TESTO INTEGRALE CON NOTE E BIBLIOGRAFIA
Testo della sentenza cass sez unite n.5556
testo della sentenza cass sez unite n.5542
1. INTRODUZIONE.
Dopo vent’anni di giurisprudenza di legittimità, consolidata e monolitica, circa l’applicazione delle tutele di diritto privato previste per i contratti a termine dello spettacolo dal vivo siglati dalle Fondazioni Lirico Sinfoniche, le Sezioni Unite, con le sentenze gemelle n. 5542 e 5556 del 22.02.2023, operano un profondo revirement, o più correttamente, per la particolare portata delle pronunce, una regressione a zero di tutto quanto asseverato sulla natura delle fondazioni lirico sinfoniche, sulla applicazione (ai rapporti di lavoro) del regime di lavoro privato e sulle tutele applicabili in caso di violazione della disciplina del lavoro a termine.
Tutto sulla scorta di tre argomentazioni parallele che si ha premura di “smontare” usando la stessa giurisprudenza (contraria e monolitica) avverso i ragionamenti delle Sezioni Unite. Un articolo, dunque, di taglio assolutamente non dottrinario (sincerando il lettore sul punto che anche la dottrina, in via assoluta, se si esclude quella che difende le fondazioni lirico sinfoniche e che ha precipuo interesse ad affermare l’applicabilità delle norme che regolano il pubblico impiego, ritiene che le FLS abbiano natura privata, che si applica il regime di lavoro privato dei contratti a termine e che si applica la sanzione della conversione in tempo indeterminato), ma eminentemente giurisprudenziale.
Le Sezioni Unite del 22.02.2023 utilizzano tre argomentazioni fondamentali per attrarre le fondazioni lirico sinfoniche nell’alveo degli enti pubblici, per applicare la disciplina pubblicistica (ed il correlato divieto di conversione in tempo indeterminato) e per ritenere che il divieto di conversione derivante dal perseguimento del vincolo di bilancio prevale sulla tutela delle nullità virtuali o di protezione di diritto eurounitario.
In primis, assumono che le fondazioni sono soggette ad un “controllo pubblico” che viene inopinatamente equiparato al “controllo analogo” (controllo stringente ed invasivo nella determinazione dell’organizzazione e degli indirizzi dell’impresa) delle società in house, e che comporterebbe, per tutta conseguenza, l’applicazione della disciplina pubblicista regolamentata dal D.Lgs. 165/2001. Il che, sulla scorta di un totale travisamento di quanto affermato dalla Corte Cost. con la sent. n. 153/2011 che, sebbene metta in rilievo l’evidente finalità pubblicistica istituzionale delle FLS della tutela (promozione e diffusione) del patrimonio artistico e culturale peculiare dell’Italia e, dunque, una impronta marcatamente pubblicistica, conclude in ogni caso per asseverare la natura privata delle fondazioni stesse e per l’applicazione delle norme di diritto pubblico soltanto in specifici casi. Tra l’altro, non solo tale “controllo analogo” non è ravvisabile nel rapporto tra P.A. e FLS, ma è addirittura vietato dalla stessa disciplina delle FLS (D.Lgs. 367/1996).
La seconda argomentazione si basa sull’assumere che non tutte le norme imperative sono inderogabili e che, mentre la nullità virtuale della causale (in quanto afferisce ad una nullità relativa, ex art. 1419 c.c.) sarebbe da considerare una norma imperativa derogabile, il divieto di conversione ed il vincolo di bilancio sarebbero norme imperative inderogabili perché necessarie al perseguimento degli interessi pubblici dello Stato e che, dunque, nella perequazione degli interessi contrapposti, prevalgono sempre gli interessi pubblici. Tale argomentazione, però, non si avvede che le nullità virtuali dei contratti a termine sono norme di ordine pubblico (e di un ordinamento giuridico che, sovraordinato a quello interno, ha una efficacia rafforzata, atteso che le stesse norme sono indispensabili al perseguimento delle finalità della direttiva 70/1999/CE, così come codificata all’indomani del Trattato di Amsterdam e della riforma del Trattato di funzionamento dell’Unione) e, per tal guisa, sempre inderogabili; mentre l’interesse al perseguimento del vincolo di bilancio non può ritenersi idoneo a sminuire nella sua portata ed efficacia il diritto soggettivo che è correlato alle tutele sanzionatorie dell’abuso del negozio a tempo determinato. Inoltre, sotto altro aspetto, tale argomentazione non appare coerente con l’ipotesi della reiterazione abusiva dei contratti a termine che dà luogo, invece, ad una nullità assoluta ex art. 1418 c.c., in quanto violazione fraudolenta (ex art. 1344 c.c.) della disciplina che regolamenta il rapporto di lavoro a tempo indeterminato. Né, infine, tale argomentazione, come appresso si vedrà, appare utile a dirimere la perequazione degli interessi contrapposti: diritto ad un lavoro utile a concorrere alla crescita del paese (artt. 1 e 4 Cost.) ed interesse al pareggio di bilancio (art. 81 Cost.).
La terza ed ultima argomentazione si basa sul ritenere insussistente la discriminazione indiretta irragionevole asseverata dalla CGUE ai capi 70 e 71 della sentenza Sciotto del 25.10.2018, C-331/17, per il motivo che la disciplina dei contratti a termine previste per i lavoratori delle FLS sarebbe una disciplina di settore diversa da quella degli altri settori: sul punto basta vedere la disciplina del lavoro a termine per i dipendenti della RAI spa per scoprire che questi, invece, hanno diritto alla conversione in tempo indeterminato.
Appare, dunque, necessario seguire un ordine cronologico partendo dalla riforma degli enti lirici in fondazioni di diritto privato sino a giungere alla disamina delle evidenze oppositive.
2. DAL 2001 AL 2021 LA NATURA PRIVATA DELLE FONDAZIONI LIRICO SINFONICHE: ENTI A GEOMETRIA VARIABILE.
Sul punto appare utile partire da quanto sancito dalla sentenza n. 5029 del 2010 emessa dalle Sezioni Unite Civile della Suprema Corte di Cassazione, che meglio esplicita quanto già asseverato con le precedenti sentenze delle Sez. Unite del 2001 n. 7862 e 12044, riportando direttamente il principio massimato dall’Ufficio:
“A seguito della trasformazione degli enti lirici in fondazioni di diritto privato, disposta retroattivamente dall'art. 1 del d.l. n. 345 del 2000 (convertito in legge n. 6 del 2001) con decorrenza dal 23 maggio 1998, le controversie aventi ad oggetto i rapporti di lavoro dei dipendenti di tali enti restano attratte alia giurisdizione del giudice amministrativo, se insorte anteriormente alia predetta data, mentre ricadono nella giurisdizione del giudice ordinario se insorte in epoca successiva, trovando applicazione l'art. 1 del d.l. n. 269 del 1994 (convertito in legge n. 432 del 1994), il quale fissa il discrimine temporale per il passaggio dalla giurisdizione ordinaria a quella amministrativa alia data dell'intervenuta trasformazione con riferimento al momento storico dell'avverarsi dei fatti materiali e delle circostanze in relazione alia cui giuridica rilevanza sia insorta la controversia, ovvero all'epoca dell'emanazione dell'atto, provvedimentale o negoziale, che ha prodotto la lesione del diritto del lavoratore.”.
In effetti, le F.L.S. sono trasformate in fondazione di diritto privato in forza della legge 23.04.1998 n. 134.
Secondo la previsione dell'art. 1, primo comma, del decreto legislativo 23 aprile 1998 n. 134 (emanato in attuazione dell'art. 11, comma 1, della legge 15 marzo 1997 n. 59) “gli enti autonomi lirici e le istituzioni concertistiche assimilate, già disciplinati dal titolo Il della legge 14 agosto 1967 n. 800, sono trasformati in fondazione ed acquisiscono la personalità giuridica di diritto privato alla data di entrata in vigore del presente decreto”. In base al secondo comma dello stesso articolo “La fondazione subentra nei diritti, negli obblighi e nei rapporti attivi e passivi dell'ente, in essere alla data della trasformazione”.
Con sentenza n. 503 del 18 novembre 2000 la Corte Costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale del predetto decreto legislativo, in quanto disciplina un oggetto estraneo alla delega conferita dalla citata Legge n. 59 del 1997.
Un successivo intervento normativo, il D.L. 24 novembre 2000 n. 345, convertito in Legge 26 gennaio 2001 n. 6, ha peraltro nuovamente regolato la materia, stabilendo all'art. 1, co. 1, che gli enti autonomi lirici e le istituzioni concertistiche assimilate già disciplinati dalla legge n. 800/1967, “sono trasformati in fondazione ed acquisiscono la personalità giuridica di diritto privato a decorrere dal 23 maggio 1998”, e disponendo, al comma successivo, che la fondazione subentra nei diritti, negli obblighi e nei rapporti attivi e passivi dell'ente, in essere alla data della trasformazione (cfr. Cass. Sez. Unite sentt. n. 7862/2001, n. 14022/2001, n. 5029/2010 e n. 27465/2016).
In effetti, l’art. 1, co. 2, L. 6/2001 (di conv del D.L. 345/2000): "2. La fondazione subentra nei diritti, negli obblighi e nei rapporti attivi e passivi dell'ente, in essere alla data della trasformazione. Essa è disciplinata, per quanto non espressamente previsto dal presente decreto, dal decreto legislativo 29 giugno 1996, n. 367, di seguito definito "decreto legislativo", dal codice civile e dalle disposizioni di attuazione del medesimo".
La ricognizione delle predette sentenze delle Sezioni Unite è univoca nell’asseverare che le fondazioni in esame sono un effettivo datore di lavoro privato e che la regolamentazione dei rapporti di lavoro da applicarsi è quella dell’impiego privato.
Ad eguale e conforme approdo pervengono anche le Sezioni Unite della Cassazione con la sent. n. 27465/2016 (relativa ai Teatri stabili, equiparati dal D.L. 345/2000, conv. con modif. in L. n. 6/2001, alle Fondazioni lirico sinfoniche).
E che tale sia il regime applicabile è frutto di un orientamento monolitico, mai messo in discussione da alcuna pronuncia, della S.C.; orientamento di cui si può trovare riscontro, tra le ultime e più recenti pronunce, proprio nella ordinanza n. 30718 del 25.11.2019 e nel richiamo alle sentt. Cass. 14/5/2019, n. 12776; Cass. 20/4/2018, n. 9896; Cass. 17/10/2018, n. 25959; Cass. 28/9/2016, n. 19189; Cass. 20 marzo 2014, n. 6547 (conf. pure Cass. n. 10924 del 2014).
Eppur vero, come si segnala, quanto statuito dalla Corte Cost. con la sent. n. 153/2011, laddove evidenzia come le fondazioni in questione, «... nonostante l'acquisizione della veste giuridica formale di fondazioni di diritto privato, conservano, pur dopo la loro trasformazione, una marcata impronta pubblicistica».
Va posto in rilievo che è la stessa sentenza che assevera la natura privata delle fondazioni lirico sinfoniche, senza trascurare di evidenziare alcune caratteristiche e casistiche che, per l’utilizzo del danaro pubblico (Fondo Unico dello Spettacolo, gestito dal Ministero della Cultura, istituito dalla Legge 163/1985 e s.m.i., in concorrenza con altri enti di marcata natura privata ) e degli interessi istituzionalmente perseguiti (art. 9 Cost.) in concorrenza con altri innumerevoli enti di natura privata , impongono l’applicazione delle regole pubblicistiche in alcuni precisi campi di azione delle fondazioni stesse e che riguardano affatto la disciplina dei rapporti di lavoro.
Non è disconoscibile, infatti, la marcata impronta pubblicistica, proprio in ragione dei compiti ad esse affidati di interesse pubblico dello sviluppo della cultura e della tutela del patrimonio storico e artistico nazionale (artt. 9 e 43 Cost.), ma tale caratterizzazione non destituisce la natura privata espressamente voluta dal Legislatore, ma rende semplicemente le fondazioni lirico sinfoniche assegnatarie di un servizio di pubblico interesse, da perseguire secondo le modalità tipizzate di una impresa privata.
Il che, come poi osservano le Sez. Unite del 2023 (più avanti in commento), non fa delle fondazioni liriche degli enti “seppur formalmente privati, sostanzialmente pubblici”, alla stregua di innumerevoli casi del panorama giuridico istituzionale del nostro ordinamento.
Non a caso, infatti, l’art. 4, del D.Lgs. 367/1996, immutato anche a seguito della novella del D.L. 59/2019, continua a sancire la natura privata delle fondazioni lirico sinfoniche e che “sono disciplinate, per quanto non espressamente previsto dal presente decreto, dal codice civile e dalle disposizioni di attuazione del medesimo”.
Sul punto è sufficiente osservare quanto statuito dalla stessa Corte Cost. con la sent. n. 260/2015 che prende in esame la questione e la vaglia alla luce della pronuncia 153/2011, ed assevera: “Il decreto legislativo 29 giugno 1996, n. 367 (Disposizioni per la trasformazione degli enti che operano nel settore musicale in fondazioni di diritto privato) ha disposto la trasformazione degli enti di prioritario interesse nazionale, che operano nel settore musicale, in fondazioni di diritto privato (art. 1) e a tali fondazioni ha conferito una «personalità giuridica di diritto privato» (art. 4). La scelta di assoggettare i rapporti di lavoro dei dipendenti delle fondazioni alle disposizioni del codice civile e a una regolamentazione di matrice contrattuale (art. 22, comma 1) è coerente con le nuove previsioni, efficaci a partire dal 23 maggio 1998 (art. 1 del decreto-legge 24 novembre 2000, n. 345, recante «Disposizioni urgenti in tema di fondazioni lirico-sinfoniche», convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 26 gennaio 2001, n. 6)”.
A sfatare ogni altra perplessità sul punto, concorre quanto statuito dalla Cass., Sez. Unite Civile, sent. n. 10244/2021, ove esprime il principio di diritto secondo cui, per identificare la natura privata o pubblicistica di una persona giuridica, è assolutamente dirimente (cfr. capo 7, pag. 12 e sgg.) “... la scelta del legislatore di dichiarare formalmente un ente come pubblico” tale da escludere l’adozione di qualsiasi altro criterio interpretativo, atteso “... l'art. 4 della legge 20 marzo 1975, n. 70, a norma del quale «Salvo quanto previsto negli articoli 2 e 3, nessun nuovo ente pubblico può essere istituito o riconosciuto se non per legge».”.
Sicché, laddove sia lo stesso Legislatore a sancire, in maniera esplicita, la natura della personalità giuridica, non risulta essere possibile, per l’interprete giuridico, adottare una diversa interpretazione per il vincolo postone dalla espressa norma di legge. È, dunque, possibile, sancisce la sentenza in commento, che per alcune ipotesi (come quella dell’obbligo di appalto pubblico), l’ente, benché privato, sia soggetto alle norme pubblicistiche per il venire in rilievo, da parte dello stesso, l’impiego di risorse pubbliche che vengono all’ente medesimo affidate e che, per tal guisa, devono poter essere “controllate” dall’amministrazione pubblica.
L’attività di vigilanza, prima del Consiglio di Indirizzo e, poi, della Sezione Controllo della Corte dei Conti (che, con le delibere di “determinazione e relazione sul risultato del controllo eseguito sulla gestione finanziaria delle fondazioni lirico-sinfoniche”, valuta come vengono impiegate le risorse affidate alle fondazioni, senza alcuna ingerenza nell’utilizzo delle stesse e che annovera tali erogazioni nella contabilità pubblica globale dello Stato), non costituisce in alcun modo, infatti, ingerenza nella gestione o direzione delle fondazioni, come più avanti si specificherà con dovizia di particolari. Anzi, come si vedrà nel dettaglio, tale ingerenza è assolutamente vietata dalla “legge” che disciplina le fondazioni (D.Lgs. 367/1996).
Infine, va osservato, con funzione assai dirimente della questione impegnata, quanto statuito dalla Cass., Sez. Lav., sent. n. 12642 del 12.05.2021, secondo cui “Va rammentato che, secondo la consolidata giurisprudenza delle Sezioni Unite di questa Corte, nel caso in cui sia la legge a qualificare espressamente come privato il rapporto di lavoro ... non si può pervenire ad una diversa qualificazione del rapporto stesso, valorizzando la natura del datore di lavoro e lo stabile inserimento nell'organizzazione amministrativa dell'ente, perché risulta essere prevalente, rispetto a detti criteri, la definizione normativa (Cass. S.U. n. 14847/2006, Cass. S.U. n. 18622/2008; Cass. S.U. n. 24670/2009; Cass. S.U. n. 8985/2010).”.
I dettami delle Sezioni Unite, appena sopra richiamate, asseverano la natura di ente privato a tutti gli effetti delle fondazioni liriche sinfoniche (e la disciplina dei rapporti di lavoro secondo il regime generale dell’impiego privato), il cui unico “mandato” di carattere pubblico è quello del perseguimento della tutela e della diffusione del patrimonio artistico culturale; tutela e diffusione che non sono attribuiti in via esclusiva alle fondazioni, ma che sono perseguiti anche da altre associazioni ed enti meramente privati e che si alimentano finanziariamente, come le fondazioni, dalle disponibilità finanziarie riconosciute dallo Stato in egual misura e pari concorso con le stesse fondazioni.
Ed infatti, il Fondo Unico dello Spettacolo, istituito con la L. 30 aprile 1985 n. 163, gestito dal Mi.C., sostiene finanziariamente le attività di produzione e programmazione delle produzioni artistiche dal vivo negli ambiti della musica, teatro, danza, circo e spettacolo viaggiante; e finanzia anche progetti multidisciplinari e azioni trasversali, concedendo i contributi per progetti triennali e, per le tournée all’estero e per spettacoli viaggianti, su programmi annuali. Il che, secondo criteri e modalità disciplinati, a partire dall’esercizio 2015, dal Decreto Ministeriale del 01 luglio 2014.
Il fatto che si persegua un interesse di carattere pubblico, e tra l’altro non in via esclusiva (ma concorrente con altre istituzioni assimilabili alle fondazioni e con i teatri stabili ed associazioni di diritto privato, come le compagnie di danza o teatrali o di musica lirico sinfonica), non può consentire di denigrare la natura prettamente ed esclusivamente privatistica delle fondazioni in parola e trasformarla in quella di un ente pubblico economico anche nel concetto di ente pubblico cd. “allargato”; soprattutto laddove le Sezioni Unite (sentt. n. 7862/2001, n. 14022/2001, n. 5029/2010 e n. 27465/2016) ne asseverino la natura privata.
Se così fosse, anche gli altri Teatri Stabili o di tradizione, soggetti al medesimo
Sicché la disciplina innanzi richiamata non è suscettibile di applicazione analogica, in nessun caso e per nessuna ragione, nel campo delle fondazioni liriche dopo il 28.05.1998.
E soprattutto laddove le stesse Sezioni Unite (sent. 21692/2016, nel contenzioso formatosi contro la RAI) e la stessa Corte Cost. (sent. n. 260/2015, per le Fondazioni lirico sinfoniche) asseverano la natura privata, la regolamentazione privatistica dei rapporti a termine e l’applicazione della sanzione della conversione dei rapporti a termine illegittimi in rapporti di lavoro a tempo indeterminato secondo le statuizioni fornite dalla stessa Corte Cost. nella sent. 303/2011 per l’impiego privato.
La comparazione tra i due ambiti del medesimo settore di attività dello spettacolo evidenziano, si osservi (come poi più articolatamente in prosieguo), una chiara discriminazione indiretta (non sorretta da ragionevolezza) nell’ambito delle tutele sanzionatorie della nullità dei contratti a termine o della reiterazione abusiva degli stessi oltre una data certa ragionevole massima se si ritiene, per gli uni, applicabile la conversione in tempo indeterminato e, per le fondazioni, invece, non applicabile la conversione, per la persistenza del divieto di trasformazione in tempo indeterminato derivante dal perseguimento del vincolo di bilancio.
Collateralmente ai principi innanzi espressi dalle Sezioni Unite, anche la giurisprudenza amministrativa risulta confermativa dei medesimi approdi.
E, mentre, da un lato, la Corte dei Conti, Sezioni Riunite, con la sent. n. 1/2020, conferma la natura privata delle fondazioni lirico sinfoniche (tale da doversi asseverare, come si legge nella pronuncia, la perfetta autonomia patrimoniale delle stesse rispetto alle casse erariali e l’estromissione della fondazione Teatro Alla Scala dal novero ISTAT delle società che percepiscono flussi di denaro pubblico, ivi inserite ai soli fini del conto consolidato delle PP.AA., nel cui ambito compaiono anche enti privati e società commerciali); dall’altro lato, la Corte dei Conti, Sezione Seconda Giurisdizionale Centrale di Appello, con la sent. n. 596/2018:
- dichiara il difetto della propria giurisdizione (in favore del giudice ordinario, alla stregua di quanto già sancito dalla Cass. Sez. Unite sent. n. 20075/2013) in caso di danni arrecati, per responsabilità dei propri dipendenti o dirigenti, al patrimonio della fondazione (non avendo essi natura di danno erariale in ragione dell’autonomia patrimoniale, rispetto all’erario pubblico, delle fondazioni lirico sinfoniche ed assimilate, sebbene ricevano finanziamenti da Regione, Comune e Governo, oltre che da privati), in quanto danno “... riferibile al patrimonio appartenente soltanto al predetto soggetto privato, e non anche ai singoli soci”.
Il che, analogamente a quanto già asseverato, anche sulla natura privata delle fondazioni lirico sinfoniche ed assimilate, dalla Cass. Sez. Unite, sentt. n. 26643/2016 e n. 2548/2018, e dalla Terza Sezione Centrale della Corte dei Conti, sent. n. 494/2014.
- assevera che la sent. n. 2637/2006 della Cass., Sez. Unite, e la sent. n. 153/2011 della Corte Cost., laddove dichiarano l’applicazione delle norme pubblicistiche alla Fond. Santa Cecilia ed alle fondazioni liriche, riconoscendo alle stesse la natura di organismo pubblico, rilevano solo in quanto, da un lato, l’oggetto del giudizio concerneva l’applicabilità o meno del Codice degli Appalti Pubblici, in quanto organismi affidatari di pubblici servizi che, secondo la nozione di “enti a geometria variabile” (in rispondenza degli istituti normativi applicabili in ragione al tipo di attività perseguito, da cui discendono diversi principi normativi e diverse finalità), sono tenuti all’osservanza dei medesimi criteri di trasparenza e correttezza della P.A. nell’uso delle risorse finanziarie pubbliche che vengono loro affidate. Principio espresso anche dalla Cass. Sez. Unite, sentt. n. 14655/2011, n. 3692/2012 e n. 7293/2016, in riferimento alla società di capitali in house.
E, dall’altro, l’oggetto del giudizio incidentale di illegittimità costituzionale (sent. n. 153/2011) riguardava il potere normativo della regolamentazione e disciplina delle fondazioni lirico sinfoniche in un conflitto di attribuzioni legislative tra la Regione Toscana ed il Governo ai sensi della dell’art. 4 del decreto-legge 30 aprile 2010, n. 64 (Disposizioni urgenti in materia di spettacolo e attività culturali), come convertito, con modificazioni, dalla legge 29 giugno 2010, n. 100, promosse, in riferimento agli artt. 117, terzo comma, 118 e 120 della Costituzione, nonché al principio di leale collaborazione: giudizio dichiarato estinto per cessazione della materia del contendere in ragione della sopravvenuta modifica normativa ad opera del legislatore (sebbene abbia incidentalmente, per consolidata giurisprudenza di Legittimità, espresso “l’affermazione di una competenza esclusiva dello Stato”).
Se, dunque le fondazioni in questione, «... nonostante l'acquisizione della veste giuridica formale di fondazioni di diritto privato, conservano, pur dopo la loro trasformazione, una marcata impronta pubblicistica» (impronta, non natura), ciò non elide, come evidenziano le Sezioni Unite (Cass., Sez. Un. Civile, sent. n. 10244/2021, cfr. capo 7, pag. 12 e sgg.) che le fondazioni lirico sinfoniche sono soggette alle diverse discipline (di natura privata ovvero pubblica) a secondo della sfera giuridica in cui esse operano, proprio perché “enti a geometria variabile”.
In effetti, proprio in ragione dei principi di trasparenza e di rendicontazione del danaro pubblico loro erogato dallo Stato, le FLS sono soggette:
- alla vigilanza ed annotazione contabile da parte della Corte dei Conti Sezione Controllo sugli Enti: cfr. art. 15, co. 5, D.Lgs. 367/1996 “La gestione finanziaria delle fondazioni è soggetta al controllo della Corte dei conti alle condizioni e con le modalità di cui alla legge 21 marzo 1958, n. 259”;
- alla trasparenza degli atti che emanano ai sensi del D.Lgs. 33/2013 (art. 11, D.L. 91/2013 conv. con modif. in L. 112/2013 ed art. 2, D.L. 59/2019 conv. con modif. in L. 81/2019);
- alla disciplina degli appalti pubblici (D.Lgs. 50/2016 e s.m.i.).
In breve, la qualificazione dell’ente indicata dal legislatore vincola l’interprete; e sul punto appare evidente l’espresso conferimento di tale natura privatistica laddove si osservi quanto sancisce: l’art. 1 (“Trasformazione. Gli enti di prioritario interesse nazionale che operano nel settore musicale devono trasformarsi in fondazioni di diritto privato secondo le disposizioni previste dal presente decreto.”); dell’art. 2, lett. a, ove vengono espressamente indicati gli ex enti autonomi lirici di cui al titolo II della L. 800/1967) e l’art. 4 (“Personalità giuridica delle fondazioni e norme applicabili. Le fondazioni di cui all'art. 1 hanno personalità giuridica di diritto privato e sono disciplinate, per quanto non espressamente previsto dal presente decreto, dal codice civile e dalle disposizioni di attuazione del medesimo.”) del D.Lgs. 367/1996.
Il cui decreto legislativo fu emanato per dare attuazione all’art. 2, co. 57, Legge delega 549/1995 (ai sensi del quale comma 57: “Il Governo è delegato ad emanare entro il 30 giugno 1996 uno o più decreti legislativi per disciplinare la trasformazione in fondazioni di diritto privato degli enti di prioritario interesse nazionale che operino nel settore musicale”).
Nella medesima sentenza da ultimo richiamata (Cass., S.U., sent. n. 10244/2021) si legge, capo 15.2, a pag. 26, che “... ad esempio, alle fondazioni lirico-sinfoniche, pacificamente qualificabili come enti privati e anch'esse inserite nell'elenco Istat: ma v. con riferimento alla Fondazione Teatro alla Scala di Milano, Corte conti, sezioni riunite, n. 1/2020, che ha escluso la Fondazione dall'elenco delle amministrazioni locali redatto dall'Istat per il 2020)”.
Se, da un lato, va messa in rilievo la natura privata delle fondazioni, eppur vero che le finalità pubblicistiche che il legislatore attribuisce alle stesse (tutela e diffusione del patrimonio artistico e culturale del Paese – art. 9 Cost.) e, per l’effetto, il carattere di preminente interesse generale (art. 43 Cost.) che tali fondazioni assumono (come confermato anche dalla Corte Cost. con la sent. n. 153/2011) non è privo di ulteriori risvolti giuridici ulteriori che non vanno sottaciuti.
Infatti, l’affidamento alle stesse fondazioni di compiti di interesse pubblico e, dunque, quali affidatarie di un pubblico servizio, connota di gravità e di autonoma rilevanza la condotta dei soggetti aventi incarichi di dirigenza apicale oltre che di rappresentanza organica delle fondazioni stesse, come illustra la Cass. Pen., VI Sez., sent. n. 4126/2016, in quanto essi agiscono quali affidatari di pubblici servizi (ossia quali incaricati di pubblico servizio ex art. 314 c.p.). In effetti, anche la sezione penale della S.C. riconosce, nella richiamata pronuncia, che le fondazioni lirico sinfoniche sono enti di diritto privato, ma osserva anche che, in quanto affidatari di un interesse e di una finalità pubblicistica, la dirigenza apicale delle fondazioni è passibile, sotto il profilo penale, dell’imputazione dei medesimi reati ascrivibili ai pubblici ufficiali, proprio perché gli stessi sono affidatari di un servizio pubblico.
Anche le più recenti pronunce del 2022 della S.C. (Cass. sentt. n. 14839/2022, n. 14843/2022, n. 18126/2022, n. 18344/2022), nell’espresso intento di dare continuità ad un indirizzo nomofilattico costante e monolitico , evidenziano la natura privatistica delle fondazioni lirico sinfoniche anche sotto il profilo dello ius postulandi; osservando come, ai sensi dell’art. 43 del Regio Decreto del 30 ottobre 1933 n. 1611, così come modificato dall’art. 1, co. 1, L. 103/1979 ), le fondazioni sono assistite dal patrocinio facoltativo dell’Avvocatura di Stato e che tale patrocinio è derogabile in favore del patrocinio dell’Avvocatura del libero foro solo per casi speciali, con apposita delibera congruamente motivata, validata dall’organo di vigilanza (Consiglio di Indirizzo).
3. ED ALLA LUCE DEL DIRITTO EUROUNITARIO.
Come chiaramente illustra la Corte dei Conti, Sezioni Riunite, sent. n. 1/2020, dal capo 4 in poi, mentre per il diritto interno assume prevalenza l’espressa natura attribuita dal legislatore italiano, sotto il profilo eurounitario risulta essere dirimente la nozione di “controllo pubblico”, rilevante ai fini del SEC 2010.
La Corte esamina, sul punto, la pronuncia della CGUE del 11.09.2019, cause riunite C-612/17 e C-613/17 (ECLI), ed i principi di diritto eurounitario in comparazione con quanto già asseverato e codificato in sede di nomofilassi esclusiva dalle stesse Sezioni Riunite ed osserva che:
«... in base alla metodologia del SEC 2010 “un’entità, qualificabile “istituzione senza scopo di lucro” (ai sensi dei par. 1.57 e 2.112 lett. c) del SEC 2010), potrà essere inserita nel settore pubblico (S13 della Tavola 2.1. del SEC 2010) solo all’esito di un giudizio che si articola in due fasi successive (grafico generale 2.1. del par 2.32; par. 2.112 lett. c e 20.13 del SEC 2010): 1) in primo luogo, dovrà pervenirsi ad un esito negativo del c.d. quantitative market-non market test (le vendite dei beni e servizi prodotti non devono coprire il 50% dei costi, trattandosi così di produttore di beni e servizi non destinabili alla vendita in quanto offerti sul mercato ad un prezzo economicamente non significativo; ciò in base al par. 20.16 del SEC 2010 che rinvia ai criteri generali fissati dai par. 3.14, 3.16, 3.17, 3.18, 3.19, 3.23, 3.33., 20.19, 20.20, 20.21, 20.29, 20.30, 20.31 del SEC 2010), e, in secondo luogo, 2) dovrà essere effettivamente presente un “controllo pubblico” sull’ente (controllo da appurarsi sulla base di una valutazione da effettuarsi attraverso un giudizio “in concreto” che consideri tutte le circostanze della fattispecie controversa – par. 1.36, 2, 39 e 20.15, paragrafo, quest’ultimo, che discorre di “giudizio soggettivo”)” (C. Conti, sez. riun., 10 ottobre 2017, n. 31 e 32/SR/RIS)».
Passati in rassegna alcuni degli elementi più significativi che caratterizzano le fondazioni lirico sinfoniche (capo 5), la C. Conti osserva come, da un lato, “nelle fondazioni lirico-sinfoniche vi sono, invece, più P.A. coinvolte (Stato, Regione, Comune, Città metropolitana, Camera di commercio)” e come, dall’altro, “le Fondazioni lirico-sinfoniche sono “fondazioni di partecipazione”, che operano in concorrenza tra loro (anche dal punto di vista dell’accesso alla fondazione dei privati)”, essendo la partecipazione privata (di cittadini ed imprese) connotata:
- da una maggiore libertà partecipativa;
- da un apporto contributivo di considerevole entità finanziaria e per un periodo pluriennale;
- dalla acquisizione dello status di fondatore privato solo nel caso in cui siano state effettivamente versate le somme dovute per l’anno in corso e che tale status si perda automaticamente con la mancata corresponsione dei contributi relativi agli anni successivi a quello dell’adesione;
- da poteri di partecipazione agli organi assembleari e deliberativi, attribuiti ai fondatori privati, molto forti, incisivi e penetranti.
Al capo 6, poi ed infine, osserva che la “regolamentazione pubblicistica generale (quella della disciplina di livello ordinario richiamata), peraltro integrata anche dalle più puntuali previsioni statutarie (“autodisciplina privatistica” comunque approvata dall’Amministrazione vigilante), emergono numerosi indici da tenere in considerazione e da valutare ai fini del giudizio sull’esistenza o meno del controllo pubblicistico (ai fini del SEC 2010)”, esaminati alla luce “dei parametri normativi europei, per come interpretati dalla Corte di giustizia nella richiamata sentenza”, ossia valutando se una Pubblica amministrazione possa esercitare una influenza reale, effettiva (non meramente cartolare), stabile, permanente, rilevante e sostanziale, ovverosia forme di pressione sulla definizione e realizzazione degli obiettivi, degli indirizzi strategici, sulle attività concrete, sugli aspetti operativi della fondazione lirico sinfonica, ente non lucrativo, conducono ad evidenziare come “le singole P.A. coinvolte (Ministeri, Regione, Comune, Città metropolitana, Camera di commercio), da sole considerate, non sono in grado di esercitare tale tipologia di controllo. Ciascuna P.A. è titolare di una “quota di poteri” che, singolarmente considerati, non sono sussumibili nel concetto di controllo, per come decodificato dalla Corte di giustizia.”.
Pertanto, osserva la Corte dei Conti, che “in caso di un “controllo pubblico frazionato o plurimo” (ovverosia proveniente da più Amministrazioni), il concetto di controllo posto dal SEC 2010 richiede l’esistenza di meccanismi di coordinamento tra le Amministrazioni partecipanti dai quali possa emergere che l’entità formalmente privata sia effettivamente controllata dalle P.A., non essendo sufficiente nemmeno che le svariate Amministrazioni siano titolari della maggioranza dei voti negli organi dell’ente titolari del potere decisionale.”.
Nella disamina della fattispecie esaminata e della legislazione che disciplina le FLS emerge, assevera la C. Conti, una totale “assenza di strumenti di coordinamento tra le svariate Amministrazioni titolari di eterogenei poteri di controllo, vigilanza e partecipazione di diritto”.
Sicché la Corte esclude “che nel concreto possa configurarsi un controllo pubblico in quanto una singola Amministrazione fondatrice di diritto non è titolare, da sola di un potere di controllo ai fini del SEC 2010, né tale giudizio può essere positivo sommando aritmeticamente le posizioni delle singole P.A., essendo, quanto meno necessario, ove si voglia interpretare estensivamente le previsioni del SEC, un controllo pubblico congiunto effettivo, non fondato su incerti elementi di fatto come i “comportamenti paralleli concludenti”, bensì su elementi certi e formali, basati di meccanismi organizzativi regolati e predeterminati, anche per ossequiare il principio di legalità e la riserva di legge relativa che operano in materia di organizzazione amministrativa.
In sostanza, ai fini del SEC 2010, il controllo pubblico congiunto non solo presuppone l’esistenza di strumenti di coordinamento, ma impone anche che tali meccanismi siano effettivamente utilizzati per attuare un controllo reale, sostanziale, stabile e permanente sull’ente privato non lucrativo (come richiesto dalla Corte di giustizia)”.
Il che, senza mancare di osservare che in base alle previsioni legislative, il cuore gestionale delle Fondazioni lirico sinfoniche è il Sovrintendente, al quale, l’art. 13 del D.Lgs. 367/1996 e lo statuto attribuisce piena e totale autonomia nella definizione dei programmi di attività di produzione artistica e delle attività connesse e strumentali, da un lato, e piena rappresentanza organica dell’ente, dall’altro.
Manca, dunque, nelle previsioni normative e statutarie, così come nelle effettive dinamiche gestionali degli enti in esame, la possibilità di ravvisare una effettività del controllo pubblico, ossia che “la P.A. controllante eserciti effettivamente, realmente, stabilmente, permanentemente e sostanzialmente sull’ente non lucrativo un’influenza dominante e notevole” (sempre C. Conti, sent. 1/2020).
Anzi, al contrario, conclude la Corte: “... la normativa nazionale (art. 10 d.lgs. 29 giugno 1996, n. 367) prevede che “lo statuto de[bba] garantire l’autonomia degli organi della fondazione, i componenti dei quali non rappresentano coloro che li hanno nominati né ad essi rispondono”. Quindi, non soltanto lo statuto non contempla strumenti tecnici di coordinamento idonei a far prevalere la volontà della “parte pubblica” (complessivamente considerata), ma, all’opposto, esclude ogni tipo di influenza delle P.A. sulla politica e programmazione gestionale della Fondazione, la quale è rimessa esclusivamente agli organi interni dell’ente privato lirico-sinfonico”.
In conclusione, va categoricamente esclusa la qualificazione di “ente pubblico” (od affine) delle fondazioni lirico sinfoniche anche sotto il profilo delle norme eurounitarie, atteso che la disciplina legislativa richiamata (e che le disciplina) offre così ampi spazi di tutela dell’autonomia direttiva e gestionale delle fondazioni da non rendersi possibile neanche una eventuale ingerenza della P.A.; che, se si realizzasse in concreto, violerebbe la stessa disciplina che regolamentano le guarentigie di autonomia, indipendenza ed autoreferzialità gestionale e direttiva, sia sotto il profilo economico-finanziario e sia sotto il profilo della produzione artistica, delle fondazioni lirico sinfoniche.
Sicché, in concreto, ferma la chiara ed inequivoca personalità giuridica attribuita dal legislatore alle fondazioni lirico sinfoniche (cfr. art. 4, D.Lgs. 367/1996) la vigilanza e controllo delle P.A. coinvolte sussiste solo nel caso della nomina del vertice apicale delle fondazioni (il sovrintendente) senza che alcuna ingerenza possa realizzarsi (salvo il solo caso di revoca, a maggioranza assoluta del Consiglio di Indirizzo, del sovrintendente per gravi motivi: cfr. art. 13, co. 3, D.Lgs. 367/1996) ed in diretta funzione della verifica delle modalità legittime di utilizzo delle erogazioni di carattere finanziario e delle agevolazioni fiscali che, per il tramite del FUS (Fondo Unico dello Spettacolo, L. 163/1985 e s.m.i.), vengono concesse alle fondazioni lirico sinfoniche, così come all’intero settore dello spettacolo (cfr. art. 1, L. 163/1985) e, dunque, anche ad altri e diversi enti che agiscono in regime di “concorrenza” con le prime nel medesimo settore di attività.
“Aiuti di Stato”, in effetti, che vengono erogati con il preciso vincolo di destinazione, impresso dal legislatore, del perseguimento delle finalità di protezione, sviluppo e diffusione dell’arte musicale, coreutica e del “bel canto” italiana, quale espressione dell’identità culturale ed artistica della collettività nazionale (cfr. artt. 2 e 3, D. Lgs. 367/1996, ed artt. 1 e 2, L. 800/1967).
4. LA DISCIPLINA EUROUNITARIA SEC – REGOLAMENTO 549/2103/UE.
Ma quel che vi è in più, è che, alla chiara luce di tutto quanto sopra esposto dalla giurisprudenza amministrativa della Corte dei Conti, non può revocarsi in dubbio che i recentissimi arresti violano l’art. 4 del TUE (principio di leale collaborazione) allorquando si prenda in esame il Regolamento (UE) n. 549/2013 del Parlamento Europeo e del Consiglio del 21 maggio 2013, relativo al Sistema europeo dei conti nazionali e regionali nell'Unione europea (SEC 2010).
Infatti, secondo il SEC 2010, come meglio illustra la più volte citata sent. n. 1/2020 della Corte dei Conti, Sezioni Riunite, per decidere se una unità operante sotto il controllo di una amministrazione pubblica è una unità market, il Sec 2010 impiega anche dei criteri qualitativi per analizzare le caratteristiche dei produttori, e in particolare:
- se una unità vende la propria produzione soltanto all'amministrazione pubblica, senza essere in competizione con altri produttori privati, allora deve classificarsi come appartenente essa stessa all'amministrazione pubblica;
oppure
- se l'amministrazione pubblica si fornisce di un determinato bene o servizio da un solo fornitore e questo fornitore vende meno del 50 per cento della propria produzione a clienti privati, e non si trova in competizione con altri produttori privati nella fornitura alla pubblica amministrazione, allora questa unità deve essere classificata essa stessa all'interno della stessa amministrazione pubblica;
oppure
- se l'unità non ha incentivato ad adeguare la propria offerta in relazione alla necessità di rendere la propria attività profittevole, di continuare ad operare in un mercato competitivo e di soddisfare i propri impegni finanziari, allora l'unità deve essere classificata nell'ambito della pubblica amministrazione.
Nell'applicazione del criterio del 50 per cento, in base al Sec 2010, bisogna includere tra i costi di produzione anche il costo del capitale, che in generale può essere approssimato dalla spesa netta per interessi - differenza tra gli interessi passivi pagati dall'impresa per il finanziamento degli investimenti e gli interessi attivi riscossi dall'impresa in relazione alle attività detenute -. Quest'ultimo elemento di valutazione è suscettibile di produrre cambiamenti.
Infatti, l'inclusione della spesa netta per interessi produce probabilmente un aumento nel numero di unità classificate nel settore dell'amministrazione pubblica e un associato cambiamento nel valore dell'indebitamento netto e del debito nonché nella misura del valore aggiunto di un'economia e, pertanto, del PIL.
Oltre alla modifica dei criteri di distinzione tra attività market e non-market, il Sec 2010 ha introdotto una più accurata definizione del concetto di controllo pubblico.
Il controllo pubblico su un’impresa è definito come la capacità di determinarne la politica generale o i programmi. Gli indicatori del controllo pubblico assumono nel SEC 2010 un carattere più stringente.
Oltre al possesso diretto o indiretto della maggioranza delle azioni, l’Amministrazione pubblica può esercitare il controllo attraverso:
- il controllo della nomina degli amministratori o della dirigenza;
- il controllo della nomina e della revoca del personale chiave;
- il possesso da parte dell’Amministrazione pubblica di golden share;
- normative speciali che stabiliscono l’esercizio di forme di controllo;
- la condizione di cliente dominante da parte dell’Amministrazione pubblica;
- la concessione di prestiti da parte dell’Amministrazione pubblica.
Orbene, nessuno di tali elementi ricorre nella fattispecie delle FLS. Sicché, non può revocarsi in dubbio la violazione del Regolamento 549/2013/UE e, per l’effetto, dell’art. 4 del TUE.
5. DISCRIMINAZIONE INDIRETTA NON SORRETTA DA RAGIONE-VOLEZZA: LA SENTENZA SCIOTTO.
Sotto altro concorrente aspetto, laddove le Sez. Unite del 2023 assumono l’assenza di una disparità di trattamento nelle tutele sanzionatorie tra il settore dello spettacolo dal vivo delle FLS ed il medesimo settore dello spettacolo dal vivo in generale e del peculiare settore endogeno delle trasmissioni e produzioni artistiche televisive (RAI), ed ancor più rispetto al generale regime dell’impiego privato (anche in considerazione dell’orientamento fatto proprio dalla Cass. sent. n. 12642/2021), commette una macroscopica violazione dell’art. 4 del TUE e del derivato principio di interpretazione conforme.
Corre, dunque, rammentare quanto statuito dalla CGUE con la sentenza del 25.10.2018, C-331/17, ai capi 70 e 71:
“70 Nel presente caso, dal momento che la normativa nazionale di cui trattasi nel procedimento principale contiene norme applicabili ai contratti di lavoro di diritto comune dirette a sanzionare il ricorso abusivo a una successione di contratti a tempo determinato, prevedendo la conversione automatica di un contratto a tempo determinato in un contratto a tempo indeterminato qualora il rapporto di lavoro perduri oltre una data precisa, un'applicazione di tale norma nel procedimento principale potrebbe pertanto costituire una misura preventiva di un siffatto abuso, ai sensi della clausola 5 dell'accordo quadro.
71 In ogni caso, come sostenuto dalla Commissione, poiché la normativa nazionale di cui trattasi nel procedimento principale non consente in nessuna ipotesi, nel settore di attività delle fondazioni lirico-sinfoniche, la trasformazione dei contratti di lavoro a tempo determinato in un contratto a tempo indeterminato, essa può instaurare una discriminazione tra lavoratori a tempo determinato di detto settore e lavoratori a tempo determinato degli altri settori, poiché questi ultimi, dopo la conversione del loro contratto di lavoro in caso di violazione delle norme relative alla conclusione di contratti a tempo determinato, possono diventare lavoratori a tempo indeterminato comparabili ai sensi della clausola 4, punto 1, dell' accordo quadro.”.
Osservato, preliminarmente, al capo 55 della sentenza del 25.10.2018 C-331/17, che il divieto di conversione statuito dall’ordinamento italiano al fine di garantire il perseguimento del vincolo di bilancio delle FLS viola le finalità della Direttiva 70/1999/CE e ricordato, al capo 43 , che la natura pubblica o privata del datore di lavoro non incide sulla diretta applicazione delle finalità perseguite dalla Direttiva 70/1999/CE né sulle tutele da applicarsi in caso di violazione delle norme della direttiva che costituiscono il presidio di quelle medesime finalità, la CGUE, al capo 71, interpreta la Clausola 4 della direttiva nel senso di un divieto di discriminazione indiretta tra i lavoratori a termine che, in caso di nullità di un contratto o serie reiterata di contratti a termine, possono aspirare alla conversione in tempo indeterminato e lavoratori a termine, che nelle medesime situazione di fatto direttamente comparabili, non possono accedere alla tutela della trasformazione in tempo indeterminato a causa del divieto di conversione scaturente dalla finalità di perseguimento del vincolo di bilancio.
Proprio in ragione di tale discriminazione indiretta, non sorretta da ragionevolezza (atteso che la finalità di vincolo di bilancio non è una finalità che può legittimamente differenziare, per gli uni e per gli altri lavoratori e settori assunti in comparazione, le tutele cui avrebbero tutti i lavoratori a termine ugualmente diritto di accedere), la S.C., all’indomani della pubblicazione della sentenza Sciotto, ha fatto costante applicazione, in ragione del principio di interpretazione conforme e di leale cooperazione (art. 4 TUE), degli arresti nomofilattici della CGUE sanciti nelle sentenze Milkova del 09.03.2017 C-406/15 (cfr. capi 66 e 67) e dalla sentenza della Grand Chambre Egenberger del 17.04.2018 C-414/16 (cfr. capi 72, 75 a 80 e capo 3 delle conclusioni): cfr., tra le tante, sentt. n. 8214/2019, n. 11121/2019 e 11122/2019.
Ossia, del principio di equivalenza delle tutele antidiscriminatorie, secondo il quale, il lavoratore, che si vede riconoscere una tutela minore (quale quella del mero ristoro pecuniario senza conversione in tempo indeterminato) rispetto al lavoratore che, nell’ambito della comparazione delle tutele derivanti dalle nullità del regime dei contratti a termine, accede alla trasformazione in tempo indeterminato, acquisisce le medesime tutele del soggetto direttamente comparabile.
L’esplicitazione di tale principio di equivalenza viene chiaramente codificato nei capi 66 e 67 della sentenza Milkova (ed ancor più posto in evidenza nella sentenza Egenberger ai capi sopra richiamati), che corre mettere in evidenza a seguito:
(capo 66) “A tale proposito, occorre ricordare che, in forza di una costante giurisprudenza, quando una discriminazione, contraria al diritto dell’Unione, sia stata constatata e finché non siano adottate misure volte a ripristinare la parità di trattamento, il rispetto del principio di uguaglianza può essere garantito solo mediante la concessione alle persone appartenenti alla categoria sfavorita degli stessi vantaggi di cui beneficiano le persone della categoria privilegiata (sentenze del 26 gennaio 1999, Terhoeve, C-18/95, EU:C:1999:22, punto 57; del 22 giugno 2011, Landtová, C-399/09, EU:C:2011:415, punto 51, e del 28 gennaio 2015, ÖBB Personenverkehr, C-417/13, EU:C:2015:38, punto 46). Le persone sfavorite devono dunque essere poste nella stessa situazione in cui si trovano le persone che beneficiano del vantaggio in questione (sentenze dell’11 aprile 2013, Soukupová, C-401/11, EU:C:2013:223, punto 35)”.
(capo 67) “In tale ipotesi, il giudice nazionale è tenuto a disapplicare qualsiasi disposizione nazionale discriminatoria, senza doverne chiedere o attendere la previa rimozione da parte del legislatore, e deve applicare ai componenti del gruppo sfavorito lo stesso regime che viene riservato alle persone dell’altra categoria (sentenze del 12 dicembre 2002, Rodríguez Caballero, C-442/00, EU:C:2002:752, punto 43; del 7 settembre 2006, Cordero Alonso, C-81/05, EU:C:2006:529, punto 46, nonché del 21 giugno 2007, Jonkman e a., da C-231/06 a C-233/06, EU:C:2007:373, punto 39). Tale obbligo incombe al giudice nazionale indipendentemente dall’esistenza, nel diritto interno, di disposizioni che gli attribuiscono la competenza al riguardo (sentenza del 7 settembre 2006, Cordero Alonso, C-81/05, EU:C:2006:529, punto 46)”.
Appare, auspicabilmente chiaro, dunque, che laddove le sentt. n. 5542 e n. 5556 del 22.02.2023, laddove, al capo 25.2 , escludono la sussistenza di una discriminazione (tra l’altro in violazione delle norme che regolano la strutturazione del giudizio di ragionevolezza), come invece evidenziato dalla CGUE, violano il principio di leale collaborazione e, per l’effetto, il principio di interpretazione conforme, atteso che “L’interpretazione delle norme eurounitarie è riservata alla Corte di Giustizia, le cui pronunce hanno carattere vincolante per il giudice nazionale, che può e deve applicarle anche ai rapporti giuridici sorti e costituiti prima della sentenza interpretativa. A tali decisioni, infatti, va attribuito il valore di ulteriore fonte del diritto dell’Unione Europea, non nel senso che esse creino ex novo norme comunitarie, bensì in quanto ne indicano il significato ed i limiti di applicazione, con efficacia erga omnes nell'ambito dell'Unione (cfr. fra le tante Cass. n. 2468/2016 e Cass. n. 22558/2016).”: Cass. sent. n. 13066/2022, capo 7.
Sul punto, non può sottacersi che il 19 aprile appena scorso la Commissione UE ha avviato la procedura di infrazione INFRA(2014)4231 perché l’Italia non si è adeguata correttamente alla Direttiva 70/1999/CE, che disciplina il lavoro a termine, e non ha predisposto nel proprio ordinamento tutele dissuasive ed effettive per i precari pubblici, come quella della trasformazione in tempo indeterminato.
Secondo la Commissione UE, la Direttiva 70/1999/CE del Consiglio “impone di non discriminare a danno dei lavoratori a tempo determinato e obbliga gli Stati membri a disporre di misure atte a prevenire e sanzionare l'utilizzo abusivo di contratti o rapporti di lavoro a tempo determinato”.
In breve, il solo risarcimento del “danno comunitario”, categoria di danno inventato da una certa giurisprudenza, nella misura forfettizzata tra 2.5 e 12 mensilità, secondo i canoni sanciti per il pubblico impiego dalle Sezioni Unite della S.C. con la sent. n. 5047/2016, non costituisce una misura effettiva e dissuasiva a sanzionare la reiterazione abusiva dei contratti a termine.
Appare evidente che la procedura di infrazione trova le sue fondamenta giuridiche proprio sul capo 71 della sentenza Sciotto della CGUE, causa C-331/17, del 25.10.2018 appena sopra richiamata, quale condizione di trattamento meno favorevole dei precari ai sensi della Clausola 4 da cui sorge la necessità dell’applicazione del principio di equivalenza delle tutele antidiscriminatorie, secondo il quale (cfr. CGUE, sent. Milkova, del 09.03.2017, C-406/15, ECLI:EU:C:2017:198, capi 66 e 67) il soggetto trattato meno favorevolmente acquisisce le tutele del soggetto preso in comparazione per la disamina della discriminazione indiretta.
Sotto tale profilo non potrà revocarsi in dubbio, da un lato, della violazione dell’art. 4 del TUE, e, dall’altro, trasposti i medesimi principi nell’ordinamento interno degli artt. 4, 10, 81 e 117 Cost., del principio di uguaglianza formale e sostanziale dell’art. 3 Cost. (come più specificamente si illustra appresso).
6. VIOLAZIONE DEL GIUDICATO COSTITUZIONALE.
Sotto il profilo del diritto interno, non è revocabile in dubbio l’evidente violazione dei principi sanciti dalla Corte Cost. sent. n. 260/2015.
Il Giudice delle Leggi, infatti, non dubita per nessuna ragione o caso che le fondazioni lirico sinfoniche abbiano natura privata e che debbano considerarsi un effettivo datore di lavoro privato; e che i rapporti di lavoro siano soggetti esclusivamente alle norme che disciplinano il rapporto di lavoro privato.
Tanto che assevera, in una disciplina caratterizzata da innumerevoli deroghe alle tutele predisposte dall’ordinamento interno (tanto da ledere il principio di legittimo affidamento dei consociati nelle tutele giudiziarie), la necessità di prevedere la sanzione della conversione a tempo indeterminato allorquando si sia di fronte alla violazione della nullità genetica del contratto a termine.
Nell parte della disamina delle questioni di diritto, infatti, la Corte cost., evidenziata l’ordinanza remittente , assevera che “La norma impugnata lede, in pari tempo, l’affidamento dei consociati nella sicurezza giuridica e le attribuzioni costituzionali dell’autorità giudiziaria (sentenza n. 209 del 2010, per l’indissolubile legame che unisce tali valori dello stato di diritto, posti in risalto anche dall’ordinanza di rimessione della Corte fiorentina).” e “Nell’estendere il divieto di conversione del contratto a tempo determinato oltre i confini originariamente tracciati, includendo anche l’ipotesi di un vizio genetico del contratto a tempo determinato, la norma pregiudica un aspetto fondamentale delle tutele accordate dall’ordinamento ai rapporti di lavoro, in un contesto già connotato in senso marcatamente derogatorio rispetto al diritto comune.”.
Sicché, il Giudice delle Leggi “dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 40, comma 1-bis, del decreto-legge 21 giugno 2013, n. 69 ... nella parte in cui prevede che l’art. 3, comma 6, primo periodo, del decreto-legge 30 aprile 2010, n. 64, convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 29 giugno 2010, n. 100, si interpreta nel senso che alle fondazioni lirico-sinfoniche, fin dalla loro trasformazione in soggetti di diritto privato, non si applicano le disposizioni di legge che prevedono la stabilizzazione del rapporto di lavoro come conseguenza della violazione delle norme in materia di stipulazione di contratti di lavoro subordinato a termine.”.
Quanto al valore ed efficacia delle pronunce della Corte Costituzionale, è principio consolidato della giurisprudenza, sino a costituire diritto vivente, che “La pronuncia di illegittimità costituzionale di una norma di legge comporta non già l’abrogazione, o la declaratoria di inesistenza o di nullità, o l’annullamento della norma dichiarata contraria alla costituzione, bensì la disapplicazione della stessa, dando luogo ad un fenomeno che si colloca, sul piano effettuale, in una posizione intermedia tra l’abrogazione, avente di regola efficacia ex nunc, e l’annullamento che, normalmente, produce effetti ex tunc. Pertanto, la norma dichiarata costituzionalmente illegittima deve essere disapplicata con effetti ex nunc o con efficacia ex tunc, a seconda che tale diversa efficacia nel tempo della dichiarazione di incostituzionalità discenda dalla natura o dal contenuto della norma illegittima, oppure dalla portata del precetto costituzionale violato o dal diverso grado di contrasto tra quest’ultimo e la norma di legge, ovvero, infine dalla natura del rapporto sorto nel vigore della norma successivamente dichiarata incostituzionale. Fuori delle ipotesi, aventi carattere di eccezionalità, in cui essa travolge tutti gli effetti degli atti compiuti in base alla norma illegittima, la dichiarazione di incostituzionalità (avuto riguardo al precetto costituzionale violato, alla disciplina dettata dalla norma riconosciuta costituzionalmente illegittima e alla natura del rapporto disciplinato da quest’ultima) comporta la caducazione dei soli effetti non definitivi e, nei rapporti ancora in corso di svolgimento, anche degli effetti successivi alla pubblicazione della sentenza della corte costituzionale, restando quindi fermi quegli effetti anteriori che, pur essendo riconducibili allo stesso rapporto non ancora esaurito, abbiano definitivamente conseguito, in tutto o in parte, la loro funzione costitutiva, estintiva, modificativa o traslativa di situazioni giuridicamente rilevanti” (Cass. Civile, sez. III, 11-04-1975, n. 1384).
Per tutta conseguenza, nel caso di specie, non potrà revocarsi in dubbio che le Sezioni Unite del 22.02.2023 ingenerano una chiara violazione del giudicato costituzionale (art. 136, co. 1, Cost.; e cfr. Corte Cost. sentt. nn. 73/1963, 88/1966, 153/1977, 139/1984, 223/1983, 922/1988, 181/1997) laddove compiono un’ermeneutica esattamente diversa ed antitetica rispetto a quella esposta dalla Corte Costituzionale con la sent. n. 260/2015, sia sotto il profilo della natura dell’ente e sia sotto il profilo del divieto di conversione dei rapporti a termine in tempo indeterminato.
Per tal guisa corre l’evidenza della violazione degli artt. 134, 136, co. 1, e 137, co. 3, Cost. e degli artt. 27 e 30, co. 3, L. 87/1953.
7. I PROFILI DI ILLEGITTIMITÀ COSTITUZIONALE E LA PEREQUAZIONE DEGLI INTERESSI CONTRAPPOSTI: ARTT. 4 ED 81 COST. ALLA LUCE DELL’ART. 3 COST..
Va posta subito in luce, anche come contraltare di diritto interno alla procedura di infrazione della Commissione UE INFR(2014)4231 sopra richiamata, la non manifesta illegittimità costituzionale nella perequazione degli interessi contrapposti tra l’art. 81 Cost. e l’art. 4 Cost. sulla base dei principi di uguaglianza sostanziale e formale (art. 3 Cost.).
Disparità di trattamento che la stessa Corte Cost. aveva individuato, proprio sulla scorta dell’art. 3, co. 2, Cost., allorquando valutava gli interessi contrapposti tra l’art. 4 della Cost. e l’art. 81 Cost..
Con legge costituzionale n. 1 del 2012, quasi all’unanimità, le Camere hanno approvato una riforma dell’art. 81 e anche di altri articoli (97, 117 e 119 della Costituzione) che hanno trasformato l’obbligo di equilibrio di bilancio da vincolo esterno in una norma di rango costituzionale.
Se, infatti, nel luglio del 2012 il Parlamento avrebbe ratificato il Trattato (intergovernativo) per la stabilità, il coordinamento e la governance dell’Unione Economica e Monetaria noto come Fiscal Compact, già il 20 aprile 2012 era stata promulgata la legge costituzionale (il cui iter parlamentare aveva avuto inizio alla Camera dei Deputati il 23 marzo del 2011) che introduceva il principio dell’equilibrio di bilancio nella Carta costituzionale.
Il principio dell’equilibrio di bilancio (più comunemente del cd. vincolo di bilancio, inteso, dunque, non come un pareggio contabile tra le spese e le entrate nei bilanci dello Stato e del complesso delle pubbliche amministrazioni, come si rileva dagli art. 1, co. 1, 2 e 6, art. 2, art. 3 ed art. 6 della legge attuativa rinforzata n. 243/2012: il bilancio è in equilibrio quando presenta un saldo non negativo, in termini di competenza, tra le entrate finali e le spese finali), che già dava sostanza al divieto di conversione, è stato oggetto di una profonda e vivida discussione della dottrina costituzionalista, più attenta al rispetto dei principi della Carta che pongono al centro il valore e la dignità della persona, con i suoi diritti fondamentali anche di natura sociale, sollevandone un grido di allarme.
Da parte della dottrina che ha manifestato preoccupazione per la garanzia dei diritti sociali, è stato ribadito il carattere sistematico della Carta costituzionale, composta “soprattutto da principi in collegamento tra loro” e che nel bilanciamento tra interessi diversi, la Costituzione indica chiaramente le priorità nell’allocazione delle risorse, imponendo di tutelare in prima istanza i diritti fondamentali della persona al lavoro, alla salute, all’istruzione, alla previdenza, all’ambiente.
Solo successivamente al soddisfacimento dei bisogni legati a tali diritti fondamentali, il legislatore può attuare spese di natura facoltativa.
Più precisamente si afferma che la Costituzione ha chiaramente distinto tra destinazioni di risorse costituzionalmente doverose, destinazioni consentite e destinazioni addirittura vietate. Si offre l’esempio illuminante dell’obbligo costituzionale per lo Stato di finanziare la scuola pubblica e si evidenzia la possibilità di devolvere fondi alla scuola privata solo dopo che tale obbligo sia stato adempiuto.
La bussola è, dunque, quello dell’art. 3, co. 2, della Costituzione, relativo all’uguaglianza sostanziale, in cui si assegna alla Repubblica il compito di “rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’uguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del paese”.
Dell’art. 3 si evidenzia il suo specificarsi nell’art. 4, riguardante l’effettività del diritto al lavoro e il legame tra questo e il principio di solidarietà politica, economica, sociale, affermato nell’art. 2, di cui il “lavoro è espressione primaria”.
E viene ribadito con forza, sia dalla dottrina che dalla Corte costituzionale (ad es. le sentt. n. 215/1987 e n. 80/2010), il nesso tra la garanzia dei diritti sociali e l’effettivo godimento dei diritti civili e politici, da un lato, e il buon funzionamento della democrazia, dall’altro.
Principio che già M. Mazziotti sottolineava asserendo come “i diritti sociali abbiano la loro fonte nel principio di eguaglianza, il quale a sua volta è il presupposto della libertà” e mostrandone l’indissolubile incrocio: “la garanzia dei diritti di libertà è condizione perché le prestazioni sociali dello Stato possano essere oggetto di diritti individuali; la garanzia dei diritti sociali è condizione per il buon funzionamento della democrazia, quindi per un effettivo godimento delle libertà civili e politiche”.
Alla Corte, negli anni della crisi che hanno visto politiche di austerity con tagli alla sanità, alla scuola, alla previdenza, all’ambiente, ai beni culturali, si chiede di sottoporre le scelte del legislatore ad un controllo giurisdizionale “agganciando la destinazione delle risorse disponibili al riferimento sicuro delle priorità costituzionali”.
La stessa Corte costituzionale ha affermato che in materia di diritti sociali, la discrezionalità del legislatore non ha carattere assoluto, ma incontra il limite del rispetto di un nucleo indefettibile di garanzie, limite che le disposizioni di legge non possono valicare se non rompendo la coerenza interna del sistema costituzionale, risultando in tal modo ingiustificate e illegittime poiché violano il principio di ragionevolezza : cfr. Corte Cost. sent. n. 80/2016.
Di fronte ai limiti imposti dal nuovo art. 81 e alle contraddizioni dell’Unione Europea, tra la sua Carta dei diritti fondamentali (nel cui Preambolo si sanciscono, a fondamento dell’Unione, i valori universali della dignità umana, dell’uguaglianza e della solidarietà) e le sue politiche di rigore, legate alla “sola dimensione economica” e piegate alla logica del mercato, la via da percorrere a tutela dei diritti sociali è quella di “un’interpretazione costituzionalmente orientata”.
Quest’ultima espressione va intesa nel senso che tali limiti non devono essere assolutizzati ma devono essere messi a confronto con l’intera Costituzione, con il suo disegno complessivo, con i suoi valori fondanti, che ruotano intorno al valore centrale della persona e della sua dignità.
Anche ammettendo che l’equilibrio di bilancio sia un “principio”, od una norma imperativa di ordine pubblico, esso non può avere la prevalenza assoluta sugli altri principi costituzionali, diventare un principio “tiranno” rispetto alle altre situazioni giuridiche riconosciute e tutelate dalla Carta che costituiscono nel loro insieme espressione della dignità della persona.
È, quindi, doveroso operare un bilanciamento tra principi concorrenti, “sacrificando ciascuno di essi nella misura minore possibile”, ricercando, da parte del legislatore e da parte della Corte Costituzionale in sede di controllo, un punto di equilibrio tra risorse limitate e diritti sociali, secondo criteri di proporzionalità e ragionevolezza : cfr. Corte Cost. sent. n. 275/2016.
Viene posta, infine, dalla dottrina in esame, la questione cruciale relativa alla sussistenza o meno dell’obbligo di una interpretazione del nuovo art. 81 coerente con i vincoli sovranazionali ai sensi degli artt. 11 e 117 della Costituzione come ritenuto in modo prevalente. In caso affermativo la legge attuativa n. 243/2012 della legge costituzionale non avrebbe potuto discostarsi dai criteri e dai vincoli di bilancio derivanti dal diritto dell’Unione Europea e da altri obblighi internazionali in materia e, quindi, di fatto, la nuova disciplina costituzionale dell’equilibrio di bilancio coinciderebbe con tale normativa sovranazionale con tutte le conseguenze restrittive dell’autonomia delle politiche fiscali nazionali.
Per superare tale interpretazione si teorizza che il nuovo art. 81 abbia codificato un significato dell’equilibrio di bilancio coerente con il complessivo dettato costituzionale e con i principi fondamentali che lo informano, in primo luogo con il principio lavorista che costituisce il fondamento per poter attribuire agli organi di governo la disponibilità di tutti gli strumenti di politica economica e, per l’effetto, anche di quelli della politica economica neo-keynesiana.
Si riafferma che l’art. 4 della Costituzione costituisce una norma programmatica che pone alla Repubblica l’obiettivo del perseguimento della piena occupazione e che mira a garantire il diritto al lavoro tramite l’intervento dello Stato che deve favorire l’incontro tra domanda e offerta di lavoro, stimolandola se scarsa, valorizzandola e riqualificandola se scadente. Sono, invece, costituzionalmente vietate le politiche economiche dirette a creare equilibri di sottoccupazione .
Qualora i vincoli sovranazionali impedissero un’interpretazione conforme al principio originario di duttilità costituzionale del nuovo art. 81, si potrebbe fare ricorso alla dottrina dei controlimiti.
Resterebbe aperta la questione se il controlimite o principio supremo violato dalle norme del diritto dell’UE e dalla legge rinforzata n. 243/2012 (secondo alcuni anche dalla stessa legge costituzionale) rispetto alle quali la Corte Costituzionale dovrebbe pronunciarsi, sia la norma programmatica della piena occupazione di cui all’art.4 o in alternativa la norma “competenziale” che permetterebbe agli organi di governo di scegliere discrezionalmente la politica economica più idonea a favorire il pieno impiego, contrastando con politiche espansive anche in disavanzo ed in una fase negativa del ciclo economico.
Altri, sottolineando analogamente la centralità del diritto al lavoro e l’obiettivo del pieno impiego nella Carta Costituzionale e il legame tra questi principi e quelli di libertà, uguaglianza e di attuazione della democrazia, sostengono l’inconciliabilità tra Costituzione e Trattati.
Secondo questa visione, nella normativa dell’Unione Europea, almeno a partire dal Trattato di Maastricht in poi, il mercato, lo Stato minimo, la lotta all’’inflazione (la cui causa è ravvisata nell’eccesso di moneta in circolazione e nell’alto costo del lavoro), la conseguente necessità dell’indipendenza della Banca centrale dai governi costituiscono i principi fondamentali sovraordinati a tutti gli altri.
Infatti, aldilà delle enunciazioni dell’art. 3 del Trattato sull’U.E., le quali sembrano porre sullo stesso piano l’obiettivo dell’occupazione, del progresso sociale e quello della stabilità monetaria, quest’ultimo è di fatto gerarchicamente superiore ai primi, con la conseguenza che la lotta alla disoccupazione risulta secondaria, così come tutte le politiche espansive in deficit spending per contrastare gli effetti delle crisi economiche e stimolare la ripresa e l’occupazione.
Il nuovo art. 81 costituirebbe, quindi, un cuneo pericolosissimo inserito nella Costituzione che minerebbe l’esigibilità dei diritti sociali fondamentali da essa tutelati.
Se, dunque, è sul fronte degli interessi contrapposti che si regge, da un lato, l’accesso alla stabilità occupazionale dei precari del lavoro pubblico e, dall’altro, la crescita economica del paese, quella effettività, dissuasività e proporzionalità delle misure sanzionatorie e quella stessa disparità delle tutele tra impiego privato e pubblico impiego devono poter trovare nei controlimiti dell’uguaglianza sostanziale (o, come si direbbe, secondo il diritto unionale, nella irragionevolezza della discriminazione indiretta) la loro soluzione effettiva.
Lo scontro, dunque, tra l’esigenza di una contabilità regolare dello Stato ed il diritto fondamentale al lavoro ed all’occupazione non può far altro che sciogliersi in favore di quest’ultimo.
Ed è proprio sulla perequazione degli interessi contrapposti che si è registrata, di recente, altra pronuncia della Corte Cost., sent. n. 275/2016, laddove vengono messi in correlazione l’art. 38 Cost., l’art. 24 della Convenzione ONU sui disabili e la L. 104/1992 rispetto all’art. 81 Cost., la stessa rileva (capi 13 e 14) che:
“In definitiva, nella materia finanziaria non esiste «un limite assoluto alla cognizione del giudice di costituzionalità delle leggi». Al contrario, ritenere che il sindacato sulla materia sia riconosciuto in Costituzione «non può avere altro significato che affermare che esso rientra nella tavola complessiva dei valori costituzionali», cosicché «non si può ipotizzare che la legge di approvazione del bilancio o qualsiasi altra legge incidente sulla stessa costituiscano una zona franca sfuggente a qualsiasi sindacato del giudice di costituzionalità, dal momento che non vi può essere alcun valore costituzionale la cui attuazione possa essere ritenuta esente dalla inviolabile garanzia rappresentata dal giudizio di legittimità costituzionale» (sentenza n. 260 del 1990).
Nel caso in esame, il rapporto di causalità tra allocazione di bilancio e pregiudizio per la fruizione di diritti incomprimibili avviene attraverso la combinazione tra la norma impugnata e la genericità della posta finanziaria del bilancio di previsione, nella quale convivono in modo indifferenziato diverse tipologie di oneri, la cui copertura è rimessa al mero arbitrio del compilatore del bilancio e delle autorizzazioni in corso d’anno. In buona sostanza si ripete, sotto il profilo sostanziale, lo schema finanziario già censurato da questa Corte, secondo cui, in sede di redazione e gestione del bilancio, vengono determinate, anche attraverso i semplici dati numerici contenuti nelle leggi di bilancio e nei relativi allegati, scelte allocative di risorse «suscettibili di sindacato in quanto rientranti “nella tavola complessiva dei valori costituzionali, la cui commisurazione reciproca e la cui ragionevole valutazione sono lasciate al prudente apprezzamento di questa Corte (sentenza n. 260 del 1990)”» (sentenza n. 10 del 2016).”.
Se, dunque, nei termini di una “non manifesta infondatezza della illegittimità costituzionale”, è considerato diritto incomprimibile, per le allocazioni di bilancio, quello che si ricava dagli artt. 2 e 38 Cost. e dalla disciplina di tutela dei disabili, non potrà revocarsi in dubbio che tale natura di incomprimibilità sia connaturata ancor più nel diritto al lavoro codificato dall’art. 4 della Costituzione (oltre che dall’art. 1, che esprime in maniera indelebile ed ineludibile i tratti fondamentali della nostra Costituzione materiale).