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Il fenomeno infortunistico, a partire dagli accadimenti mortali, e le malattie professionali, come noto, non hanno un'unica causa, e pertanto, un’esclusiva responsabilità, che li determina. Le diverse concause non sono neanche spesso riconducibili alle sole ragioni afferenti al rischio al quale può essere esposto l’addetto nello svolgimento della mansione. Affrontare il tema della tutela della salute e sicurezza sul lavoro, non può prescindere dal considerare i problemi che riguardano il sistema lavoro, nel suo complesso, dall’occupazione, ai rapporti di lavoro, alle esternalizzazioni, all’organizzazione dei processi produttivi, fino alle garanzie di condizioni di lavoro almeno dignitose per tutte le lavoratrici e i lavoratori.
Questo non vuol dire negare il dover considerare la prevenzione in ambito lavorativo una assoluta priorità e, valutati i dati degli ultimi tempi – connessi alla ripartenza del sistema produttivo – ritenere che agendo solo su di un fronte, ancor più se basato su interventi a carattere esclusivamente repressivo, il dramma si risolva.
E’ per questo che la fase di ripresa che si sta avviando nel nostro Paese, non può registrare solo segni positivi dal lato economico, ma deve rappresentare su tutti i fronti, in primis, quello del lavoro e della salute dei lavoratori.
Anche il tema dibattuto in questi giorni sulla riforma dell’età pensionabile non si può non considerarlo strettamente correlato alle garanzie di tutela della salute e sicurezza. L’approccio olistico, pertanto, divenuto sempre più basilare per la gestione dei temi inerenti al lavoro, non può quindi essere considerato solo una modalità accademica, ma deve divenire una pratica consolidata, a partire dalle politiche di intervento.
L’impennata degli ultimi tempi dei morti sul lavoro non poteva rimanere senza una risposta immediata da parte del Governo. E tale deve essere considerato l’insieme dei provvedimenti che sono stati emanati, inserendoli nella cornice delle disposizioni a carattere fiscale, introdotte con il DL 21 ottobre, n.146. Che poi tali interventi, soprattutto modificativi di un sistema normativo, quale il DLGS 81/08 s.m., vigente da oltre dieci anni, ed ancor più di un sistema di vigilanza operativo da oltre quarant’anni (con la riforma del 1978), avrebbero richiesto necessariamente l’avvio di un processo di confronto tra tutte le parti coinvolte (dalle istituzioni, nazionali e locali, alle parti sociali) e la realizzazione, se ritenuta opportuna, di un graduale cambiamento complessivo del sistema, di certo sarebbe stata la via migliore per avviare un tale processo.
Come organizzazioni sindacali, da molto tempo chiediamo che il nostro Paese si doti di una Strategia nazionale di prevenzione – non ultimo attraverso la piattaforma presentata in occasione della Campagna nazionale di mobilitazione che a maggio scorso abbiamo avviato sui posti di lavoro – tale da definire, in modo programmatico e strutturale, gli obiettivi, le riforme, le risorse e gli interventi da mettere in atto per garantire in tutti i posti di lavoro quelle tutele della salute e sicurezza volte, a contrastare gli eventi di danno a causa lavorativa.
Per questo, agendo cercando solo di tamponare le situazioni emergenziali e provando a dare risposte parziali, anche se efficaci, non si può pensare di poterlo fare, soprattutto quando si tratta di intervenire in un quadro di azioni strutturali, con solo alcuni articoli introdotti mediante un decreto legge.
Intervenire in un’architettura complessa, come quella del DLGS 81/08 s.m., pensando di poter modificare alcune norme, con la facilità del sostituire singole tessere di un mosaico, è una decisione che non può non presentare problemi, anche rilevanti, di non facile soluzione, aumentando gli ostacoli, anziché rimuoverli.

Detto questo, però, non si può non rilevare, apprezzando la volontà del Governo e, nello specifico, dei ministeri ed enti competenti, la rilevanza degli impegni previsti nelle nuove disposizioni normative, immediatamente operativi, alcuni, e pianificati con precise scadenze di attuazione, altri; modalità non così consuete, specie in tema di prevenzione, nei luoghi di lavoro.
Per sua natura il decreto legge ha una vigenza temporalmente determinata. Pertanto, se le disposizioni introdotte si vorranno rendere permanenti, occorrerà procedere con la conversione in legge, procedimento che, comunque, offre la possibilità di poter intervenire sul testo, come ha difatti proceduto il Senato emendando il testo in entrata del decreto, trasformandolo in un maxiemendamento inviandolo alle Camere sostanzialmente modificato.
Tra le modifiche sostanziali introdotte la più profonda e di rilievo è l’abrogazione totale degli interventi di vigilanza, in materia di salute e sicurezza, svolti da parte dell’ispettorato del lavoro, giungendo così ad eliminare qualsiasi differenziazione nei riguardi delle ASL, tra le attività sulle quali svolgere tale funzione.
Le maggiori perplessità, sul punto, credo debbano essere rivolte sicuramente alla rapidità e modalità con le quali si è andati a modificare profondamente un modello che, rimanendo duale, ha perso sostanzialmente le ragioni per esserlo, almeno sul piano dell’attività di vigilanza specifica da svolgere. Un tale cambiamento avrebbe necessariamente richiesto un percorso di confronto, elaborazione e di coinvolgimento esteso, ai diversi attori in campo, comprese quindi le parti sociali, che non essendoci stato, ha alimentato immediate reazioni di contrarietà, anche supportate da giuste e motivate critiche, argomentate con ragioni condivisibili.
L’urgenza portata a motivazione cardine dell’intervento, intendendo dare da parte del Governo e, in particolare, per volontà espressa del ministero del lavoro, una risposta immediata alla drammatica ed interminabili morti negli ultimi tempi, se ne si comprende e condivide le motivazioni poste alla base, meno lineare appare la scelta praticata, non solo perché sostanzialmente orientata alla mera repressione, ma perché ne emergono i limiti, rappresentati dall’evidente difficile raggiungimento degli obiettivi che hanno determinato il percorrere tale strada.
Se il piano di assunzioni porterà un aumento nei prossimi mesi di circa 1500 unità operative all’interno dell’ispettorato del lavoro, al di là dei titoli in entrata, il percorso di acquisizione del ruolo, specie nella vigilanza in ambito lavorativo sui temi della salute e sicurezza sul lavoro, richiederà sicuramente un tempo adeguato per la formazione specifica. Un tempo che, considerata l’esigenza espressa di moltiplicare le ispezioni nelle aziende, non sembra conciliarsi con il poter contare fin da subito sulle nuove assunzioni nell’ispettorato per poter supportare l’attività, svolta ad oggi (in sofferenza), da parte degli operatori delle ASL.
L’auspicio, comunque, è quello che, in vista di una più complessiva e ragionata riforma del sistema, che non riguardi solo la vigilanza, ma che riveda l’intero sistema di prevenzione in Italia, da parte delle regioni, stimolate dalle novità legislative introdotte dal DL 146/2021, non vi sia una resistenza, volta a contrastare quanto previsto, ma un impegno diffuso allo stanziare e predisporre concretamente risorse economiche ed organizzative (come stabilito nel PNP e, di riflesso, nei PRP), al fine di supportare l’azione insostituibile delle ASL. In particolare, nel consentire la prosecuzione di quegli interventi di supporto sul territorio, svolti in tutti questi anni, che hanno contribuito ad elevare il livello di tutela in tante realtà lavorative, specie piccole e medie, che sono il cuore pulsante del nostro sistema produttivo.

Riflessioni finali
Troppe volte, ormai, si è tristemente assistito al porre in attenzione il tema della salute e sicurezza sul lavoro sulla spinta emotiva, anche da parte delle istituzioni, ma deve sempre essere considerato l’inaccettabile il verificarsi di circa tre morti sul lavoro al giorno, fenomeno che persiste da decenni, a fronte di impegni verso la prevenzione, presi solo sporadicamente.

 

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