Testo integrale con note e bibliografia
Il decreto legislativo 30 giugno 2022, n. 105, entrato in vigore il 13 agosto 2022, ha recepito la Direttiva (UE) 1158/2019 .
Il Decreto tocca istituti contenuti nel d.lgs. n. 151/2001 (d’ora in poi T.U.), nella l. n. 104/1992, nella l. n. 81/2017, nel d.lgs. n. 81/2015, nella l. n. 53/2000 oltre a prevedere agli artt. 7 e 8 l’impegno, rispettivamente per INPS e per INAPP, a realizzare: interventi di promozione delle misure a sostegno dei genitori e dei prestatori di assistenza, attraverso l’allestimento di nuovi servizi digitali e di strategie di informazione; un monitoraggio sull’utilizzo dei congedi e sulla loro interazione, da riversare in una relazione annuale i cui contenuti esatti saranno definiti in un accordo da concludere fra Ministero del lavoro e delle politiche sociali e l’INAPP. Il tutto, ça va sans dire, “nell’ambito delle risorse umane, strumentali e finanziarie disponibili a legislazione vigente e comunque senza nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica”.
Senza alcuna pretesa di esaustività, si segnalano di seguito alcune previsioni che si ritengono significative.
Con riguardo ai congedi parentali, la previsione più rilevante riguarda sicuramente il regime dei congedi di paternità.
Con l’aggiunta dell’art. 27-bis viene (finalmente) inglobato nel T.U. il “congedo di paternità obbligatorio”, introdotto in via sperimentale dalla legge Fornero e reso strutturale solo dalla legge finanziaria 2022, l. n. 234/2021. Il congedo mantiene inalterata la sua originaria fisionomia, quella cioè di un permesso di dieci giorni (elevati però a venti nel caso di parto plurimo), indennizzati al 100%, che il padre lavoratore può chiedere di fruire, in modo continuativo o frazionato (ma non su base oraria), dando un preavviso di almeno cinque giorni al datore di lavoro. Esso è fruibile contestualmente alla fruizione da parte della madre del congedo di maternità, in un arco di tempo che va da due mesi prima della data presunta del parto ai cinque mesi successivi, e può essere goduto negli stessi termini anche in caso di adozione o affidamento. Il regime sanzionatorio che accompagna il congedo determina in capo al datore di lavoro un obbligo di consentirne la fruizione al lavoratore che ne faccia richiesta, non anche un obbligo di sospenderlo dal lavoro per il tempo previsto, al pari di quanto previsto invece per la madre biologica in forza del divieto di cui all’art. 16. Dal punto di vista della sua “obbligatorietà”, pertanto, questo congedo di paternità non si differenzia dal congedo parentale ex art. 32, nè dal congedo di paternità ex art. 28 (rinominato “congedo di paternità alternativo”) che, nonostante l’inasprimento della sanzione comminata al datore di lavoro renitente, rimane fruibile discrezionalmente dal padre quando la madre non possa prendersi cura del minore nei primi mesi di vita. Con la conseguenza che le ragioni (per lo più culturali) che finora hanno impedito o ostacolato il ricorso al congedo parentale da parte dei padri (soprattutto nel settore privato), verosimilmente impediranno o ostacoleranno la fruizione del congedo di paternità obbligatorio, determinando il fallimento di una misura che, se diversamente congegnata, avrebbe dovuto innescare il cambiamento di un modello di distribuzione delle responsabilità parentali ancora fortemente maternalistico, ampiamente responsabile di una esclusione delle donne dal mercato del lavoro, che i dati sull’occupazione attestano in modo inequivocabile .
Rispetto al congedo parentale si prevede un incremento della durata del congedo coperto dall’indennità, stabile al 30%, che da sei mesi sale a nove mesi, tre dei quali – tuttavia – sono intrasferibili fra padre e madre, ciascuno dei quali pertanto potrà fruire al massimo di sei mesi di congedo indennizzato. L’indennità, inoltre, può essere fruita per tutto il tempo durante il quale può essere fruito il congedo, vale a dire fino al compimento del dodicesimo anno di vita del bambino o fino al dodicesimo anno dall’ingresso del minore adottato in famiglia, in caso di adozione nazionale, o in Italia, in caso di adozione internazionale. L’indennità è dovuta, inoltre, per tutto il periodo di prolungamento del congedo parentale ex art, 33, quando cioè il minore portatore di disabilità. Infine, si prevede che i periodi di congedo non comportino più la riduzione delle ferie, dei riposi della tredicesima mensilità, con l’unica eccezione degli emolumenti connessi all’effettiva presenza in servizio.
Infine, si segnala l’aggiunta, trasversale al regime sanzionatorio di tutte le violazione già previste dal T.U., della esclusione dal conseguimento della certificazione di parità, introdotta e disciplinata dalla l. n. 162/2021, quando nei due anni precedenti alla richiesta il datore di lavoro abbia negato o ostacolato il godimento di uno dei diversi istituti.
Sul fronte dei prestatori di assistenza, si segnala l’inserimento nella l. n. 104/1992 di una previsione che, senza nulla aggiungere a quanto già previsto da altre norme del diritto antidiscriminatorio, sancisce un divieto di discriminare i lavoratori e le lavoratrici in ragione della fruizione di permessi e congedi connessi alla propria disabilità o all’assistenza di portatore di disabilità grave (art. 2-bis).
Si segnala, inoltre, la scelta di estendere il diritto ai permessi mensili a ciascun lavoratore che intenda assistere un familiare con disabilità grave, superando il vincolo di esclusività nell’assistenza; la previsione di un apparato sanzionatorio anche per il caso di rifiuto o ostacolo alla fruizione di almeno alcuni dei congedi e permessi riconosciuti ai prestatori di assistenza; l’estensione delle garanzie dell’art. 56 T.U. ai prestatori di assistenza.
L’art. 1 del d.lgs. in esame estende gli istituti ivi toccati anche ai lavoratori dipendenti delle pubbliche amministrazioni. Ciò significa, in particolare, l’attribuzione anche ai padri dipendenti di PA del diritto a fruire del congedo di paternità obbligatorio, dal quale sono rimasti esclusi nei dieci anni che ci separano dalla sua istituzione.
Del tutto carente, invece, è la parte del decreto che recepisce le indicazioni contenute nell’art. 9 della Direttiva, relativamente alla disciplina di “modalità flessibili di lavoro” per agevolare i genitori lavoratori e i prestatori di assistenza, avendo il legislatore delegato scelto di intervenire in modo non organico e senza riconoscere un diritto potestativo di modificare anche solo temporaneamente l’organizzazione del lavoro.
Sono solo marginali gli interventi relativi ai genitori lavoratori autonomi.