1. Considerazioni di premessa
Con delibera 11 del 15 ottobre 2021, la Commissione di garanzia dell’attuazione della legge sullo sciopero nei servizi pubblici essenziali (Commissione) ha espresso le proprie determinazioni con riferimento allo sciopero generale indetto dalla Federazione Italiana Sindacati Intercategoriali (FISI), che prevedeva un’astensione dal lavoro ad oltranza dalle ore 00:00 del 15 ottobre 2021 alle 00:00 del 20 ottobre 2021 di tutti i lavoratori pubblici e privati, liberi professionisti e/o comunque denominati e proclamato, ai sensi dell’art. 2, comma 7, legge n.146/90 e successive modifiche, in data 30 settembre 2021 dalla medesima Segreteria generale FISI.
In particolare, la Commissione, già con comunicazione del 06/10/2021, aveva ritenuto non integrati i presupposti di cui all’art 2, comma 7, della l. 146/90 , richiamati da FISI a sostegno della legittimità dell’indizione, a mente del quale “Le disposizioni (…) in tema di preavviso minimo e di indicazione della durata non si applicano nei casi di astensione dal lavoro in difesa dell'ordine costituzionale, o di protesta per gravi eventi lesivi dell'incolumità e della sicurezza dei lavoratori” e aveva considerato tale sciopero non generale, come invece sosteneva la Federazione nella comunicazione del 30 settembre, ma meramente “coinvolgente una pluralità di settori”.
Il motivo starebbe nell’aver dato comunicazione d’indizione a sole diciannove associazioni datoriali e non anche alla generalità delle categorie di lavoro, pubbliche e private.
La Commissione, inoltre, aveva già allertato la Federazione di ritenere violata la regola della rarefazione oggettiva, sancita dalla delibera n. 9/619 del 14 dicembre 2009, in rapporto agli scioperi generali precedentemente proclamati e tenutisi in data 11 ottobre 2021.
Nella stessa nota del 06 ottobre aveva poi ritenuto che, trattandosi di sciopero riguardante una pluralità di settori, lo stesso era soggetto alle regole in materia di limiti di durata e al divieto di concomitanza tra servizi alternativi previste dalle singole discipline di settore, ritenute violate nel caso specifico. Contestualmente, aveva invitato la FISI alla revoca dello sciopero, riservandosi l’apertura del procedimento di valutazione volto ad accertare ogni altra emergenda violazione.
Tuttavia, la FISI aveva reagito al primo atto interlocutorio estendendo la platea di destinatari della proclamazione dello sciopero, facendola pervenire ad altre associazioni datoriali e ad aziende erogatrici di servizi pubblici essenziali (tra le quali spiccano compagnie di elettricità, gas, acqua, trasporto pubblico locale, trasporti ferroviarii, circolazione e sicurezza stradale, corpo dei Vigili del Fuoco, carburanti ed elicotteri, taxi e trasporto marittimo). La Federazione aveva continuato a ritenere legittima la propria azione, giustificandosi l’indetto sciopero in forza della difesa dell’ordine costituzionale, poiché proclamato contro la discriminazione tra lavoratori vaccinati e non, per la libertà di espressione e di pensiero, per il diritto al lavoro ed equa retribuzione, per gravi eventi lesivi della sicurezza dei lavoratori e mancato tracciamento dei vaccinati sui luoghi di lavoro, atto a mettere a rischio la salute dei vaccinati e dei non vaccinati, nonché per oneri e costi dei tamponi “ribaltati contra legem” a carico dei non vaccinati.
Con nota del giorno 11 ottobre 2021, quindi, preso atto della risposta pervenuta nei termini predetti, la Commissione ha dichiarato di procedere con gli accertamenti relativi a ogni altra violazione che dovesse emergere.
Sicché, con la delibera qui in commento, la Commissione ha contestato alla FISI di aver mancato il rispetto della regola della rarefazione oggettiva, ai sensi dell’art.2, comma 2, l. 146/90 e delibera 03/134 del 24 settembre 2003, oltre ad aver violato le regole di franchigia elettorale, contenute nelle discipline di settore, ma limitatamente -in parte qua- ai bacini interessati dal turno di ballottaggio.
Prendendo le mosse proprio da quest’ultima considerazione, va dato conto delle città interessate dalle consultazioni amministrative. Esse sono Trieste, Varese, Torino, Savona, Roma, Latina, Benevento, Cosenza, Isernia e Caserta.
Specificamente, in rapporto a queste città, la delibera appare difficilmente contestabile. Invero, nel bilanciamento tra diritti contrapposti, ovverosia il diritto di voto e il diritto di sciopero, la legge, ma anche la Corte Costituzionale , ha ragionevolmente ritenuto di dover far prevalere il primo, impedendo che nei giorni prossimi alle elezioni si possano arrestare i servizi pubblici essenziali in ogni modo, al fine di consentirne il sicuro e utile esercizio.
La finestra temporale di questa riserva assoluta di prevalenza del diritto di voto sul diritto di sciopero varia a seconda del tipo di servizio, non estendendosi oltre i cinque giorni in prossimità della data prevista per il voto e/o ballottaggio (precedenti e/o successivi), almeno per le categorie interessate dallo sciopero in trattazione.
Incontroversa è anche la bontà della decisione nella parte in cui si autolimita alle sole città coinvolte dal ballottaggio e, sebbene implicitamente, il perimetro applicativo della violazione rilevata è segnato dal richiamo alla legge 146 del 1990, come noto relativa ai soli servizi pubblici essenziali (così come anche lo spazio operativo della Commissione medesima).
Il ragionamento, però, può svilupparsi in modo critico quanto alla prima delle due violazioni rilevate dalla Commissione, e relativa al mancato rispetto delle regole della rarefazione oggettiva, nonché avuto riguardo alla mancata qualificazione dello sciopero come generale, in considerazione delle motivazioni che la stessa delibera offre in proposito.
2. La rarefazione oggettiva
Disciplinata al comma due dell’art. 2 della l. 146/90, la rarefazione oggettiva consiste nell’assicurare, nell'ambito dei servizi essenziali , le modalità, le procedure di erogazione e le altre misure dirette a consentire l’esercizio del diritto di sciopero, garantendone, al contempo, il contemperamento con l'erogazione delle prestazioni indispensabili per il godimento dei diritti della persona, costituzionalmente tutelati, e riconducibili ai servizi essenziali.
I soggetti che promuovono lo sciopero o i lavoratori e le amministrazioni che vi aderiscono, con riferimento a tali tipi di servizi -la cui tassonomia è individuata all’art. 1 della medesima legge- sono tenuti a garantire le prestazioni indispensabili, nonché il rispetto di modalità e procedure di erogazione e di ogni altra misura che tanto consenta.
In particolare, la legge impone di disporre l'astensione dallo sciopero di quote strettamente necessarie di lavoratori al fine di garantire dette prestazioni e chiede di indicare, in tal caso, le modalità per l'individuazione dei lavoratori interessati, ovvero la predisposizione di forme di erogazione periodica dei servizi, laddove lo sciopero si protragga nel tempo.
Specificamente, quanto ai servizi di trasporto -cui sembra potersi limitare il ragionamento nella vicenda che ci occupa- le amministrazioni e le imprese coinvolte nello sciopero sono tenute a comunicare agli utenti, contestualmente alla pubblicazione degli orari dei servizi ordinari, l'elenco dei servizi che saranno garantiti comunque in caso di sciopero e i relativi orari, come risultano definiti dagli accordi tra le parti.
La legge dispone le regole da rispettare e le procedure da seguire in caso di conflitto collettivo con una precipua attenzione in rapporto a determinati diritti . La libertà di circolazione (lett. b) art.1, comma 2, l.146/90), è tutelata con riferimento ai trasporti pubblici urbani ed extraurbani, autoferrotranviari, ferroviari, aerei, aeroportuali e marittimi, limitatamente però al collegamento con le isole.
L’analisi dei fatti accaduti nei giorni appena trascorsi, che hanno visto coinvolti in particolare gli scioperi dei lavoratori portuali, è stata condotta facendo leva sugli interessi economici e di mercato. Da un punto di vista politico, il blocco dei porti non è stato oggetto di valutazioni critiche in rapporto alla frustrazione di esigenze circolatorie o di movimento delle persone (eventualmente connesse all’esercizio di diritti fondamentali come il voto, il lavoro o le esigenze familiari), peraltro non interessate dai blocchi, ma l’intero assetto del ragionamento si è posto sul danno economico che dallo sciopero si sarebbe potuto ricavare. Dichiarazioni rese da rappresentanti dell’Istituzione, Prefetti in primis, hanno mostrato di ricondurre la ritenuta legittimità del freno al diritto di sciopero non tanto al diritto di voto o a necessità legate ai servizi pubblici essenziali, ma ad esigenze d’altro tipo, specificamente economiche, di mercato, legate alla produttività . E ciò strumentalizzando il discorso fino al punto -gravissimo- di evocare conseguenze di rilievo penale ad evidenti fini dissuasivi verso la partecipazione agli scioperi.
Tuttavia, di là dal dibattito politico, foriero di errori grossolani dal punto di vista giuridico, preme dar conto di come i servizi essenziali, in termini generali, siano una categoria dai contorni elastici, stante la necessità di non irrigidirne il novero a fini di garanzia, ma tale elasticità non può in alcun modo essere ridotta a un eclettismo sconclusionato. Piuttosto, i presupposti affinché un servizio possa definirsi essenziale, sono dettati dalla legge, in parte, e dalla giurisprudenza, a integrazione (qualificante) del dettato normativo.
Relativamente, invece, al perimetro applicativo della legge n.146/90, rilevante a fini della disciplina sulla rarefazione oggettiva, essi sono contenuti nell’elenco tassativo dell’art.1 sopra riportato in nota (n.4) e non contiene riferimenti a interessi di mercato o di capitali.
Va, infine, considerato che i servizi oggetto dei conflitti svoltisi in questi giorni non sono servizi annoverabili nell’elenco di cui al comma 1 dell’art.1 della l.146/90 anche in quanto le disposizioni ivi contenute concernenti il trasporto marittimo sono limitate ai trasporti verso le isole.
2.1 Della mancata integrazione dei presupposti della deroga alla rarefazione oggettiva
Dal punto di vista tecnico-giuridico, la declaratoria di illegittimità dello sciopero indetto da FISI appare illegittima in forza dei seguenti argomenti.
La Federazione, nel proclamare lo sciopero, ha evocato a sostegno dell’azione di protesta la difesa dell’ordine costituzionale, la discriminazione tra lavoratori vaccinati e non, anche censuale, la libertà di espressione e di pensiero, il diritto al lavoro e ad un’equa retribuzione, nonché gravi eventi lesivi della sicurezza dei lavoratori e il rischio per la loro salute.
L’argomento conseguente, per cui si applicherebbe la deroga alla rarefazione oggettiva, prevista al comma 7 dell’art. 2 della l.146/90, trattandosi di una protesta avverso gravi eventi lesivi dell’incolumità e della sicurezza dei lavoratori, ma ben più di una difesa dell’ordine costituzionale, appare condivisibile.
In tale binario, infatti, può ricondursi la lesione del principio lavorista, come noto sostrato fondativo dell’assetto ordinamentale (la Repubblica si basa sul lavoro), indiscutibilmente minato dalla pretesa di esborsi economici per recarsi a svolgere prestazioni di lavoro .
Di là dall’assurdità logica per cui, allo stato, si deve pagare per accedere fisicamente all’area di lavoro, ancora una volta emerge con forza il tema dell’introduzione surrettizia dell’obbligo vaccinale, già denunciata da attenta dottrina . Un obbligo indiretto che perviene ben oltre la spinta gentile di cui tratta, di recente, il Consiglio di Stato nella pronuncia n. 8340/21.
Può, in proposito, considerarsi la giurisprudenza della Corte Costituzionale, per cui la difesa dell'ordine costituzionale è una forma di sciopero politico, mentre la protesta per gravi eventi lesivi dell'incolumità e della sicurezza dei lavoratori uno sciopero, cosiddetto, di protesta.
Entrambe le ipotesi, per la Consulta, sono accomunate dal coinvolgimento di “interessi fondamentali della comunità, come tali suscettibili di prevalere su quelli tutelati con gli obblighi di preavviso e indicazione della durata”, che rendono irragionevole perfino attendere dieci giorni per intraprendere l’azione di lotta, salvo a volerne svuotare il contenuto e l’effettività .
Proprio negli insegnamenti della Corte (sent. n. 276/93), infatti, gli interessi difesi dai lavoratori nei casi previsti dall'ultimo comma dell'art. 2 ineriscono alla persona e a interessi fondamentali della collettività, sicché “il bilanciamento con i diritti degli utenti di cui all'art. 1, comma 1”, della legge 146/90 “deve avere un esito diverso e meno incisivo sull'esercizio del diritto di sciopero” rispetto a quanto avviene per gli scioperi d’ordine economico od economico-politico.
Ben può invocarsi, quindi, l’art. 3 Cost., avente invece un ruolo recessivo riguardo agli scioperi poggianti su pretese economiche dei lavoratori, con conseguente riduzione del potere limitativo del diritto ex art. 40 Cost. nel bilanciamento con i confliggenti diritti degli utenti ad ottenere regolarmente il servizio, ancorché essenziale.
Non appare degna di pregio, pertanto, la delibera della Commissione nella parte in cui, relativamente ai presupposti di applicabilità della deroga alla rarefazione oggettiva, li ritiene non integrati.
Ivi si legge che gli scioperi autorizzati in ragione di gravi eventi lesivi della incolumità e della sicurezza dei lavoratori sono ammessi solo in presenza di eventi specifici o di specifiche situazioni di pericolo oggettivo, certificato dalle competenti autorità, da valutarsi caso per caso.
Sul punto, preme notare, che laddove si contestino scelte politiche adottate dall’ordinamento, non può non tenersi in considerazione sia la natura formale dell’atto normativo con cui esse sono adottate, sia le considerazioni tecniche su cui poggia l’intera sequenza normativa dell’emergenza Covid, come noto adottata sempre in esito a consultazioni di tipo tecnico-scientifico.
Sotto il primo profilo, almeno per il momento, le disposizioni in materia di carta verde nell’ambito lavorativo sono state adottate mediante DL.
Il decreto legge, come noto, integra una allocazione straordinaria della funzione legislativa in capo al Governo in ragione dell’emergenza. Sicché, almeno per i primi sessanta giorni di vigenza dell’atto avente forza di legge, si assiste alla immedesimazione organica del potere legislativo, in parte qua, e del vertice amministrativo, cioè del potere esecutivo. Se ne ricava che non può essere accolta l’interpretazione fornita dalla Commissione nella delibera summenzionata senza sacrificio del diritto di manifestarsi in disaccordo con le scelte politiche del Governo a mezzo dello sciopero. Ciò in quanto, rilegando alla decisione di autorità altrettanto amministrative il riconoscimento dei presupposti per il valido esercizio del diritto costituzionale di sciopero, si finirebbe di fatto per azzerarne la portata: certificando il pericolo, l’esecutivo e i suoi organi, a tanto deputati, sconfesserebbero la bontà del loro stesso agire.
Identico discorso può farsi circa le valutazioni d’ordine tecnico che fondano la norma emergenziale, riposte in capo allo stesso esecutivo contro le cui decisioni lo sciopero ambisce a rivolgersi.
Venendo, invece, all’ordine costituzionale, assuntamente leso per la Federazione e da difendere per mezzo dello sciopero, la Commissione ritiene in delibera che esso si debba intendere in senso materiale e non normativo.
L’assunto avvalora l’interpretazione di FISI, avuto riguardo, come si accennava, alla incidenza della normativa sul pass nella Grundnorm dell’ordinamento, cardine indiscutibile dell’assetto costituzionale, anche in chiave materiale: il principio lavorista .
Peraltro, i casi cui la commissione si riporta nelle proprie decisioni possono avere solo un rilievo esemplificativo e non anche esaustivo o tassativo, non esaurendosi il pericolo o la lesione dell’ordine costituzionale nel sovvertimento violento dell’ordinamento o nel colpo di Stato.
In conclusione, preme notare che anche a voler ritenere quello indetto da FISI uno sciopero politico puro, distinguendosi da quello politico-economico, poiché fondato su una pretesa estranea al rapporto col datore di lavoro e rivolto, piuttosto, a creare pressione sul Governo per ottenere la revoca o la modificazione della normativa sulla carta verde, esso va considerato strumentale alla partecipazione dei lavoratori all’organizzazione politica della Nazione, espressivo di una libertà costituzionalmente tutelata, e insuscettibile di repressione, nonché sanzionabile, eventualmente, nei soli modi individuati dalla legge 146/90 (C. Cost. n. 290 del 1974). Non si giustificano assolutamente, quindi, le dichiarazioni già citate del Prefetto di Trieste , né gli atti dissuasivi, alle volte anche violenti, perpetrati dagli organi di PS a danno dei manifestanti coinvolti in scioperi professati come “non autorizzati” e venuti all’attenzione del dibattito d’attualità mediante filmati ed immagini. Nemmeno, – a maggior ragione – sono accettabili le limitazioni al diritto di manifestazione connesse all’azione di lotta politica (limitazione dei cortei in forme statiche di protesta, pratica di arresti randomizzati, fermi sprovvisti di ogni presupposto legale e illegittime comminatorie di DASPO urbani, fino alla prassi invalsa di notificare l’avvio di indagini a carico dei manifestanti per i reati di cui agli articoli 610 e 340 c.p.).
3. Rapporto tra classificazione dello sciopero e regola della rarefazione oggettiva
Si perviene, quindi, a trattare la seconda ragione d’illegittimità della delibera della Commissione.
Essa ha, dapprima, ritenuto non classificabile tra gli scioperi generali quello indetto dalla FISI, poiché non notificato tendenzialmente a tutte le categorie di lavoro, pubbliche e private.
Sul punto, preme preliminarmente notare come il presupposto risulti impreciso, consentendo una interpretazione arbitraria e tale che, se da cogliere alla lettera, rende impossibile de facto classificare come generale un qualsiasi sciopero.
Tanto è vero che la stessa Commissione ha ritenuto sufficiente, in tal senso, la disposta integrazione nelle notifiche da parte di FISI, avvenuta in data 08 ottobre 2021 in adeguamento alle indicazioni offerte durante la fase interlocutoria.
Di conseguenza, paiono essere venuti meno i presupposti di illegittimità dello sciopero, per violazione della regola della rarefazione oggettiva tra tipologie di scioperi, in quanto tutti quelli indetti per il medesimo ventaglio di date sono da ritenere generali e non meramente coinvolgente una pluralità di settori.
Sulla scorta di tale argomento, parrebbe cadere la contestazione per cui “(ne)i rapporti tra scioperi generali e scioperi in ambito e livello diverso debbono intercorrere ai fini della detta rarefazione relativa ai servizi essenziali un intervallo di almeno dieci giorni per evitare un’incidenza sulla continuità del servizio” e non più degna di pregio alcuno sarebbe la considerazione per cui, siccome per il giorno 11 ottobre erano stati proclamati in precedenza su FISI scioperi generali indetti da altre organizzazioni sindacali (Cobas, in particolare), scioperi generali riguardanti tutte le categorie del lavoro pubbliche e private, la Commissione non avrebbe più ragione di non accogliere lo sciopero FISI. Di talché, ritenuto inapplicabile il comma 2 dell’art. 2 legge 146/90, ne deriverebbe il travolgimento delle sanzioni ex artt. 4 e 13 della medesima legge, richiamate nella delibera. Identicamente, verrebbe meno la regola della concomitanza, che pacificamente non si applica in rapporto agli scioperi generali con cui si pone in rapporto di ontologica incompatibilità .
4. Il provvedimento n. 256/21 della Commissione scioperi
Con l’intestato provvedimento la Commissione ha successivamente deliberato di non procedere ad esaminare la terza proclamazione, nel frattempo sopraggiunta alla Sua attenzione da parte del sindacato, ed eventuali successive astensioni indette dalla FISI per le medesime motivazioni già espresse, in quanto ritenute “non riconducibili nell’alveo della fattispecie prevista dall’art.40 Cost.”. Conseguentemente, ha dichiarato ingiustificata l’assenza dei lavoratori che vi aderissero, con facoltà di adozione dei provvedimenti sanzionatori per inadempimento previsti dal diritto dei contratti.
Riguardo a detta decisione, si rende opportuno formulare alcune brevi ipotesi di reazione al provvedimento n. 256/21, indicando una possibile soluzione che avrebbe consentito un contemperamento di tutti gli interessi in gioco.
Con l’invio di una nota a parziale modifica della proclamazione già eseguita, infatti, da notificare a tutti i coinvolti, sarebbe stato possibile conformarsi alle indicazioni ricevute dalla Commissione e confermare lo sciopero.
Tuttavia, la Commissione non ha inteso dar corso a una simile possibilità che, si badi, assume i caratteri dell’onere in forza della legge che regola gli scioperi dei servizi pubblici essenziali (art.13), mancando di invitare la Federazione ad adeguarsi secondo un’ottica garantista di collaborazione.
La prova di notifica della correzione adeguatrice a tutti i soggetti già destinatari della proclamazione e in ogni modo coinvolti avrebbe potuto superare il vizio rilevato nella citata proclamazione e specificamente, pare doversi osservare che:
1) laddove la Commissione ha ritenuto che a questa terza proclamazione “ben potrebbe seguirne una quarta, sì da risultare di per sé ad oltranza, come tale incompatibile con la salvaguardia degli altri beni protetti” ha compiuto un ragionamento poco convincente, in quanto si tratta di una mera supposizione di un dato eventuale e futuro, cioè la circostanza che alle tre tranches di sciopero senza interruzione ne sarebbe seguita una quarta.
Come noto, il provvedimento non può essere adottato per supposizione, ma deve stare, come ogni decisione, alla considerazione di quanto già esiste in fatto, facendo corretta applicazione del diritto e non spingersi in immaginifiche costruzioni di quel che potrebbe essere nell’opinione dei suoi componenti.
Peraltro, l’organo qui procedente avrebbe ben potuto indicare ai sindacati da subito l’inopportunità di una quarta indizione, ingiungendo alla FISI di non perpetrare oltre, offrendole ogni prospettazione per il caso in cui la Federazione avesse mancato di ottemperare, agendo ancora una volta nel senso della collaborazione procedimentale di cui si tratterà ampiamente infra.
2) Il fatto, poi, che lo sciopero sia stato proclamato lasciando la possibilità al singolo aderente di partecipare ad una o più giornate di sciopero” non implica la illegittimità in sé della proclamazione, in quanto con formula disgiuntiva si è proclamato uno sciopero anche per coloro che vorranno partecipare “a tutto il periodo previsto”. Sicché, avendo il presente i caratteri tipici dello sciopero generale per le ragioni già espresse supra, e facendo, inoltre, residuare uno spazio di indizione che non integra un’ipotesi di sciopero a scacchiera, ma che anzi si rivolge e invoca una sospensione dell’attività lavorativa in forma continuativa, protratta per l’intero periodo, non si vede come si si sia potuto argomentare, sic et simpliciter, che “la prevista modalità di partecipazione, che consente ai lavoratori di scegliere in quali giornate astenersi risulta estranea alla stessa nozione di sciopero recepita dall’art.40 Cost., consolidata anche dalla giurisprudenza della Corte di Cassazione”.
Gli assunti limiti esterni dello sciopero, ritenuti violati in uno a quelli interni, infatti, sono definiti proprio dalla pronuncia richiamata dalla Commissione nei seguenti termini.
“Cass. sez. lav. n. 5686 del 26/6/1987”: "il diritto di sciopero, quale che sia la sua forma di esercizio e l'entità del danno arrecato, non ha altri limiti (...) se non quelli che si rinvengono in norme che tutelino posizioni soggettive concorrenti, su un piano prioritario o quanto meno paritario, quali il diritto alla vita e all'incolumità personale, nonché la libertà dell'iniziativa economica”.
Alla base della pronuncia, antecedente all’introduzione della legge n.146/90, si poneva la scelta volutamente generica del dettato costituzionale, cui non era seguita -allora- alcuna adozione di legge attuativa.
Tuttavia, ciò è avvenuto proprio, pur parzialmente, con la norma richiamata, la quale distingue oggi i servizi essenziali, enucleandoli a fini applicativi, e specifica i presupposti per la deroga contenuta al comma 7, art. 2.
Sempre secondo la pronuncia richiamata dalla Commissione, “L'accertamento (..del superamento dei limiti al diritto di sciopero..) va condotto caso per caso dal giudice, in relazione alle concrete modalità di esercizio del diritto di sciopero ed ai parimenti concreti pregiudizi o pericoli cui vengono esposti il diritto alla vita, all'incolumità delle persone e alla integrità degli impianti produttivi.(Conf. 711/80, mass. n. 404147)”.
Trattandosi di valutazione di merito, si sarebbe dovuta svolgere, quindi, una valutazione precipua in ordine allo sciopero indetto che, a ben guardare, non interessava i servizi essenziali .
Anche l’integrità degli impianti produttivi non appariva essere a rischio, posto che indire uno sciopero non implica invocare o determinare forme violente di manifestazione, che peraltro avrebbero rilievo in tal senso solo se rivolte ai macchinari, per esempio, o alla struttura lavorativa.
Nemmeno può dirsi fosse intaccata l’incolumità delle persone né, tanto meno, la vita, non avendo indetto uno sciopero concernente appunto servizi essenziali.
Dacché, la Commissione sarebbe dovuta pervenire ad altre conclusioni, anche in relazione al fatto che lo sciopero di cui è causa è politico e con tinte di carattere economico, legate al costo dei tamponi, come già sostenuto in avvio.
Perciò, anche con riguardo al limite interno del diritto di sciopero, che ne impone la riconducibilità di per se stesso all’art. 40 Cost., va dato atto che non paiono sussistere i motivi su cui si era basata la Cassazione menzionata in delibera nel decidere il giudizio.
In quella pronuncia, Cassazione 24653/15, lo sciopero era stato dichiarato illegittimo nella parte in cui importava “pericoli o danni o alterazioni all'integrità e funzionalità degli impianti ovvero quando pregiudichino la produttività stessa dell'azienda, compromettendo, cioè, la stessa organizzazione istituzionale e di funzionalità produttiva dell'impresa”.
In definitiva, quelle particolari modalità di attuazione della proclamata astensione dal lavoro esorbitavano dai limiti interni ed esterni del diritto di sciopero, atteso che ne snaturavano la forma e le finalità tipicamente collettive e ponevano in serio pericolo la produttività e l’organizzazione gestionale dell’azienda, pertanto furono ritenute illegittime.
E’ evidente come tanto non sia accaduto, avuto riguardo al caso di specie.
Lo sciopero Fisi è politico, come già sostenuto, e come tale non mira a proteggere motivi esclusivamente individuali, ma è indetto per la tutela di un interesse professionale collettivo, o financo generale, vista la lata applicazione dello strumento governativo contro cui si rivolge la rimostranza. Deve rilevarsi, infatti, l’evidente incompatibilità ontologica tra uno sciopero politico o politico-economico e un interesse che non sia collettivo.
Se in quella sede si era finito per valutare come non integrati i presupposti dello sciopero ex art.40 Cost. fu in quanto “i lavoratori erano invitati ad aderire allo sciopero proclamato nel modo e nei tempi ritenuti più opportuni dal momento dell’indizione e ad oltranza per ogni giorno lavorativo” risultando “azzerato il requisito della predeterminazione delle modalità di attuazione dello sciopero, che non aveva nemmeno i caratteri del cosiddetto sciopero "a scacchiera" o "a singhiozzo". Ivi, invece, si invita alla astensione diffusa dalla attività lavorativa per tutta la finestra temporale, ben definita e dettagliata, solo aggiungendo una modalità ulteriore alla astensione collettiva pure invocata.
Sicché, non appare doversi ritenere integrata alcuna forma di abuso dell’istituto dello sciopero attraverso la proclamazione dell’astensione dal lavoro nel modo anzidetto, posto che non sono violati né i limiti esterni, essendo stato indetto uno sciopero non afferente ai servizi essenziali, né quelli interni, poiché lo sciopero FISI è del tutto riconducibile alla nozione di sciopero contenuta in Costituzione e non si tratta di lotta opportunistica nei termini di cui al richiamato diritto vivente. Pertanto, la Federazione ben avrebbe potuto insistere affinché la Commissione ritirasse il provvedimento n. 256/21.
Non si trattava in questo caso, come allora, di "Sciopero da oggi 1-10-2007 a oltranza per ogni giorno lavorativo per l’intera giornata all’interno del quale ogni lavoratore potrà aderire come, quanto e quando riterrà più opportuno", piuttosto si era di fronte a una forma coordinata di astensione dal lavoro, dove solo si apriva uno spiraglio alle necessità individuali, comunque accompagnate dalla vocatio collettiva dello sciopero – generale.
Ad alcun concreto pregiudizio o pericolo si sarebbero, pertanto, trovati esposti i datori a fronte dello sciopero indetto da Fisi, che non aveva i tratti di quello di cui alla richiamata pronuncia e l’argomento per cui, eventualmente, avesse dovuto compromettere la capacità produttiva d’azienda non appare sufficiente a limitare o peggio escludere uno sciopero politico, per l’evidente ragione che è lo stesso legislatore a collegarlo a una deroga espressa alle guarentigie sancite nella legge n. 146/90 nella parte in cui invoca la tutela dell’ordine costituzionale.
Peraltro, preme evidenziare, l’art. 41 Cost., disciplinante la libertà di iniziativa economica, deve esser considerato nella sua interezza e il suo comma secondo, ne condiziona l’esercizio in modo tale che non sia svolta in contrasto con l’utilità sociale, certo integrata da uno sciopero a natura politica, o in modo da recare danno alla dignità umana, come sarebbe, invece, se si facesse recedere il diritto di sciopero, stretto a un nodo gordiano con il diritto al lavoro come diritto dell’individuo, all’interesse aziendale, da intendersi in questo caso come funzionalizzato a curare un interesse di produzione, dunque materiale. Un minus rispetto al primo.
Tanto è vero che proprio la Cassazione richiamata dal Presidente della Commissione chiarisce che, nella valutazione dei limiti allo sciopero, la tutela della libertà di iniziativa economica “resta limitata alla salvaguardia dell'organizzazione aziendale, intesa come struttura finalizzata al conseguimento di un risultato economico nel quadro generale della produzione e del mercato”, a riprova della bontà del ragionamento sopra svolto.
3) Perfino nella parte in cui la Commissione precede l’azione, incerta ed eventuale, della quarta indizione di una finestra in linea di continuità -come presume- con le precedenti, ovvero la assume a priori come non riconducibile al proprio spazio di competenza, dimostra di perpetrare nel provvedimento per supposizione che, in parte qua, si declina in una esclusione ideale (o ideologica?).
4) In conclusione, secondo i principi che guidano le migliori pratiche di relazione tra gli enti od organi e i cittadini, qui rappresentati dalla organizzazione sindacale FISI, la Federazione avrebbe ben potuto conformarsi agli inviti rivolti, pur implicitamente , dalla Commissione, in modo da ricondurre lo sciopero nel binario incontroverso della legittimità – ferme rimanendo le principali considerazioni d’apertura circa il tipo di sciopero.
A tal fine, il sindacato avrebbe potuto rendere edotta la Commissione dell’avvenuta notifica di modifica parziale a tutti i soggetti interessati, compiuta espungendo dalla proclamazione proprio la parte posta in contestazione e cioè l’espressione “è lasciata la possibilità al singolo aderente di partecipare ad uno o più giornate di sciopero o, in alternativa, al tutto il periodo previsto (15gg)” sostituita con altra formulazione, conforme alle indicazioni e consentire così la ripresa dell’ordinaria procedura di valutazione, ai sensi della legge n.146/90, a questo punto sicuramente applicabile al caso di specie.
5. Conclusioni
La delibera della Commissione, datata 15 ottobre 2021, appare parzialmente illegittima, nella parte in cui non ritiene integrati i presupposti per la deroga alla rarefazione oggettiva ai sensi del comma 7, art.2, l. 146/90, pur sussistenti come motivato supra, nonché, laddove esclude che sia stato indetto uno sciopero generale (almeno fino alla data dell’intervenuta integrazione di notifica compiuta da FISI in data 08 ottobre), ritenendolo mero sciopero per categorie, configurandosi pertanto l’ulteriore violazione della delibera n.03/134, a mente della quale, tra scioperi generali e di ambito e di livello diverso, ai fini degli obblighi di rarefazione, con riferimento ai singoli servizi pubblici essenziali, è necessario che intercorra un intervallo di almeno dieci giorni, per evitare una non accettabile incidenza sulla continuità del servizio.
Circa la seconda delibera, del 04 novembre 2021, vale invece considerare l’illegittimità di un comportamento amministrativo che, mancando di estrinsecarsi in un agire secondo buona fede e improntato alla efficiente collaborazione coi privati (qui rappresentati dal sindacato FISI), si è risolto in un provvedimento determinante il sacrificio del diritto di sciopero. Diritto, preme ricordarlo oggi in tempi bui per l’ordinamento, costituzionalmente riconosciuto e garantito.