Testo Integrale con note e bibliografia
I decreti adottati dopo l'elezione di Emmanuel Macron alla Presidenza della Repubblica francese grazie alla maggioranza parlamentare costituiscono la traduzione del suo programma in materia diritto del lavoro.
"Dare fiducia alle parti sociali rispettando le disposizioni di ordine pubblico". La riforma attuata dal Presidente, sostenuto dalla maggioranza, tra l’autunno e l'inverno 2017 mira a "rafforzare il dialogo sociale", o addirittura a promuoverlo dove non esiste o dove è ancora poco sviluppato, a causa dell'assenza di interlocutori del datore di lavoro, vale a dire nelle piccole e piccolissime imprese. Presentandosi come arma contro la disoccupazione di massa, che da decenni imperversa in Francia ed allo stesso tempo come strumento di crescita, i decreti si propongono di rendere la legislazione sul lavoro più flessibile, assicurando la certezza del diritto ed il decentramento. "Abbiamo intenzione di elaborare una legge sul decentramento della democrazia nel diritto del lavoro, orientata verso il basso, cioè verso le aziende ed i loro rami", ha dichiarato il ministro del Lavoro, Muriel Pénicaud, in risposta ad un quesito scritto al Senato (GU Senato di 07 / 07/2017, pp. 1964). Per raggiungere questo scopo, sono state utilizzate varie tecniche, tra cui la costruzione di un rapporto tra le norme, il quale consente all’ accordo di categoria di derogare alla legge con il limite del rispetto dell’ ordine pubblico ed all'accordo aziendale , di derogare ad un accordo di categoria il quale, pur vedendo restringersi il proprio campo di applicazione, rimane uno strumento normativo necessario per prevenire forme di concorrenza sleale attuate attraverso il dumping sociale all'interno del settore industriale considerato. Il favor riconosciuto all'accordo aziendale si basa sull'idea che proprio in ragione del suo livello sia il più idoneo per consentire all'azienda di adattarsi al proprio contesto e di evolversi. Altra parola d’ordine della riforma è la "semplificazione" del diritto del lavoro, con l'idea di fondo che la sua eccessiva complessità e la mancanza di certezza giuridica che ne derivano, costituiscono ostacoli allo sviluppo economico dell’impresa e dell’occupazione.
Approfondiremo queste considerazioni nel corso di quest’articolo, che si concentrerà nella prima parte sulla struttura della riforma e nella seconda sulle sue principali tematiche.
I. Una riforma molto rapida e di vasta portata, attuata per mezzo di decreti.
Subito dopo l'elezione di Emmanuel Macron alla Presidenza della Repubblica maggio 2017, il primo ministro Edouard Philippe ed il Ministro del lavoro Muriel Pénicaud, hanno presentato all'Assemblea nazionale il 29 giugno 2017, un progetto proponendo di autorizzare il governo a legiferare tramite decreti entro sei mesi dall'entrata in vigore della legge, al fine di adottare "misure per rafforzare il dialogo sociale". Questo titolo è riduttivo perché in realtà l'obiettivo della riforma è il rinnovamento del modello sociale francese: "Rinnovare è preservare i fondamenti ed i principi che sono solidi, al contempo modernizzando i diritti, i doveri e la loro attuazione ". Si tratta dunque, spiega il progetto, di assicurare che la legge sul lavoro risponda a questi due punti chiave: "più uguaglianza, più libertà".
Una filosofia del contemperamento, che sostiene l'uguaglianza dei lavoratori nella libertà delle imprese e annuncia riforme complementari nel prossimo futuro.
Previsione di ulteriori riforme per accompagnare i decreti.
Il progetto che autorizza il governo a legiferare tramite decreti si fonda sull’idea che uguaglianza e libertà saranno reali solo se esistano opportunità, se le imprese potranno svilupparsi, crescere, creare ricchezza e quindi posti di lavoro. “Liberare le energie delle aziende, proteggendo i lavoratori, consentendo a tutti di trovare il proprio posto nel mercato del lavoro e di costruire il proprio percorso professionale: questa è la profonda trasformazione sociale di cui il nostro Paese ha bisogno ". In questa prospettiva, il disegno di legge è il "primo passo" di un programma di lavoro del governo verso diverse riforme complementari da attuare, vale a dire:
- 1 / Rafforzare efficacemente i programmi di formazione professionale. Per conferire maggiore uguaglianza e protezione ai lavoratori minacciati dal nuovo ordine economico e sociale globale, con conseguente incertezza nel mercato del lavoro ed aumento nei cambiamenti di lavoro attraverso il passaggio nella categoria dei disoccupati, il progetto annuncia in primo luogo che entro i prossimi 18 mesi sarà realizzato un "piano di investimento futuro" e una riforma della formazione professionale allo scopo di conferire ai lavoratori maggiore “competenza” ed ai disoccupati le competenze e le qualificazioni necessarie per cogliere le nuove opportunità del mercato del lavoro.
Perché, si osserva nel progetto "Sappiamo che esiste uno stretto legame tra il livello di qualificazione professionale ed il livello di disoccupazione; dobbiamo quindi aumentare il livello di qualificazione professionale della popolazione francese per ridurre la disoccupazione e dare a tutti un’opportunità. Il testo aggiunge che "la riforma della formazione professionale, nel frattempo, deve dare a ogni individuo dei diritti alla formazione più significativi, più accessibili, più facilmente utilizzabili, per conferire maggiore effettività alla libertà di cambiare lavoro o creare la propria azienda ".
- 2 / Rifondare l’apprendimento. Allo stesso modo, si afferma che una tale rifondazione è essenziale "per indirizzare massicciamente l'offerta di lavoro verso soggetti di età inferiore ai 25 anni e combattere efficacemente contro la disoccupazione giovanile";
- 3 / Estendere il campo dell'assicurazione contro la disoccupazione. Per una maggiore libertà, l’ assicurazione contro la disoccupazione dovrà essere aperta " ai lavoratori dipendenti e a quelli autonomi, per accompagnarli e metterli al sicuro, nella scelta di cambiare la loro vita professionale, sia che si tratti di una riconversione professionale che della creazione di una nuova impresa".
- 4 / Cancellare i contributi dei lavoratori dipendenti per l'assicurazione sanitaria e l'assicurazione contro la disoccupazione. Questa riforma (entrata in vigore il 1 ° gennaio 2018) mira a "dare un potere d'acquisto immediato e visibile ai dipendenti";
- 5 / rinnovare il sistema pensionistico "rendendolo più trasparente ed equo";
- 6 / Semplificare il sistema di prevenzione e compensazione per l’esposizione a fattori di rischio professionale. Questa semplificazione per le aziende deve essere accompagnata da una garanzia dei diritti dei dipendenti.
Con voto separato è stato adottato un testo che ha declinato in diritto del lavoro il nuovo principio del "diritto all'errore" del datore di lavoro in buona fede.
L'articolo 2 del progetto per uno Stato al servizio di una società basata sulla fiducia stabilisce il principio del riconoscimento del diritto di commettere errori. I consideranda del progetto spiegano che "Queste disposizioni invertono la logica oggi prevalente, stabilendo una fiducia a priori dell'amministrazione nei confronti di persone fisiche e giuridiche che agiscono in buona fede. A tal fine, la legge riconosce un diritto all'errore a beneficio di qualsiasi persona, in caso di una prima violazione involontaria di una norma applicabile alla sua situazione ". Il principio è che "Spetta all'amministrazione provare, se del caso, la malafede della persona interessata o l'esistenza di un intento fraudolento. ".
In applicazione di tale principio, l'articolo 8 del progetto modifica gli articoli. L. 8115-1 e L. 8115-4 del codice del lavoro relativo alle sanzioni amministrative per violazione di alcune disposizioni in materia di orario di lavoro, riposo, determinazione del salario minimo, igiene e sistemazione dei lavoratori:
1 ° riconoscendo la possibilità per il datore di lavoro di regolarizzare la propria situazione prima dell'applicazione di tale sanzione;
2 ° istituendo a favore del datore di lavoro in buona fede un "richiamo al rispetto della legge" precedente e alternativo a una sanzione amministrativa, istituendo in tal modo una sanzione non monetaria a fini essenzialmente educativi.
I tre pilastri della riforma “Macron”
1 / Una nuova articolazione delle norme, che riserva un posto centrale agli accordi aziendali. - L'idea principale che guida la riforma è che "trovare soluzioni innovative per articolare performance sociali e performance economiche, per combinare il benessere e l'efficienza sul lavoro, può essere fatto solo il più vicino possibile al campo, attraverso un dialogo tra gli attori direttamente interessati, in un quadro flessibile e protettivo". Un primo pilastro si propone di definire una nuova articolazione dell'accordo aziendale e dell'accordo di categoria e di assicurare che il campo sia riservato alla contrattazione collettiva ".
2 / Semplificazione e rafforzamento del dialogo economico e sociale. - Tale obiettivo richiede, in particolare, una revisione del panorama delle istituzioni rappresentative del personale, "più in sintonia con la realtà delle imprese e le sfide legate al progetto di trasformazione di cui stanno discutendo".
3 / Un desiderio di rendere le regole del lavoro più prevedibili e più certe- e questo sia per il datore di lavoro che per il lavoratore. Si tratta di rinforzare la leggibilità, l’intelligibilità e l’effettività della legge.
Una riforma strutturata attorno a quattro assi
1 / Il primo asse di questa riforma, afferma la relazione del Consiglio dei ministri del 27 settembre 2017, mira a fornire "soluzioni pragmatiche per le piccole imprese (PMI) e le piccole e medie imprese (PMI), in particolare attraverso un rinnovato dialogo sociale e accesso al diritto semplificato”.
2 / Il secondo asse portante è la fiducia accordata alle aziende e ai dipendenti dando loro la capacità di anticipare e adattarsi a nuove realtà in modo semplice, rapido e sicuro, attraverso accordi aziendali e di categoria estesi.
3 / Il terzo asse introduce "nuovi diritti e nuove protezioni" per i dipendenti, in particolare attraverso l'introduzione del diritto al telelavoro.
4 / Il quarto asse prevede "nuove garanzie per i delegati sindacali e rappresentanti del personale che si impegnano nel dialogo sociale".
Un metodo di consultazione precedente alla stesura della legge
L'anteriore legge sul lavoro, detta "El Khomri", in data 8 agosto 2016, era stata adottata attraverso la procedura di voto bloccata, permessa dall'articolo 49-3 della Costituzione, ciò aveva provocato molte critiche sulla mancanza di legittimazione democratica.
Il metodo scelto dal governo nel 2017 è diverso. Infatti, ha spiegato il Ministro del lavoro all'udienza della Commissione per gli affari sociali dell'Assemblea nazionale, il 4 luglio 2017, la tecnica utilizzata consisteva nel "mescolare, per quanto possibile, la democrazia sociale e la democrazia politica". Dal 9 giugno 2017 e fino al 21 luglio successivo, si è svolta una consultazione con le organizzazioni rappresentative dei sindacati e dei datori di lavoro, sotto forma di 48 incontri bilaterali. Al termine di queste discussioni, il governo ha redatto i progetti di decreto, alla fine di agosto 2017, li ha presentati alle varie organizzazioni da consultare e, dopo averli sostanzialmente modificati su alcuni punti e ottenuto l'autorizzazione del legislatore, ha infine pubblicato i decreti il 22 settembre 2017.
La portata del lavoro legislativo e regolamentare dei " Decreti Macron"
Il processo legislativo in questione iniziò con la presentazione di un progetto che autorizzava il governo a legiferare tramite decreto, continuò con la successiva promulgazione di questa legge e dei decreti previsti, e fu completata con il voto di una legge di ratifica. In conformità con le rispettive prerogative, il governo ha emanato una serie di decreti per l'applicazione dei suoi decreti legislativi ancor prima della loro ratifica; da parte sua, il Parlamento ha ratificato questi testi modificandoli sensibilmente su alcuni punti.
Atto 1. La Legge n. 2017-1340 del 15 settembre 2017 "autorizza" il governo ad adottare misure per rafforzare il dialogo sociale (GU del 16 settembre 2017).
Atto 2. La dichiarazione di conformità di questa legge alla Costituzione è stata pronunciata dal Consiglio Costituzionale il 7 settembre 2017 (decisione n ° 2017-751 DC, J.O. del 16 settembre 2017)
Atto 3. Un complesso di 6 decreti. Il governo, così dotato della necessaria autorizzazione legislativa, ha adottato dapprima cinque decreti principali, e poi intendeva coordinarne il contenuto mediante un sesto decreto noto come "decreto spazza tutto" o "decreto -conchiglia" presentato alle parti sociali. I vari testi sono stati oggetto di varie modifiche durante la loro discussione davanti ai parlamentari.
o Decreto n. 2017-1385 del 22 settembre 2017 sul rafforzamento della contrattazione collettiva (Gazzetta ufficiale del 23 settembre 2017)
Questo decreto intende operare:
1 / Riforma e chiarificazione dell'architettura convenzionale (articolazione tra accordi di categoria e accordi aziendali) per stabilire il principio del primato dell'accordo aziendale
2 / Creazione di un accordo di “flessicurezza” unico e semplificato per consentire alle aziende di adattarsi internamente ai cambiamenti di attività. Questo accordo è stato ribattezzato dalla commissione per gli affari sociali del Senato "Accordo sulla performance sociale ed economica" (APSE)
3 / Revisione delle condizioni di negoziazione degli accordi aziendali, al fine di facilitare la contrattazione collettiva in tutte le società, in particolare tra le più piccole, e ammorbidimento delle regole del mandato sindacale nelle piccole imprese senza delegato sindacale
o Decreto del n. 2017-1386 del 22 settembre 2017 sulla nuova organizzazione del dialogo sociale ed economico nell'impresa e promozione dell'esercizio e rafforzamento delle responsabilità sindacali
Intende razionalizzare e semplificare il quadro della rappresentanza del personale nell’impresa:
- creando un’istanza unica, il Comitato sociale ed economico (CSE), al posto dei delegati del personale, del comitato di impresa e del comitato di igiene e sicurezza e delle condizioni di lavoro, preservando tutte le loro attribuzioni.
- Permettendo alle parti sociali di trasformare, di comune accordo, il CSE in un consiglio di fabbrica, in altre parole in un unico organismo competente a negoziare accordi aziendali e dotato di un diritto di veto in determinate aree.
o Decreto n. 2017-1387 del 22 settembre 2017 sulla prevedibilità e sul rispetto del principio della certezza del diritto nei dei rapporti di lavoro.
- Prevedere l’obbligatorietà di una scala di valori per fissare il compenso assegnato dal giudice prud’homal , in caso di licenziamento senza giusta causa. Questa scala, che include un piano e un massimale, non si applica in caso di nullità del licenziamento.
- Creazione della " cessazione collettiva convenzionale dei rapporti di lavoro" al fine di facilitare gli esodi volontari negoziati, nel quadro di un accordo d’impresa.
- Stabilire che la portata della valutazione della causa economica di un licenziamento sia nazionale quando la società appartiene a un gruppo. Tuttavia, a seguito dei dibattiti parlamentari, è stata introdotta una restrizione a questa definizione in caso di frode.
- Autorizzare un accordo di filiale che si spinga fino a definire le regole per il ricorso a contratti a tempo determinato, contratti di lavoro temporaneo e contratti di sito in un determinato settore.
o Decreto n ° 2017-1388 del 22 settembre 2017 recante varie misure relative al quadro della contrattazione collettiva
Questo decreto contiene disposizioni tecniche relative all'estensione e all'ampliamento degli accordi di filiale, nonché al funzionamento del fondo di finanziamento congiunto del dialogo sociale.
o Decreto n. 2017-1389 del 22 settembre 2017 sulla prevenzione e la presa in considerazione degli effetti dell'esposizione a determinati fattori di rischio professionale e al conto di prevenzione professionale
1 / Sostituisce il Conto di prevenzione professionale (C2P) al conto personale di prevenzione in caso di mancanza di lavoro, riorientando il suo campo su sei fattori di rischio professionali facilmente misurabili.
2 / Stabilisce un meccanismo di prepensionamento per i dipendenti che sono stati esposti a uno dei quattro fattori di rischio finora assunti nel C3P ma non inclusi nel C2P.
o Decreto correttivo n ° 2017-1718 del 20 dicembre 2017 (GU del 21 dicembre 2017) "per integrare e armonizzare le disposizioni adottate in attuazione della legge n 2017-1340 del 15 settembre 2017 che ha autorizzato ad adottare misure per rafforzare il dialogo sociale ", detto anche “decreto spazza tutto”
Particolarità procedurali nell’ emanazione di questo sesto decreto: il governo è andato troppo in fretta?
Il sesto decreto è stato emesso dal governo il 22 dicembre 2017, quando l'assemblea nazionale si era già pronunciata sulla ratifica dei cinque decreti precedenti nel novembre 2017. Solo il Senato ha dunque avuto conoscenza del nuovo testo e lo ha discusso pubblicamente, in seguito ad un emendamento depositato dal Governo. A sostegno di questo emendamento il Ministro del Lavoro ha spiegato: “il sesto decreto viene ad armonizzare la situazione giuridica, ad assicurare la coerenza dei testi, ad abrogare le disposizioni senza oggetto, a correggere gli errori, a chiarire o precisare certe disposizioni nel rispetto del principio della certezza giuridica e con lo scopo di rendere più comprensibili ed aggiornare i riferimenti al codice del lavoro. Procede ugualmente alla correzione di errori materiali di incoerenza nei codici. In breve, completa il lavoro affinché sia coerente, robusto e visibile.
La Commissione mista paritaria è pervenuta ad un accordo sulla proposta di ratifica di questo decreto e, di conseguenza, non è stato più necessario dibattere questo accordo davanti all’ Assemblea nazionale in occasione della discussione di principio sulla necessità della ratifica.
Poiché le differenti disposizioni dei decreti sono entrate in vigore il giorno successivo alla loro pubblicazione, se non sottoposte ad un testo regolamentare, o dopo la pubblicazione dei decreti attuativi per le altre, l’essenziale della riforma è stato applicabile anche prima che fosse votata e promulgata la legge di ratifica.
Su altro versante, un autore (Bernard Domergue, Dalloz attualità del 29 gennaio 2018) ha rilevato che “diventa molto difficile avere una visione globale della riforma attuata dal Governo attraverso i cinque decreti. In effetti il diritto del lavoro già riformato dai cinque decreti sarà di nuovo modificato dal sesto decreto e dalla legge di ratifica quando sarà adottata, senza dimenticare la sesta legge di ratifica del sesto decreto!”
Contenuto del decreto “spazza tutto”
Il sesto decreto comporta numerose disposizioni che riguardano l’articolazione tra accordi d’impresa e accordi interprofessionali, il comitato economico e sociale (regole sull’ elezione dei componenti, funzionamento, statuto delle ore di delegazione e di lavoro effettivo dei suoi membri, perizie contabili), la commissione per la salute, per la sicurezza e per le condizioni di lavoro del Comitato Economico e Sociale, il consiglio economico d’impresa, la competenza territoriale del difensore sindacale, ecc.
Si osserva che la versione del testo come modificato dalla commissione paritaria mista e adottata dalle due camere trasforma la “remunerazione” conservata dal lavoratore in caso di denuncia di accordo collettivo non seguita dalla conclusione di un nuovo accordo nei 15 mesi, in una “garanzia di remunerazione”, che può dare luogo al versamento di una “indennità differenziale” (articolo L 2261-3, comma 2). Ora sembrerebbe che questo cambiamento di regime non sia stato discusso da parte dell’Assemblea Nazionale.
Atto 4. Una raffica di decreti di applicazione: più di 20 – Si possono citare, alla rinfusa, il decreto n.2017-1702 del 15 dicembre 2017 “relativo alla procedura di precisazione dei motivi enunciati nella lettera di licenziamento”, decreto n.2017-1725 del 21 dicembre 2017 “relativo alla procedura di riclassificazione interna sul territorio nazionale in caso di licenziamento per motivo economico”, il decreto n. 2017-1769 del 27 dicembre 2017 “relativo alla prevenzione ed alla considerazione degli effetti dell’ esposizione a certi fattori di rischio professionale e al conto professionale di prevenzione”, il decreto n.2017-1820 del 29 dicembre 2017 “che stabilisce modelli tipo di lettere di notifica del licenziamento” ecc.
Atto 5. Il rifiuto del Consiglio di Stato di sospendere i decreti in via cautelare.
Il sindacato Confederazione Generale del lavoro (CGT) ha adito con giudizio cautelare il Consiglio di Stato allo scopo di ottenere la sospensione degli effetti di certe disposizioni dei decreti 2017-1385, 2017-1386 e 2017-1387. Questa procedura cautelare-sospensiva, prevista dall’ articolo L.521-1 del codice della giustizia amministrativa, permette di ottenere in un termine breve la sospensione degli effetti di un atto amministrativo o di alcuni di essi, quando vi è una situazione di urgenza ed un serio dubbio sulla legittimità dell’ atto o del provvedimento. Nel caso di specie, una siffatta azione rientra nella competenza del giudice amministrativo dal momento che il decreto governativo, fino a quando non verrà ratificato da parte del legislatore, conserva una natura di atto regolamentare. Solo dopo la ratifica acquista il conseguente riconoscimento di disposizione legislativa, che è sotto il controllo del Consiglio costituzionale, o a priori cioè prima della sua promulgazione, o a posteriori, dopo la sua entrata in vigore attraverso una «questione preliminare di legittimità costituzionale» dinanzi ai tribunali ordinari o amministrativi.
Nel caso di specie, il Consiglio di Stato, adito in via cautelare, ha respinto i ricorsi dinanzi ad esso con tre decisioni, rispettivamente, la prima, del 16 novembre 2017 (n. 415063), riguardante il decreto n. 2017-1385 del 22 settembre 2017 sul rafforzamento della contrattazione collettiva, la seconda, del 7 dicembre 2017 (n. 415376), riguardante il decreto n. 2017-1386 relativo alla nuova organizzazione del dialogo sociale ed economico, la terza nella stessa data (n. 415243) riguardante il decreto n. 2017-1387 del 22 settembre 2017, sulla prevedibilità delle regole applicabili e sulla certezza del diritto nei rapporti di lavoro. Non era infatti stato soddisfatto il requisito dell’urgenza o perché i previsti decreti attuativi non erano ancora stati promulgati o perché gli argomenti addotti dal sindacato non erano idonei per la legittimità dei decreti stessi.
Atto 6. La leggina di ratifica di decreti del 14 febbraio 2018 — Durante il percorso legislativo di approvazione, i sei decreti «Macron» hanno subito numerose modifiche, da parte dell’Assemblea nazionale o del Senato o del comitato misto (composto da rappresentanti delle due assemblee). Di conseguenza, è solo al termine dei lavori del Parlamento, che si è avuta una versione definitiva della costruzione rappresentata da nuovi testi risultanti da tale riforma.
Atto 7. La decisione del Consiglio Costituzionale sulla costituzionalità delle disposizioni della legge di ratifica dei decreti ha avuto luogo il 21 marzo 2018 (decisione n. 2018-761 DC). Essa ha dichiarato talune disposizioni della legge contrarie alla Costituzione, ha adottato una riserva di interpretazione per altre, e infine ha riconosciuto la costituzionalità del resto delle disposizioni contenuto nell’ atto di rinvio al Consiglio Costituzionale per iniziativa di 60 deputati. Il Consiglio ha affermato di non voler sollevare d’ufficio alcun problema di conformità con la Costituzione e di non volersi pronunciare su altre disposizioni non espressamente esaminate. Chiaramente, ciò significa che le disposizioni della legge di ratifica non sottoposte a controllo a priori, potranno essere oggetto di un controllo a posteriori nel quadro delle «questioni di legittimità costituzionale» (QPC) sollevate dinanzi ai giudici o ai tribunali amministrativi.
Tra gli esempi sfuggiti al controllo, si annovera l’articolo 7 della legge che istituisce un dialogo sociale all’interno di una rete di franchising, e tra le disposizioni dichiarate incostituzionali l’articolo 12, che adegua le norme sui bonus percepiti dai soggetti esposti ad un rischio particolare poiché alle dipendenze di un ente finanziario ed al calcolo delle loro indennità in caso di licenziamento illegittimo.
Atto 8. La legge di ratifica dei sei decreti è stata promulgata il 29 marzo 2018 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica del successivo 31. L’esatta denominazione è «Legge n. 2018-217 del 29 marzo 2018 che ratifica diversi decreti adottati sulla base della legge n. 2017-1340 del 15 settembre 2017, che permetta di adottare con decreto misure per rafforzare il dialogo sociale». Riferimento della pubblicazione: NOR: MTRT1726748L e Internet:
ELI: https://www.legifrance.gouv.fr/eli/loi/2018/3/29/MTRT1726748L/jo/texte
Pseudonimi: https://www.legifrance.gouv.fr/eli/loi/2018/3/29/2018-217/jo/texte
II. I temi principali della riforma «Macron» del diritto del lavoro
A. Una ricerca di efficienza dell’impresa attraverso una «flessicurezza»
Adattamento e vicinanza – La filosofia sulla quale si fonda la riforma è cha la lotta contro la disoccupazione passa attraverso il miglioramento dell’efficienza di tutte le imprese, grandi, piccole e medie o addirittura molto piccole nel contesto di un “modello sociale alla francese”. In questo sistema che si pone come obiettivo di migliorare il profitto delle imprese salvaguardando i diritti dei lavoratori, si ricerca una sorta di “flessisicurezza”. L’idea centrale, come indica lo stesso nome dato alla riforma, è di rinforzare il dialogo sociale, permettendo all’ impresa, attraverso accordi collettivi interni, di adattarsi all’ evoluzione della realtà nella quale opera. Così, infatti, si è espresso il relatore al progetto di legge di ratifica innanzi all’ Assemblea Nazionale, conviene “rendere il livello di vicinanza, dove è più facile adattare le regole […] [al] livello più pertinente per negoziare le norme”. Il diritto del lavoro, in questa prospettiva, è chiamato a favorire un tale adattamento”. Poiché la contrattazione collettiva non è particolarmente facile nelle piccole imprese o nelle imprese molto piccole, in ragione del loro tasso di sindacalizzazione molto basso, l’obiettivo è di promuovere il dialogo sociale interno attraverso la creazione di nuove regole dirette ad ottenere accordi di maggioranza, all’ organizzazione di referendum e alla competenza di altre istanze che il sindacato può negoziare.
Sicurezza per le imprese piccole e molto piccole che devono far fronte al rischio di «dumping» -risultante dalla concorrenza di altre imprese dotate di minor sensibilità sociale, che consentirebbe un eccessivo lassismo negli accordi aziendali - prevede anche il mantenimento delle competenze degli accordi di categoria. Adempiere al suo ruolo di protezione, mediante un sistema di «bloccaggio”, può anche favorire alcuni accordi aziendali e conservare un certo numero di suoi precedenti prerogative. Tali considerazioni spiegano la nuova articolazione di accordi e convenzioni risultanti dai decreti «Macron». Il ministro del Lavoro ha illustrato il ruolo della categoria: «il numero di microimprese e piccole e medie imprese (PMI) nel nostro paese è molto elevato; esse non sono in grado di negoziare tutto al proprio livello, e pertanto sono alla ricerca di punti di riferimento. D’altro canto, vi sono settori in cui, di concerto con le parti sociali, e mi auguro anche con voi, riteniamo che la categoria sia il livello adeguato per le discussioni. Di conseguenza, siamo a favore di una maggiore flessibilità nell’accordo aziendale, rafforzando nel contempo la categoria nel suo ruolo di regolamentazione del suo sviluppo economico e sociale. In breve, il nostro approccio non è l’azienda o la categoria, ma il rafforzamento del dialogo sociale in entrambi i casi».
Flessibilità e sicurezza a favore del datore di lavoro muovono dall’ idea che la «rigidità» e la complessità del diritto del lavoro, oltre alla mancanza di regole prevedibili, costituiscono un «ostacolo all’assunzione»: l’esistenza di una situazione conflittuale accesa esporrebbe le imprese, soprattutto le più piccole — ancora un aggregato di posti di lavoro — al rischio di essere convenute in giudizio dinanzi al Conseil de prud’hommes e condannate al pagamento di indennità elevate, dopo lunghe procedure, spesso dall’esito imprevedibile. Da qui l’istituzione di limiti di indennità in base all’anzianità dei lavoratori vittime di licenziamenti abusivi (art. L. 1235-3 del codice del lavoro). Questa preoccupazione è espressa dal rapporto del governo al Presidente della Repubblica relativa al decreto 2017-1387 per quanto riguarda la prevedibilità e sicurezza dei rapporti di lavoro:
«La presenza di limiti fissati per le indennità e l’individuazione di interessi inderogabili conferiranno certezza e prevedibilità sull’ esito di contenziosi potenziali. Nessun datore di lavoro, in particolare nelle piccole e medie imprese, assume dipendenti con l’intenzione di licenziarli. Ma l’incertezza sul costo di una risoluzione eventuale del rapporto di lavoro può scoraggiare l’assunzione a tempo indeterminato. La presenza di un limite all’indennità e la prevedibilità del costo del licenziamento che ne deriva, permetterà di eliminare tale incertezza, sbloccherà la creazione di posti di lavoro nei nostri paesi nelle imprese molto piccole e medie (...)».
Tecnicamente, tale decreto opera una distinzione in base alle dimensioni delle imprese: si prevede infatti, per quelli con più di dieci dipendenti, un risarcimento, espresso in mesi di retribuzione lorda, in una tabella basata tra un minimo e un massimo tra il primo ed il trentesimo anno; e, per quelle che occupano meno di undici dipendenti di solito si prevede soltanto un’indennità minima, la cui crescita è bloccata a partire dal decimo anno.
La ricerca di condizioni meno formaliste per quanto riguarda la risoluzione del contratto di lavoro si muovono nell’ottica della flessibilità, mentre il codice del lavoro e la giurisprudenza sembrerebbero privilegiare regole di forma pregiudizievoli per la sostanza. Così, il nuovo testo prevede che i motivi enunciati nella lettera di licenziamento possono, dopo la notifica della decisione, essere «specificati» dal datore di lavoro di propria iniziativa o su richiesta del lavoratore. La lettera, così redatta, stabilisce i limiti della controversia per quanto riguarda i motivi del licenziamento. Pertanto, se il lavoratore non ha richiesto precisazioni, la mancanza di motivazione non priva da sé sola il licenziamento di una giusta causa (articolo L. 1235-2 del codice del lavoro). Tale mancanza di motivazione dà, tuttavia, diritto a un’indennità che non può superare un mese di retribuzione (stesso articolo). In assenza di giusta causa, il danno derivante dal difetto di motivazione della lettera è compensato dalla tariffa (art. L. 1235-2 del codice del lavoro). Per quanto riguarda il contratto a tempo determinato, il nuovo testo vieta che l’inadempimento dell’obbligo di trasmissione del presente contratto entro le 48 ore sia sanzionato, come avviene attualmente, per la sua conversione in un contratto a tempo indeterminato (art. L. 1245-1 del codice del lavoro).
La riduzione ad un anno del termine per contestare la fondatezza del licenziamento — per cause individuali o dovuto al dissesto finanziario dell’impresa – si muove nella stessa ottica. In tale contesto, “il licenziamento convenzionale collettivo» (RCC) sancisce la prassi precedente basata sui piani di pensionamento volontario, snellendo le procedure previste dai «Piani di salvaguardia dell’impiego» (PSE). Si discuterà di seguito di tale nuovo regime. La ricerca di semplificazione si estende ulteriormente al contesto convenzionale: la fusione dei vari organi di rappresentanza del personale (Comitato d’impresa (CE), delegati del personale (DP) e il comitato in materia di salute, sicurezza e condizioni di lavoro (CHSCT)) in un unico organismo: il Comitato economico e sociale (CES). Questo processo si accompagna ad una modifica delle regole di conclusione e revisione degli accordi collettivi.
Il «conto personale in difficoltà» stabilito in precedenza è stato considerato dai datori di lavoro come troppo complesso da attuare in ragione dei numerosi elementi da segnalare. Il «decreto n. 2017-1389 relativo alla prevenzione e alla considerazione degli effetti dell’esposizione a fattori di rischio professionale e non professionale», con il suo decreto di attuazione del 27 dicembre 2017 esclude quattro di questi fattori dall’obbligo di segnalazione: essi sono quelli relativi alle limitazioni fisiche «considerevoli»: movimentazione manuale di carichi; posizione scomoda delle articolazioni; vibrazioni meccaniche ed esposizione ad agenti chimici pericolosi. I quattro rischi di disagio scartati dal “CPP” sono stati reintegrati in un meccanismo di pensionamento anticipato. Il Ministro del Lavoro, Muriel Pénicaud, ha spiegato come segue le ragioni del cambiamento: «Vi sono dieci criteri. I primi sei funzionato bene, essi non sono soppressi. I tre criteri ergonomici e di rischio chimico erano impossibili da considerare nelle piccole imprese perché avrebbero richiesto di monitorare ogni singola postura del lavoratore. Un vero e proprio groviglio inestricabile, e, anche se i principi non sono rimessi in questione; alcuni rischi professionali sono una fonte di disuguaglianze sanitarie. Per i tre rischi i cui effetti si osservano rapidamente, l’esame medico consentirà a decina di migliaia di persone di andare in pensione fin da subito. Abbiamo trasformato un diritto formale che non funzionava in un diritto effettivo.» (Senato, seduta del 24 gennaio 2018).
La sicurezza per i lavoratori passa attraverso varie misure contenute nel decreto n. 2017-1387 sulla certezza del diritto e la prevedibilità dei rapporti di lavoro.
In primo luogo, lo zoccolo duro rappresentato dalla tutela dell’ordine pubblico e del controllo consentito all’ azienda in alcuni settori.
In secondo luogo, l’aumento dell’importo dell’indennità di licenziamento, elevato al tasso del 25 %, ora si applica ai dipendenti con almeno otto mesi di anzianità.
Infine, secondo i limiti imposti alle indennità per licenziamento abusivo, l’istituzione di un piano di compensazione che tenga conto delle dimensioni dell’impresa e dell’anzianità del lavoratore assicura un’indennità minima. La relazione presentata al Presidente della Repubblica relativo al decreto 2017-1387 stabilisce che questi limiti «permetteranno di garantire una maggiore equità per i dipendenti, che per un danno equivalente, ricevono nel nuovo sistema il risarcimento del danno da uno a tre o a quattro volte superiore, a seconda della valutazione del giudice adito. I massimali sono stati determinati tenendo conto della media registrata negli ultimi anni. Delle forme di compensazione sono garantite anche ai dipendenti il cui pregiudizio è stato riconosciuto, compresi quelli con meno di due anni di anzianità e quelli assunti in imprese con meno di 11 dipendenti, attualmente esclusi dalla compensazione».
In ogni caso, i limiti cessano di applicarsi a tutte le imprese, qualora il licenziamento sia viziato da nullità per violazione di una libertà fondamentale, o conseguente a atti di molestia psicologica o sessuale, o a una forma di discriminazione o alla violazione dello status di dipendente protetto (articolo L. 1235-3-1).
Il diritto al telelavoro è pianificato e regolamentato (si veda di seguito).
La priorità in caso di riassunzione con contratto a tempo indeterminato è offerta, se prevista dal contratto o dall’ accordo collettivo, per il lavoratore licenziato in seguito ad un contratto di cantiere di costruzione o di una transazione (articolo L. 1236-9).
Congedi di mobilità possono essere proposti da un datore di lavoro in forza di un accordo per licenziamento collettivo convenzionale o nelle imprese che hanno stipulato un contratto collettivo di lavoro concernente la gestione dei posti di lavoro e delle competenze (articolo L. 1237-18).
Sul piano collettivo, il Comitato economico e sociale ha ereditato il diritto di allerta, preventivamente devoluto al comitato sull’ igiene, sulla sicurezza e sulle condizioni di lavoro e sulla salute. E’ stata istituita una formazione obbligatoria sulla salute e sicurezza nel luogo di lavoro per tutti i membri del Comitato economico e sociale.
B. Alcuni aspetti della riforma «Macron» che interessano le relazioni di lavoro sia collettive sia istituzionali.
1. Verso un «codice del lavoro»
Il principio di accesso al diritto del lavoro. — La relazione presentata al Presidente della Repubblica relativa al decreto n. 2017-1387 del 22 settembre 2017,sulla prevedibilità e la certezza del diritto nei rapporti di lavoro comprende gli sviluppi digitali nelle «soluzioni pragmatiche per microimprese e PMI» che saranno adottati per garantire i rapporti di lavoro: «Si deve avere accesso a un diritto del lavoro digitale chiaro, accessibile e comprensibile, che risponda a questioni concrete, sollevate dagli imprenditori e dai lavoratori, in particolare nelle piccole imprese. Essi saranno accessibili alle persone con disabilità».
Il capo 1 del titolo 1 del decreto, intitolato «Accesso al diritto del lavoro ed alle disposizioni legali e convenzionali digitali», contiene un articolo 1, secondo cui tale dispositivo destinato a essere introdotto entro e non oltre il 1º gennaio 2020, “in risposta a una richiesta di un datore di lavoro o un dipendente sulla sua situazione giuridica, permette di accedere alle disposizioni normative e convenzionali applicabili al caso di specie. L’accesso a tale dispositivo è gratuito, attraverso il servizio pubblico di diffusione del diritto tramite Internet». Il sistema è importante perché “il datore di lavoro o il dipendente che si basa sulle informazioni ottenute attraverso il «codice del lavoro digitale», in caso di controversia, si presume in buona fede».
Limitare l’accesso ai contratti collettivi. — La pubblicità di diversi contratti collettivi è stata organizzata dalla legge «Lavoro», 8 agosto 2016. Ha creato un nuovo articolo L. 2231-5-1 del codice del lavoro, di cui il primo comma stabilisce quanto segue: «Le convenzioni e gli accordi di azienda, di gruppo, tra imprese, tra imprese e stabilimenti sono resi pubblici e trasfusi in una banca dati nazionale, il cui contenuto è pubblicato online in un formato standard aperto easily-usable». La stessa legge prevede, all’art. L. 2232-9, che la commissione paritaria permanente preposta ai negoziati ed all’interpretazione “elabori una relazione annuale di attività da versare nella banca dati nazionale».
La legge di ratifica dei decreti modifica l’art. L. 2251-5-1, prevedendo, in primo luogo, che le convenzioni e gli accordi di gruppo, tra imprese, impresa o istituzione «siano pubblicati in una versione non contenente nomi e cognomi di negoziatori e firmatari»; in secondo luogo, che «Il datore di lavoro può celare gli interessi strategici della società»; infine, determinati tipi di accordi, come quelli relativi alla «partecipazione agli utili non sono oggetto di pubblicazione».
2. Una nuova articolazione delle norme interne di diritto del lavoro
Le norme in questione riguardano il rapporto tra legislazione (legge e regolamento), l’accordo aziendale o di un livello superiore, l’accordo di impresa e l’ accordo di stabilimento, il contratto di lavoro.
Già la legge n. 2008-789, del 20 agosto 2008, ha introdotto la possibilità per l’accordo aziendale o di stabilimento di derogare agli accordi di categoria. Così, secondo l’art. L. 3121-11, comma 1, del codice del lavoro, redatto dopo l’emanazione di tale legge, il lavoro straordinario è stato contingentato nel limite annuo, fissato da una convenzione o da un contratto collettivo o di impresa o di stabilimento o, in mancanza di questa, da una convenzione o un accordo di categoria. La Corte di cassazione ha concluso che tali disposizioni permettono ad un accordo di impresa di contingentare le ore di lavoro straordinario entro un limite diverso da quello previsto dall’accordo di categoria, indipendentemente dalla data della sua conclusione (Cass. SOC. 1º marzo 2017, ricorso n. 16-10047, FS-P + B + R + I).
La legge “Lavoro”, nota anche come «El Khomri», in data 8 agosto 2016, ha attuato le raccomandazioni della relazione Jean-Denis Combrexelle (http://www.gouvernement.fr/partage/5179-rapport-la-negociation-collective-le-travail-et-l-emploi-de-jean-denis-combrexelle), modificando la struttura del codice del lavoro in materia di orario di lavoro. Si distinguono attualmente tre livelli di norme: 1º/quelle di «ordine pubblico»; 2/quelle che rientrano nell’ambito della «contrattazione collettiva»; infine, 3º/quelle di natura legislativa, dette suppletive, che si applicano in mancanza di accordo collettivo.
Se, ad esempio, l’equiparazione di determinati periodi di tempo di lavoro effettivo per l’acquisizione delle ferie annuali retribuite è una questione di ordine pubblico (articolo L. 3141-5 del codice del lavoro), la fissazione del periodo di riferimento per la maturazione delle ferie è riservata alla contrattazione (articolo L. 3141-10); e in assenza di un accordo collettivo, il periodo di riferimento è fissato in modo suppletivo dal 1° al 31 maggio (art. L. 3141-11 e R. 3141-4). In breve, non si tratta di una questione di «deroga» alla legge da parte dell’accordo ma di “sostituzione alla stessa”.
I decreti «Macron» del settembre 2017 inscrivono tale idea in tale contesto, ampliando l’ambito della contrattazione collettiva in sé. Ma intendono anche chiarire il rapporto tra queste diverse norme in materia di diritto del lavoro e cioè la legge o regolamento, l’accordo di categoria, accordo aziendale e contratto di lavoro.
a. Il rapporto tra il diritto e la norma convenzionale
Il principio è che la convenzione o l’accordo non possa derogare alle disposizioni legislative di ordine pubblico (articolo L. 2251-1 del codice del lavoro). Al contrario, essi possono contenere disposizioni più favorevoli ai lavoratori rispetto alle disposizioni di legge in vigore (nello stesso articolo).
b. Il legame tra l’accordo di settore e l’accordo su un livello più elevato: scomparsa del «principio delle norme più favorevoli» salvo «blocco»
Il codice del lavoro dispone già da tempo che un accordo di categoria o un accordo professionale o interprofessionale possa contenere disposizioni meno favorevoli ai lavoratori rispetto a quelli loro applicabili in virtù di un accordo che copre un ambito di applicazione territoriale o professionale più esteso, a meno che questa convenzione o accordo stabilisca espressamente un ‘inderogabilità totale o parziale’ (articolo L. 2252-1, punto 1).
Qualora esista una convenzione od un accordo di livello superiore a quello stipulato, le parti adattano le disposizioni meno favorevoli convenute nell’ accordo anteriore, se una clausola della convenzione o dell’accordo di livello superiore lo prevedano espressamente (art. L. 2252-1, punto 2)
c. Le relazioni tra accordo di settore e accordo di livello superiore: una distribuzione dei campi, tre blocchi»
Definizioni. Salvo diverse disposizioni, i termini “convenzioni settoriali” designano il contratto collettivo, gli accordi di categoria, gli accordi interprofessionali e gli accordi intercompartimentali (art. L. 2232-5, punto 2). Analogamente, salvo disposizione contraria, i termini “convenzione di impresa” designano ogni accordo o convenzione conclusa sia a livello di impresa o a livello di stabilimento (art. L. 2232-11, punto 2).
Necessità di un «chiarimento». «La relazione attuale tra accordo di categoria e accordo di azienda è complessa e poco chiara in tutti i settori oggetto di contrattazione. Ora, come ho già detto, la complessità non favorisce il dialogo sociale. Ed è per questa ragione che noi desideriamo chiarire ciò che appartiene alla categoria e ciò che appartiene all’azienda» (Muriel Pénicaud, ministro del lavoro, commissione per gli affari sociali dell’Assemblea nazionale, martedì 4 luglio 2017).
Ruolo del categoria. Secondo l ’articolo L. 2132-5-1, come modificato dal decreto n. 2017-1385, del 22 settembre 2017 (art. 1) «la categoria ha come obiettivo: 1º Definire le condizioni di impiego e di lavoro dei lavoratori dipendenti e le garanzie applicabili nelle materie di cui agli articoli L. 2253-1 e L. 2253-2 alle condizioni stabilite in detti articoli [v. infra]; 2º Disciplinare la concorrenza tra imprese che operano nel settore inciso».
Questo ruolo normativo è esercitato attraverso due strumenti «La Commissione Paritaria Permanente di Contrattazione e di Intervento» (CPPNI) e le «convenzioni tipo di categoria».
La CPPNI è disciplinata dall’art. L. 2232-9 del codice del lavoro, come modificato dalla legge «Lavoro» n. 2016-1088 in data 8 agosto 2016. Istituita da accordo o convenzione in ogni categoria, essa assolve «compiti di pubblico interesse»: Rappresenta la categoria, in particolare a sostegno delle imprese nei confronti delle autorità pubbliche; 2º Svolge un ruolo di sorveglianza sulle condizioni di lavoro e sull’occupazione; 3º Elabora una relazione annuale di attività, che viene inserita nella banca dati nazionale. Questa relazione include l’analisi di contratti collettivi conclusi, in particolare riguarda l’impatto di questi accordi sulle condizioni di lavoro per i dipendenti e sulla concorrenza tra le imprese del settore. La Commissione formula, se necessario, raccomandazioni per affrontare i problemi emersi.
Un altro aspetto interessante per operatori del diritto: il «CPPNI può emettere un parere su richiesta di giudici sull’interpretazione di un contratto o di un accordo collettivo alle condizioni di cui all’articolo L. 441-1 del codice dell’organizzazione giudiziaria».
L’«accordo tipo di settore» per le imprese con meno di 50 dipendenti: una funzione educativa: sicuri per le piccole imprese (v. Michel Morand, Le convenzioni tipo, Lamy social, 20 febbraio 2017, n. 1757). Questo era il dispositivo dell’articolo 63 della legge Lavoro dell’8 agosto 2016 che istituisce un articolo L. 2232-10-1 del codice del lavoro che così dispone: «un accordo di settore esteso può contenere, se del caso, sotto forma di accordo standard disposizioni specifiche per le imprese con meno di cinquanta dipendenti. Queste disposizioni specifiche possono coprire tutti i contratti di cui al presente codice.
Il datore di lavoro può applicare questo accordo tipo mediante un documento unilaterale che indica le scelte operate dopo avere informato con ogni mezzo. Il decreto n.2017-1385 ha modificato questo testo, sopprimendo la parola “esteso”, che ampliava il campo di applicazione dell’accordo tipo. Come ha osservato un autore (si vedano Morand precitato) è un « meccanismo duplice (categoria e decisione del datore di lavoro)».
Inoltre, il decreto n. 2017-1 385 ha inserito un altro articolo del codice del lavoro (L. 2261-23-1) specifico per le piccole imprese, un nuovo comma che precisa: «Al fine di essere estesi, la convenzione di categoria o l’accordo professionale, comportano, per le imprese con meno di cinquanta dipendenti, delle disposizioni specifiche di cui all’articolo L. 2232-10-1».
Una ripartizione delle superfici in tre blocchi
Il campo di applicazione conferito dalla legge all’ accordo di settore consiste in due blocchi separati. Un terzo blocco attribuisce tutti gli altri settori all’ accordo aziendale, sottraendoli all’ accordo di settore.
1º il primo blocco di competenza: primato dell’accordo di settore nel campo ad esso riservato
L’accordo di categoria si vede qui attribuire dalla legge un settore di competenza delimitato nel quale esso prevale in modo imperativo e sistematico sull’ accordo di impresa.
Ai sensi dell’articolo L. 2253-1 del codice del lavoro, modificato dal decreto n. 2017-1718 del 20 dicembre 2017 e dalla commissione mista paritaria, l’accordo di settore «stabilisce le condizioni di impiego e di lavoro dei lavoratori subordinati», in particolare le «garanzie» ad essi applicabili, nelle 13 materie che seguono:
1º Le retribuzioni minime;
2º L’inquadramento;
3º La messa in comune di finanziamenti di integrazione della dimensione di genere;
4º La messa in comune dei fondi di formazione professionale;
5º La le garanzie collettive complementari di cui all’articolo L. 912-1 del Codice della previdenza sociale;
6º Quattro misure relative all’orario di lavoro e alla sua distribuzione e gestione, vale a dire: definizione di equivalenza, orario di lavoro su un periodo di durata superiore a una settimana, definizione dei lavoratori notturni, fissazione del periodo di riferimento per l’annualizzazione dell’orario di lavoro.
7° Talune misure relative ai contratti a tempo determinato e al lavoro temporaneo;
8º Le misure relative al lavoro a durata indeterminata nei cantieri (compresa la definizione delle condizioni alle quali è possibile fare ricorso a un contratto di questo tipo);
9º L’uguaglianza professionale tra donne e uomini;
10º Le condizioni e la durata della proroga del periodo di prova;
11° Le modalità di gestione dei contratti tra due società, quando non sussistono le condizioni per l’applicazione della normativa sul trasferimento di azienda;
12º La causa della messa a disposizione di lavoratori interinali presso un’impresa utilizzatrice;
13º La remunerazione minima del lavoratore «aumentato» , come pure il livello della compensazione per la fornitura nel caso di cui agli articoli L. 1254-2 e L. 1254-9 del codice del lavoro.
Nei settori elencati, le clausole della convenzione di settore prevalgono su quelle della convenzione di impresa concluse anteriormente o posteriormente alla data dello loro entrata in vigore. L’accordo di impresa è dunque tenuto a rispettarle, a meno che non intenda introdurre delle diposizioni più favorevoli o se la convenzione d’impresa assicura delle «garanzie almeno equivalenti».
Tale equivalenza delle garanzie è valutata con riferimento alle garanzie relative alla stessa materia.
2º secondo blocco di competenze: prevalenza dell’accordo di settore per quattro materie se l’inderogabilità è espressamente dichiarata.
L’articolo L. 2253-2 del codice del lavoro modificato con decreto n. 2017-1385 del 22 settembre 2017 e n. 2017-1718 del 20 dicembre 2017, e dalla commissione mista paritaria prevede in effetti che nelle altre quattro materie, “ quando l’accordo di settore o l’accordo che preveda un campo territoriale o professionale più ampio lo disponga espressamente, la convenzione a livello aziendale conclusa posteriormente a questa convenzione o a quest’accordo non può introdurre delle clausole equivalenti a quelle che sono applicabili in virtu’ di questa convenzione, ad eccezione del caso in cui la convenzione a livello aziendale assicuri delle garanzie almeno equivalenti”. Si tratta dei settori seguenti:
1º La prevenzione degli effetti dell’esposizione a certi fattori di rischio professionali;
2º L’inserimento nell’impresa ed il mantenimento dei lavoratori disabili;
3º L’effettivo a partire dal quale i delegati sindacali possono essere designati, il loro numero, la loro valorizzazione nel percorso sindacale;
4º I premi per i lavori pericolosi o nocivi per la salute.
Effetti nel tempo della clausola di inderogabilità. — Il decreto n. 2017-1385, modificato dalla legge di ratifica risponde come segue, al suo articolo 16, quanto alla questione se, nelle materie di cui all’art. L. 2253-2 del codice del lavoro, le clausole delle convenzioni, degli accordi di settore e degli accordi, che prevedono un più ampio ambito di applicazione territoriale o professionale e che impediscono la continuazione degli effetti delle clausole derogatorie nelle convenzioni o accordi di impresa o stabilimento. La risposta è positiva ma alle seguenti condizioni: «se una clausola addizionale conferma, prima del 1º gennaio 2019, la portata di tali clausole riguardo alla convenzione o all’ accordo a livello aziendale o di stabilimento». Il testo precisa che le clausole contrattuali che confermano tali disposizioni si applicano agli accordi estesi.
Il decreto aggiunge che la risposta è la stessa per le clausole degli accordi e degli accordi settoriali, degli accordi professionali e gli accordi intersettoriali di cui all’articolo 45 della legge del 4 maggio 2004. Il presente articolo abrogato dal decreto, prevedeva in effetti che: «Il valore nella gerarchia delle norme riconosciuto dai firmatari di accordi conclusi prima dell’entrata in vigore di tale legge rimangono vincolanti per gli accordi di livello inferiore».
Il Consiglio costituzionale ha approvato tale applicazione immediata per le ragioni che saranno esposte qui di seguito.
3º terzo blocco: primato dell’accordo per «altre materie».
Nelle materie non riservate come sopra all’ accordo di settore, il principio è quello della prevalenza dell’accordo di impresa (articolo L. 2253 alle 3, decreti 2017 - 1385 e dalle 2017- 1718): «Nelle materie diverse da quelle menzionate negli articoli L. 2253-1 e L. 2253-2, le disposizioni dell’accordo d’impresa concluso prima o dopo la data di entrata in vigore dell’accordo di settore prevalgono su quelle che hanno lo stesso oggetto previsto dalla stessa convenzione di settore. In mancanza di un accordo di impresa, si applica il contratto di categoria.»
Di conseguenza, è solo in mancanza di tale accordo che si applica la convenzione di categoria o un accordo, che copre un ambito di applicazione territoriale o professionale più esteso.
Per esempio, l’orario di lavoro, periodi di riposo e congedo straordinario di maggiorazione (già riservati all’accordo dalla legge «di lavoro» dell’8 agosto 2016), l’importo delle indennità di licenziamento, la controprestazione pecuniaria per la clausola di non concorrenza devono essere disciplinati dal preminente accordo aziendale.
Cumulo di disposizioni favorevoli. — L’art. L. 2253-3, così come formulato, limita la prevalenza dell’accordo aziendale all’ipotesi in cui abbia il «medesimo oggetto» dell’accordo di categoria. Pertanto, si può concludere che i vantaggi concessi da uno e l’altro possono essere combinati, quando non riguardino lo stesso oggetto.
Applicazione nel tempo del «blocco 3». — L’articolo 16, sezione IV, del decreto n. 2017-1385, modificato dalla legge di ratifica stabilisce che «ai sensi dell’art. L. 2253-3 del codice del lavoro nella versione di cui al presente decreto, le clausole degli accordi di categoria e gli accordi che coprano un più ampio ambito territoriale o ambito professionale, indipendentemente dalla data di conclusione, cessano di avere effetto nei confronti degli accordi di azienda a decorrere dal 1º gennaio 2018». L’attribuzione di questo settore alla competenza dell’accordo aziendale opera dunque con effetto immediato.
Tale immediatezza è stata oggetto di critiche nella dottrina, l’autore si rammarica per l’assenza di qualsiasi attenzione all’ autonomia collettiva, «la determinazione ad agire rapidamente e ad attribuire un’evoluzione sorprendente delle condizioni degli accordi collettivi nelle imprese ha avuto la meglio sull’ attenzione dedicata alla produzione negoziale antecedente.» (Cécile Nicod 2018, cit.).
La costituzionalità dell’applicazione immediata delle regole che ripartiscono le competenze tra i tre blocchi di materie.-- Il Consiglio costituzionale ha ritenuto conformi alla Costituzione e alle condizioni di applicazione nel tempo le disposizioni dei tre blocchi di materie, nelle quali prevale il contratto collettivo (2018-761 DC). Coloro che hanno promosso il giudizio innanzi al Consiglio Costituzionale rimproveravano al decreto di recare pregiudizio alla libertà contrattuale e al diritto al mantenimento dei contratti legittimamente conclusi. La loro obiezione è stata respinta dal Consiglio Costituzionale con la motivazione che il legislatore ha inteso «garantire la certezza giuridica delle norme convenzionali, in materia di diritto del lavoro, evitando la coesistenza di regole sulla prevalenza basate sulla data di conclusione degli accordi», che «un motivo d’interesse generale giustifica il pregiudizio recato agli accordi ed alle convenzioni in corso» e che «inoltre, nelle materie di cui all’art. L. 2253-2 del codice del lavoro [2], il legislatore ha reso possibile per le parti sociali di mantenere, mediante clausole addizionali, il regime della prevalenza, anteriormente stabilito da accordi di settore o convenzioni di un livello superiore. » (considerando 21).
Tre domande:
I decreti «Macron» ribaltano la gerarchia delle norme?
A sostegno di tale affermazione, è stato sostenuto che tali decreti conducevano alla primazia dell’ accordo aziendale sulla legge, sulla convenzione di settore e sul contratto di lavoro. Si è guardato oltre e si è constatato che la legge è divenuta largamente suppletiva, che il perimetro dell’ accordo di categoria si è ristretto e che l’ accordo di prestazione collettiva prevale sul contratto di lavoro. Ma per il ministro del Lavoro, Muriel Pénicaud (audizione da parte della commissione per gli affari sociali dell’Assemblea nazionale, del 4 luglio 2017), una tale affermazione è inesatta: «(...) il progetto non comporta l’inversione della gerarchia delle norme. La legge rimane la base essenziale dei diritti e degli obblighi che si applicano a tutti i cittadini e sono di rango legislativo le regole generali del codice del lavoro, che disciplinano i poteri delle parti e stabiliscono le relazioni di lavoro tra lavoratori e datori di lavoro, tenendo presenti i parametri della giustizia, tutela ed efficienza. Tuttavia, tale codice non conosce esattamente cosa succede ogni giorno in Francia in milioni di imprese che impiegano dipendenti. Ed è per questo che la relazione tra l’impresa e la categoria è così importante». A tale impostazione è stato obiettato che il decreto generalizzava l’inversione della gerarchia delle norme, poiché la primazia dell’accordo di azienda diveniva la regola, l’accordo di categoria, non conservava, in via di eccezione, che tre campi di applicazione. (sig. Dominique Watrin, Senato, seduta del 23 gennaio 2018).
In realtà, è a mio parere possibile ritenere che i decreti siano parte di un più ampio processo di legittimazione e promozione del diritto del lavoro di origine convenzionale: questo processo ha portato a decentrare la norma, per spostare la legge verso il contratto collettivo, e l’accordo di settore verso l’impresa, e, dall’altro, ad aumentarne la potenza rispetto al contratto di lavoro.
La nuova articolazione delle norme comporterà una forma di concorrenza sociale tra imprese dello stesso settore?
Secondo sig. Milon, relatore dei decreti davanti al Senato “questa riforma non porterà a una concorrenza sleale tra imprese dello stesso settore, poiché, se un accordo aziendale sconfina in settori contemplati da accordi di categoria, esso si applicherà solo se assicura ai dipendenti garanzie almeno equivalenti a quelle stabilite al livello di categoria»
Qual è il rapporto tra «principio delle norme più favorevoli» è garanzie equivalenti»?
Il principio delle norme più favorevoli sussiste, ma il suo campo d’applicazione è ridotto. — Per il Consiglio Costituzionale, il principio secondo il quale la legge non consente ai contratti collettivi di lavoro di derogare a disposizioni legislative e regolamentari o accordi di più ampia portata rispetto a quelli non dipendenti da alcuna disposizione di legge prima della costituzione del 1946 non può, quindi, essere considerato come un principio fondamentale riconosciuto dal diritto della Repubblica conformemente al preambolo della Costituzione del 1946. Il principio è quindi una norma costituzionale, legislativa e non legislativa, che il legislatore non può violare (decisione n. 2004-494 DC, del 29 aprile 2004, legge relativa alla formazione professionale, l’apprendimento permanente e il dialogo sociale; Decisione n. 2002-465 DC del 13 gennaio 2003, legge in materia di salari, orario di lavoro e lo sviluppo dell’occupazione).
I decreti per i mesi di settembre e di dicembre 2017 non sono state soppressi, tale principio figura nell’art. L. 2251-1 del codice del lavoro per il rapporto tra legge e contratto collettivo, gli articoli L. 2253-1 e L. 2253-2 per quanto riguarda l’articolazione tra l’accordo settoriale e l’accordo d’impresa all’art. L. 2254-1, infine, per quanto riguarda il rapporto tra il contratto collettivo e il contratto di lavoro.
Ma la sua portata è risultata ridotta su vari fronti. In primo luogo, un contratto nazionale di categoria o accordo professionale o interprofessionale può contenere disposizioni meno favorevoli ai lavoratori rispetto a quelle loro applicabili in virtù di un accordo che copre un ambito di applicazione territoriale più esteso o professionale, a meno che la presente convenzione o accordo stabilisca espressamente che esso può derogare interamente o in parte (L. 2252-1). D’altro canto, per quelle questioni che rientrano nel «campo 3», le condizioni dell’accordo aziendale, concluso prima o dopo la data di entrata in vigore della convenzione o accordo o con un più ampio ambito di applicazione territoriale, prevalgono sulle stesse finalità previste dall’accordo o convenzione aziendale che copre un ambito di applicazione territoriale o professionale più esteso (L. 2252-3).
Il concetto di «garanzie equivalenti» è comprensibile? — Questo concetto permette all’ accordo aziendale di invadere il settore riservato all’ accordo di categoria, quando si tratta di derogare a quest’ultimo, applicando delle “garanzie almeno equivalenti”. Resta inteso che se tali garanzie sono più ampie, esse rientreranno nel principio del favor. Di contro, il concetto di «equivalenza» delle garanzie è più difficile da definire. È comprensibile che, inizialmente, essa dovrebbe essere analizzata come una clausola di non regressione. Un’ulteriore informazione è fornita dagli articoli L. 2253-1 e L. 2253-2, ai sensi del quale essa «è valutata insieme alle garanzie della stessa materia». Pertanto, il Consiglio Costituzionale ha deciso che esso non viola il valore costituzionale dell’accessibilità e della comprensibilità della legge (fascicolo 2018-761 DC, cit.).
Il Consiglio di Stato ha statuito, nel medesimo senso, rilevando che gli articoli summenzionati mirano a garantire che l’accordo aziendale non sia “meno favorevole rispetto alla convenzione per i lavoratori dipendenti”. (Consiglio di Stato, ordinanza cautelare del 16 novembre 2017, Confederazione generale del lavoro, n. 415063).
d. Il rapporto tra il contratto collettivo e il contratto di lavoro: primato degli “ accordi di rendimento collettivo”
Riduzione dell’ambito del contratto di lavoro- Il principio è che «salvo diversa disposizione di legge, il contratto collettivo non può modificare il contratto di lavoro di un dipendente, solo le disposizioni più favorevoli del contratto collettivo possono sostituirsi alle clausole contrattuali» (Cass. SOC, 25 febbraio 2003, n. 01-40588, 2003, Bollettino civile V, n. 64; 7 dicembre 2017, n. 16-15109 e 16-15110).
Da questo punto di vista, soltanto il «principio delle norme più favorevoli» consente ad un accordo collettivo di contrastare con il contratto di lavoro.
Tuttavia, la conclusione di determinati accordi collettivi, ora confluiti nell’ambito di un sistema giuridico mediante il decreto n. 2017-1387 «Macron» sotto il nome di “accordi di prestazione collettiva” permetteva al datore di lavoro di superare la resistenza dei lavoratori al cambiamento del loro contratto di lavoro. Questi accordi traducono la volontà del legislatore di conferire un valore superiore alla norma collettiva, qualora ciò sembri essere attuato nell’interesse dell’impresa.
Semplificazione e facilitazione di accordi che costituiscono «accordi di prestazione collettiva» — Prima dei decreti «Macron» del settembre 2017, esisteva la possibilità per il datore di lavoro di concludere una serie di cinque diversi accordi che avevano in comune il fatto di consentire il licenziamento dei dipendenti per «ragione specifica», se questi ultimi ne rifiutassero l’applicazione nei loro confronti.
— accordi di riduzione dell’orario di lavoro, istituiti con la legge n. 2000-37 del 19 gennaio 2000, relativa alla riduzione negoziata dell’orario di lavoro (c.d. legge «Aubry II» o «35 ore»),
— organizzazione dell’orario di lavoro su un periodo di durata superiore a una settimana, introdotto dalla legge n. 2008-789 del 20 agosto 2008, di riforma della democrazia sociale e dell’orario di lavoro;
— accordi interni di mobilità professionale o territoriale dei lavoratori nel contesto di misure di organizzazione collettiva del progetto comune senza riduzione di personale, istituito con la legge n. 2013-504 del 14 giugno 2013 sulla sicurezza dell’impiego,
— accordi volti a mantenere l’occupazione, istituiti con legge n. 2013 che consente ad un’impresa di fronte a difficoltà congiunturali gravi di conservare temporaneamente posti di lavoro attraverso una diversificazione dei tempi di lavoro, delle sue modalità di organizzazione e di remunerazione;
— accordi in vista della conservazione o dello sviluppo dell’impiego, istituiti con la stessa legge n. 2016-1008 in data 8 agosto 2016, elaborata a seguito della diagnosi condivisa tra datore di lavoro e le organizzazioni sindacali, le cui disposizioni si sostituiscono di diritto alle clausole contrarie e incompatibili del contratto di lavoro, compresa in materia di remunerazione e di durata del lavoro.
Il decreto n. 2017-1385 del 22 settembre 2017, modificato dal legislatore ha cercato di uniformare e semplificare tali dispositivi. Ai sensi del nuovo art. L. Codice del lavoro 2254-2.-I, pertanto, è ormai possibile concludere un accordo aziendale unico, qualificato come «accordo di rendimento collettivo», destinato a «soddisfare le esigenze connesse al funzionamento dell’impresa o a preservare o creare posti di lavoro». L’accordo di «flessicurezza» può, testualmente:
- ripartire la durata del lavoro, la sua organizzazione e distribuzione;
- adeguare la remunerazione secondo il salario minimo della gerarchia;
- determinare le condizioni di una mobilità geografica o professionale nell’ambito dell’impresa.
Caratteristiche del nuovo accordo. Il rendimento collettivo costituisce oggetto di un accordo di maggioranza, sia a tempo determinato o a tempo indeterminato. Esso deve contenere un preambolo, che illustra i suoi obiettivi e può specificare in particolare: le modalità di informazione dei lavoratori in merito alla sua applicazione e monitoraggio per tutta la sua durata e, se del caso, l’esame della situazione dei lavoratori per il periodo di validità dell’accordo; come conciliare la vita professionale e la vita personale e familiare dei lavoratori; come sostenere i lavoratori, nonché il finanziamento di un conto personale per la formazione, superiore all’importo minimo definito per decreto (L.2254-2,II)
Motivazione del ricorso alle APC- Il precedente contratto di conservazione dell’impiego non poteva essere concluso se non in caso di «gravi difficoltà congiunturali dell’impresa». D’altro canto, l’accordo per la conservazione o lo sviluppo di occupazione potrebbe essere semplicemente concluso dopo la trasmissione ai lavoratori di tutte le informazioni necessarie per l’elaborazione di una «diagnosi comune» tra il datore di lavoro e il lavoratore. Il nuovo “accordo di rendimento collettivo” deve essere concluso per «soddisfare le esigenze connesse al funzionamento dell’impresa o a preservare o creare posti di lavoro» (L. 2254-2 (I). Il Consiglio costituzionale ha chiarito che «il legislatore ha inteso permettere alle imprese di adeguare la loro organizzazione per garantire la loro sopravvivenza a lungo termine ed il loro sviluppo» (decisione 2018-761 DC del 21 marzo 2018, punto 27).
Effetti dell’APC. III — Ai sensi dell’art. L. 2254-2 “Le disposizioni dell’accordo si sostituiscono automaticamente alle clausole contrarie e incompatibili del contratto di lavoro, compresa la materia della retribuzione, della durata dell’attività lavorativa e della mobilità dei lavoratori»
Il lavoratore ha il diritto di rifiutare la modifica del suo contratto risultante dall’applicazione dell’accordo, ma, in tal caso, il datore di lavoro dispone di un periodo di due mesi a decorrere dalla notifica di tale rifiuto per avviare una procedura di licenziamento. Unificando le norme dei quattro accordi precedenti, il decreto prevede che il licenziamento «si basa su un motivo specifico che ne costituisce una causa seria e reale». Tale precisazione evita che si ricada nella fattispecie di licenziamento per causa di dissesto finanziario e nei conseguenti obblighi per il datore di lavoro.
Il lavoratore può iscriversi come persona in cerca di lavoro dopo il licenziamento e beneficiare di un’indennità di disoccupazione.
Una particolare applicazione di «APC») per la tariffa forfettaria annuale in giorni.- I parlamentari durante il dibattito sul progetto di legge di ratifica del decreto n. 2017-1385 hanno completato il testo dell’art. L. 2254-2, II, decidendo che l’ accordo di rendimento collettivo potrebbe modificare il forfait annuale , e che se lo facesse il regime giuridico di tale forma di organizzazione dell’orario di lavoro di cui agli articoli L. Da 3121-53 a L. 66-3121, si applicherebbe. Tuttavia è stata fatta un’eccezione in caso di semplice modifica del forfait da parte dell’ APC, di due articoli riguardanti, il primo la necessità dell’ accordo del dipendente e di una convenzione individuale volta a determinare il forfait, stabilita per iscritto (L. 3121-55), in secondo luogo, la determinazione per accordo delle principali caratteristiche delle convenzioni individuali, che devono specificare il numero di ore o giorni del forfait (L. 3121-64, I, 5º).
Lo stesso articolo L. 2254-2, II, aggiunge che «Quando l’accordo modifica una tariffa annuale, l’accettazione della domanda del dipendente ai sensi del III e IV del presente articolo comporta automaticamente l’applicazione delle disposizioni della convenzione relative alla tassa annuale».
Non sono tuttavia definite le conseguenze per il lavoratore nel caso di semplice modifica.
Conformità dell’accordo di rendimento collettivo con la Costituzione, e il diritto al ricorso dei lavoratori. — Secondo gli autori del rinvio al Consiglio Costituzionale, le disposizioni che istituiscono l’APC violerebbero la libertà contrattuale, autorizzando la modifica irrevocabile del contratto, a pena di licenziamento per «soddisfare le esigenze connesse al funzionamento dell’impresa». A causa della sua imprecisione tale giustificazione non può costituire un valido motivo di interesse generale. Ne deriverebbe anche una violazione del diritto al lavoro, in quanto il lavoratore licenziato che si è opposto alla modifica del suo contratto di lavoro non ha potuto né contestare il suo licenziamento - dal momento che quest’ultimo è basato su un motivo specifico, previsto dalla legge - né ottenere l’annullamento dell’accordo di rendimento collettivo, in considerazione del carattere vago dei motivi suscettibili di giustificare questo accordo.
Il Consiglio Costituzionale ha respinto tale argomento sulla base del rilievo della legittimità dell’APC: spetta, in effetti, alle parti sociali determinare , al momento di negoziare l’accordo, le ragioni legate al funzionamento dell’ impresa che giustificano di ricorrervi ed a tale titolo di assicurarsi della loro legittimità; successivamente, l’accordo per essere validamente adottato, deve essere firmato dalle organizzazioni sindacali rappresentative di maggioranza, o essere approvato dai lavoratori a maggioranza, se non è stato firmato dalle organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative che abbiano raccolto più del 30% dei voti alla prima elezione dei membri del Comitato economico e sociale; infine, se necessario “ la pertinenza dei motivi che hanno giustificato l’accordo può essere contestata innanzi al giudice”.
Affrontando, in secondo luogo, la questione del livello del diritto all’occupazione, il Consiglio rileva i seguenti elementi a sostegno della costituzionalità del testo: in primo luogo, se un dipendente si oppone alla modifica del suo contratto di lavoro da un APC può essere licenziato per tale motivo, il legislatore ha approntato le stesse garanzie previste per i licenziamenti per motivi personali e cioè la preventiva discussione, la notifica, il preavviso e le indennità; inoltre, il fatto che la legge abbia considerato il licenziamento fondato su una causa seria e reale non vieta al lavoratore di impugnare tale licenziamento dinanzi al giudice con l’obiettivo di valutare se siano soddisfatte le condizioni di cui ai commi da III a V dell’ articolo L. 2254-2 del codice del lavoro»; infine, ai sensi del comma V di tale articolo, il licenziamento può intervenire solo entro un termine di due mesi a decorrere dalla data di notifica dell’opposizione del lavoratore alla modifica del contratto.
La decisione del Consiglio Costituzionale e le sue motivazioni offrono importanti chiarimenti sul diritto del lavoratore al ricorso al giudice.
3. Rafforzamento della contrattazione collettiva
Come si è già spiegato sopra, il decreto n. 2017-1385 non modifica le condizioni di negoziazione di accordi di impresa, al fine di rafforzare la legittimità della norma collettiva. Ciò avviene principalmente attraverso la generalizzazione del principio dell’accordo di maggioranza e, in secondo luogo, attraverso l’agevolazione della contrattazione collettiva in tutte le imprese, in particolare le più piccole.
a. Generalizzazione dell’accordo di impresa maggioritario
Il decreto n. 2017-1386 generalizza l’accordo di maggioranza, modificando come segue l’articolo L. 2232-12 del codice del lavoro: «La validità di un accordo d’impresa o di stabilimento è subordinato alla sua sottoscrizione da parte del datore di lavoro o di un suo rappresentante e dall’altra parte di una o più organizzazioni sindacali rappresentative, che abbiano ricevuto oltre il 50 % dei voti espressi a favore di organizzazioni rappresentative al primo turno delle ultime elezioni dei componenti del comitato economico e sociale, a prescindere dal numero dei votanti.
Se questa condizione non è soddisfatta, e se il contratto è stato sottoscritto da entrambi e cioè il datore di lavoro e le organizzazioni sindacali rappresentative, che hanno ricevuto oltre il 30 % dei voti espressi a favore delle organizzazioni rappresentative al primo turno di elezioni menzionato nel primo comma, a prescindere dal numero dei votanti, una o più di tali organizzazioni che hanno ricevuto più del 30 % dei voti dispongono di un mese a decorrere dalla data della firma dell’accordo per indicare che desiderano consultare i lavoratori allo scopo di convalidare l’accordo. Al termine di tale periodo, i datori di lavoro possono chiedere tale consultazione, in mancanza di opposizione da parte delle organizzazioni.
Se, dopo un periodo di otto giorni dalla richiesta o su iniziativa del datore di lavoro, le firme di altre organizzazioni sindacali rappresentative non hanno permesso di raggiungere la percentuale del 50 % di cui al primo comma e se le condizioni di cui al secondo comma sono soddisfatte, la consultazione è organizzata entro due mesi».
In commissione paritaria mista, deputati e senatori hanno anticipato la data di applicazione della riforma a partire dal 1º maggio 2018.
b. Facilitazione di accordi mediante referendum in imprese molto piccole
1º Conclusione di accordi con i lavoratori in imprese con meno di undici dipendenti senza rappresentanza sindacale e da undici a venti dipendenti in assenza di un membro eletto del personale della delegazione del CES.
L’articolo L. 2232-21 del codice del lavoro, di cui decreto n. 2017-1385, come modificato dalla legge di ratifica (articolo 2), stabilisce che nelle imprese senza rappresentante sindacale e di cui l’effettivo abituale è inferiore a undici dipendenti, il datore di lavoro può proporre un progetto di accordo o una modifica ai dipendenti. Questo accordo riguarda tutte le questioni aperte alla negoziazione collettiva delle imprese. La consultazione del personale è organizzata alla fine di un termine minimo di quindici giorni a decorrere dalla comunicazione al dipendente del progetto di accordo.
Le norme sono le stesse per le società da undici a venti dipendenti, in assenza di un membro eletto dalla delegazione del personale del CES (articolo L. 2232-2).
Le disposizioni organizzative per la consultazione del personale sono indicate in un decreto del Consiglio di Stato, vale a dire il decreto n. 2017-1767, del 26 dicembre 2017, relativo alla procedura per l’approvazione di accordi in imprese molto piccole (JORF n. 0302 del 28 dicembre 2017). L’articolo R. 2232-10 del codice del lavoro introdotto da questo testo chiarisce le condizioni necessarie affinché il datore di lavoro ottenga il consenso dei lavoratori:
1º La consultazione avviene con qualsiasi mezzo durante l’orario di lavoro. La sua organizzazione pratica spetta al datore di lavoro;
2º Il carattere personale e segreto della consultazione è garantito;
3° Il risultato della consultazione è portato a conoscenza del datore di lavoro dopo la consultazione, che si svolge in sua assenza;
4° Il risultato della consultazione costituisce l’oggetto di un processo verbale di cui l’impresa deve assicurare la pubblicità con ogni mezzo. Tale processo verbale è allegato all’accordo approvato al momento del deposito di quest’ultimo.
Più specificamente, l’articolo R. Nuovo 2232-11 prevede, in particolare, che il datore di lavoro definisca l’organizzazione e le procedure per la trasmissione ai dipendenti del testo dell’accordo, il luogo e la data della consultazione, l’organizzazione e lo svolgimento della consultazione, il testo della questione relativa all’approvazione dell’accordo oggetto di consultazione con i dipendenti. Tali disposizioni e il progetto di accordo devono essere comunicati ai dipendenti «almeno quindici giorni prima della data della consultazione» (R. 2232-12).
L’articolo L. 2232-22 precisa che «Se il Progetto di accordo di cui all’articolo L. 2232-21 sia stato ratificato da una maggioranza di due terzi, è considerato come un accordo valido.»
Qualsiasi controversia riguardante queste elezioni rientra nella competenza del Tribunale, che ha statuito in ultimo grado (R. 2232-13 e del Codice dell’Organizzazione Giudiziaria del art. R. 221-28-1).
Quest’ultima previsione è applicabile ai contratti stipulati con i dipendenti di un’azienda tra undici e venti dipendenti e priva di membro eletto dalla delegazione del Comitato Economico e Sociale.
Approvazione del sistema da parte del Consiglio Costituzionale. — Il Consiglio Costituzionale ha anzitutto ricordato, ai punti da 7 a 9 della sua decisione (2018-761 DC), che il legislatore aveva voluto sviluppare accordi collettivi nelle piccole imprese, tenendo conto della frequente assenza di rappresentanti dei lavoratori abilitati a negoziare tali accordi in tali imprese, che, nella fattispecie, erano state soltanto le imprese senza rappresentante sindacale e senza membro eletto dalla delegazione del personale presso il CSE, che il progetto di accordo avrebbe dovuto essere comunicato dal datore di lavoro a ciascun lavoratore dipendente, nel rispetto di un termine minimo di quindici giorni tra la notifica e l’organizzazione della consultazione, che inoltre il progetto sarebbe stato convalidato, solo se avesse ottenuto la maggioranza dei due terzi del personale, che infine l’organizzazione della consultazione doveva in ogni caso rispettare i principi generali di diritto elettorale. Il Consiglio Costituzionale ne ha dedotto che entrambi gli articoli summenzionati non violavano né il principio della partecipazione dei lavoratori, né libertà sindacale, che essi non sono viziati da incompetenza, in quanto contrari a qualsiasi altro requisito costituzionale (punto 10).
2º Conclusione eventuale di un accordo con un dipendente espressamente autorizzato da un’organizzazione sindacale di categoria o nazionale o da un membro eletto dal personale del comitato economico e sociale, quando l’ effettivo abituale dell’impresa è compreso tra 11 e 49 dipendenti.
Tale regola relativa alla negoziazione, alla conclusione, alla revisione o alla denuncia di accordi di impresa o di stabilimento nelle imprese con un numero di dipendenti tra 11 e 49 è contenuta nell’art. L. 2232-23-1 del codice del lavoro. Tale articolo prevede una modalità particolare per valutare il requisito della maggioranza: l’accordo negoziato con i membri della delegazione del CSE, autorizzati o non e firmato dagli stessi, sarà valido se essi rappresentano la maggioranza dei voti espressi in occasione delle ultime elezioni; da parte sua, l’accordo negoziato da parte di lavoratori che non sono membri della delegazione del CSE, deve essere approvato dalla maggioranza dei voti espressi.
L’approvazione del Consiglio Costituzionale -- Il Consiglio ritiene che queste disposizioni, se non fissano priorità per i dipendenti incaricati da un’organizzazione sindacale rappresentativa, non stabiliscono alcuna gerarchia che potrebbe essere sfavorevole per loro, poiché il datore di lavoro può negoziare sia con tali dipendenti autorizzati, sia con i membri titolari della delegazione del personale del Comitato Economico e Sociale (considerando 14). Esse non hanno dunque né per oggetto né per effetto di ostacolare la partecipazione delle organizzazioni sindacali rappresentative nella determinazione collettiva delle condizioni di lavoro. In tal modo esse non violano principi di partecipazione e di libertà di associazione (considerando n. 15).
c. Il «comitato aziendale», o la facilitazione di accordi con il personale, anche se esistono dei rappresentanti sindacali
Il “consiglio di impresa è organo di contrattazione collettiva, creato e disciplinato dagli articoli L. 2321-1 e seguenti del codice del lavoro, come modificati con decreto n. 2017-1386 del 22 settembre 2017 e n. 2017-1718 del 20 dicembre 2017. Tale nuovo organismo rappresentato dal consiglio di impresa «esercita tutti i poteri del Comitato economico e sociale». È il solo competente a negoziare, concludere e modificare convenzioni e accordi di impresa o di stabilimento», anche se l’impresa conti rappresentanti sindacali al suo interno.
“Consiglio di impresa”, istanza istituita da un contratto collettivo o di settore — Il consiglio d’impresa può essere costituito da un accordo aziendale di maggioranza a tempo indeterminato o con accordo di settore esteso alle imprese senza rappresentante sindacale (L. 2321-2). L’accordo precisa il modo in cui si svolgono i negoziati a livello di stabilimento.
I temi di contrattazione sottoposti a parere conforme- In effetti, l’accordo che istituisce il comitato aziendale fissa l’elenco dei settori come ad esempio l’uguaglianza professionale che sarà soggetto a parere di quest’istanza (L. 2321-3, punto 1).
Ma è già previsto dal testo che «formazione professionale costituisca un tema obbligatorio» (L. 2321-3, punto 2).
Le ore di delegazione- L’accordo che istituisce in consiglio d’impresa fissa il numero di ore di delegazione di cui beneficiano i suoi eletti in funzione della partecipazione alla contrattazione. Tale durata non può, salvo circostanze eccezionali, essere inferiore a un numero di ore definito con decreto del Consiglio di Stato, a seconda delle dimensioni dell’impresa (L. 2321-4). Il tempo trascorso è automaticamente considerato orario di lavoro e retribuito secondo le scadenze ordinarie (L. 2321-5).
d.Periodicità e contenuto delle consultazioni e contrattazioni obbligatorie.
La convenzione o l’accordo collettivo di lavoro definiscono il calendario della contrattazione e le modalità per tener conto, nell’ambito del settore o dell’impresa, delle richieste relative ai temi di contrattazione che emanano dalle organizzazioni sindacali rappresentative di lavoratori. .
Per ciascun livello di contrattazione, cioè settore ed impresa, il codice del lavoro, modificato dai decreti «Macron», prevede delle disposizioni di ordine pubblico, delle disposizioni oggetto di contrattazione collettiva e delle disposizioni suppletive. A mo’ di esempio si prende in considerazione il calendario delle negoziazioni obbligatorie.
Calendario di ordine pubblico — Il codice del lavoro riformulato dai decreti di settembre e dicembre 2017, prevede che rientrino nell’ ordine pubblico al livello di settore: la riunione, almeno una volta ogni quattro anni, delle parti sociali in materia di salari, misure per garantire la parità di retribuzione tra uomini e donne o l’inserimento professionale e il mantenimento dell’occupazione di lavoratori disabili (L. 2241-1); a livello di imprese: negoziazione, almeno ogni quattro anni, sulla retribuzione, in particolare sulla retribuzione effettiva, orario di lavoro e ripartizione del valore aggiunto nell’impresa o contrattazione collettiva sull’uguaglianza tra uomini e donne, fra cui misure volte a eliminare il divario retributivo e la qualità della vita sul posto di lavoro (L. 2242-1).
Calendario suppletivo.-- In assenza di accordo, le disposizioni applicabili a titolo suppletivo prevedono, per quanto riguarda il settore, che le organizzazioni interessate si riuniranno almeno una volta all’anno, per trattare sugli stipendi tenendo conto dell’obiettivo della parità professionale tra uomini e donne, nonché le misure per realizzare tale obiettivo (L. 2241-8); per quanto riguarda il livello dell’ impresa, prevedono che il datore di lavoro deve avviare trattative annuali su retribuzioni, orario di lavoro e la quota di valore aggiunto nell’impresa, alle condizioni previste dal codice del lavoro (L. 2242-13).
e. La «messa in sicurezza» degli accordi collettivi
Le tre misure previste dalla legge delega n. 2017-130 del 15 settembre 2017 mirano a ridurre l’effetto dei ricorsi contro contratti collettivi. Tali principi sono stati ripresi dall’ordinanza n. 2017-1385 del 22 settembre 2017.
L’onere di dimostrare l’illegittimità di un accordo collettivo incombe alla parte che lo contesta, ciò è quanto dispone il nuovo articolo L. 2262-13 del codice del lavoro con la seguente formulazione: “spetta alla parte che contesta la legittimità di un contratto o di un accordo collettivo di dimostrare che non è conforme alle condizioni giuridiche che la disciplinano”. Il testo redatto in questi termini sancisce la giurisprudenza della sezione lavoro della Corte di Cassazione, che con una sentenza resa dall’assemblea plenaria del 27 gennaio 2015 (ricorso n. 13-22179, Bollettino civile V, n. 9, 2015; (ECLI:FR:CCASS:2015:SO00120), ha dichiarato che «le differenze di trattamento fra categorie professionali operate da convenzioni o accordi collettivi, negoziati e firmati dalle organizzazioni sindacali rappresentative, investite della difesa dei diritti e interessi dei dipendenti e all’ abilitazione delle quali questi ultimi partecipano direttamente attraverso il loro voto, si presumono giustificate con la conseguenza che appartiene a colui che le contesta di dimostrare che ad esse sono estranee qualsiasi considerazione di natura professionale”.
La riduzione da cinque anni a due mesi della prescrizione dell’azione di nullità dell’accordo
Il legislatore, osserva il Consiglio Costituzionale, ha inteso garantire la certezza giuridica della convenzione o dell’accordo collettivo, impedendo che siano contestate molto tempo dopo la loro conclusione. Infatti, l’articolo L. 2262-14 del codice del lavoro dispone che «ogni azione di annullamento, totale o parziale, di una convenzione o di un accordo collettivo, deve, a pena di inammissibilità, essere proposta entro un termine di due mesi a decorrere:
1º Dalla notifica dell’accordo aziendale di cui all’art. L. 2231-5, per le organizzazioni che dispongono di una sezione nell’impresa;
2º Dalla pubblicazione dell’accordo previsto dall’art. L. 2231-5-1 in tutti gli altri casi».
Il suddetto periodo di due mesi non si applica, tuttavia, in alcuni casi disciplinati da un termine di prescrizione specifico (articoli da L. 1233-24, L. 1235-7-1 e L. 1237-19).
Il Consiglio costituzionale, chiamato a pronunciarsi sulla conformità dell’art. L. 2262-14, ha convalidato il 1º comma di quest’ultimo, sulla base della considerazione che il dies a quo non è opponibile ai sindacati non rappresentativi, anche se essi dispongono di una sezione sindacale nell’impresa. Ha formulato una riserva di interpretazione uniforme sul 2º comma. Dal momento che i firmatari dell’accordo possono, in applicazione dell’articolo L. 2231-5-1, decidere che una parte di questa non sarà pubblicata nella banca dati nazionale, «il termine di ricorso contro le parti dell’accordo non pubblicate non corre nei confronti degli altri soggetti se non dal momento in cui questi ne hanno avuto effettiva conoscenza. Una previsione diversa violerebbe il diritto ad un ricorso giurisdizionale effettivo» (2018-761 DC, considerando 35).
Infine, a titolo di chiarimento generale e molto utile, il Consiglio ritiene che la disposizione oggetto di esame «non privi i dipendenti della possibilità di impugnare senza limitazione nel tempo, in via di eccezione, l’illegittimità di una clausola di convenzione o di un contratto collettivo, in occasione di un contenzioso di carattere individuale che la applichi» (considerando 36). In proposito, si deve rilevare, in primo luogo, che il Consiglio Costituzionale ritiene che tale prescrizione non sia applicabile al dipendente che contesti la convenzione o l’accordo collettivo in via di eccezione in un contenzioso di carattere individuale, d’altra parte il favor verso l’accordo di impresa, espresso dai decreti del 2017 non giunge fino alla sottrazione al controllo del giudice.
Eventuale modulazione nel tempo degli effetti dell’annullamento.-- Il nuovo art. L. 2262-15 del codice del lavoro estende all’annullamento la facoltà di gestione nel tempo delle decisioni giurisdizionali che erano già state esercitate dal Consiglio costituzionale, dal consiglio di stato e dalla Corte di Cassazione: «In caso di annullamento di tutto o parte di un accordo o di una convezione collettiva, il giudice può decidere - qualora risulti che l’efficacia retroattiva di tale annullamento è manifestamente eccessiva sia in ragione delle conseguenze manifestamente eccessive sia per gli effetti che tale misura ha prodotto e delle situazioni che si si sono costituite quando era in vigore sia in ragione dell’ eventuale interesse generale a mantenere temporaneamente i suoi effetti - che detto annullamento non produrrà effetti che ex nunc o che gli effetti della sua decisione siano modulati nel tempo, su riserva di azioni contenziose già avviate alla data della sua decisione sullo stesso fondamento».
f. L’osservatorio dipartimentale di analisi e sostenere un dialogo sociale e di negoziazioni
Il decreto n. 2017-1385 del 22 settembre 2017, (art. 9) di cui al nuovo art. L. 2234-4 del codice del lavoro, ha previsto che sarebbe stato stabilito al livello dipartimentale, da parte dell’autorità amministrativa, un organismo tripartito intitolato «osservatorio di analisi e di appoggio al dialogo sociale ed alla negoziazione». Tale organismo, composto di rappresentanti delle parti sociali a livello intersettoriale e del dipartimento, congiuntamente ai membri dell’amministrazione competente mira a facilitare e a incoraggiare lo sviluppo del dialogo sociale e della contrattazione collettiva in imprese con meno di cinquanta dipendenti nell’ambito del dipartimento (art. L. 2234-5). I suoi compiti sono i seguenti: «1° Si prevede una valutazione annuale del dialogo sociale nel dipartimento; 2° È adito dai sindacati o organizzazioni professionali delle eventuali difficoltà incontrate in un negoziato; 3° Fornisce consulenze ed assistenza giuridica alle imprese nel settore del diritto del lavoro» (art. L. 2234-6)
Il ministro del Lavoro ha spiegato come segue il motivo per cui è favorevole alla creazione di un osservatorio tripartito nel diritto positivo: «Oggi, il dialogo sociale esiste, ma è informale, perché il dialogo formale non funziona affatto a causa dell’assenza di rappresentanti sindacali. Creare un quadro per garantire l’assistenza informale a promuovere e sviluppare il dialogo nelle imprese in cui non esiste ancora. È vero che si tratta di un passo nuovo nella storia del nostro diritto del lavoro. Siamo fiduciosi che i soggetti coinvolti nella riforma procederanno in questo senso, ma trattandosi di una novità, bisognerà vedere come procede.
Inoltre bisognerà accompagnare e sostenere, in alcuni casi, delle imprese ed i lavoratori, che saranno forse contenti di ottenere consigli da questa istanza tripartita per quanto riguarda le iniziative da intraprendere, poiché non si rivolgeranno ad un avvocato.
Questi osservatorii ci permetteranno inoltre di riferire al Parlamento, osservando e seguendo gli accordi che saranno firmati nelle imprese con meno di 50 dipendenti.».