Testo integrale con note e bibliografia
1. Sorveglianza sui luoghi di lavoro e dignità dei lavoratori: cenni ge-nerali
La vigilanza sull’attività di lavoro è un dato ineliminabile nell’organizzazione del lavoro: è strumento indispensabile per coordinarlo, per valutarlo e per consentire l’eventuale esercizio del potere disciplinare.
L’impossibilità di scindere il lavoro dalla persona che lo presta provoca un inevitabile conflitto tra l’autorità del datore di lavoro e la personalità del la-voratore, che ne può risultare profondamente incisa. La struttura del rapporto di lavoro subordinato presuppone una contrapposizione tra autorità e libertà, co-sicché gli ordinamenti giuridici di civil law hanno affinato rigide cornici legali di disciplina delle prerogative datoriali con l’obiettivo di garantire un equilibrato bi-lanciamento tra la tutela della personalità e la libertà di iniziativa economica I principi generali e le disposizioni costituzionali che affrontano questo tema ri-flettono il grado di compressione della personalità che i singoli ordinamenti con-siderano accettabile nel contesto della subordinazione giuridica.
Nel rapporto di lavoro subordinato, infatti, gli ordinamenti legittimano l’esercizio dell’autorità privata per il perseguimento di un interesse privato, e, così, accettano di attribuire rilevanza giuridica ad una forma di dominio di un soggetto su di un altro. Il principio personalistico giustifica l’imposizione di vin-coli alla libertà di iniziativa economica privata finalizzati al rispetto della dignità umana, considerata anche nella sua componente professionale. È per questa ra-gione, al fine di preservare la dignità umana, che qualsiasi interferenza datoriale nella sfera personale del lavoratore deve essere giustificata.
La giustificazione del controllo si connette all’individuazione dell’interesse che, nella prospettiva del Regolamento 2016/679/UE (sintetizza-bile, per comodità, ricorrendo all’acronimo inglese “GDPR”), è capace di con-sentire l’effettuazione di un trattamento di dati personali, previa dimostrazione della sua “legittimità”, oltre che dell’effettuazione di una valutazione di bilan-ciamento tra interessi contrapposti che può imporre, in determinate circostanze, anche l’elaborazione di una “valutazione di impatto sulla protezione dei dati” (art. 35 GDPR).
In una fase di transizione come l’attuale, di fronte all’invadenza delle tecnologie nel controllo sull’attività espressiva dell’umano, e nella consapevo-lezza della crisi del diritto del lavoro tradizionale inteso come apparato protetti-vo, il ruolo del giudice è essenziale , soprattutto ove si consideri la prospettiva eurounitaria, nella quale la funzione giudiziaria “embodies an authority founded on independence, on its relationship with the law and on the resolution of dispu-tes”, disponendo, così, di una “singular voice which isolated from the political sphere and linked only to the will of the law” .
2. Il potere di controllo nel sistema del diritto del lavoro spagnolo
Il potere di sorveglianza e controllo del datore di lavoro in relazione alla prestazione di lavoro prevista dal contratto di lavoro fa parte del cosiddetto “po-tere di gestione del datore di lavoro”. Tale potere implica il potere del datore di lavoro di organizzare e dirigere il processo di produzione, un potere che corri-sponde alla dipendenza o subordinazione in base alla quale il lavoratore fornisce servizi retribuiti. Allo stesso tempo, il potere di gestione attribuisce all’azienda, tra l’altro, il potere di monitorare e controllare l’effettivo adempimento da parte del lavoratore della prestazione di lavoro impegnata attraverso il contratto di la-voro.
Questo potere di vigilanza e controllo trova un limite essenziale nel ri-spetto dei diritti fondamentali della persona del lavoratore. Tale limite impedisce che la sorveglianza e il controllo vengano effettuati utilizzando mezzi o procedu-re che danneggiano i diritti fondamentali, poiché tali diritti sono direttamente collegati alla dignità umana. Il diritto del lavoro non copre la sorveglianza azien-dale o le azioni di controllo che vengono condotte danneggiando la dignità della persona del lavoratore.
Nell’ordinamento giuridico spagnolo, lo Statuto dei Lavoratori prevede che “Il datore di lavoro può adottare le misure che ritiene più appropriate per il monitoraggio e il controllo al fine di verificare il rispetto da parte del lavoratore dei propri obblighi e doveri lavorativi, mantenendo l'adozione e applicazione dovuta alla loro dignità e tenendo conto, se del caso, della reale capacità dei la-voratori con disabilità” (art. 20.3 ).
Per contrastare quel potere di sorveglianza e controllo, il sistema giuridi-co attribuisce una serie di diritti fondamentali alla persona del lavoratore che trovano la loro origine nella Costituzione spagnola del 1978 (CE). Detto testo costituzionale stabilisce, tra gli altri, il diritto alla privacy della persona all’art. 18 come un diritto fondamentale in generale, ma ugualmente suscettibile di essere considerato un diritto del lavoro fondamentale di natura non specifica . E con la stessa natura di un diritto fondamentale, nell’art. 18.4 CE proclama il cosiddetto “diritto al controllo dei dati” quando afferma che “La legge limiterà l’uso della tecnologia dell’informazione per garantire l’onore e la privacy personale e fami-liare dei cittadini e il pieno esercizio dei loro diritti” .
Lo Statuto dei Lavoratori, nella sua qualità di norma in cui viene procla-mata e sviluppata gran parte dei diritti sociali costituzionali - ad eccezione del diritto alla libertà di associazione e di sciopero - stabilisce la portata e il contenu-to del diritto alla privacy nel rapporto di lavoro. La norma di legge prevede che ogni lavoratore abbia il diritto di veder “Rispettare la propria privacy e intimità in ragione della propria dignità ...” (“Al respeto de su intimidad y a la consideración debida a su dignidad…”: art. 4.2, e). Insieme a questo diritto, esercitabile nel rapporto di lavoro, lo stesso testo di legge indica attualmente, dopo la modifica introdotta dalla disposizione aggiuntiva n. 13 della legge orga-nica 3/2018, del 5 dicembre 2018, sulla protezione e la garanzia dei dati perso-nali dei diritti digitali, i seguenti: “I lavoratori hanno il diritto alla privacy nell’uso dei dispositivi digitali messi a disposizione dal datore di lavoro, alla di-sconnessione digitale e alla privacy contro l’uso di dispositivi di videosorveglian-za e geolocalizzazione nei termini istituit’ dalla normativa vigente in materia di protezione dei dati personali e garanzia dei diritti digitali” (nuovo art. 20 bis ).
Per quanto riguarda il quadro normativo relativo alla protezione dei dati personali, è necessario chiarire che in Spagna, al tempo cui si riferiscono le due sentenze pronunciate dalla Corte EDU nel caso López, era applicabile la Legge organica 15/1999, del 5 dicembre 1999, sulla protezione dei dati personali (LOPD). Espressamente, l’art. 5 di detta legge imponeva al datore di lavoro di adempiere a una serie di doveri, che sono specificati come segue: “gli interessati a cui siano richiesti dati personali devono essere preventivamente informati in modo espresso, preciso e inequivocabile” riguardo all’esistenza “di un archivio o un trattamento di dati personali” e, tra gli altri requisiti, “della finalità della rac-colta e dei destinatari delle informazioni”. Secondo questo quadro giuridico, la società doveva in precedenza avvertire dell’esistenza di telecamere di sorve-glianza, precisando inequivocabilmente l’esistenza dello scopo di controllare l’attività lavorativa.
Attualmente, la normativa è contenuto nella Legge organica 3/2018, del 5 ottobre 2018, sulla protezione dei dati personali e sulla garanzia dei diritti digi-tali, che adegua i suoi contenuti alle disposizioni del Regolamento (UE) 2016/679 e riproduce parte del contenuto precedente riguardante l’obbligo di in-formazione preventiva ai sensi dell’art. 13 del Regolamento.
Si deve evidenziare che la Corte costituzionale spagnola ha emesso una sentenza di massimo rilievo, la STC 29/2013, dell’11 febbraio 2013, in cui ha stabilito lo stretto rapporto tra raccolta di immagini e trattamento dei dati perso-nali: “la raccolta delle immagini delle persone costituisce un trattamento dei dati personali incluso nell’ambito di applicazione delle norme sulla protezione dei da-ti”. Tenendo conto di questo principio si deve concludere nel senso che la vi-deosorveglianza aziendale con telecamere sul posto di lavoro può influire sul di-ritto alla privacy personale oltre che sul diritto fondamentale alla protezione dei dati personali .
3. Il bilanciamento di interessi e il ruolo della Corte europea dei di-ritti dell’Uomo
La Corte europea dei diritti dell’uomo (Corte EDU), con la sentenza della Gran-de Camera, definitivamente pronunciando sul caso López, interviene nel tentati-vo di stabilire un rapporto coerente tra le forme di esplicazione dell’autorità im-prenditoriale e il principio personalistico; la sentenza López, pur nella sua sinte-ticità, fornisce un criterio di orientamento generale in ordine alla relazione tra ri-servatezza e libertà d’impresa.
La libertà d’impresa è, come noto, l’essenza stessa del Trattato di Roma e del mercato unico. Il concetto di libertà d’impresa, nel sistema del diritto dell’UE, è molto ampio e ricomprende l’esercizio di ogni attività economica sia su base individuale che su base collettiva. L’art. 16 della Carta dei diritti fonda-mentali dell’UE (la Carta) precisa, tuttavia, che l’esercizio della libertà d’impresa deve avvenire in conformità al diritto dell’Unione e delle legislazioni e prassi na-zionali ed è, dunque, nel diritto dell’Unione che devono, innanzitutto, essere ri-cercate le garanzie e i limiti all’esercizio dell’attività di impresa. È noto, altresì, che, ai sensi dell’art. 52, par. 3, della Carta, nel caso di corrispondenza dei diritti da questa previsti con quelli della Convenzione europea dei diritti dell’uomo (Conv. EDU) e dei relativi Protocolli, significato e portata sono definiti da quest’ultima .
Quest’ultimo passaggio è centrale perché consente di porre al centro dell’analisi giuridica del rapporto tra libertà d’impresa e dignità del lavoratore (nella prospettiva della sua riservatezza), il sistema della Conv. EDU.
Nel modello di cui agli artt. 8, par. 2 e 10 par. 2 della Conv. EDU è im-plicito un rapporto di prevalenza della “reasonable expectation of privacy” ri-spetto all’esplicazione del potere datoriale di controllo.
L’art. 1 del primo protocollo addizionale alla Conv. EDU non può essere letto, con riferimento al rispetto della riservatezza del lavoratore, che in combi-nazione con l’art. 8 della Convenzione.
In questo senso si può ritenere che, in relazione alla riservatezza del la-voratore, un esito interpretativo quale quello raggiunto dalla Corte di giustizia con le sentenze Alemo-Herron (cf. Prassl, 2015) e AGET Iraklis non dovrebbe essere possibile. Il ruolo centrale attribuito dalla Corte di giustizia alla libertà di impresa, intesa come libera da intrusioni e coercizioni regolative, non può che essere ribilanciato, con riferimento, per lo meno, al rapporto con la riservatezza del lavoratore, alla luce del parametro di cui all’art. 8 della Conv. EDU che pone la persona al centro del sistema. Nel modello dell’art. 8 la libertà d’impresa, e dunque l’autorità, si trova in posizione subordinata rispetto alla dignità umana.
Per tutte queste ragioni si deve sottolineare che la Corte di Strasburgo ha un ruolo fondamentale nell’elaborazione di un criterio interpretativo generale del bilanciamento di interessi in materia, assunto, ormai, a parametro di riferimento per il diritto europeo quanto a trattamento dei dati personali nel GDPR.
A questo proposito, si deve considerare che l’art. 1 del GDPR, nel disci-plinare oggetto e finalità della normativa di settore, delinea espressamente una griglia di bilanciamento tra i diritti e le libertà fondamentali implicate dalla mate-ria del trattamento dei dati personali.
Il sistema configurato dall’art. 1 del GDPR si pone, evidentemente, in di-retta relazione con la clausola limitativa di cui all’art. 52, par. 1, della Carta, co-me dimostra il considerando 4 del Regolamento europeo (direttamente connesso all’art. 1), ove si legge che “The processing of personal data should be designed to serve mankind. The right to the protection of personal data is not an absolute right; it must be considered in relation to its function in society and be balanced against other fundamental rights, in accordance with the principle of proportion-ality”.
Un modello interpretativo stabile del criterio di bilanciamento deve per-mettere di armonizzare anche gli interventi normativi di dettaglio dei singoli Sta-ti membri in materia di trattamento dei dati personali dei dipendenti nell’ambito dei rapporti di lavoro. L’art. 88 del GDPR, infatti, precisa che le norme naziona-li, in questa materia, sono destinate ad “assicurare la protezione dei diritti e delle libertà” (par. 1), e ad includere “misure appropriate e specifiche a salvaguardia della dignità umana, degli interessi legittimi e dei diritti fondamentali degli inte-ressati, in particolare per quanto riguarda la trasparenza del trattamento, il trasfe-rimento di dati personali nell’ambito di un gruppo imprenditoriale o di un gruppo di imprese che svolge un’attività economica commune e I sistemi di monitorag-gio sul posto di lavoro” (par. 2).
L’art. 88 presuppone un criterio di bilanciamento mobile che deve rispet-tare i criteri di proporzionalità, necessità e finalità come ricostruiti dalla giuri-sprudenza della Corte di Giustizia e della Corte EDU.
La Corte EDU ha, dunque, il rilevantissimo compito di orientare le giuri-sprudenze nazionali, a cui è riconosciuto un ruolo centrale nella formazione del diritto vivente europeo.
I giudici nazionali sono parte del sistema di protezione dei diritti di ma-trice eurounitaria come dimostra anche la tendenza della Corte di giustizia ad investire il giudice nazionale del compito di compiere quelle operazioni di bilan-ciamento e proporzionalità che solo in relazione all’esame del caso concreto pos-sono essere effettuate nel modo più congruo.
In questo senso basti considerare la sentenza della Corte di giustizia del 15 marzo 2017, C-157/15, Samira Achbita . Dopo avere tratteggiato i caratteri della discriminazione diretta e indiretta, la Corte ha demandato al giudice nazio-nale il compito di verificare se il divieto di indossare in modo visibile qualsiasi segno o indumento che possa essere associato ad un credo religioso oppure ad una convinzione politica o filosofica, corrispondente ad una politica dell’azienda messa in atto in modo indifferenziato con riferimento a qualunque credo religio-so, aveva interessato unicamente i dipendenti della ditta che avevano rapporti con i clienti e se la stessa impresa era in condizione, di fronte al rifiuto di non indossare il velo della lavoratrice, di impiegare senza oneri aggiuntivi la stessa in un’attività che non comportasse contatto col pubblico. Così facendo il giudice di Lussemburgo demanda le attività di verifica necessarie al controllo concreto sull’esistenza o meno della discriminazione indiretta al giudice nazionale, indi-candogli la strada da seguire per siffatto accertamento al fine di verificare la pro-porzionalità delle limitazioni alla libertà fondamentale che trova analoga prote-zione nella Carta e nella Conv. EDU.
Spetta, dunque, al giudice nazionale il difficilissimo compito, aggravato dalla persistente diversità dei sistemi sociali dei diversi Stati membri, di ricom-porre ad unità il conflitto tra libertà e diritti fondamentali, utilizzando la tecnica del bilanciamento e sottoponendo gli esiti del conflitto alla verifica di proporzio-nalità.
4. Il futuro della protezione della riservatezza dei lavoratori: le caute-le della Corte
Da sempre, gli ordinamenti giuridici europei hanno compreso che la veri-fica della correttezza dell’adempimento da parte del datore di lavoro sui lavora-tori non è, in sé, lesiva della dignità del lavoratore. Quando il lavoratore entra nella manifestazione pubblica di ciò che accade in azienda, ciò che egli compie smette di appartenere alla sfera privata e cessa di rientrare nell’area della riserva-tezza. Il problema attiene al controllo che avviene all’insaputa del lavoratore.
È qui che entra in gioco l’apprezzamento giuridico della violazione della dignità.
La Corte EDU, negli ultimi anni, ha cominciato ad elaborare un criterio di bilanciamento tra riservatezza e proprietà dall’angolo visuale della sorveglian-za del lavoratore attraverso, in particolare, le sentenze Köpke, Bărbulescu, Lόpez e Libert. La Corte di Strasburgo sta progressivamente elaborando un “test” di bi-lanciamento del diritto alla tutela della “vita privata” nei luoghi di lavoro (art. 8 della Convenzione) rispetto al contrapposto interesse del datore di lavoro alla protezione della proprietà (art. 1 del primo Protocollo addizionale).
In questa fase storica di grandi cambiamenti tecnologici è naturale che la conflittualità (e l’incertezza) in materia nei singoli Stati membri sia elevata e che, conseguentemente, anche il livello di attenzione della Corte, da tempo significa-tivo, sia destinato a crescere progressivamente: “The competing interests con-cerned might well be given a different weight in the future, having regard to the extent to wich intrusions into private life are made possibile by new, more and more sophisticated technologies” .
Questa sorta di monito, contenuto nella motivazione della sentenza Kö-pke, è particolarmente rilevante ai nostri fini in quanto pone in evidenza come la Corte abbia ben presente l’alto livello di intrusività che gli strumenti tecnologici possono realizzare. Il passaggio sopra richiamato deve essere tenuto bene a men-te nell’esaminare le sentenze della Corte, in quanto consente di cogliere il carat-tere non definitivo dei singoli arresti giurisprudenziali, che si collocano all’interno di un percorso che è tuttora in fase di elaborazione.
5. Il “Reasonable expectation test” nelle sentenze della Corte EDU
La sentenza López rappresenta il punto più avanzato dell’elaborazione giurispru-denziale della Corte EDU in materia di controllo tecnologico a distanza. Il caso è semplice: si tratta di una fattispecie piuttosto tipica di videosorveglianza occul-ta funzionale all’esigenza di individuare i responsabili di una serie di ammanchi verificatisi all’interno di un supermercato. Gli aspetti più rilevanti attengono a due dettagli della vicenda. Innanzitutto: il datore di lavoro aveva notato alcune irregolarità e discrepanze tra risultanze di magazzino e vendite giornaliere, rile-vando perdite crescenti nei mesi successivi; in seguito aveva provveduto ad in-stallare un sistema di videosorveglianza composto in parte da videocamere “vi-sibili” ed in parte da videocamere occulte. Le videocamere visibili, posizionate in entrata e in uscita dal supermercato, intendevano realizzare un controllo ri-spetto a possibili furti commessi dalla clientela, mentre le altre videocamere, oc-culte, posizionate in modo da registrare l’area retrostante le postazioni di cassa, avevano la funzione di controllare eventuali comportamenti appropriativi dei di-pendenti. Solamente le videocamere “visibili” venivano accompagnate da appo-sita informativa, mentre nessuna informazione veniva fornita ai dipendenti circa l’installazione e l’uso di quelle occulte.
Siamo di fronte, potremmo dire, ad un’ipotesi di “controllo difensivo quasi occulto”, dove l’avverbio intende sottolineare la circostanza relativa al fat-to che un qualche tipo di avviso in ordine alla presenza di un sistema di video-sorveglianza attivo nel negozio, in fin dei conti, pur sempre esisteva.
Il secondo dettaglio attiene alle ragioni del comportamento datoriale: il sospetto che gli ammanchi fossero da addebitare al personale era generale e non si appuntava su alcuno dei dipendenti in particolare.
Questo è ciò che distingue il caso López dal caso Köpke, in cui il sistema di videosorveglianza occulta installato (sempre in un supermercato e sempre nei confronti degli addetti alle casse) era la conseguenza di una serie di sospetti che ri-guardavano due specifici lavoratori.
Nel caso Köpke il datore di lavoro aveva installato il sistema di videosor-veglianza solamente in seguito alla scoperta (effettuata durante la realizzazione dell’inventario) di perdite e irregolarità nei rendiconti del reparto bevande nel quale lavorava una certa dipendente, ed al raggiungimento di argua-ble/substatiated suspicion circa la commissione di condotte appropriative da parte dalla stessa e di un altro lavoratore. Solamente costoro vennero sottoposti a videosorveglianza. Le misure di sorveglianza erano state limitate nel tempo (due settimane); erano state limitate in ordine all’area di ripresa in modo da non estendersi all’intero ambiente di lavoro ma esclusivamente all’area delle casse; l’accesso alle informazioni registrate era stato limitato ad un ristretto numero di operatori dell’agenzia investigativa ed al personale incaricato dell’impresa.
In Lόpez la Corte sviluppa un ragionamento che prende le mosse dalla sentenza Köpke.
In Köpke si afferma, sostanzialmente, che: a) l’art. 8 della Convenzione implica non solamente obblighi di carattere negativo per gli Stati contraenti, ma anche l’obbligo positivo di adottare misure idonee a garantire il rispetto effettivo della vita familiare e della vita privata; b) l’effettivo rispetto dell’art. 8 della Convenzione impone allo Stato di adempiere ai propri obblighi positivi di prote-zione in favore di soggetti vulnerabili, ma la scelta delle misure specifiche da adottarsi rientra nel c.d. “margin of apprechiation” riservato agli Stati contraenti; c) in determinate circostanze l’obbligo positivo imposto dall’art. 8 può essere ot-temperato attraverso l’introduzione di un sistema normativo idoneo a conciliare, nello specifico contesto di riferimento, i diversi interessi in conflitto; d) in rela-zione all’impianto complessivo della normativa di riferimento (nel caso Köpke l’ordinamento tedesco), si può ritenere che un sistema di videosorveglianza oc-culta sul luogo di lavoro che segua fondati e dimostrabili sospetti di furto, in pre-senza di un appropriato sistema di tutele, possa dirsi rispettoso della protezione della vita privata.
Le circostanze concrete che indussero la Corte, nel caso Köpke, a ritenere che il bilanciamento degli interessi in conflitto fosse stato operato equamente, sono rappresentate dal fatto che: i) l’area di ripresa era ristretta, ii) la sorveglian-za era stata limitata nel tempo; iii) l’accesso ai dati registrati era limitato; iv) vi era un considerevole interesse alla protezione del diritto di proprietà; v) gli orga-ni della Giustizia domestica avevano verificato che non erano disponibili, in concreto, altri strumenti, meno invasivi, per proteggere la proprietà del datore di lavoro.
La rilevanza del principio di diritto è evidente, in quanto il filone Kö-pke/López chiarisce quando sia possibile derogare alla regola della trasparenza (sub specie informativa preventiva), così completando il quadro rispetto al “test” di compatibilità dei controlli operati dal datore di lavoro rispetto all’interesse alla privacy del lavoratore elaborato dalla Grande Camera con la sentenza Bărbule-scu .
I profili che la sentenza della Grande Camera da ultimo richiamata ritiene debbano essere considerati sono i seguenti: i) il lavoratore deve essere stato in-formato della possibilità del monitoraggio e dell’adozione di misure di controllo; ii) l’informazione deve essere chiara in ordine alla natura del monitoraggio e de-ve essere fornita preventivamente; iii) deve essere verificata l’estensione del mo-nitoraggio ed il grado di intrusione nella privacy del lavoratore: in questa pro-spettiva v’è distinzione tra il monitoraggio del solo flusso di comunicazioni e quello del loro contenuto; deve essere precisato al lavoratore se sono oggetto di monitoraggio tutte o solo una parte delle comunicazioni scambiate, ed il numero di persone che vi possono avere accesso; iv) il datore di lavoro deve disporre di ragioni legittime, capaci di giustificare il monitoraggio; v) si deve verificare se esista la possibilità di ricorrere a misure di monitoraggio meno intrusive; vi) de-vono essere verificate quali sono le conseguenze del monitoraggio e qual è l’uso che il datore di lavoro intende fare delle informazioni; vii) si deve verificare che esistano garanzie adeguate che garantiscano in particolare che il datore di lavoro non possa accedere al contenuto delle comunicazioni senza che il lavoratore sia preventivamente informato di una tale eventualità.
La sentenza López ribadisce i principi affermati da Köpke e chiarisce quando possa dirsi legittimo un controllo operato in assenza di informazione preventiva.
Il ragionamento è il seguente: a) la videosorveglianza occulta di un lavo-ratore sul luogo di lavoro deve essere considerata come una intrusione significa-tiva nella sua vita privata; b) lo Stato deve ottemperare all’obbligo positivo im-posto dall’art. 8 di garantire un effettivo rispetto della vita privata anche sul luo-go di lavoro; c) in questa prospettiva occorre verificare se lo Stato abbia realizza-to un equo bilanciamento tra gli interessi contrapposti (privacy e proprietà).
Nel caso López le informazioni registrate erano state processate ed esa-minate solamente dal manager del supermercato, dal legale rappresentante della società e dal rappresentante sindacale prima che i lavoratori venissero informati dell’esistenza delle videoriprese; la normativa domestica sulla protezione dei dati personali (sezione 5 della legge spagnola n. 15 del 1999) imponeva (nel rispetto del diritto comunitario) che venisse fornita una preventiva, esplicita, precisa e inequivocabile informativa circa l’esistenza di archivi di dati personali e dei dirit-ti spettanti all’interessato; l’Autorità spagnola per la protezione dei dati personali aveva imposto il posizionamento di un avviso indicante le aree sottoposte a vi-deosorveglianza; tuttavia le Corti domestiche avevano ritenuto la misura della videosorveglianza occulta come giustificata, appropriata in relazione al legittimo interesse perseguito, necessaria e proporzionata.
A fronte di tutte queste considerazioni la Grande Camera della Corte di Strasburgo conclude, ribaltando la sentenza della Camera semplice, nel senso che nello specifico l’art. 8 della Convenzione non sia stato violato, essenzial-mente perché (paragrafo 128 della motivazione) il datore di lavoro non aveva a disposizione alcuna misura meno intrusiva utile allo scopo di identificare gli au-tori dei furti, e che l’informazione preventiva circa l’adozione di tale misura avrebbe reso sostanzialmente vana l’implementazione.
Il contributo che la giurisprudenza europea apporta al dibattito sulla rico-struzione dei criteri di bilanciamento tra interessi contrapposti è duplice: 1) deve ritenersi ammissibile la categoria logica dei controlli difensivi, che possono dirsi legittimi a condizione che siano una misura necessitata, proporzionata, e, soprat-tutto, conseguente all’emersione di un sospetto comprovabile nei confronti di uno o più determinati lavoratori; 2) deve enfatizzarsi l’importanza del rispetto della normativa domestica in materia di protezione dei diritti del singolo indivi-duo, ed in particolare della legislazione sul trattamento dei dati personali.
Il primo aspetto (peraltro fortemente connesso al secondo) è sicuramente fondamentale, ed in qualche modo conferma l’elaborazione concettuale che è stata sviluppata in diversi paesi europei, ed in particolare in Italia anche in segui-to alla modifica apportata, nel 2015, all’art. 4 dello Statuto dei Lavoratori.
Si deve sottolineare che la dottrina di common law si interroga da tempo in ordine alla possibile elaborazione di un “test di proporzionalità” valido nella pro-spettiva del bilanciamento tra interessi contrapposti nella materia della sorve-glianza tecnologica.
Le prospettive più avanzate, al riguardo, sono da riconnettere ad uno studio del 2009 in cui viene proposta una lista di “indicatori obiettivi” per verifi-care l’intrusività delle tecnologie di sorveglianza : la natura dell’osservatore (pubblica, privata, impresa o altro); il livello di identificazione personale; il luogo dove la sorveglianza è realizzata; il carattere più o meno “sensibile” delle infor-mazioni estratte; il livello di accuratezza (specificato nella prospettiva della c.d. “granularità” della sorveglianza, dipendente maggiore o minore precisione del dato registrato); lo scopo della sorveglianza e la consapevolezza del soggetto os-servato.
Altra dottrina aggiunge, come indicatore di impatto, la valutazione del-lo scopo originario per il quale la tecnologia in uso nello specifico sia stata dise-gnata.
Questo fattore è sicuramente di estrema rilevanza con riferimento a for-me di sorveglianza più complesse sotto il profilo della tecnologia utilizzata, in quanto, evidentemente, vi sono forti differenze in termini di rischi per la dignità e la riservatezza delle persone a seconda del fatto che il software o il sistema ma-tematico di riferimento possa dar luogo a risultati differenti in relazione ad un utilizzo che costituisca una implementazione delle funzioni per le quali il pro-gramma sia stato originariamente progettato.
La questione attiene alla verifica dell’assetto “architetturale” del sistema informatico e sottolinea, in particolare, che debba tenersi attenta considerazione del contesto tecnologico nel quale l’algoritmo che costituisce la base di funzio-namento del programma è stato disegnato.
Queste prospettive sono state recepite dalla normativa europea con GDPR che poggia sui principi della “privacy by design” e “by default”, ma la questione dell’assetto infrastrutturale non è mai stata affrontata dalla giurispru-denza della Corte EDU, evidentemente perché la tecnologia specifica utilizzata nei casi sottoposti alla Corte non presenta aspetti particolari.
In ogni caso, i più recenti arresti della giurisprudenza della Corte di Stra-sburgo insistono su due profili del test di proporzionalità: lo scopo della sorve-glianza e la consapevolezza del soggetto sorvegliato, ammettendo che possa ri-tenersi misura “necessary in a democratic society in the interests of national se-curity, public safety or the economic wellbeing of the country, for the prevention of disorder or crime, for the protection of health or morals, or for the protection of the rights and freedoms of others” (art. 8, par. 2, Conv. EDU), un’intrusione nella vita privata del lavoratore costituita da un sistema di videosorveglianza oc-culta giustificato da “prior substantiated suspicion” nei confronti dell’interessato.
Giova notare, al riguardo, che l’art. 8 della Convenzione ha “struttura bi-partita”, nel senso che la norma è costituita da una prima parte che enuncia il contenuto del diritto tutelato, ed una seconda parte che individua i presupposti in presenza dei quali lo Stato contraente può sottoporre il diritto a restrizione.
Le limitazioni dei diritti a struttura bipartita sono ammesse in presenza dei seguenti tre fattori: a) sussistenza di un fondamento legale della limitazione; b) esistenza di un “legitimate aim”, ovverosia una finalità legittima, il persegui-mento della quale giustifica la restrizione del diritto; c) che la restrizione sia ne-cessaria in una società democratica.
Anche la protezione del diritto di proprietà, assicurata dall’art. 1 del pri-mo Protocollo addizionale ammette la potestà dei singoli Stati di introdurre di-sposizioni normative “deems necessary to control the use of property in accor-dance with the general interests”, ma la formulazione di questa norma lascia un margine di discrezionalità più ampio rispetto all’art. 8 della Convenzione.
6. I controlli “difensivi” occulti
Uno dei passaggi fondamentali della sentenza López riguarda il riconoscimento di una rilevanza primaria alla normativa domestica in materia di protezione della privacy, evidentemente sub specie regolazione del trattamento dei dati personali.
La sentenza della Corte di Strasburgo contribuisce a consolidare la rile-vanza dell’innesto regolativo tra disciplina lavoristica e normativa generale in materia di dati personali, con un ragionamento che resta valido anche con l’applicazione del GDPR.
In questa prospettiva si devono sottolineare due fattori: 1) l’art. 88 del Regolamento europeo non impone l’armonizzazione dei sistemi giuridici dei Pae-si membri dell’UE quanto a trattamento di dati nell’ambito dei rapporti di lavo-ro, atteso che gli Stati membri sono abilitati a (possono) prevedere norme più specifiche per assicurare la protezione dei diritti e delle libertà con riguardo al trattamento dei dati personali dei dipendenti nell’ambito dei rapporti di lavoro. Questo significa che l’impatto del Regolamento avrà attinenza esclusivamente per la porzione di disciplina che intreccia il rapporto di lavoro in termini di esportazione ad esso della normativa generale, ma non per tutto quanto attiene la disciplina che regola il rapporto e il mercato del lavoro; 2) nella prospettiva della tutela degli ambiti di riservatezza personale nei luoghi di lavoro il problema del rapporto tra diritto del lavoro e normativa sulla privacy è regolato da un rap-porto di definitiva, e circolare, integrazione tra i due piani di regolazione.
La questione da porsi, tenendo conto di tutto quanto sopra, riguarda l’ammissibilità di controlli occulti di carattere difensivo. Il problema sorge in quanto la disciplina europea sembra imporre sempre, quale condizione di legit-timità del trattamento dei dati, la necessaria trasparenza da garantire attraverso l’informativa.
La giurisprudenza della Corte EDU, pur tendendo a privilegiare in modo più rigoroso le istanze di libertà e dignità dei lavoratori, mostra un certo sforzo interpretativo finalizzato al raggiungimento di un punto di equilibrio armonico tra le opposte esigenze di tutela della riservatezza rispetto alla proprietà, sub specie libertà di iniziativa economica: i controlli, per essere genuinamente “di-fensivi”, devono, in primo luogo, essere diretti ad accertare condotte illecite del lavoratore a tutela di beni estranei al rapporto di lavoro.
I controlli, per essere considerati veramente difensivi, non devono con-cretarsi in un sistema preordinato a vigilare a distanza l’esecuzione dell’attività lavorativa, ma in una verifica effettuata a posteriori.
Il divieto “preterintenzionale” di controllo a distanza è destinato, dun-que, a valere per quegli strumenti di controllo aventi proprio la finalità di moni-torare l’attività del lavoratore conferendo ex ante al datore di lavoro l’intrinseca possibilità di vigilare in tempo reale l’adempimento della prestazione lavorativa, in modo appunto continuo e anelastico.
I risultati del controllo difensivo così attuato, in ogni caso, possono esse-re utilizzati soltanto in modo proporzionato e pertinente rispetto alla natura stes-sa del controllo effettuato.
Resta il problema del rapporto tra il controllo tecnologico occulto, la somministrazione di adeguata informazione e il rispetto delle regole di trasparen-za imposte dalla disciplina europea in materia di privacy.
Negare in termini trancianti la legittimità di ogni forma di controllo di-fensivo non pare ammissibile.
In argomento, invero, parte della dottrina ha proposto una interessante rilettura del tema dei controlli difensivi come manifestazione della legittima dife-sa in ambito civile; questa ricostruzione si basa anch’essa sulla ricerca di un bi-lanciamento tra interessi contrapposti, individuando come ipotesi giustificante il controllo occulto la sussistenza di una “concreta, e non soltanto immaginaria, si-tuazione di pericolo, comunque attuale e non futuribile o, peggio, cessata” .
La prospettiva teorica da ultimo richiamata si interseca con la giurispru-denza della Corte di Strasburgo, dalla quale si deve trarre ulteriore argomento per confermare la persistente legittimità dei controlli difensivi, ove superino il “test” di bilanciamento.
Non si può omettere di considerare, infatti, che un’interpretazione del si-stema giuridico che neghi un qualsiasi spazio per una effettiva tutela del diritto di proprietà (oltre che del diritto all’esercizio libero dell’iniziativa economica privata tutelata dall’art. 16 della Carta in combinazione con l’art. 1 del primo protocollo addizionale alla Conv. EDU), si porrebbe in chiaro contrasto con una lettura costituzionalmente e convenzionalmente orientata del sistema.
Ne risulterebbe un modello ingiustificatamente sbilanciato verso una tu-tela sproporzionata della privacy a fronte di una compressione degli interessi contrapposti che non trova alcun fondamento nel sistema delle fonti nazionali e sovranazionali. Avremmo, inoltre, un effetto di sbilanciamento anche in relazio-ne al contemperamento del diritto alla riservatezza del lavoratore rispetto al di-ritto alla difesa del datore di lavoro.
Una sentenza italiana di qualche anno fa, a questo riguardo, aveva sotto-lineato che la disciplina della privacy è diretta a predisporre una tutela in rela-zione al trattamento dei dati personali e non a modificare il regime probatorio . Questa stessa sentenza va ricordata anche per aver affermato che deve essere esclusa, in virtù del divieto di venire contra factum proprium, la tutela del diritto alla privacy quando lo stesso venga fatto valere in correlazione ad un comportamen-to anti doveroso in precedenza tenuto da chi ne richiede l’applicazione.
Non si deve dimenticare, in ogni caso, che la giurisprudenza ha da tempo sottolineato che “in caso di trattamento di dati personali, costituisce un limite al-la protezione del diritto alla riservatezza l’esigenza di protezione di altre posizio-ni soggettive giuridicamente rilevanti” .
Tale principio, implicitamente, conferma che il sistema normativo di rife-rimento deve essere interpretato alla luce dell’interazione tra diritto del lavoro, normativa generale in materia di privacy e ordinamento civile; ed il modello ge-nerale ammette da tempo, in piena coerenza con la Conv. EDU, che l’interesse alla riservatezza recede quando quest’ultimo sia esercitato per la difesa di un in-teresse giuridicamente rilevante e nei soli limiti in cui esso sia necessario alla tu-tela.
L’esigenza di individuare un criterio di equo bilanciamento tra interessi contrapposti, infine, emerge con chiara evidenza dal sistema del GDPR.
Senza voler ora entrare nel dettaglio, basti qui richiamare l’attenzione sulla centralità che nel Regolamento europeo assume, tra le condizioni di liceità del trattamento, la necessità dello stesso “per il perseguimento del legittimo inte-resse del titolare del trattamento o di terzi, a condizione che non prevalgano gli interessi o i diritti e le libertà fondamentali dell’interessato che richiedono la pro-tezione dei dati personali […]” (art. 6, par. 1, lett. f), da leggere in particolare correlazione con i considerando 47, 48 e 49).
La civilistica più recente attribuisce rilievo centrale alla norma da ultimo richiamata, sottolineando come la stessa ricopra un ruolo di depotenziamento del consenso come parametro di liceità per alimentare una gamma composita di basi giuridiche, tra le quali sicuro rilievo assume il criterio del bilanciamento, che pervade l’intero impianto del GDPR .
L’operazione di bilanciamento andrà effettuata dai singoli legislatori e dalla giurisprudenza domestici al lume di una regola di prevalenza e soccomben-za tra gli interessi in conflitto caratterizzata, in via primaria, dal riferimento alla buona fede/correttezza richiamata dall’art. 5 del Regolamento stesso, e rafforza-ta dall’art. 40, ove si incoraggia l’elaborazione di codici di condotta funzionali anch’essi alla precisazione del modello di bilanciamento alla stregua dei criteri di equità, correttezza e trasparenza.
Tutto ciò considerato, si può valorizzare, in conclusione, come il test di bilanciamento elaborato dalla giurisprudenza di Strasburgo possa assolvere, alla luce del criterio di buona fede, la funzione di impedire comportamenti abusivi che vedano il diritto alla privacy strumentalizzato alla tutela giuridica di pregres-si comportamenti anti doverosi. In questa prospettiva occorre tenere conto an-che della regola finale posta dall’art. 17 della Conv. EDU, che pone l’esplicito divieto dell’abuso del diritto così vientando l’esercizio dei diritti riconosciuti dal-la Convenzione al solo scopo di impedire quello di altri da essa egualmente tute-lati .
La categoria dei “controlli difensivi” attiene a quei controlli diretti ad ac-certare la sussistenza di comportamenti caratterizzati da profili di illiceità ulte-riore rispetto al mero inadempimento del contratto di lavoro.
L’attività di controllo sul lavoratore da parte del datore di lavoro deve essere in ogni caso compatibile con i principi espressi dalla giurisprudenza della Corte EDU in materia di tutela della privacy; la restrizione del diritto alla riser-vatezza del lavoratore deve essere necessaria in una società democratica, da considerarsi alla stregua di una valutazione di proporzionalità. Il giudizio di bi-lanciamento, che deve tenere conto delle policies aziendali, da valutare alla luce dei criteri indicati dalle sentenze Bărbulescu e López, non può non considerare la finalità del controllo.
L’applicazione concreta del test di bilanciamento è rimessa al giudice na-zionale, al quale spetta, come evidenziato dalla sentenza Köpke, il compito di colmare l’eventuale deficit di accessibilità e/o prevedibilità del dato legislativo formale.
Il test di proporzionalità, in questo modo, svolge un ruolo fondamentale come strumento concreto di armonizzazione europea attraverso l’intervento del giudice nazionale.
7. L’ordinanza n. 6031/2019 del Tribunale di Padova
Come esempio di decisione giudiziaria basata su di un riferimento esplici-to al sistema normativo e giurisprudenziale della Conv. EDU si può prendere in considerazione l’ordinanza n. 6031/2019 del 4 ottobre 2019 , relativa al caso di un lavoratore licenziato per falsa attestazione della propria presenza in ufficio emersa dalla relazione investigativa dopo essere stato sottoposto a sorveglianza (occulta) tramite agenzia investigativa. La fattispecie, assoggettata all’art. 3 dello Statuto dei lavoratori (e non all’art. 4 in considerazione dell’impiego di personale addetto alla vigilanza e non di impianti audiovisivi o altri strumenti di controllo a distanza ), è stata ricondotta dal Giudice alla categoria del controllo difensivo, da ritenersi legittimo ove indirizzato a verificare non puramente e semplicemente il corretto adempimento dell’obbligazione lavorativa privatistica da parte del la-voratore, ovvero eventuali effetti lesivi di interessi aziendali che siano pur sem-pre diretta conseguenza della violazione del contratto di lavoro, bensì “la com-missione di fatti costituenti reato ai sensi dell’art. 640 c.p.c.”.
L’ordinanza riprende un analogo ragionamento motivazionale dello stes-so Tribunale di Padova in ordine alla categoria del controllo difensivo, a riguardo del quale autorevole dottrina ha evidenziato come “l’illecito contrattuale si con-figurerebbe in tutti i casi in cui vi fossero, per il datore di lavoro, riflessi negativi e dannosi, ulteriori rispetto a quelli derivanti dall’inadempimento contrattuale del prestatore di lavoro” .
Quello che rileva maggiormente porre in evidenza, tuttavia, è il ragiona-mento che il Tribunale sviluppa in ordibne alla valutazione circa la coerenza del controllo datoriale rispetto alle restrizioni al diritto alla privaci imposte dall’art. 8 Conv. EDU. A questo riguardo l’ordinanza, implicitamente, applica il test di proporzionalità, ripercorrendo i profili di rilevanza evidenziati dalla giurispru-denza della Corte EDU quanto a limitazioni del diritto alla privacy. L’esame at-tiene, tra l’altro, alla verifica circa l’invasività del controllo, l’esistenza di un so-spetto delineato e preciso circa la commissione di condotte illecite, le ragioni che hanno spinto il datore di lavoro a ricorrere al controllo.
Questo passaggio è direttamente connesso alla giurisprudenza López: nel caso di specie il datore di lavoro aveva ravvisato un sospetto nella causale sco-perta dell’assenza del lavoratore dalla sua postazione nonostante la sua prevista presenza come da planning settimanale (verificato comunque dopo la causale scoperta dell’assenza).
8. Il punto di vista del diritto spagnolo
I Tribunali del lavoro in Spagna hanno affrontato in diverse occasioni il problema relativo alla portata del potere di sorveglianza e controllo, nonché, in generale, il tema della portata ed estensione dei diritti fondamentali nel rapporto di lavoro, rilevando quelle situazioni o circostanze in cui il potere dell’impresa deve cedere al fine di preservare la dignità del lavoratore, che si manifesta in par-ticolare attraverso il legittimo esercizio dei diritti fondamentali sul lavoro.
Questo lavoro interpretativo è stato svolto dai Tribunali nazionali, in particolare dalla Corte costituzionale; nondimeno, anche la Corte di giustizia dell’UE ha dovuto pronunciarsi in ordine a questo tipo di controversie quando ha applicato la Carta dei diritti fondamentali. Ma, senza dubbio, trasversale e pertinente è la giurisprudenza della Corte EDU che applica e interpreta il signifi-cato dei diritti proclamati nella Convenzione EDU, nella misura in cui le sue di-chiarazioni sono direttamente vincolanti per tutti i Tribunali - compresi i Tribu-nali costituzionali - di ciascuno Stato appartenente al Consiglio d’Europa.
In relazione a questo problema, la (seconda) pronuncia della Corte EDU nel caso López Ribalda, ha creato una preoccupazione - pienamente giustificata - in relazione al cosiddetto “controllo difensivo” da parte dell’azienda e il posizio-namento di telecamere nascoste per monitorare la correttezza della prestazione lavorativa.
L’installazione di telecamere di sorveglianza nei luoghi di lavoro è giusti-ficata, tra l’altro, dalla sicurezza dei beni aziendali. Il bene legale invocato dalle società per la sua installazione consiste nella legittima difesa contro azioni illega-li che i lavoratori potrebbero presumibilmente commettere . Questa attività di videosorveglianza consente di rilevare e applicare sanzioni contro comportamen-ti gravi, generalmente configurati come una violazione della buona fede contrat-tuale. Tuttavia, il suo utilizzo è potenzialmente lesivo della privacy delle perso-ne, poiché implica la capacità di catturare e riprodurre il comportamento del la-voratore sul posto di lavoro e, se del caso, divulgare informazioni riguardanti la persona del lavoratore.
L’interpretazione della Corte EDU aveva stabilito che nell’uso dei siste-mi di videosorveglianza con telecamere, i beni legali in conflitto dovrebbero es-sere ponderati e considerati un metodo di controllo estremo sentenza del 5 otto-bre 2010, Köpke v. Germany e del 28 novembre 2017, Antović e Mirković v. Montenegro). Inoltre, l’uso di telecamere o videocamere deve essere proporzio-nale allo scopo perseguito e deve essere considerato legittimo, nella misura in cui risponde all'obiettivo di sicurezza, per la difesa degli interessi patrimoniali azien-dali, come stabilito dall’art. 5 del Regolamento (UE) 2016/679, e ai sensi delle norme di legalità del trattamento dei dati di cui all’art. 6 di detto regolamento.
La prima sentenza della Corte europea dei diritti dell'uomo del 9 gennaio 2018, caso López Ribalda et al. c. il Regno di Spagna ha affrontato il problema della videosorveglianza aziendale segreta o nascosta, ovvero quando la società ha effettuato un controllo “difensivo”. Ciò ha posto la controversia davanti alla necessità di determinare due aspetti fondamentali: a) il contenuto e la portata del dovere di informazione preventiva nei confronti dei lavoratori sul sistema di sor-veglianza, b) qual è la portata del controllo nascosto per verificare un reato di lavoro.
I fatti, in sintesi, sono i seguenti: in caso di sospetto furto da parte di al-cuni lavoratori, cassieri in una catena commerciale, la società ha collocato tele-camere di sorveglianza di cui ha informato il Comitato aziendale. Tuttavia, si li-mitava a segnalare telecamere visibili, ma non lo faceva in relazione alle teleca-mere nascoste installate. Alcune settimane dopo, la sorveglianza praticata ha permesso di verificare l’esistenza di furti diretti, oltre ad aiutare altre persone a eseguirle allo stesso modo. Sanzionato con il licenziamento e contestato la san-zione da parte dei lavoratori, hanno richiesto la dichiarazione di nullità di detti licenziamenti. Seguirono una serie di dichiarazioni giudiziarie interne. Sia l’organo giudiziario di istanza (Corte sociale) che la Corte superiore di giustizia della Catalogna hanno dichiarato i licenziamenti giustificati. La sentenza è stata impugnata dinanzi alla Corte costituzionale spagnola con esito negativo.
Infine, i lavoratori si sono rivolti alla Corte EDU invocando la presunta violazione della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, in particolare il dirit-to al rispetto della privacy (articolo 8), il diritto a un processo equo (articolo 6.1) e il diritto ad un’equa soddisfazione (articolo 41).
Nella prima sentenza in materia, datata 9 gennaio 2018, la Terza Sezione della Corte EDU ha parzialmente accolto la domanda e, di conseguenza, ha condannato la Spagna per non aver protetto la privacy dei lavoratori licenziati, motivo per cui ha costretto a risarcirli per riparare il danno morale subito. In so-stanza, il suddetto giudizio ha ritenuto che l’installazione segreta / nascosta di telecamere di videosorveglianza, attraverso la quale era possibile dimostrare il furto nel supermercato da parte dei cinque dipendenti e che costituiva la causa dei licenziamenti, violava il diritto al rispetto della vita privata delle lavoratrici (art. 8 della CEDU) in violazione delle norme sulla protezione dei dati.
La Corte ha ritenuto che i dati visivi ottenuti tramite le telecamere impli-chino la memorizzazione e l’elaborazione di dati personali, strettamente correlati alla privacy delle persone. Di conseguenza, i dipendenti avevano il diritto di es-sere “informati in precedenza e in modo esplicito, preciso e inequivocabile” dell’esistenza di un archivio di dati personali, di quale fosse il suo scopo e chi fossero i destinatari delle informazioni. Allo stesso modo, avrebbero dovuto co-noscere la natura obbligatoria o facoltativa di rispondere alle domande poste e le conseguenze del rifiuto o del mancato conferimento dei dati. La Corte sottolinea che anche i lavoratori non avevano diritti di accesso, rettifica, cancellazione e opposizione e non conoscevano l’identità e l’indirizzo del responsabile del trat-tamento (diritti tutti tutelati dall’attuale legislazione spagnola).
In secondo luogo, la Corte EDU osservava che il principio di proporzio-nalità non era stato rispettato. Va ricordato che i giudici nazionali hanno ritenuto giustificata la misura della sorveglianza nascosta (in quanto vi erano ragionevoli sospetti di furto) e, quindi, adeguata all’obiettivo legittimo perseguito (sicurezza della proprietà), essendo altrimenti una misura necessaria e proporzionata (non esistevano altri mezzi altrettanto efficaci per garantire l'interesse delle imprese a scapito del diritto delle lavoratrici a rispettare la propria vita privata). Tuttavia, la Sezione semplice della Corte ha ritenuto che, a differenza del caso Köpke v. Germania, la videosorveglianza segreta non ha seguito un precedente sospetto comprovato contro i lavoratori licenziati, non è stato specificamente diretto con-tro di loro, ma in generale a tutto il personale che lavora nelle scatole. Inoltre, la sorveglianza nascosta è stata praticata per settimane e durante tutte le ore di la-voro. Nel caso Köpke, d’altra parte, la sorveglianza era limitata nel tempo e ri-guardava solo due dipendenti. Tuttavia, nella fattispecie, la decisione di adottare misure di sorveglianza si basava su un sospetto generale nei confronti di tutto il personale alla luce delle irregolarità precedentemente rivelate.
La Corte di Strasburgo, d’altra parte, ha ritenuto che gli interessi del da-tore di lavoro avrebbero potuto essere tutelati con altri mezzi. Ad esempio, in precedenza informando, anche in generale, dell’installazione del sistema di vi-deosorveglianza e fornendo ai lavoratori in generale le informazioni prescritte nel sistema giuridico spagnolo relative alla protezione dei dati.
In sintesi, la sentenza emessa dalla Terza Sezione della Corte di Stra-sburgo ha condizionato la validità dell’obbligo di informazione di rispettare scrupolosamente i requisiti normativi, sottoponendo il datore di lavoro all’obbligo di informare preventivamente, tra l’altro, dell'esistenza di sorveglian-za con telecamere, trattamento riservato ai dati ottenuti, finalità e destinatari delle informazioni.
In relazione alla presunta violazione dell’articolo 6.1 del diritto a un pro-cesso equo, la Corte EDU ha stabilito che la sua funzione è determinare se la procedura nel suo insieme, compreso il modo in cui sono state ottenute le prove, fosse giusta. In risposta a questa domanda, scarta, da un lato, che l'uso in giudi-zio della registrazione effettuata sul luogo di lavoro costituisce una violazione del diritto alla difesa ex articolo 6 della Conv. EDU, per diversi motivi: uno, perché i lavoratori potrebbero contestare nel processo sia l’autenticità che l’uso materiale ottenuto attraverso le videocamere; due, perché i Tribunali spagnoli che si sono occupati della questione hanno risposto alle obiezioni delle ricorren-ti; e tre, perché la registrazione non era la prova principale per dichiarare l’origine del suo licenziamento, ma la testimonianza.
Per quanto riguarda la rivendicazione del diritto a un'equa soddisfazione del danno arrecato (art. 41 Conv. EDU), la Corte conferisce a ciascuno dei ricor-renti il diritto a ricevere 4.000 euro per danni morali e tra 500 e 568,86 euro per spese e costi.
9. La sentenza della Grande Camera nel caso López: sulla presunta violazione dell’art. 8 della Conv. EDU (diritto al rispetto della privacy)
A questo proposito, la Grande Camera si concentra su due aspetti fon-damentali: a) Revisione dei tribunali nazionali, b) Notifica preventiva delle misu-re di videosorveglianza.
a) in relazione al primo aspetto, indica che i giudici nazionali dovevano valutare se i dipendenti fossero stati informati delle misure di sorveglianza; l'am-bito della videosorveglianza e il grado di intrusione; se fossero stati forniti motivi legittimi; la possibilità di misure meno invasive; le conseguenze della videosor-veglianza per i dipendenti, nonché la fornitura di garanzie adeguate, come le in-formazioni o la possibilità di presentare un reclamo.
Per quanto riguarda il controllo di tali circostanze da parte dei giudici na-zionali spagnoli, la sentenza stabilisce i seguenti parametri di interpretazione: in effetti, avevano correttamente identificato gli interessi in gioco, facendo esplici-to riferimento al diritto dei richiedenti di rispettare la loro vita privata e all'equi-librio che deve essere raggiunto tra tale diritto e l'interesse dell'azienda a proteg-gere la propria proprietà e il corretto funzionamento delle proprie operazioni.
Inoltre, hanno continuato a esaminare gli altri criteri: se c'erano ragioni per la sorveglianza, scoprendo che era giustificato dal sospetto di furto. Hanno anche esaminato l'estensione della misura, sostenendo che era stata limitata all'a-rea di pagamento (le casse) e non superava quanto necessario.
Notando che i ricorrenti avevano lavorato in un'area aperta al pubblico, la Corte ha distinto tra i livelli di privacy che un dipendente poteva aspettarsi a seconda della posizione: essere molto elevato in luoghi privati come bagni o ar-madi, dove il divieto di piena videosorveglianza potrebbe essere giustificato e ricco di spazi di lavoro confinati come uffici. Tuttavia, la portata della videosor-veglianza era chiaramente inferiore in luoghi che erano visibili o accessibili ai colleghi o al pubblico in generale.
Poiché la sorveglianza era durata solo 10 giorni ed un numero limitato di persone aveva visto le registrazioni, la Corte ha ritenuto che l'intrusione nella privacy dei richiedenti non avesse raggiunto un livello elevato di gravità. E, seb-bene le conseguenze per i richiedenti fossero state gravi, poiché avevano perso il lavoro, i Tribunali avevano osservato che i video non erano stati usati per scopi diversi da quelli per rintracciare i responsabili delle perdite e che non esistevano altre misure. che potrebbe soddisfare l'obiettivo legittimo perseguito.
La legge spagnola conteneva anche misure di salvaguardia o garanzia per prevenire l’uso improprio di dati personali, come la legge sulla protezione dei da-ti personali, e la giurisprudenza stabilita dalla Corte costituzionale spagnola ave-va richiesto ai Tribunali ordinari di rivedere le misure video sorveglianza per il rispetto della Costituzione.
b) Per quanto riguarda il secondo aspetto, la notifica / informazione pre-ventiva delle misure di videosorveglianza, la Corte EDU ha compreso che, seb-bene solo un requisito primario relativo alla tutela di interessi pubblici o privati possa giustificare la mancanza di una notifica preventiva, i Tribunali nazionali non hanno superato i limiti della loro discrezione, poiché erano state fornite in-terferenze con i diritti delle lavoratrici.
Sebbene non sia possibile accettare che un leggero sospetto di irregolarità da parte di un dipendente possa giustificare l'installazione di una videosorve-glianza segreta da parte di un datore di lavoro, il ragionevole sospetto di colpa grave e l'entità delle perdite in questo caso possono essere di grande importanza, a maggior ragione quando si sospetti un'azione concertata di gruppo.
Inoltre, i richiedenti avevano avuto altri rimedi legali disponibili, come un reclamo all'Autorità per la protezione dei dati o un'azione in Tribunale per una presunta violazione dei loro diritti ai sensi della legge sulla protezione dei dati personali, tuttavia, non li hanno utilizzati.
Di conseguenza, la Corte EDU ha ritenuto che le autorità nazionali non avevano superato il loro margine di apprezzamento e che non vi era stata viola-zione dell'articolo 8.
10. Sulla presunta violazione dell'art. 6.1 Conv. EDU (diritto a un pro-cesso equo)
La Corte EDU ha esaminato se l'uso delle registrazioni video come "pro-ve" nel processo giudiziario avesse attaccato l'imparzialità della procedura nel suo insieme.
La linea di fondo è che il materiale video non era stata l'unica prova nel caso esaminato, i richiedenti non avevano messo in dubbio la sua autenticità o accuratezza e il Tribunale ha ritenuto che fossero prove concrete che non neces-sitavano di ulteriori conferme. Allo stesso modo, i Tribunali avevano tenuto conto di altre prove, come la testimonianza delle parti. Pertanto, la Grande Ca-mera conclude che l'uso del materiale video come "prova" non ha impedito un processo equo.
E accanto a quanto precede, la frase afferma che le conclusioni dei tribu-nali nazionali secondo cui non vi era coercizione o intimidazione nei confronti dei lavoratori una volta ottenute le riprese, accreditando i furti praticati, non sembravano arbitrarie o manifestamente irragionevoli.
In conclusione, la Corte EDU non ha visto alcun motivo per mettere in discussione le conclusioni dei Tribunali nazionali sulla validità e il peso degli ac-cordi di transazione e non ha riscontrato una violazione dell'articolo