TESTO INTEGRALE CON NOTE E BIBLIOGRAFIA
Sent. Cass. lavoro n.20216 del 23.6.2022.
1. Il caso all’esame della Corte di cassazione
Un pilota di aereo, con qualifica di primo ufficiale presso la Compagnia aerea italiana lamentava il pagamento della retribuzione dovuta per il periodo feriale in quanto calcolata secondo l’art. 10 del contratto nazionale collettivo trasporto aereo, sezione per il personale navigante tecnico, dove si prevedeva che «[i]l Personale Navigante-Tecnico ha diritto a ferie annuali nella misura di 30 giorni di calendario. Il predetto numero si incrementa di un giorno ogni cinque anni di servizio, sino ad un massimo di 5 giorni aggiuntivi (…). Durante il periodo di ferie la Società corrisponde al Personale Navigante Tecnico la retribuzione composta da stipendio mensile e indennità minima garantita. Nel rispetto delle disposizioni vigenti le ferie saranno assegnate dall'Azienda tenendo conto delle disponibilità e compatibilità aziendali e degli accordi in sede aziendale».
L’indennità di volo, è regolata legislativamente dall’art. 903 del codice della navigazione, secondo il quale «[a]l personale di volo ed a quello che viene temporaneamente comandato a prestare servizio a bordo, oltre alla retribuzione pattuita, deve essere corrisposta un'indennità di volo nella misura stabilita dalle norme corporative e in mancanza dagli usi», veniva disciplinata, sempre dalla contrattazione collettiva ricordata: il Ccnl citato, all’art. 26, prevede che «Ai Piloti in servizio è riconosciuto per 12 mensilità il pagamento di un'indennità di volo minima garantita (IVGM), il cui importo è modulato sulla base dell'anzianità di servizio secondo quanto stabilito nelle tabelle A (Comandanti) e 8 (Piloti) allegate (....). Ciascuna ora di volo effettuata in qualità di titolare di equipaggio è compensata con la corresponsione di un'indennità oraria di volo integrativa il cui importo è modulato sulla base dell'anzianità di servizio e della tipologia di volo (corto/medio raggio e lungo raggio) secondo quanto stabilito nelle tabelle A, Al, A2 e 8, B1, B2 allegate. L'indennità di volo integrativa è erogata con la retribuzione del mese successivo a quello in cui sono state effettuate le ore di volo cui è riferita e non concorre alla determinazione degli istituti retributivi riflessi e differiti».
In pratica, quindi, la contrattazione collettiva ha disciplinato l’indennità di volo prevista dalla legge (a) in una misura forfettizzata (fissa e garantita) calibrata sull’anzianità di servizio e (b) in misura variabile in ragione delle ore di volo effettivamente svolte nel corso del mese.
Il lavoratore ricorrente aveva contestato il mancato inserimento dell’indennità integrativa nella retribuzione per le ferie, essendo quest’ultima quella che rappresentava l’effettiva retribuzione da lui mensilmente percepita nell’arco dell’anno, mentre invece solo l’indennità di volo minima garantita doveva, secondo il Ccnl, essere computabile nelle mensilità differite e, come abbiamo visto, nella retribuzione dovuta nei periodi di assenza per fruizione delle ferie.
2. La sentenza del primo giudice
Qui è sufficiente ricordare sinteticamente che le ferie sono ontologicamente collegate con il periodo di riposo del lavoratore .
Come risulta dalla sentenza, resa ex art. 420 bis c.p.c. , il primo giudice aveva precisato nella sua ricostruzione - punti f) e segg. - che entrambe le due voci di indennità di volo avevano natura retributiva ma che «l’indennità integrativa era quella che incideva in modo significativo sul complesso della retribuzione mensile» del personale di volo.
Nel merito, il Tribunale ricordava che né l’art. 36 cost., né l’art. 2109 c.c. e neppure le direttive in tema di ferie (2000/79 e 2003/88), portavano previsioni precise finalizzate a stabile con certezza la misura della retribuzione dovuta nel corso del periodo di ferie goduto dal lavoratore.
Occorreva pertanto esaminare la giurisprudenza della Corte europea, avendo come riferimento la pronuncia Williams del 15 settembre 2011 , la quale aveva affermato che la retribuzione doveva essere corrisposta con modalità tali da garantire al lavoratore condizioni economiche paragonabili a quelle di cui gode quando esercita l'attività lavorativa, stabilendo un principio che era stato recepito anche dalla giurisprudenza della Corte di Cassazione con la sentenza 37589/2021 .
Nell’attività di interpretazione conforme, normalmente delegata al giudice nazionale dalla Corte di giustizia , il Tribunale aveva individuato nel nostro ordinamento – punto f) della ricostruzione in fatto - l’art. 4 del d.lgs. 185/2055 (che recepisce la Direttiva 2000/79/CE «relativa all'Accordo europeo sull'organizzazione dell'orario di lavoro del personale di volo dell'aviazione civile») dove si prevede che «1. Il personale di volo dell'aviazione civile ha diritto a ferie annuali retribuite di almeno quattro settimane alle condizioni previste dalla normativa vigente o dai contratti collettivi di lavoro applicati. 2. Il predetto periodo minimo di quattro settimane di ferie annuali retribuite non può essere sostituito da un'indennità economica, salvo che nell'ipotesi di cessazione del rapporto di lavoro».
Interpretata tale norma sulla scorta dei principi affermati dalla Corte di giustizia – punti h) e i) - «le clausole contrattuali di cui è giudizio, volte ad escludere dalla base di calcolo della retribuzione dei giorni di ferie l'indennità di volo integrativa contrastavano, quindi, con tale norma imperativa perché rendevano la retribuzione delle ferie non paragonabile a quella dei periodi di lavoro».
Tale conclusione, prosegue la sentenza del Tribunale, non poteva che estendersi anche ai giorni di ferie aggiuntivi alle quattro settimane previste dalla norma nazionale, considerando che le parti sociali avevano aumentato il periodo di fruizione delle stesse in considerazione delle particolarità del settore disciplinato e che, di conseguenza, non poteva che applicarsi anche a questi il principio stabilito in sede europea - punto l) – pena lo svuotamento delle finalità dell’istituto.
Dunque, la norma contrattuale che limitava al solo stipendio e alla indennità di volo garantita (senza includervi quella integrativa) non soddisfaceva alla regola stabilita in sede europea e nazionale di parametrazione della retribuzione tra i periodi lavorati e quelli di ferie, non garantendo la corretta fruizione di questi ultimi, così ledendo il diritto primario alla salute ad esse connesso dalla costante giurisprudenza eurounitaria .
Tanto si deduceva anche dall’art. 36 Cost. il quale garantiva che la retribuzione doveva essere proporzionale alla qualità e quantità del lavoro prestato, sicché l’interpretazione costituzionalmente orientata dell’art. 4 del d.lgs. 185/2005 confermava – punti m) e n) - la considerazione che la retribuzione effettiva andasse utilizzata anche per retribuire i giorni di ferie e rendeva del tutto infondata la richiesta di rimessione alla Corte costituzionale svolta dal datore di lavoro in relazione alla norma indicata (e all’art. 10 del d.lgs. 66 del 2003 , punto o).
Ritenute parimenti irrilevanti le richieste di rimessione alla Corte di giustizia finalizzate all’interpretazione dell’art. 7 della Direttiva 2003/88 e dell’art. 3 della Direttiva 2000/79 (considerate le pronunce dalla Corte stessa già rese in tema), il Tribunale dichiarava «la nullità delle clausole collettive, contenute nel Ccnl trasporto aereo, che escludevano l’indennità di volo integrativa dalla base di computo della retribuzione corrisposta per tutto il periodo di ferie garantito al personale viaggiante».
3. Il ricorso per Cassazione
La società aerea proponeva ricorso per cassazione svolgendo due motivi e rinnovando le richieste di rimessione alla Corte costituzionale e alla Corte di giustizia.
Con il primo motivo, in particolare, rilevava la violazione delle Direttive e delle norme nazionali già citate in quanto nessuna di queste prevedeva una specifica nozione di retribuzione garantita e che la sentenza Williams della Corte di giustizia non aveva stabilito un principio di onnicomprensività bensì solo di predeterminazione della retribuzione feriale, sicché non era previsto che fossero inseriti nella retribuzione per il periodo di ferie tutti gli elementi della retribuzione complessiva del lavoratore. In ogni caso, la fattispecie decisa nella causa Williams era diversa da quella in esame, dove la contrattazione collettiva aveva anzi migliorato il trattamento economico del lavoratore in periodo di ferie.
Ne discendeva la mancata valutazione del complesso vaglio effettuato dalla contrattazione collettiva, con l’ulteriore conseguenza che il primo giudice avrebbe, di fatto, riscritto il costo del lavoro della Compagnia aerea.
Con il secondo motivo la società ricorrente denunciava la violazione dell’art. 36 della Cost. in relazione alla ritenuta inclusione nella retribuzione feriale dell’indennità di volo, frutto dell’errato presupposto della sussistenza di un principio di onnicomprensività della retribuzione, nonché dell’art. 112 cpc, posto che il ricorrente non aveva fatto riferimento a tale norma costituzionale nella sua domanda in primo grado e, comunque, non era in discussione la quantificazione della retribuzione proporzionata e sufficiente, ma la portata dell’art. 36, cui era estraneo il concetto di onnicomprensività.
Si contestava inoltre l’estensione del principio affermato dal primo giudice anche ai giorni eccedenti le quattro settimane stabilite dalla normativa applicabile.
Infine, venivano ribadite le richieste di questioni di costituzionalità, dirette, principalmente alla denuncia di violazione dei principi di certezza del diritto, dell’autonomia negoziale e della iniziativa economica privata, nonché questioni pregiudiziali in sede europea concernenti la ritenuta nullità della normativa collettiva applicabile in causa e, in subordine, in merito alla validità delle Direttive in tema di ferie, che avrebbero sconfinato dall’ambito di operatività loro riconosciuto dall’ordinamento europeo.
4. la sentenza della Cassazione
La Corte ritiene infondato il primo motivo relativamente alle modalità di computo dell’indennità di volo nelle quattro settimane stabilite dall’art. 7, par. 1 della Direttiva 2003/88.
In particolare, pur tenendo presente le considerazioni fatte dal Tribunale di Civitavecchia, nella sentenza si richiama la più recente pronuncia della Corte di giustizia DS c/ Koch del 13 gennaio 2022 , la quale stabilisce che l'articolo 7, paragrafo 1, della direttiva 2003/88/CE, letto alla luce dell'articolo 31, paragrafo 2, della CDFUE, va interpretato nel senso che osta a una disposizione di un contratto collettivo tedesco in base alla quale, per stabilire se sia stata raggiunta la soglia di ore mensili lavorate oltre le quali il lavoratore ha diritto a un aumento per il lavoro straordinario, le ore corrispondenti al periodo di ferie annuali retribuite prese dal lavoratore nello stesso mese non siano prese in considerazione come ore di lavoro prestate per raggiungere la soglia fissata.
Il principio stabilito in questa sentenza, secondo la Cassazione, chiarisce e conferma quanto già deciso con la ricordata sentenza Williams, che forma oggetto delle censure della società ricorrente.
La Corte precisa che «l'intervento, nel corso del giudizio di legittimità, di una pronuncia della Corte di Giustizia della UE, resa nell'esercizio dei suoi poteri di interpretazione vincolante di una disposizione dell'ordinamento comunitario» non è qualificabile come ius superveniens, ma rileva «solo sotto il profilo del riscontro della compatibilità di tale norma interna con le regole comunitarie (ex plurimis Cass. n. 5991/1987)». Le pronunce della Corte di giustizia, si legge nella sentenza, «hanno, infatti, efficacia vincolante, diretta e prevalente sull'ordinamento nazionale, così confermato dalla Corte costituzionale con le sentenze n. 168/1981 e n. 170/1984 » ma hanno comunque efficacia diretta nel nostro ordinamento, come ha stabilito la stessa Corte costituzionale .
La Corte procede poi all’esame dei principi stabiliti dalla sentenza DS (punti 21-23), nella quale si afferma, quale premessa, che, per sua costante giurisprudenza, pur spettando agli stati membri «definire le condizioni di esercizio e di attuazione del diritto alle ferie annuali retribuite», gli stessi debbono comunque astenersi dal subordinare a qualunque condizione la realizzazione pratica di tale diritto, poiché la fruizione pacifica delle ferie da parte di ciascun lavoratore costituisce un principio particolarmente importante del diritto sociale dell’Unione.
Inoltre, la Corte di giustizia (nei punti 29-34), si legge nella sentenza in commento, ha chiarito (1) che il diritto alle ferie annuali ha una duplice finalità, consistente, da un lato, di riposarsi dopo l’esecuzione dei suoi compiti nascenti dal rapporto di lavoro e poter godere di un periodo di distensione e di ricreazione (2) che nell’interesse della sua sicurezza e della sua salute, deve poter beneficiare di un riposo effettivo; (3) che conseguentemente ogni azione o omissione del datore di lavoro che risulti finalizzata a limitare l’effettiva fruizione al congedo di riposo o sollecitare sono incompatibili con l’obiettivo del diritto alle ferie annuali retribuite.
Ne deriva in sostanza che ogni comportamento, attivo o passivo, anche solo potenzialmente dissuasivo alla fruizione da parte del lavoratore del congedo annuale retribuito è incompatibile con lo scopo della Direttiva che garantisce il pieno diritto al godimento del periodo feriale.
A tal fine, la Corte ha ritenuto che la garanzia della percezione della retribuzione ordinaria corrisposta dal lavoratore nel corso del rapporto anche per l’intero periodo di ferie garantito dalla legislazione europea ha la finalità di consentire la libera fruizione del diritto alle ferie, mentre nell’ipotesi in cui quanto corrisposto ordinariamente nel corso del periodo lavorativo si presentasse superiore a quello ricevuto durante le ferie, può indurre il lavoratore a non usufruire liberamente del congedo annuale, tenendo conto dello svantaggio economico che ne deriverebbe, ancorché questo si manifesti in un periodo successivo (ad esempio nel mese seguente ).
Nel punto 41 della sentenza DS, si legge nelle motivazioni, è infine precisato che dunque, «[c]ome sottolineato al punto 32 della presente sentenza, qualsiasi prassi o omissione da parte del datore di lavoro che abbia un effetto potenzialmente dissuasivo sulla fruizione delle ferie annuali da parte di un lavoratore è incompatibile con la finalità del diritto alle ferie annuali retribuite».
Sulla scorta di tali principi, ormai pacifici (la sentenza DS è stata resa senza udienza pubblica e senza conclusioni dell’Avvocato generale), la Corte condivide il giudizio di nullità della clausola contrattuale collettiva del Ccnl Trasporto aereo «nella parte in cui, limitatamente al periodo minimo di ferie di quattro settimane, esclude dalla base del computo della retribuzione da corrispondere nel periodo feriale, la componente retributiva costituita dall'indennità di volo integrativa, perché tale disposizione è in contrasto con la norma imperativa di cui all'art. 4 del D.Igs. n. 185/2005 che, interpretato alla luce del diritto europeo, impone di riconoscere al lavoratore navigante in ferie una retribuzione corrispondente alla nozione europea di remunerazione delle ferie in misura tale da garantire al lavoratore medesimo condizioni economiche paragonabili a quelle di cui gode quando esercita l'attività lavorativa».
Tanto poiché nel giudizio di merito, con un accertamento di fatto non sindacabile dal giudice di legittimità , è risultato che l’indennità di volo integrativa costituiva una rilevante componente della retribuzione che incideva all’incirca del 30% (o in misura anche maggiore, a seconda delle ore di volo) sull’ordinario trattamento economico del personale di volo.
Una simile percentuale, ove non corrisposta anche nel periodo feriale, potrebbe costituire un incentivo a non fruire delle ferie e quindi in contrasto «con i principi euro-unitari che statuiscono che deve essere evitata qualsiasi prassi o omissione, da parte del datore di lavoro, che abbia un effetto potenzialmente dissuasivo sulla fruizione delle ferie annuali da parte di un lavoratore, essendo ciò appunto incompatibile con la finalità del diritto alle ferie annuali retribuite».
La Corte di giustizia ha invece interpretato il contenuto della Direttiva nel senso che gli Stati membri sono invece liberi di disciplinare con modalità diverse i giorni di ferie aggiuntivi a quelli fissati dalla Direttiva, per i quali dunque «la normativa europea e i principi giurisprudenziali sopra riportati non sono invocabili».
Il principio potrebbe, ad un primo esame, apparire contraddittorio, soprattutto nel caso specifico, dove l’aumento del periodo feriale è stabilito dalla contrattazione collettiva, la quale è il soggetto più vicino alla realtà del settore disciplinato.
Potrebbe dunque replicarsi, come del resto aveva ritenuto il primo giudice, che se l’accordo collettivo ha ritenuto necessario ai fini della sicurezza e della salute dei lavoratori che vi operano un maggior periodo di riposo, rispetto a quello ordinario stabilito dalla Direttiva non si vede perché non applicare i medesimi principi per quanto attiene alla retribuzione dovuta.
In realtà la spiegazione, secondo la Corte di cassazione, è semplice e va ricercata nel sovrapporsi, all’interno del sistema giuridico europeo, del diritto dell’Unione , il quale però è distinto da quello nazionale, sicché quest’ultimo opera senza vincoli occupando tutti gli spazi lasciati liberi dal primo.
Ne consegue che i limiti e le disposizioni delle Direttive non vincolano il legislatore nazionale oltre quanto espressamente da queste disposto. Dunque, se la Direttiva regola un certo periodo obbligatorio di ferie annue, le regole circa l’entità della retribuzione valgono per il periodo indicato. Al di fuori di questo, il diritto nazionale è libero di normare senza vincoli: l’interpretazione data dal giudice nazionale dell’art. 4 del d.lgs. 185/2005, «in mancanza di apposite previsioni da parte delle fonti legali (art. 36 Cost. e art. 2109 cc)», come si rileva nella sentenza in commento, è funzionale a rendere la norma armonica con la Direttiva ma, al di fuori del campo delimitato da questa, resta salva la previsione della norma nazionale di affidare, come prevedeva l’art. 4 citato, alla contrattazione collettiva la determinazione della retribuzione dovuta per i periodi feriali goduti dal lavoratore, «peraltro sempre controllabile dal giudice riguardo alla sua congruità rispetto ai parametri costituzionali (Cass. n. 1823 del 2004; Cass. n. 16510/2002) ».
A ciò si aggiunga che la Corte motiva altresì rilevando come, per i giorni eccedenti quelli indicati dalla Direttiva, non vi sarebbe prova che la corresponsione della retribuzione in misura ridotta rispetto a quella normalmente percepita «non garantisca una retribuzione sufficiente ad assicurare al lavoratore e alla sua famiglia una esistenza libera e dignitosa». Ciò in considerazione della brevità del periodo feriale aggiuntivo, nonché in quanto il primo giudice ha limitato la sua indagine all’intero periodo feriale, «mentre il relativo giudizio di sufficienza e di proporzionalità avrebbe dovuto essere limitato e riscontrato unicamente sui giorni eccedenti».
Questo punto della sentenza non pare particolarmente convincente, poiché la riduzione retributiva di circa il 30% della retribuzione, ancorché limitato a pochi giorni, potrebbe comunque costituire un incentivo a rinunciare a parte delle ferie: insomma, era certamente sufficiente limitarsi a motivare con la necessità di adeguarsi al sistema multilivello.
La sentenza del Tribunale sul punto viene dunque cassata, in accoglimento parziale del secondo motivo svolto dalla compagnia aerea, in considerazione del fatto che «[i]l parametro normativo di cui all'art. 36 Cost., utilizzato per il riconoscimento della componente della indennità di volo integrativa nella retribuzione per ferie per i residui sette giorni eccedenti le quattro settimane, in una materia non regolata dal diritto dell'Unione e rimessa, invece, alle parti collettive, non è stato, quindi, correttamente applicato in punto di diritto e di fatto dal Tribunale di prime cure».
La Corte esamina poi il punto più delicato della causa, ovvero le questioni pregiudiziali poste dalla società ricorrente.
La prima riguardava la dedotta violazione del principio di certezza del diritto e dell’autonomia negoziale delle parti sociali e dell’iniziativa economica privata, sia sotto il profilo del legittimo affidamento che sul ruolo sul ruolo affidato alla contrattazione collettiva oltre a quello della lesione dell’attività di impresa, costituzionalmente tutelata.
La richiesta di rimessione alla Consulta viene rigetta sulla scorta di due argomentazioni.
La prima consiste nel fatto che la giurisprudenza in tema di ferie è da oltre trent’anni - come abbiamo visto – consolidata e la recente pronuncia DS poco aggiunge a concetti ormai consolidati, sicché le parti sociali, nel redigere la norma contrattuale relativa al trattamento spettante per le ferie, non potevano ignorare gli interventi legislativi dell’Unione e le interpretazioni della Corte di giustizia.
Implausibile, dunque, una violazione del principio di affidamento di fronte ad una situazione che non presenta novità di particolare rilievo.
Il secondo motivo di rimessione viene ritenuto altrettanto infondato, considerando che « la contrattazione collettiva non si muove nel vuoto normativo e, in un sistema di fonti "multilevel", come è quello euro-italiano, la peculiarità del diritto del lavoro richiede comunque che sia le disposizioni normative che quelle collettive contrattuali operino in sintonia e in parallelo tra loro, con l'osservanza appunto dei principi dettati dal diritto dell'Unione e di quelli fondamentali dello Stato Italiano, relativamente alle prescrizioni normative "minime", la cui osservanza non può costituire certamente alcuna lesione delle libertà sopra indicate».
La Corte poi esamina le questioni di pregiudizialità comunitaria.
La prima era formulata nei termini della richiesta al giudice di Lussemburgo di valutare la compatibilità della norma contrattuale con le Direttive in tema di ferie. La seconda concerneva la pretesa applicabilità dei principi stabiliti dalla sentenza Williams oltre il caso specifico deciso, con conseguente imposizione di una «nozione armonizzata di retribuzione, imponendone di conseguenza l’integrale corresponsione per il periodo di ferie» andando «ben al di là dell’esercizio della competenza attribuita all’Unione».
Nella sentenza si affronta allora preliminarmente il problema di quando ricorre l’obbligo di rimessione che, per costante giurisprudenza sia della Cassazione che della Corte di giustizia, non è obbligatorio da parte del giudice nazionale per il sol fatto che ne viene avanzata richiesta da una delle parti, ma che risulta dovuto solo quando la questione controversa ha «rilevanza in relazione al thema decidendum sottoposto all'esame del giudice nazionale e alle norme interne che lo disciplinano (cfr. Cass. SS.UU. n. 8095 del 2007)» e comunque non è dovuto quando sulla questione proposta vi sia già una giurisprudenza consolidata della Corte di giustizia ovvero sia già stato deciso un problema giuridico analogo, come stabilito nella nota sentenza Cilfit del 6.10.1982 e successive evoluzioni .
Tanto premesso in punto di rito, la Corte ritiene che non sussistano i presupposti per la rimessione per una serie articolata di motivi.
Innanzi tutto, sulle questioni sollevate, la Corte di giustizia si è già pronunciata più volte, come ricordato e, per di più, l’esame del caso concreto - ovvero «se alcune indennità aggiuntive legate al concreto svolgimento di una determinata mansione possano essere escluse dal computo della retribuzione dei giorni per ferie annuali» - è compito del giudice nazionale investito della controversia principale.
Inoltre – e ciò, si osserva, riguarda anche la questione di costituzionalità già esaminata – la Corte di giustizia non ha enunciato un «concetto di retribuzione per ferie europea di tipo "quantitativo", ma delinea un concetto di retribuzione per ferie europea sotto un profilo "teleologico”» e ha sottolineato come la Direttiva ha lo scopo di evitare che la corresponsione retributiva nel periodo di ferie non sia tale da disincentivare il lavoratore ad usufruirne. E anche la valutazione dell’idoneità della retribuzione stabilita dall’ordinamento interno spetta, come già si è più volte chiarito, al giudice nazionale, incaricato della decisione della causa principale.
Nel valutare in punto di fatto, la Corte rileva allora che la indennità integrativa, ovvero la voce esclusa dalla contrattazione collettiva dalla retribuzione per ferie, si riferisce a periodi effettivamente lavorati nell’arco dell’anno, sicché, per valutare l’effettiva retribuzione dovuta per le ferie in modo conforme allo scopo della Direttiva, potrà essere considerata una media delle ore di volo concretamente svolte che dovranno quindi essere conteggiate anche nel periodo di ferie del lavoratore, così come è stato ritenuto, si ricorda nella sentenza, da decisioni della Corte di giustizia (sentenza Hein del 13.12.18 ) e della stessa Cassazione.
Da quanto esposto discende che la normativa europea non ha definito una nozione generale di retribuzione da prendere a base per il calcolo di quella dovuta nel periodo di ferie, limitandosi invece a sollecitare il raggiungimento dello scopo della Direttiva in esame da parte del giudice rimettente che dovrà operare secondo le specificità dell’ordinamento nazionale e la natura dell’elemento retributivo in esame, garantendo il risultato indicato dal legislatore europeo.
Inoltre, poiché le Direttive 2003/88 e 2007/79, non tendono ad imporre un definizione “armonizzata” della retribuzione dovuta per ferie, la questione pregiudiziale rispetto all’esercizio della competenza attribuita all’Unione non appare rilevante.
Infine, nella sentenza si osserva che la proposta questione si rivelava altresì inammissibile considerato che il diritto alle ferie retribuite non è stato istituito solo dalle due direttive ricordate in relazione alle quali si chiede formularsi la questione pregiudiziale, bensì anche da altri atti internazionali, tra i quali nella sentenza si ricordano la Carta sociale europea (cui tutti gli Stati membri dell’UE hanno aderito nelle varie versioni) e la Convenzione OIL del 24 giugno 1970, che contiene principi che sono del resto espressamente richiamati dal Considerando 6 della Direttiva 2003/88, come ricorda la sentenza Schultz-hoff del 20.01.09 .
Si tratta quindi, quello del diritto alle ferie, di un principio essenziale dell’unione (come si è visto stabilito anche dall’art. 31 della Carta fondamentale che ha valore di trattato ), nel quale rientra anche quello del diritto ad una retribuzione rapportata a quella normalmente percepita nei periodi lavorativi e, se del caso, coerentemente, ad una indennità finanziaria nella stessa misura in casi di cessazione del rapporto di lavoro per le ferie non godute, che rende oltremodo improponibile la richiesta rimessione pregiudiziale .
La sentenza viene quindi cassata e rinviata al primo giudice affinché provveda in relazione alla misura di retribuzione dovuta per i periodi di ferie non ricompresi in quelli regolati dalla contrattazione collettiva oltre i limiti stabiliti dal diritto dell’Unione.
4. Conclusioni
Come si vede, la Corte di cassazione affronta, con particolare accuratezza, non solo la questione di causa, ovvero la computabilità nella retribuzione dovuta nel periodo di ferie, ma anche i rapporti tra il diritto nazionale e quello europeo.
Per quanto attiene alla retribuzione feriale, va ribadito che la Corte di giustizia si è pronunciata più volte e sotto diversi profili: qui ricordiamo, ad esempio, la sentenza Varhoven del 25 giugno 2020 (causa C-762/18, EU:C:2020:50413 ), nella quale si stabilisce che il lavoratore licenziato e poi reintegrato dal giudice ha diritto al pagamento delle ferie anche nel periodo che intercorre tra il licenziamento e la ricostituzione del rapporto, indipendentemente dal fatto che non abbia effettuato la prestazione lavorativa (punto 24).
La stessa Cassazione ha recentemente esaminato, con la sentenza 24977/2022, il caso di collocamento forzato ed unilaterale in ferie dei dipendenti in coincidenza di periodi di Cigs, dichiarandone l’illegittimità proprio sulla base della funzione di ristoro e di recupero delle energie psicofisiche affermata nelle Direttive europee che non risulta possibile senza una preventiva determinazione e comunicazione agli interessati.
La questione è quindi stata più che approfondita, sicché la decisione si pone nel solco di una giurisprudenza ormai consolidata.
Per quanto invece riguarda il rapporto tra il diritto europeo e quello nazionale, oggetto nella causa della richiesta di proporre questioni pregiudiziali alquanto ardite, la sentenza ribadisce concetti altrettanto consolidati, sia dalla giurisprudenza nazionale che da quella europea, sia in rito che nella sostanza.
Vi è semmai da segnalare la conferma della decisione del Tribunale di Civitavecchia sul punto dell’interpretazione conforme adottata, coerentemente con le più recenti evoluzioni in tema di applicazione delle sentenze rese in sede transnazionale.
C’è solo da augurarsi che il colloquio tra i giudici nazionali e la Corte di giustizia prosegua nei termini che si sono esaminati nel caso della disciplina delle ferie oggetto della sentenza in commento.
Nonostante la non indifferente crisi politica dell’Unione in questo non facile periodo storico – influenzato anche agli eventi bellici ed economici che funestano il continente europeo nell’ultimo anno – il bisogno di uno spazio di garanzie per i diritti fondamentali è un’esigenza primaria.