafi 1, lettera c), 2 e 3, della decisione impugnata che la destinazione del suddetto numero di 54 000 richiedenti è disciplinata da un regime che prevede una regola principale, enunciata all’articolo 4, paragrafo 2, di detta decisione, secondo cui, a partire dal 26 settembre 2016, tali richiedenti verranno ricollocati a partire dalla Grecia e dall’Italia verso il territorio di altri Stati membri nella proporzione risultante dalle cifre di richiedenti previste dall’articolo 4, paragrafo 1, lettere a) e b), di detta decisione.
275 Tale regola principale costituisce una regola residuale, essendo accompagnata da una regola a carattere flessibile, prevista dall’articolo 4, paragrafo 3, della decisione impugnata, che permette alla suddetta regola principale di essere adattata o modificata qualora ciò sia giustificato a motivo dell’evoluzione della situazione o del fatto che uno Stato membro si trova a confrontarsi con una situazione di emergenza caratterizzata da un afflusso improvviso di cittadini di paesi terzi a seguito di un brusco spostamento dei flussi migratori.
276 Una regola siffatta permette di reagire, in caso di bisogno, alle evoluzioni future e permette così di meglio adattare i ricollocamenti alle necessità più urgenti.
277 Infatti, l’efficacia di un meccanismo di ricollocazione di un numero significativo di richiedenti, attuato in due fasi su un periodo di due anni, come quello istituito dalla decisione impugnata, esige che tale meccanismo possa, a certe condizioni, essere adattato nel corso del suo periodo di applicazione.
278 Pertanto, il nono motivo di ricorso dell’Ungheria deve essere respinto perché infondato.
e) Sul decimo motivo dell’Ungheria, relativo alla violazione del principio di proporzionalità a causa degli effetti particolari della decisione impugnata sull’Ungheria
1) Argomenti delle parti
279 L’Ungheria sostiene, in via subordinata, che, se la Corte non dovesse accogliere nessuno dei suoi motivi di annullamento, la decisione impugnata sarebbe comunque illegittima, in quanto violerebbe l’articolo 78, paragrafo 3, TFUE e il principio di proporzionalità per quanto riguarda l’Ungheria medesima.
280 L’Ungheria imputa al Consiglio di averla inserita tra gli Stati membri di ricollocazione dopo che essa aveva rinunciato allo status di Stato membro beneficiario quale previsto dalla proposta iniziale della Commissione. Orbene, non sarebbe contestabile il fatto che tale Stato membro era sottoposto ad una pressione migratoria particolarmente forte, sia nel corso del periodo che ha preceduto l’adozione della decisione impugnata sia al momento dell’adozione di quest’ultima. In tali circostanze, la decisione impugnata farebbe sopportare all’Ungheria un onere sproporzionato imponendole quote di ricollocazione obbligatorie allo stesso titolo degli altri Stati membri.
281 L’imposizione di tali quote all’Ungheria, quando essa stessa aveva bisogno di aiuto per gestire i flussi dei migranti, sarebbe contraria all’articolo 78, paragrafo 3, TFUE, in quanto tale disposizione prevede l’adozione di misure temporanee a beneficio degli Stati membri che si trovino a confrontarsi con un afflusso improvviso di cittadini di paesi terzi e osta pertanto all’imposizione di un fardello supplementare ad uno Stato membro che si trovi in una situazione di emergenza caratterizzata da un afflusso siffatto.
282 Il Consiglio sostiene che tale motivo è irricevibile in quanto tende all’annullamento parziale della decisione impugnata nella parte in cui questa riguarda l’Ungheria, sebbene tale decisione formi un insieme inscindibile. Nel merito, il Consiglio sostiene in particolare che, al momento dell’adozione della decisione impugnata, l’Ungheria non si trovava più in una «situazione di emergenza», ai sensi dell’articolo 78, paragrafo 3, TFUE, la quale avrebbe giustificato il fatto che essa rientrasse tra gli Stati membri beneficiari a titolo della decisione impugnata. Inoltre, il meccanismo di ricollocazione previsto dalla decisione impugnata sarebbe accompagnato da meccanismi di aggiustamento che consentono a uno Stato membro di chiedere che i propri obblighi di ricollocazione vengano sospesi in caso di brusco spostamento dei flussi migratori.
2) Giudizio della Corte
283 In via preliminare, occorre considerare che, ai fini di una buona amministrazione della giustizia, è giustificato, nelle circostanze del caso di specie, esaminare nel merito il decimo motivo di ricorso sollevato dall’Ungheria in via subordinata, relativo alla violazione del principio di proporzionalità in ragione degli effetti particolari della decisione impugnata su tale Stato membro, senza statuire sull’eccezione di irricevibilità dedotta dal Consiglio, in quanto tale motivo deve comunque essere respinto nel merito (v., in tal senso, sentenza del 24 giugno 2015, Fresh Del Monte Produce/Commissione e Commissione/Fresh Del Monte Produce, C‑293/13 P e C‑294/13 P, EU:C:2015:416, punto 193 e la giurisprudenza ivi citata).
284 L’esame nel merito di tale decimo motivo dell’Ungheria impone di ricordare la genesi storica della decisione impugnata.
285 Nella sua proposta del 9 settembre 2015, la Commissione aveva collocato l’Ungheria nella schiera degli Stati membri beneficiari della ricollocazione, in quanto i dati per i primi otto mesi dell’anno 2015, e in particolare per i mesi di luglio e di agosto di quell’anno, rivelavano un arrivo massiccio, per la rotta cosiddetta dei «Balcani occidentali», di migranti provenienti prevalentemente dalla Grecia, che esercitavano così una pressione considerevole sul regime di asilo ungherese, paragonabile a quella esercitata sui regimi di asilo greco e italiano.
286 Tuttavia, a seguito della costruzione da parte dell’Ungheria di una barriera sulla sua frontiera con la Serbia e del transito massiccio di migranti presenti in Ungheria verso ovest, principalmente verso la Germania, tale pressione si è considerevolmente alleggerita verso la metà del mese di settembre 2015, in quanto il numero di migranti in situazione irregolare presenti nel territorio ungherese si è ridotto in maniera significativa.
287 È nel contesto di tali avvenimenti, verificatisi nel mese di settembre 2015, che l’Ungheria ha formalmente chiesto al Consiglio di non figurare più tra gli Stati membri beneficiari della ricollocazione.
288 Il Consiglio ha preso atto di tale domanda e ha reso la dichiarazione menzionata al punto 165 della presente sentenza in occasione della sessione plenaria del Parlamento del 16 settembre 2015.
289 Orbene, secondo l’Ungheria, l’imposizione di quote vincolanti nei suoi confronti costituirebbe un onere sproporzionato, tenuto conto del fatto che essa si trovava, anche dopo la metà del mese di settembre 2015, in una situazione di emergenza, in quanto la pressione migratoria sulle sue frontiere non era diminuita, ma si era tutt’al più spostata verso la sua frontiera con la Croazia dove ogni giorno si sarebbero verificati significativi attraversamenti irregolari. Pertanto, poiché l’Ungheria si sarebbe sempre trovata, anche al momento dell’adozione della decisione impugnata, a confronto con una situazione di emergenza, la decisione di includerla tra gli Stati membri di ricollocazione e di imporle a tale titolo oneri supplementari sotto forma di quote di ricollocazione sarebbe stata presa in violazione dell’obiettivo perseguito dall’articolo 78, paragrafo 3, TFUE, che mira ad aiutare gli Stati membri che si trovino in una situazione siffatta.
290 A questo proposito, non si può contestare che la decisione impugnata, prevedendo in particolare una ripartizione obbligatoria tra tutti gli Stati membri dei migranti che devono essere ricollocati a partire dalla Grecia e dall’Italia, da un lato, ha un impatto sull’insieme degli Stati membri di ricollocazione e, dall’altro, esige che sia garantito un equilibrio tra i diversi interessi in gioco, tenuto conto degli obiettivi perseguiti da detta decisione. Pertanto, la ricerca di un siffatto equilibrio, che prenda in considerazione non già la situazione particolare di un singolo Stato membro, bensì quella dell’insieme degli Stati membri, non può essere considerata contraria al principio di proporzionalità (v., per analogia, sentenza del 18 giugno 2015, Estonia/Parlamento e Consiglio, C‑508/13, EU:C:2015:403, punto 39).
291 Qualora uno o più Stati membri si trovino in una situazione di emergenza, ai sensi dell’articolo 78, paragrafo 3, TFUE, gli oneri derivanti dalle misure temporanee adottate in virtù di tale disposizione a beneficio di questo o di questi Stati membri devono, in linea di principio, essere ripartiti tra tutti gli altri Stati membri, conformemente al principio di solidarietà e di equa ripartizione delle responsabilità tra gli Stati membri, dal momento che, ai sensi dell’articolo 80 TFUE, tale principio disciplina la politica dell’Unione in materia di asilo.
292 Pertanto, correttamente la Commissione e il Consiglio hanno ritenuto, nel caso di specie, in occasione dell’adozione della decisione impugnata, che la ripartizione dei richiedenti ricollocati tra tutti gli Stati membri, in conformità del principio sancito all’articolo 80 TFUE, costituisse un elemento fondamentale della decisione impugnata. Ciò risulta dai molteplici riferimenti al suddetto principio contenuti nella decisione impugnata, segnatamente nei considerando 2, 16, 26 e 30 di quest’ultima.
293 Orbene, di fronte al rifiuto dell’Ungheria di beneficiare del meccanismo di ricollocazione come era stato proposto dalla Commissione, il Consiglio non può essere censurato, sotto il profilo del principio di proporzionalità, per aver dedotto dal principio di solidarietà e di equa ripartizione delle responsabilità imposto dall’articolo 80 TFUE che l’Ungheria doveva vedersi attribuire delle quote di ricollocazione, al pari di tutti gli altri Stati membri che non beneficiavano di tale meccanismo di ricollocazione.
294 Occorre rilevare, del resto, che la decisione impugnata prevede, all’articolo 4, paragrafo 5, e all’articolo 9, la possibilità per uno Stato membro, a certe condizioni, di chiedere una sospensione degli obblighi che gli incombono in quanto Stato membro di ricollocazione ai sensi di tale decisione.
295 Così, mediante la decisione 2016/408, adottata a norma dell’articolo 4, paragrafo 5, della decisione impugnata, il Consiglio, riconoscendo in particolare che la Repubblica d’Austria si trovava dinanzi a circostanze eccezionali e a una situazione di emergenza caratterizzata da un afflusso improvviso di cittadini di paesi terzi nel suo territorio e che tale Stato membro era, dopo il Regno di Svezia, il secondo paese dell’Unione con il maggior numero di richiedenti una protezione internazionale per abitante, ha deciso che gli obblighi incombenti alla Repubblica d’Austria a titolo della quota di ricollocazione ad essa assegnata dovevano essere sospesi a concorrenza del 30% di tale quota per la durata di un anno.
296 Allo stesso modo, mediante la decisione 2016/946, il Consiglio, ritenendo in particolare che il Regno di Svezia si trovasse dinanzi a una situazione di emergenza caratterizzata da un afflusso improvviso di cittadini di paesi terzi nel suo territorio a motivo di un brusco spostamento dei flussi migratori e che tale Stato membro contasse, di gran lunga, il maggior numero di richiedenti una protezione internazionale per abitante nell’Unione, ha deciso che gli obblighi ad esso incombenti in quanto Stato membro di ricollocazione a titolo della decisione impugnata dovevano essere sospesi per un periodo di un anno.
297 Soprattutto, risulta dal meccanismo di aggiustamento, previsto dall’articolo 4, paragrafo 3, della decisione impugnata, che uno Stato membro, il quale ritenga di trovarsi in una situazione di emergenza caratterizzata da un afflusso improvviso di cittadini di paesi terzi a causa di un brusco spostamento dei flussi migratori, può, adducendo motivi debitamente giustificati, avvisare la Commissione e il Consiglio di tale situazione di emergenza, ciò che può condurre ad una modifica della decisione suddetta, di modo che tale Stato membro possa beneficiare, a partire dal 26 settembre 2016, della ricollocazione del numero di 54 000 richiedenti previsto dall’articolo 4, paragrafo 1, lettera c), di questa stessa decisione.
298 Orbene, l’esistenza di questi differenti meccanismi di aggiustamento dimostra che il meccanismo di ricollocazione previsto dalla decisione impugnata, considerato nel suo insieme, permette di tener conto, in modo proporzionato, della situazione specifica di ciascuno Stato membro sotto questo aspetto.
299 Il carattere proporzionato del meccanismo di ricollocazione previsto dalla decisione impugnata risulta anche dalla chiave di ripartizione in funzione della quale sono state fissate, rispettivamente nell’allegato I e nell’allegato II della decisione impugnata, le quote di ricollocazione in provenienza dalla Grecia e dall’Italia.
300 Infatti, se il testo finale della decisione impugnata si limita ad enunciare, al considerando 26, che il meccanismo di ricollocazione previsto da tale decisione «costituisce un’equa ripartizione degli oneri tra l’Italia e la Grecia, da un lato, e gli altri Stati membri, dall’altro, considerati i dati globali disponibili sull’attraversamento irregolare delle frontiere nel 2015», è pacifico che la fissazione delle quote ad opera della decisione impugnata è avvenuta sulla base di una chiave di ripartizione le cui modalità di calcolo vengono precisate nel considerando 25 della proposta iniziale della Commissione nei seguenti termini:
«(…) La chiave di distribuzione proposta dovrebbe basarsi sui seguenti criteri: a) popolazione complessiva (40%); b) PIL (40%); c) media delle domande di asilo per milione di abitanti nel periodo 2010‑2014 (10% con un tetto massimo del 30% dell’effetto popolazione e PIL sulla chiave, onde evitare effetti sproporzionati sulla distribuzione globale); d) tasso di disoccupazione (10% con un tetto massimo del 30% dell’effetto popolazione e PIL sulla chiave, onde evitare effetti sproporzionati sulla distribuzione globale). (…)».
301 Da ciò risulta che tale chiave mira a garantire una ripartizione delle persone ricollocate tra gli Stati membri interessati che sia segnatamente proporzionata al peso economico di ciascuno di essi e alla pressione migratoria esercitata sul loro regime di asilo.
302 A questo proposito, la Repubblica di Polonia, fondandosi sul decimo motivo di ricorso dell’Ungheria, relativo agli effetti sproporzionati su tale Stato membro dell’imposizione a suo carico di quote vincolanti, svolge un’argomentazione a carattere più generale intesa a censurare i presunti effetti sproporzionati di tali quote su un numero di Stati membri ospitanti i quali, per adempiere i loro obblighi di ricollocazione, dovrebbero effettuare sforzi e sopportare oneri ben più rilevanti rispetto a quelli ricadenti su altri Stati membri ospitanti. Ciò varrebbe per gli Stati membri che sono «pressoché omogenei etnicamente come la Polonia» e la cui popolazione differirebbe, da un punto di vista culturale e linguistico, dai migranti che devono essere ricollocati nel loro territorio.
303 Tale argomentazione, oltre ad essere irricevibile per il fatto che viene proposta in una memoria di intervento e si spinge ben al di là degli argomenti fatti valere dall’Ungheria, i quali sono strettamente limitati alla situazione sua propria (v., in tal senso, sentenza del 7 ottobre 2014, Germania/Consiglio, C‑399/12, EU:C:2014:2258, punto 27), deve essere respinta.
304 Infatti, se la ricollocazione dovesse essere strettamente subordinata all’esistenza di legami culturali o linguistici tra ciascun richiedente una protezione internazionale e lo Stato membro di ricollocazione, ne risulterebbe l’impossibilità di ripartire tali richiedenti tra tutti gli Stati membri nel rispetto del principio di solidarietà imposto dall’articolo 80 TFUE e, dunque, di adottare un meccanismo di ricollocazione vincolante.
305 Occorre aggiungere che eventuali considerazioni connesse all’origine etnica dei richiedenti una protezione internazionale non possono essere prese in esame, in quanto esse sarebbero, con tutta evidenza, contrarie al diritto dell’Unione e in particolare all’articolo 21 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (in prosieguo: la «Carta»).
306 Infine, occorre respingere l’argomento della Repubblica di Polonia secondo cui la decisione impugnata sarebbe contraria al principio di proporzionalità, in quanto non permetterebbe agli Stati membri di garantire l’esercizio effettivo delle responsabilità ad essi incombenti per il mantenimento dell’ordine pubblico e la salvaguardia della sicurezza interna ai sensi dell’articolo 72 TFUE, il che sarebbe tanto più grave per il fatto che detta decisione darebbe luogo a importanti movimenti cosiddetti «secondari», provocati dall’uscita di richiedenti dal loro Stato membro ospitante prima che quest’ultimo abbia potuto decidere definitivamente sulla loro domanda di protezione internazionale.
307 A questo proposito, occorre constatare che il considerando 32 della decisione impugnata enuncia, in particolare, che occorre prendere in considerazione la sicurezza nazionale e l’ordine pubblico per tutta la durata della procedura di ricollocazione, fino al trasferimento effettivo del richiedente, e che, in tale contesto, si impone il pieno rispetto dei diritti fondamentali del richiedente, comprese le regole pertinenti in materia di protezione dei dati.
308 In tale prospettiva, l’articolo 5 della decisione impugnata, intitolato «Procedura di ricollocazione», stabilisce, al paragrafo 7, che gli Stati membri conservano il diritto di rifiutare la ricollocazione di un richiedente solo qualora sussistano fondati motivi per ritenere che la persona in questione costituisca un pericolo per la sicurezza nazionale o l’ordine pubblico nel loro territorio.
309 Se, come sostenuto dalla Repubblica di Polonia, il meccanismo previsto dall’articolo 5, paragrafo 7, della decisione impugnata fosse inefficace in quanto obbligherebbe gli Stati membri a controllare numerose persone in poco tempo, simili difficoltà di ordine pratico non paiono inerenti al suddetto meccanismo e devono, se del caso, essere risolte nello spirito di cooperazione e di reciproca fiducia tra le autorità degli Stati membri beneficiari della ricollocazione e quelle degli Stati membri di ricollocazione, il quale deve imporsi nel quadro dell’attuazione della procedura di ricollocazione prevista dall’articolo 5 della decisione sopra citata.
310 Alla luce delle considerazioni sopra esposte, il decimo motivo di ricorso dell’Ungheria deve essere respinto perché infondato.
2. Sull’ottavo motivo dell’Ungheria, relativo ad una violazione dei principi di certezza del diritto e di chiarezza normativa, nonché della Convenzione di Ginevra
a) Argomenti delle parti
311 L’Ungheria, sostenuta dalla Repubblica di Polonia, fa valere, in primo luogo, che la decisione impugnata viola i principi di certezza del diritto e di chiarezza normativa in quanto, relativamente a vari punti, essa non indica chiaramente il modo in cui le disposizioni di tale decisione devono essere applicate, né come esse si correlano alle disposizioni del regolamento Dublino III.
312 Più specificamente, se il considerando 35 della decisione impugnata affrontava la questione delle garanzie giuridiche e procedurali riguardanti le decisioni di ricollocazione, nessuna delle disposizioni normative di detta decisione disciplinerebbe tale materia o farebbe riferimento alle pertinenti disposizioni del regolamento Dublino III. Ciò farebbe sorgere in particolare un problema dal punto di vista del diritto di ricorso dei richiedenti, segnatamente di quelli che non verranno scelti per essere ricollocati.
313 La decisione impugnata non determinerebbe neppure in modo chiaro i criteri di scelta per la ricollocazione dei richiedenti. Il modo in cui le autorità degli Stati membri beneficiari sono chiamate a decidere sul trasferimento dei richiedenti verso uno Stato membro di ricollocazione avrebbe come effetto che sarebbe estremamente difficile per tali richiedenti sapere a priori se essi faranno parte delle persone ricollocate e, in caso affermativo, in quale Stato membro saranno ricollocati.
314 Oltre a ciò, la decisione impugnata non definirebbe in maniera appropriata lo status dei richiedenti nello Stato membro di ricollocazione e non assicurerebbe che tali richiedenti rimangano effettivamente nello Stato membro di ricollocazione durante il tempo necessario per decidere sulla loro domanda. Per quanto riguarda i movimenti cosiddetti «secondari», l’articolo 6, paragrafo 5, della decisione impugnata non permetterebbe, di per sé solo, di assicurare che la decisione impugnata raggiunga i suoi obiettivi, vale a dire la ripartizione dei richiedenti tra gli Stati membri, qualora non sia garantito che detti richiedenti resteranno effettivamente negli Stati membri di ricollocazione.
315 In secondo luogo, il fatto che i richiedenti rischino, eventualmente, di essere ricollocati in uno Stato membro con il quale essi non intrattengono alcun rapporto particolare solleverebbe la questione di stabilire se la decisione impugnata sia, sotto questo aspetto, compatibile con la Convenzione relativa allo status dei rifugiati, firmata a Ginevra il 28 luglio 1951 [Recueil des traités des Nations Unies, vol. 189, pag. 150, n. 2545 (1954)], completata dal protocollo relativo allo status dei rifugiati del 31 gennaio 1967 (in prosieguo: la «Convenzione di Ginevra»).
316 Infatti, l’Ungheria fa valere che, secondo l’interpretazione fornita al punto 192 della guida delle procedure e dei criteri da applicare per stabilire lo status di rifugiato alla luce della Convenzione del 1951 e del protocollo del 1967 relativi allo status dei rifugiati [Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (HCR), maggio 1992], il richiedente dovrebbe essere autorizzato a restare nel territorio dello Stato membro nel quale egli ha introdotto la propria domanda fino a che le autorità di tale paese non avranno preso una decisione su quest’ultima.
317 Tale diritto di restare nel suddetto Stato membro sarebbe altresì riconosciuto dall’articolo 9 della direttiva 2013/32/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 giugno 2013, recante procedure comuni ai fini del riconoscimento e della revoca dello status di protezione internazionale (GU 2013, L 180, pag. 60).
318 Orbene, la decisione impugnata priverebbe del diritto suddetto i richiedenti una protezione internazionale e permetterebbe la loro ricollocazione senza il loro consenso in un altro Stato membro con il quale essi non intrattengono alcun rapporto significativo.
319 La Repubblica di Polonia sostiene che la decisione impugnata viola gli standard della protezione dei diritti dell’uomo essenzialmente a motivo del fatto che essa si sostituisce al sistema previsto dal regolamento Dublino III, senza prevedere alcun criterio chiaro che determini lo Stato membro nel quale il richiedente verrà ricollocato in vista dell’esame della sua domanda di protezione internazionale.
320 Le persone che richiedono la protezione internazionale potrebbero, in virtù della decisione impugnata, essere ricollocate in regioni lontane dell’Unione con le quali esse non hanno alcun legame culturale o sociale, ciò che renderebbe impossibile realizzare la loro integrazione nella società dello Stato membro ospitante.
321 Il Consiglio contesta, in primo luogo, il fatto che la decisione impugnata non rispetti i principi di certezza del diritto e di chiarezza normativa. Si tratterebbe di una misura di emergenza che si iscriverebbe, da un lato, nell’«acquis» relativo al sistema europeo comune di asilo, il quale resterebbe in linea di principio pienamente applicabile, e, dall’altro lato, nell’ordinamento giuridico creato dal sistema dei Trattati nonché dalla Carta.
322 In secondo luogo, quanto alla presunta violazione del diritto di restare nel territorio, quale sarebbe garantito dalla Convenzione di Ginevra, il Consiglio sostiene che né tale Convenzione né il diritto dell’Unione garantiscono a un richiedente asilo il diritto di scegliere liberamente il proprio paese ospitante.
b) Giudizio della Corte
323 Per quanto riguarda, in primo luogo, la censura relativa alla violazione dei principi di certezza del diritto e di chiarezza normativa, occorre ricordare che la decisione impugnata è costituita da un insieme di misure provvisorie, comportanti un meccanismo di ricollocazione temporanea che deroga all’«acquis» relativo al sistema comune in materia di asilo soltanto su alcuni punti precisi ed espressamente elencati. Tale meccanismo si inscrive pienamente nel suddetto «acquis», di modo che questo rimane, in via generale, applicabile.
324 In tale prospettiva, il Consiglio ha rispettato i principi di certezza del diritto e di chiarezza normativa, precisando, segnatamente ai considerando 23, 24, 35, 36 e 40 della decisione impugnata, i rapporti reciproci tra le disposizioni di tale atto e quelle di atti legislativi adottati nell’ambito della politica comune dell’Unione in materia di asilo.
325 Inoltre, un diritto di ricorso effettivo deve essere garantito sul piano nazionale, ai sensi dell’articolo 47 della Carta, contro qualsiasi decisione che debba essere presa da un’autorità nazionale nell’ambito della procedura di ricollocazione, quale prevista dall’articolo 5 della decisione impugnata.
326 L’Ungheria critica la decisione impugnata anche nella parte in cui essa non conterrebbe norme effettive idonee a garantire che i richiedenti resteranno nello Stato membro di ricollocazione per tutto il tempo necessario per una decisione sulla loro domanda o, in altri termini, idonee a garantire che verranno evitati i movimenti cosiddetti «secondari».
327 A questo proposito, occorre constatare che i considerando da 38 a 41 della decisione impugnata richiamano, in maniera sufficientemente circostanziata e precisa, le misure che possono essere adottate dagli Stati membri per evitare questo tipo di movimenti, sulla base di vari atti legislativi dell’Unione facenti parte dell’«acquis» relativo alla politica comune in materia di asilo.
328 Inoltre, la disposizione di cui all’articolo 6, paragrafo 5, della decisione impugnata stabilisce, in modo chiaro e preciso, che il richiedente o il beneficiario di una protezione internazionale che entri nel territorio di uno Stato membro diverso dal suo Stato membro di ricollocazione senza soddisfare le condizioni di soggiorno in quest’ultimo Stato è tenuto a ritornare immediatamente nel suo Stato membro di ricollocazione.
329 Quanto alla critica mossa dall’Ungheria secondo cui la decisione impugnata non fisserebbe alcun criterio per determinare lo Stato membro di ricollocazione, occorre ricordare che, come risulta dal considerando 2 di tale decisione, e come si è rilevato, in particolare, ai punti 253 e da 291 a 293 della presente sentenza, la decisione in parola ha tenuto conto dell’articolo 80 TFUE, il quale trova applicazione nell’attuazione della politica dell’Unione in materia di asilo e, segnatamente, in occasione dell’adozione di misure temporanee fondate sull’articolo 78, paragrafo 3, TFUE, e da cui risulta che la determinazione dello Stato membro di ricollocazione deve essere fondata su criteri connessi alla solidarietà e all’equa ripartizione delle responsabilità tra gli Stati membri.
330 Occorre aggiungere, da un lato, che l’articolo 6, paragrafi 1 e 2, della decisione impugnata prevede alcuni criteri specifici di determinazione dello Stato membro di ricollocazione, connessi all’interesse superiore del minore e ai legami familiari, e che sono d’altronde analoghi a quelli previsti dal regolamento Dublino III.
331 Dall’altro lato, il considerando 34 della decisione impugnata elenca un insieme di elementi che sono preordinati, in particolare, a che i richiedenti vengano ricollocati in uno Stato membro verso il quale essi intrattengono legami familiari, culturali o sociali e di cui occorre tener conto in modo particolare al momento della designazione dello Stato membro di ricollocazione, e ciò allo scopo di favorire l’integrazione dei richiedenti in seno a tale Stato.
332 La decisione impugnata non può dunque essere descritta come comportante un sistema arbitrario che si sarebbe sostituito al sistema oggettivo dettato dal regolamento Dublino III.
333 Proprio al contrario, questi due sistemi, in definitiva, non differiscono sostanzialmente l’uno dall’altro, nel senso che il sistema istituito dalla decisione impugnata è fondato, al pari del sistema istituito dal regolamento Dublino III, su criteri oggettivi, e non sull’espressione di una preferenza da parte del richiedente una protezione internazionale.
334 In particolare, la regola della competenza dello Stato membro di primo ingresso, prevista dall’articolo 13, paragrafo 1, del regolamento Dublino III, che è l’unica regola di determinazione dello Stato membro competente dettata da tale regolamento alla quale la decisione impugnata apporta una deroga, non si ricollega alle preferenze del richiedente per un determinato Stato membro ospitante e non mira specificamente a garantire che sussista un legame linguistico, culturale o sociale tra tale richiedente e lo Stato membro competente.
335 Inoltre, se è pur vero che, nell’ambito della procedura di ricollocazione, non è previsto che il richiedente acconsenta alla propria ricollocazione, ciò non toglie che, in forza dell’articolo 6, paragrafo 3, della decisione impugnata, prima della decisione di ricollocazione l’interessato viene informato del fatto che egli costituisce l’oggetto di una procedura siffatta, e che l’articolo 6, paragrafo 4, di detta decisione obbliga le autorità dello Stato membro beneficiario di cui trattasi a notificare al richiedente la decisione di ricollocazione prima della ricollocazione effettiva, tenendo presente che tale decisione deve precisare lo Stato membro di ricollocazione.
336 Per il resto, come risulta dal considerando 35 della decisione impugnata, la mancanza di possibilità per i richiedenti di scegliere lo Stato membro che sarà competente per l’esame del loro domanda giustifica il fatto che costoro debbano disporre di un diritto di ricorso effettivo contro la decisione di ricollocazione ai fini del rispetto dei loro diritti fondamentali.
337 Infine, se un certo margine di discrezionalità è riservato alle autorità degli Stati membri beneficiari quando questi sono chiamati, a norma dell’articolo 5, paragrafo 3, della decisione impugnata, a identificare i richiedenti individuali che possono essere ricollocati in un determinato Stato membro di ricollocazione, tale margine di discrezionalità è giustificato alla luce dell’obiettivo di detta decisione consistente nell’alleggerire i regimi di asilo greco e italiano di un numero significativo di richiedenti, ricollocandoli, entro brevi termini e in modo effettivo, in altri Stati membri nel rispetto del diritto dell’Unione e, in particolare, dei diritti fondamentali garantiti dalla Carta.
338 In secondo luogo, contrariamente a quanto asserito dall’Ungheria, non si può validamente sostenere che la decisione impugnata, prevedendo il trasferimento di un richiedente una protezione internazionale prima che venga adottata una decisione sulla sua domanda, sarebbe contraria alla Convenzione di Ginevra, in quanto tale convenzione prevedrebbe un diritto di restare nello Stato di presentazione della domanda fintanto che questa è pendente.
339 A questo proposito, il Consiglio ha giustamente ricordato, al considerando 35 della decisione impugnata, che il diritto dell’Unione non consente ai richiedenti di scegliere lo Stato membro competente per l’esame della loro domanda. Infatti, i criteri previsti dal regolamento Dublino III per determinare lo Stato membro competente a trattare una domanda di protezione internazionale non si ricollegano alle preferenze del richiedente per un determinato Stato membro ospitante.
340 Per quanto riguarda poi il passaggio della guida delle procedure e dei criteri da applicare per stabilire lo status di rifugiato alla luce della Convenzione del 1951 e del protocollo del 1967 relativi allo status di rifugiati menzionato dall’Ungheria, da esso non è possibile desumere che la Convenzione di Ginevra sancisca, a beneficio di un richiedente la protezione internazionale, il diritto di restare nello Stato di presentazione della domanda di protezione fintanto che questa è pendente.
341 Infatti, tale passaggio deve essere inteso come un’espressione particolare del principio di non respingimento, il quale vieta che un richiedente la protezione internazionale venga espulso verso uno Stato terzo fino a che non sia intervenuta una decisione sulla sua domanda.
342 Orbene, il trasferimento nell’ambito di un’operazione di ricollocazione di un richiedente la protezione internazionale da uno Stato membro ad un altro al fine di assicurare un esame della sua domanda entro termini ragionevoli non può essere considerato come configurante un respingimento verso uno Stato terzo.
343 Si tratta al contrario di una misura di gestione di crisi, presa a livello dell’Unione, mirante a garantire l’esercizio effettivo, nel rispetto della Convenzione di Ginevra, del diritto fondamentale di asilo, quale sancito dall’articolo 18 della Carta.
344 Ne consegue che l’ottavo motivo di ricorso dell’Ungheria deve essere respinto perché infondato.
345 Poiché nessuno dei motivi di ricorso dedotti dalla Repubblica slovacca e dall’Ungheria può essere accolto, i ricorsi vanno respinti.
IV. Sulle spese
346 Ai sensi dell’articolo 138, paragrafo 1, del regolamento di procedura, la parte soccombente è condannata alle spese se ne è stata fatta domanda. Poiché il Consiglio ha concluso chiedendo la condanna della Repubblica slovacca e dell’Ungheria alle spese e tali Stati membri sono rimasti soccombenti nel loro rispettivo ricorso, occorre condannare questi Stati a sopportare, oltre alle proprie spese, anche quelle sostenute dal Consiglio.
347 A norma dell’articolo 140, paragrafo 1, di detto regolamento, il Regno del Belgio, la Repubblica federale di Germania, la Repubblica ellenica, la Repubblica francese, la Repubblica italiana, il Granducato di Lussemburgo, la Repubblica di Polonia, il Regno di Svezia, nonché la Commissione, sopporteranno ciascuno le proprie spese.
Per questi motivi, la Corte (Grande Sezione) dichiara e statuisce:
1) I ricorsi sono respinti.
2) La Repubblica slovacca e l’Ungheria sono condannate a sopportare, oltre alle proprie spese, anche quelle sostenute dal Consiglio dell’Unione europea.
3) Il Regno del Belgio, la Repubblica federale di Germania, la Repubblica ellenica, la Repubblica francese, la Repubblica italiana, il Granducato di Lussemburgo, la Repubblica di Polonia, il Regno di Svezia, nonché la Commissione europea, sopporteranno ciascuno le proprie spese.
Firme
* Lingue processuali: lo slovacco e l’ungherese.