TESTO INTEGRALE CON NOTE E BIBLIOGRAFIA

1. Le prospettive dell’analisi
Questo scritto trae origine dalla relazione all’incontro di studio dedicato al tema “Dialogo su lavoro autonomo e organizzazione. Le collaborazioni coordinate tra diritto interno e diritto dell’Unione europea”, tenutosi all’Università Sapienza di Roma il 17 aprile 2024 . Tema, così definito, particolarmente interessante almeno per due ragioni. Già il termine “dialogo” risulta evocativo, nella sua veste costitutiva della problematicità della riflessione giuridica. Di ampia, benché non eguale visuale, è poi il raccordo autonomia-organizzazione, che riporta al cuore del diritto del lavoro; e lo fa in una prospettiva molto attuale: a) in chiave multilivello; b) richiamando inevitabilmente la questione, oggi più centrale che mai, delle tutele del lavoro oltre la “subordinazione”, verso l’eterogeneo e ricco panorama dell’“autonomia”, di cui recenti vicende (su tutte la pandemia da Covid-19 e gli ultimi sviluppi tecnologici) hanno accentuato, come mai in passato, il bisogno di protezione, pure presente da tempo .
L’anello di congiunzione tra le diverse prospettive è dato dalle “collaborazioni coordinate”; di congiunzione anzitutto tra “autonomia” e “organizzazione”: con le importanti precisazioni che farò più avanti, per l’ordinamento italiano si può dire che sia così, per il diritto eurounitario il discorso è più problematico.


2. I parte. L’ordinamento italiano. La prestazione di lavoro nelle “collaborazioni coordinate”
Cominciamo dall’ordinamento italiano, procedendo necessariamente per schematizzazioni.
Le collaborazioni coordinate, di cui all’art. 409, n. 3, c.p.c., come si sa oggetto in oltre cinquant’anni di una sterminata letteratura, sono contraddistinte dal raccordo funzionale lavoro-organizzazione . Si può dire che questo raccordo costituisca una connotazione genetica della fattispecie – trans-tipica, hanno osservato in tanti – dal preciso rilievo giuridico. I tre necessari elementi della fattispecie (prevalente personalità, continuatività, coordinamento) vanno correlati e tutti valorizzati: essi riempiono e danno sostanza alla “collaborazione”, anche questa volta contenitore definito da altro e troppo facilmente adoperato dal legislatore. I tre elementi della fattispecie, dicevo, vanno letti congiuntamente perché ne esprimono l’ubi consistam. In essa l’opera – ma, come si sa, l’espressione è problematica – protratta nel tempo, è frutto del prevalente lavoro della persona, che, anzitutto per questo profilo temporale, deve raccordarsi con l’organizzazione: per definizione entità dinamica e variamente composta che quell’opera è destinata a ricevere in forme diverse dalle tradizionali della subordinazione e, nondimeno, compatibili con le sue fluide esigenze. Negli ultimi decenni del Novecento le collaborazioni coordinate – pure questo è ampiamente noto – contribuiranno sensibilmente a incrinare la dicotomia lavoro subordinato-lavoro autonomo (nel secondo rimarranno sempre ben collocate), rappresentando, nel nostro Paese, la tensione verso una sorta di area intermedia, non estranea all’esperienza di altri ordinamenti .
Tralascio, dando ancora per note, le questioni del lavoro autonomo continuativo nell’impianto codicistico – in particolare, della quanto meno scarsa attenzione ad esso dedicata e delle varie soluzioni al riguardo prospettate – per concentrarmi sui seguenti aspetti: 1) il facere della prestazione di lavoro nella collaborazione coordinata è esattamente pre-definito (in tal senso il termine opera risulta appropriato); 2) l’oggetto della prestazione è, quindi, ben diverso dalla messa a disposizione delle competenze ed energie del lavoratore “propria” del contratto di lavoro subordinato: secondo una famosa e importante elaborazione, contratto di organizzazione , giacché il datore di lavoro, di quelle competenze ed energie, si assicura, attraverso l’unilaterale e pervasivo potere direttivo, l’inserimento nell’organizzazione complessiva, dando ad essa corpo e, al contempo, assorbendovi la prestazione lavorativa, sì da escludere qualsiasi visibilità soggettiva del lavoratore nel mercato, tanto della produzione quanto del lavoro; 3) la connessione lavoro coordinato-organizzazione, dopo la legge 81/2017 – bon gré mal gré – non può più dubitarsi che avvenga di “comune accordo” tra le parti, come affermano espressamente il nuovo testo dell’art. 409 n. 3 c.p.c. e la giurisprudenza , salvaguardando, ad un tempo, esigenze dell’impresa e autonomia nel lavoro del prestatore.

3. Le istruzioni del committente e la collaborazione coordinata come contratto per l’organizzazione
La rilevanza e problematicità di quest’ultimo punto richiederebbero un approfondimento, qui non possibile; mi limito alle seguenti quattro, correlate, considerazioni.
1) L’interesse del committente/creditore della prestazione si esprime nelle indicazioni/istruzioni – contemplate in più di uno dei contratti tipici del codice civile: non nel paradigmatico art. 2222, bensì negli art. 1711 (mandato), 1739 (spedizione), 1746 (agenzia), – che devono però trovare definizione al momento della stipula del contratto o comunque incontrare il consenso della controparte: il testo dell’art. 409 n. 3 c.p.c., dopo la novella della l. 81/2017, “è chiaro” e non mi pare esistano argomenti sistematici contrari, tanto meno per sostenere la “grossolanità” della sua nuova formulazione ; anzi ve ne sono a favore (penso alle collaborazioni eterorganizzate di cui all’art. 2 del d.lgs. 81/2015, con il relativo potere del committente: in questo caso, appunto, unilaterale e anch’esso per tabulas).
2) Sicché, nelle collaborazioni coordinate, a essere escluso è il potere unilaterale del committente quale potere d’integrazione nell’organizzazione del facere del lavoratore.
3) Eventuali interventi di specificazione del committente in merito all’attività del lavoratore e al risultato atteso, sono, pertanto, ammissibili se per nulla innovativi rispetto a quanto concordato.
4) Né a diverse conclusioni circa l’ammissibilità di siffatti interventi possono condurre le clausole di buona fede e correttezza, men che meno (congiuntamente o non con esse) le nozioni di fedeltà e di diligenza del prestatore di lavoro. I confini di azione delle prime come delle seconde – è appena il caso di ricordarlo – vanno attentamente definiti pena un’incontrollabile alterazione dell’equilibrio negoziale. In particolare, in merito all’obbligo di fedeltà del lavoratore, a parer mio, già per il lavoro subordinato restano valide le considerazioni della dottrina che ne ha circoscritto i contenuti nei limiti di quanto previsto dal “testo” dell’art. 2105 c.c. , sì da escludere la sua rilevanza ai fini dell’individuazione di questo o quell’elemento dell’organizzazione nella prestazione di lavoro dedotta in contratto . Per le collaborazioni coordinate, peraltro, la sussistenza di un siffatto obbligo è ancora più debole; e un sostegno non si rinviene nell’art. 8 del d.lgs. 104/2022, come pure taluno ha sostenuto .
In sostanza, riepilogando queste brevi considerazioni, non configurerei le collaborazioni coordinate come un contratto di organizzazione – “proprio” del lavoro subordinato, la cui prestazione costituisce l’organizzazione, risultandone al contempo assorbita –, bensì come un contratto per l’organizzazione, in cui la prestazione, distinta dall’organizzazione, è, dall’esterno, in essa inserita attraverso (non un potere unilaterale del creditore ma) il consenso di entrambe le parti, che ne circoscrive contenuti, perimetro nonché modalità di collegamento funzionale.
Sul piano della tecnica normativa emerge un dato (ma non scopro nulla di nuovo): il discorso si sviluppa intorno a “fattispecie”, il cui elemento di fatto, oggetto di un giudizio politico di rilevanza ai fini degli effetti (disciplina), è il centrale raccordo lavoro/organizzazione. Il carattere consensuale o unilaterale di questo raccordo, dopo la doppia novità delle collaborazioni eterorganizzate ex art. 2 del d.lgs. 81/2015 (con l’applicazione della disciplina della subordinazione) e la nuova formulazione dell’art. 409 n. 3 c.p.c. ad opera dell’art. 15 della l. 81/2017, risulta cruciale, nell’impostazione italiana, ai fini della distribuzione delle tutele.

4. Unilateralità, consensualità, distribuzione delle tutele del lavoro
Andando un po’ indietro negli anni, rispetto al lavoro subordinato – contratto di organizzazione, caratterizzato dal potere direttivo con assorbimento del prestatore nell’organizzazione e il conseguente “pieno” di tutele – a partire dal 1973 le collaborazioni coordinate, in quanto contratto per l’organizzazione, avevano aperto, nel vuoto di tutele per il lavoro autonomo, un varco, sia pur assai piccolo, con l’applicazione della disciplina del processo del lavoro e dell’art. 2113 c.c. Varco in minima misura cresciuto nel tempo, e appena di più con le “collaborazioni a progetto” dopo il d.lgs. 276/2003.
Nel 2015 le collaborazioni coordinate cambiano veste, parallelamente alla marcata restrizione della tutela del lavoro subordinato, con la nuova riforma del suo cardine, la disciplina dei licenziamenti e la ulteriore sensibile riduzione della tutela reale (d.lgs. 23/2015). Esse divengono, con il loro dichiarato assetto consensuale ex l. 81/2017, un confine “negativo”, cioè di limite all’intervento di estensione delle tutele realizzate con le collaborazioni eterorganizzate di cui all’art. 2 del d.lgs. 81/2015 – norma complicata sotto ogni profilo, soprattutto per gli effetti – che riduce il grado di unilateralità perché vi sia applicazione della disciplina della subordinazione.
Un ritorno al passato e alla loro originaria (ancorché assai ridotta) funzione di vettore di tutele si registra con il d.lgs. 104/2022 sulla trasparenza delle condizioni di lavoro: ma si tratta di ambito di rilievo importante tuttavia circoscritto.
In seno al processo di estensione delle tutele un cenno meritano, della l. 81/2017, anche le scarne norme di protezione del lavoro autonomo tout court, il quale – rimanendo nella tassonomia sin qui seguita – prescinde dall’organizzazione, ossia prescinde da ogni raccordo di rilievo giuridico con l’organizzazione (sebbene nel rinvio all’art. 9 della l. 192/1998 qualcosa ci sia, e pure da non trascurare ). In questo lavoro “senza” organizzazione emerge, di contro, la “persona” in quanto tale (che non significa assenza di fattispecie: sul punto tornerò). Dicevo, tutele scarne nella l. 81/2017: opinione pressoché unanime, ciò nonostante, per questo rilievo della “persona” la legge è da inquadrare, in senso positivo o negativo, nell’attenzione alla già rimarcata universalizzazione delle tutele, su cui ormai da tempo – come già osservato – a ragion veduta si insiste.
Nella medesima logica, del quadro italiano più recente va ricordato pure il lavoro con le piattaforme, che in un primo momento ha alimentato l’applicazione del più volte citato art. 2 del d.lgs. 81/2015, per poi trovare espressione esplicita in un’altra problematica norma, l’art. 47-bis sempre del d.l.gs. 81/2015. Qui emerge il raccordo con una specifica organizzazione, all’interno di una fattispecie sempre di lavoro autonomo e (a mio parere) priva di poteri unilaterali del committente e/o a carattere occasionale , che, in quanto tale, incontra una serie di specifiche tutele, non irrilevanti.

5. II Parte. Il diritto eurounitario. Le recenti tendenze nella estensione delle tutele del lavoro
Si può ora passare al diritto eurounitario: cosa ci dice l’Unione europea su queste tematiche?
La prima domanda da porsi è la seguente: nell’ordinamento europeo c’è traccia del “lavoro coordinato”? Mi pare di poter dire che faccia capolino, forse anche qualcosa in più: e il suo ruolo sembrerebbe essere – ma vedremo che in realtà è un ruolo più apparente che reale – lo stesso del lavoro coordinato “oggi” in Italia, ossia di limite “negativo” a un’estensione delle tutele. Ma andiamo per ordine.
Il diritto dell’Unione – si è scritto di recente – ci propone, negli ultimi anni, la questione della distribuzione/estensione delle tutele del lavoro oltre la subordinazione soprattutto in tre interessanti ambiti: 1) il diritto antidiscriminatorio; 2) il lavoro tramite piattaforme digitali; 2) gli accordi collettivi per i lavoratori autonomi .
Nel primo e nel secondo caso viene in rilievo il lavoro della persona in quanto tale. In particolare, si sottolinea, per il diritto antidiscriminatorio, la sentenza della Corte di Giustizia 12/1/23, J.K./T.P., C-356/21, in cui si rinviene un’affermazione particolarmente netta a favore dell’applicazione della direttiva 2000/78 anche al lavoro autonomo in generale .
Stesso discorso per la “Proposta di Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio relativa al miglioramento delle condizioni di lavoro nel lavoro mediante piattaforme digitali” dell’11 marzo 2024, che, se da un lato contiene una presunzione di subordinazione (art. 5) – assai diversa dalla precedente versione –, dall’altro prevede l’applicazione di molte sue norme “ai soggetti che svolgono lavoro tramite piattaforme” a prescindere dalla natura del rapporto di lavoro, in particolare per quanto concerne la “gestione algoritmica” .

6. Gli “Orientamenti sull’applicazione del diritto della concorrenza dell’Unione agli accordi collettivi concernenti le condizioni di lavoro dei lavoratori autonomi individuali” della Commissione europea: la soggezione nella e alla organizzazione
Più complicato, ma anche più interessante ai nostri fini, si presenta il discorso in merito al terzo ambito indicato. Al riguardo assumono importanza gli “Orientamenti sull’applicazione del diritto della concorrenza dell’Unione agli accordi collettivi concernenti le condizioni di lavoro dei lavoratori autonomi individuali” (da ora “Orientamenti”), di cui alla Comunicazione della Commissione europea (2022/C 374/02) del 29 settembre 2022 , che si inseriscono – come noto – nella scia di un’importante giurisprudenza della Corte di Giustizia . Di recente questi “Orientamenti” hanno trovato l’espresso “favore” anche del Parlamento europeo nella “Risoluzione del 16 gennaio 2024 sulla politica di concorrenza - Relazione annuale 2023 (2023/2077(INI)” (punto 10) nonché esplicita menzione, al fine del miglioramento delle condizioni dei lavoratori autonomi, nei “considerando” (n. 30) della citata proposta di Direttiva, dello stesso Parlamento e del Consiglio, dello scorso marzo sul lavoro con le piattaforme digitali; proposta che, per tale lavoro, promuove inoltre la contrattazione collettiva in generale (art. 25).
Gli “Orientamenti” costituiscono un atto cd. di soft law, molto articolato; mi soffermerò qui, inevitabilmente, sui profili più rilevanti, che, per comodità del lettore, è opportuno velocemente riprendere.
La Commissione individua anzitutto tre ipotesi che, a suo giudizio, “esulano dall’ambito di applicazione dell’art. 101 del TFUE”, avente ad oggetto, come si sa, il divieto di accordi che limitano la concorrenza tra imprese. In sintesi, queste ipotesi riguardano, tutte, “lavoratori autonomi individuali paragonabili a lavoratori subordinati” (sezione 3) . E la Commissione – richiamando un passaggio della già ricordata sentenza FNV Kunsten – precisa che le ipotesi possono aversi – si badi bene – “indipendentemente dal fatto che tali lavoratori soddisfino i criteri per essere considerati falsi autonomi” (punto 20) , perché un “prestatore di servizi [autonomo] può perdere la qualità di operatore economico indipendente, e dunque d’impresa” . Per l’esattezza, ciò accade quando i lavoratori autonomi individuali: 1) si trovano “in una situazione di dipendenza economica” (sezione 3.1); 2) operano “‘fianco a fianco’ con lavoratori subordinati” (sezione 3.2); 3) “lavorano tramite piattaforme digitali” (sezione 3.3.).
Ora, in tutte e tre le ipotesi – come subito si vedrà – c’è ad avviso della Commissione una situazione che si può definire di doppia soggezione: nella e alla organizzazione. La soggezione nella organizzazione, più familiare all’elaborazione giuslavoristica, non solo italiana, si esprime attraverso un potere unilaterale di dare indicazioni/istruzioni in merito al contenuto della prestazione di lavoro (evidentemente non pervasivo e, perciò, differente dal potere direttivo proprio della subordinazione); la soggezione alla organizzazione è data dall’assenza di un rapporto diretto con il mercato ed è, come tale, sicuramente più innovativa, soprattutto (ma non soltanto) per la nostra tradizione .
La doppia soggezione si rinviene piuttosto agevolmente nella seconda ipotesi (i lavoratori – recita il relativo punto 26 – “prestano i propri servizi sotto la direzione della controparte, non partecipano ai rischi commerciali di quest’ultima né dispongono di autonomia sufficiente per quanto riguarda lo svolgimento dell’attività economica in questione”) e nella terza (nel punto 28, ad essa riferito, si legge: “Può avvenire che i lavoratori autonomi individuali dipendano dalle piattaforme digitali, soprattutto ai fini della ricerca dei clienti […].. Le “piattaforme digitali sono di solito in grado di imporre unilateralmente condizioni e modalità del rapporto” ).

7. (Segue). In particolare, la “dipendenza economica”. La rilevanza del conseguente diritto alla contrattazione collettiva
Ancora più chiaro è l’accento sulla soggezione alla organizzazione nei punti 24 e 25 concernenti la prima ipotesi richiamata, di maggiore interesse perché più innovativa e ben diversa tanto dalla seconda, che avvicina alle note dinamiche della subordinazione, quanto dalla terza, relativa alla specifica fattispecie del lavoro tramite piattaforme digitali.
Nella prima ipotesi la Commissione attribuisce rilievo specifico alla monocommittenza, ritenuta, nella riflessione sociologica e giuridica, un altro dei principali fattori di bisogno e quindi di dipendenza economica del lavoro autonomo . In proposito si afferma anzitutto che (utile per il lettore riportare integralmente il passaggio, benché lungo): “I lavoratori autonomi individuali che prestano servizi esclusivamente o prevalentemente a una sola controparte si trovano verosimilmente in una situazione di dipendenza economica nei confronti di tale controparte. In generale [si prosegue], tali lavoratori autonomi individuali non determinano in modo autonomo il proprio comportamento sul mercato, ma dipendono in larga misura dalla controparte, nella cui impresa sono integrati e con la quale formano quindi un’unità economica. È più probabile inoltre [si aggiunge] che tali lavoratori autonomi individuali ricevano istruzioni sul modo in cui devono svolgere il proprio lavoro” (punto 23) . Sicché, “a giudizio della Commissione, un lavoratore autonomo individuale si trova in una situazione di dipendenza economica allorché, in media, almeno il 50% del suo reddito da lavoro totale provenga da un’unica controparte, in un periodo di uno o due anni” (punto 24).
Bene, in questa ipotesi, se la soggezione nella organizzazione (istruzioni unilaterali) risulta ancora evidente (in termini probabilistici, ma di alta probabilità), la soggezione alla organizzazione balza in primo piano, in quanto oggetto di maggiore attenzione normativa e, quindi, necessaria e ben definita. E al riguardo v’è da precisare che l’elemento della monocommittenza si combina con la mancanza di autonomia nel mercato; anzi, la Commissione è chiara: all’origine della monocommittenza c’è la mancanza di determinazione autonoma nel mercato, questa è causa di quella . Grazie a questa combinazione di fattori, nella fattispecie della “dipendenza economica”, eloquentemente definita “nozione europea” di dipendenza economica , il dato economico/sociologico assume preminente rilievo. Come sappiamo, nel panorama europeo non mancano fattispecie simili, basti pensare alle figure intermedie dell’esperienza tedesca e spagnola prima menzionate. Nella nostra, invece, non andiamo oltre l’attenzione di alcuni autori e l’assai debole già citato riferimento normativo nell’art. 3, c. 4, della l. 81/2017 per il lavoro autonomo : il dato economico/sociologico è rimasto sempre sullo sfondo, anche ovviamente della subordinazione .
Da questo punto di vista la fattispecie della “dipendenza economica”, tra quelle contemplate dagli “Orientamenti”, risulta la più significativa. La mancanza di autonomia dalla organizzazione, che si sostanzia nella mancanza di autonomia economica e nel mercato, costituisce il cardine degli “Orientamenti”: è la soggezione alla organizzazione, ossia il venir meno della natura di “operatore economico indipendente”, che determina l’esclusione dei relativi accordi dall’ambito di applicazione dell’art. 101 TFUE . Di conseguenza, si può dire che, negli “Orientamenti”, il rapporto tra dato economico-sociologico e tradizionale dato giuridico delle modalità di svolgimento della prestazione di lavoro si capovolga: l’esclusione della posizione/visibilità sul mercato acquista il centro della scena; per converso, l’esercizio del potere unilaterale rimane sullo sfondo (laddove abitualmente è questo in primo piano, determinando l’altro). Sebbene – e la precisazione non è marginale – nelle fattispecie considerate la prestazione (sulla falsariga di quanto prima osservato a proposito della collaborazione coordinata) nasca da un contratto non di organizzazione bensì per l’organizzazione, e si ponga dapprima sul mercato per poi, dall’esterno, essere inserita nell’organizzazione, anziché porsi quale suo elemento costitutivo.
Ritornando al piano delle tutele, la soggezione alla organizzazione, con l’assenza di autonomia dal mercato, apre dunque il campo alla contrattazione collettiva, sottraendola al divieto di cui all’art. 101 TFUE. L’effetto, si potrebbe osservare, risulta circoscritto: è la sola apertura alla contrattazione collettiva. Sull’argomento ritornerò; per il momento mi preme sottolineare come, in realtà, la contrattazione collettiva, ancor più leggendo il punto 15 degli “Orientamenti” – dove si indica, peraltro a titolo esemplificativo, un ampio pacchetto di “condizioni di lavoro dei lavoratori autonomi” (“remunerazione, premi e gratifiche, orario e modalità di lavoro, vacanze, ferie, spazi fisici in cui si svolge il lavoro, salute e sicurezza sociale, assicurazione e previdenza sociale, nonché le condizioni alle quali i lavoratori autonomi individuali hanno diritto a interrompere la prestazione del servizio o alle quali la controparte ha diritto di cessare di utilizzare i loro servizi”) – si presenta nel suo tradizionale importante ruolo di volano di tutele, anzi, di fondamentale strumento dinamico di tutela. Da questo punto di vista viene spontaneo un accostamento col nostro ordinamento, ossia con l’art. 2 del d.lgs. 81/2015, in cui il potere unilaterale del creditore in merito all’esecuzione della prestazione di lavoro, di per sé, fa da scivolo verso le tutele della subordinazione: alla luce della relativa esperienza, considerando quanto risulta problematica l’integrale applicazione di queste tutele alle collaborazioni eterorganizzate, l’attenzione eurounitaria alla contrattazione collettiva fa, invero, riflettere.

8. Il lavoro coordinato sopravanzato dal criterio dello squilibrio economico/contrattuale
Se lo scenario è questo descritto, negli “Orientamenti” i contratti collettivi stipulati per i rapporti di collaborazione coordinata, contraddistinti soltanto da un raccordo funzionale con l’organizzazione a carattere “consensuale”, dovrebbero essere soggette al divieto di cui all’art. 101 TFUE. Le collaborazioni coordinate, infatti, prive, per questo esclusivo carattere “consensuale”, di un potere unilaterale del committente di dare indicazioni/istruzioni in merito alla prestazione di lavoro nonché di qualsiasi rilievo del profilo economico-sociologico, secondo quanto sin qui osservato sembrerebbero sfuggire alla soggezione tanto nella quanto alla organizzazione. Ciò vorrebbe dire, tradotto nelle categorie del nostro ordinamento, che le collaborazioni coordinate, ancorché non espressamente menzionate negli “Orientamenti”, non avrebbero titolo alla contrattazione collettiva. Soluzione foriera di non poche perplessità: basti pensare quanto sia difficilmente conciliabile con la pressoché pacifica applicazione dell’art. 39, c. 1, Cost. alla cd. parasubordinazione.
Ma non occorrono troppe parole per rendersi conto che gli “Orientamenti” seguono una logica giuridica assai diversa.
Si potrebbe pensare – è il caso di osservarlo – che nella fattispecie della “dipendenza economica”, dove le istruzioni unilaterali sono indicate come “probabili” dalla Commissione, il raccordo funzionale potrebbe essere anche consensuale. Ma, in effetti, questa è un’eventualità che, negli “Orientamenti”, appare poco verosimile, giacché sono proprio la “dipendenza economica” e, più in generale, l’impostazione seguita dalla Commissione a risultare poco conciliabili con la consensualità.
Il punto sta proprio qui: gli “Orientamenti” non danno “credito” alla consensualità. Ciò è di massima evidenza in due ulteriori ipotesi in cui la Commissione, pur “ritenendo che non è possibile ipotizzare che [gli] accordi esulino dall’ambito di applicazione dell’art. 101 TFUE”, comunque “non interverrà” a vietarli (punto 32). Al centro, giocoforza, è ancora il dato economico-sociologico.
Si tratta di quelle ipotesi in cui “i lavoratori autonomi individuali […] non si trovano in una situazione paragonabile a quella dei lavoratori subordinati” e, nondimeno, possono trovarsi “ad affrontare difficoltà simili”, avere cioè comunque “difficoltà nell’influire sulle proprie condizioni di lavoro perché si trovano in una situazione debole rispetto alla loro controparte”. (sezione 4, punto 32). L’attenzione quindi si sposta e si concentra sulle caratteristiche del datore di lavoro, che determinano “difficoltà simili” a quelle presenti nelle fattispecie sinora considerate. Lo “squilibrio di potere contrattuale” – si legge negli “Orientamenti” – “si presume” che esista quando: “a) i lavoratori autonomi individuali negoziano o concludono accordi collettivi con una o più controparti che rappresentano l’intero settore o l’intera industria; b) i lavoratori autonomi individuali negoziano o concludono accordi collettivi con una controparte il cui fatturato totale annuo e/o il bilancio totale annuo supera i due milioni di Euro o i cui effettivi sono pari o superiori a 10 persone, oppure con più controparti che insieme superano una di queste soglie” (sezione 4.1, punto 32).
Appare intuibile come la seconda ipotesi, ai nostri fini, possa avere un peso pratico non indifferente. In sostanza si esclude che, per le imprese con almeno dieci dipendenti, possano esservi collaborazioni coordinate, ossia raccordate funzionalmente all’organizzazione in base al “consenso” anche del prestatore di lavoro. In altri termini, alle suddette dimensioni dell’organico dell’impresa, nell’impostazione della Commissione, si accompagna lo “squilibrio di potere contrattuale” tra le parti, che sopravanza, in radice, l’ipotetico consenso del prestatore in merito alle modalità di collegamento con l’impresa. A ciò consegue l’apertura alla contrattazione collettiva.
Non va trascurato, infine, che, alle due ipotesi indicate, oggetto di “presunzione”, si aggiunge l’espressa previsione della possibilità di “uno squilibrio di potere contrattuale anche in altri casi, a seconda delle singole circostanze sottostanti” (punto 35) .

9. Le indicazioni degli “Orientamenti”: la centralità del dato economico-sociologico nelle fattispecie e il diritto fondamentale alla contrattazione collettiva
Nei primi commenti non sono mancate critiche in merito agli “Orientamenti”; in particolare,
si sono rimarcate eterogeneità e incerti profili delle ipotesi descritte . Al di là della condivisibilità di questi rilievi, qui preme rimarcare, anzitutto, il mutamento degli elementi delle fattispecie contemplate dalla Commissione: ossia, la portata fortemente innovativa del diretto rilievo giuridico assunto dal dato economico-sociologico e di squilibrio di potere tra le parti contrattuali, in primis nel mercato. Come disegnate negli “Orientamenti”, le fattispecie sono sicuramente migliorabili – anzitutto ovviamente in un’ipotetica prospettiva interna de iure condendo – ma mi pare importante già ora sottolineare la volontà politica di dare rilievo ai nuovi indicati elementi di fatto quali criteri di accesso alle tutele. Considerando le difficoltà, non di oggi, della dicotomia autonomia/subordinazione dinanzi ai mutamenti economico-organizzativi in atto da tempo e accentuatisi negli ultimi anni, ritorna inevitabilmente il dubbio che il nostro ordinamento nel 2015-2017, con la riconferma, anzi il rafforzamento, del criterio delle modalità di svolgimento della prestazione di lavoro (alla base di quella dicotomia, come sappiamo), non abbia imboccato la migliore direzione.
Non va ovviamente dimenticato che gli “Orientamenti” costituiscono un atto di soft law. La strada da fare per la loro applicazione potrà non essere breve; occorrerà vedere, nel tempo, sviluppi e inserimento sistematico. Tuttavia, significato e incidenza non appaiono da sottovalutare considerando la marcata direzione assunta e il relativo contesto. Quanto prima ricordato circa il riferimento agli “Orientamenti” presente nella “Risoluzione del 16 gennaio 2024 sulla politica di concorrenza” del Parlamento europeo e nella proposta di Direttiva dello stesso Parlamento e del Consiglio di marzo scorso sul lavoro con le piattaforme digitali sembra, al riguardo, eloquente. Ed è eloquente pure l’inquadramento degli “Orientamenti” tra i nuovi strumenti, adottati nell’ambito del Pilastro europeo dei diritti sociali, forieri – si è scritto – di un “rilancio politico bipartisan dell’Europa sociale” nell’ultimo lustro; ancorché alla vigilia – si è aggiunto, opportunamente – di un “cruciale appuntamento” per i futuri scenari, le imminenti elezioni del Parlamento europeo del 2024 .
Non manca chi, in diversa ottica, sottolinea la persistente primazia del diritto alla concorrenza, rispetto a cui il diritto alla contrattazione, negli “Orientamenti”, costituirebbe solo un’eccezione, “funzionale a riequilibrare le disparità di mercato e quindi condizionato da tale obiettivo” . Invero, per la Commissione, se da un lato il diritto alla contrattazione nel lavoro autonomo incontra ancora una qualche limitazione – comunque sensibilmente circoscritta e in relazione alla quale occorre rammentare che storicamente il riconoscimento dell’istanza sindacale nel modo del lavoro autonomo ha comunque sempre privilegiato posizioni di una qualche debolezza –, dall’altro lato la prevalente area di lavoro autonomo è sottratta all’applicazione dell’art. 101 TFUE in quanto “paragonabile al lavoro subordinato” o comunque perché incontra “difficoltà simili” . Di conseguenza, il diritto alla contrattazione collettiva appare riconosciuto, dalla Commissione, alla stessa stregua dell’eguale diritto attribuito al lavoro subordinato, in una logica di prerogativa equiordinata rispetto al diritto alla concorrenza: anch’esso, cioè, quale diritto fondamentale . Sul piano tanto assiologico-sistematico quanto concreto mi sembra, questo, uno sviluppo nient’affatto trascurabile. Ancor più considerando i rischi di “entropia normativa” che l’ordinamento dell’Unione europea ha sino a oggi corso in relazione al diritto internazionale , dove il diritto alla contrattazione collettiva è da tempo affermato in termini generali, riferibili al lavoro sans phrase . Del resto, quanto prima detto circa il raccordarsi degli “Orientamenti” a una fase di rilancio della politica sociale europea – sebbene con tutte le opportune cautele – anche a tal riguardo è significativo.
Va tenuta di certo presente pure l’opinione secondo la quale uno dei più pericolosi nemici della contrattazione collettiva nel lavoro autonomo sia, come dire, lo stesso lavoro autonomo , a cominciare dalla difficoltà di aggregazione dei relativi frammentati interessi e dalla scarsa attenzione ad esso tradizionalmente dedicata dalle grandi confederazioni. Tuttavia, anche questo non può ritenersi un ostacolo insormontabile. Anzitutto perché, per un verso, è appena il caso di ricordare che un problema di rafforzamento dell’azione sindacale si pone in generale, e l’insistenza con cui da alcuni anni – è noto – la storicamente più grande confederazione dei lavoratori (Cgil) insiste sulla necessità di una legge sulla rappresentanza sindacale ne è l’ultima eloquente conferma; per altro verso, da qualche tempo, alcuni passi in avanti si sono compiuti, inclusa una maggiore attenzione dei principali sindacati verso il lavoro autonomo . È poi opportuno rammentare che è la storia a mostrarci come la contrattazione collettiva costituisca uno strumento “immanente” per la tutela del lavoro bisognoso di protezione, starei per dire una conditio sine qua non dello stesso bisogno: appare difficile pensare che soggetti “deboli”, privi o alla ricerca di una tutela eteronoma, nel tempo, non facciano ricorso a strumenti e dinamiche di aggregazione collettiva. Piuttosto, come molti sottolineano, occorrerà percorrere anche nuovi moduli e contenuti di azione, non limitandosi a replicare quelli invalsi nell’area della subordinazione .
In ultimo, tornerei velocemente sulle ipotesi considerate dagli “Orientamenti” e sulla relativa tecnica normativa. Mi pare particolarmente importante insistere sul nuovo giudizio politico di rilevanza degli interessi considerati, che riporta a un tema negli ultimi tempi particolarmente presente nel dibattito, l’attualità della fattispecie . Secondo alcuni, negli “Orientamenti”, non sempre ci troveremmo dinanzi a “fattispecie”: il lavoro side by side, come il lavoro presso le piattaforme, costituirebbero indicazioni meramente fattuali . In un’ottica analoga altri vi hanno rinvenuto “categorie qualificatorie ‘generali’ che si fondano su dati fattuali” e che scontano “un inevitabile tasso di soggettivismo valutativo del giudice” . Ebbene, a parte la natura di soft law degli “Orientamenti”, privi del carattere di articolato normativo, a me pare che tutte le ipotesi considerate rispondano esattamente al composito schema della fattispecie, quale struttura tipica della norma, al di là dell’inevitabile e a priori indeterminabile spazio per l’interprete che accompagna la veste “critica” dalla stessa fattispecie assunta negli ordinamenti contemporanei: rispondono, cioè, a un giudizio politico di rilevanza di elementi di fatto (nel caso di specie, il rapporto lavoro autonomo-organizzazione-mercato e, più in generale, lo squilibrio di potere economico-contrattuale) a cui si collega un effetto (la legittimità della contrattazione). Passaggi, a cominciare dal primo, imprescindibili per qualsiasi discorso sulle tutele del lavoro personale, che, comunque la si pensi, non può non dispiegarsi su un piano, sì, articolato ma generale e astratto, come tale retto dai presupposti di fatto cui il giudizio politico/legislativo dà rilevanza: quale espressione del carattere democratico dell’ordinamento e della razionalità assiologico/formale del sistema, volta a garantire eguaglianza e (nella misura possibile) coerenza nonché prevedibilità dei comportamenti dei consociati .
Tutto ciò, a mio parere, occorre avere ben presente al fine di attrezzarsi per contenere, se non superare, le oggettive e strutturali difficoltà della normazione oggi: che, altrimenti, possono solo aumentare.

Questo sito utilizza cookie necessari al funzionamento e per migliorarne la fruizione.
Proseguendo nella navigazione acconsenti all’uso dei cookie.