Testo integrale con note e bibliografia
Testo dell'ordinanza di rimessione alla corte costituzionale
Testo dell'ordinanza di rimessione alla corte di giustizia dell'UE
testo dell'ordinanza del tribunale di Milano
1. Con due ordinanze del 18 settembre 2019 la Corte d’appello di Napoli solleva contemporaneamente due gruppi di questioni: il primo davanti alla Corte costituzionale, basato su dubbi di violazione degli artt. 3, 4, 24, 35, 38, 41, 76, 111 Cost. nonché, attraverso l’interposizione di norme europee (artt. 20, 21, 30, 47 della Carta europea dei diritti fondamentali dell’Unione e 24 della Carta sociale europea data a Strasburgo il 3 maggio 1996), dell’art.117 Cost.; il secondo gruppo di questioni concerne l’interpretazione delle norme europee ora dette, necessaria per valutare la compatibilità con il diritto nazionale.
La contemporanea posizione delle questioni davanti alle due Corti, quella nazionale e quella europea, pone il problema chiamato in dottrina della “doppia pregiudizialità”, che si sostanzia nel dover stabilire l’ordine temporale di trattazione. Si tratta in altre parole di situazioni nelle quali, in un ambito di rilevanza eurounitaria, una legge nazionale incidente su diritti fondamentali sia oggetto di dubbi sotto il profilo tanto di conformità alla Costituzione quanto di compatibilità con la CDFUE.
Secondo la giurisprudenza costituzionale più recente è necessario in questi casi il prioritario intervento della Corte nazionale con efficacia generale “anche in virtù del principio che situa il sindacato accentrato di costituzionalità delle leggi a fondamento dell’architettura costituzionale (art.134 Cost.) ...al fine di assicurare che i diriitti garantiti dalla CFDUE siano interpretati in armonia con le tradizioni costituzionali, pure richiamate dall’art.6 del Trattato dell’Unione europea e dall’art.52, comma 4, CDFUE come fonti rilevanti in tale ambito...Il tutto, peraltro, in un quadro di costruttiva e leale cooperazione fra i diversi sistemi di garanzia, nei quali le Corti siano chiamate a valorizzare il dialogo con la Corte di giustizia, affinché sia assicurata la massima salvaguardia dei diritti a livello sistemico (art.53 CDFUE)”. La posizione della questione di legittimità costituzionale lascia poi salvo il ricorso al rinvio pregiudiziale per le questioni di interpretazione o di invalidità del diritto dell’Unione, ai sensi dell’art.267 del TFUE. In questi sensi si è espressa Corte cost. 14 dicembre 2017 n.269, confermata dalle due sentt. 21 febbraio 2019 n.20 e 21 marzo 2019 n.63. Nella prima la Corte parla di “opportunità”, invece che di necessità, della preventiva pronuncia della Corte costituzionale, mentre nella seconda torna a dire di non poter “esimersi” dal pronunciare sulla questione.
In questo modo l’eventuale e successiva pronuncia della Corte di giustizia sarà emessa quando il diritto interno avrà raggiunto un assetto definitivo. Questa giurisprudenza è illustrata da G. AMOROSO, La Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea tra controllo di costituzionalità e sindacato di conformità al diritto eurounitario, in AAVV, Giusppe Santoro Passarelli. Giurista della contemporaneità. Liber amicorum, Torino 2018, 253.
Nel caso, come quello qui considerato, di simultanea azione davanti alle due Corti da parte del giudice ordinario, la possibilità di contemporanee, e magari contrastanti, definizioni appare piuttosto lontana, considerati gli strumenti di comunicazione fra gli uffici, intesi appunto alla “costruttiva e leale cooperazione”: Vedi ad esempio il Progetto di dialogo tra la Corte europea dei diritti dell’uomo e la Corte di cassazione italiana, pubblicato anche in AAVV, Dialogo sui diritti. Corte di cassazione e Corte EDU a confronto, Napoli 2016, 415.
Critico nei confronti della giurisprudenza costituzionale ora detta è R. COSIO, Il trasferimento dell’impresa in Italia nel quadro del diritto dell’Unione europea, a cura di R. Cosio e G. Vidiri, Milano 2019, 167-169; IDEM, Le ordinanze di Milano e di Napoli sullo Jobs act. Il problema della doppia pregiudizialità, in questa Rivista n. 1/2020, che parla di “scelta pilatesca del Collegio napoletano”.
2. L’ordinanza di rimessione della Corte d’appello di Napoli contiene molti rilievi negativi sugli artt .2, comma 2, e 10 d. lgs. 4 marzo 2015 n.23, ossia sulle disposizioni oggetto di tutte le questioni di legittimità costituzionale.
Secondo la Corte di merito il sistema sanzionatorio contro il licenziamento illegittimo è “irragionevolmente inadeguato per efficacia deterrente e capacità di ristorare il danno effettivo subito dal lavoratore” (par.32 della motivazione), assicura un’indennità, misurata sulla retribuzione utile al fine del trattamento di fine rapporto, “che può essere paradossalmente azzerata” (par.58), e così “sbilancia oltremodo, rendendo ‘tiranno’ l’interesse del datore di lavoro ad una flessibilità in uscita rispetto al diritto del prestatore alla conservazione del posto di lavoro, che costituisce la fonte del suo sostentamento” (par.59).
Questi rilievi negativi servono alla Corte non per sollevare una separata questione di legittimità costituzionale ma per rafforzare la motivazione delle questioni sollevate. Essi sembrano aderire alla tesi secondo cui le disposizioni dell’art.1, comma 7, l. n.183 del 2014 (la legge di delega) e del decreto delegato n.23 del 2015 esprimano un mutamento dei valori ordinamentali di base nella materia del lavoro subordinato.
Infatti la dottrina costituzionalista più recente distingue fra “Carta costituzionale” e “ordinamento costituzionale”, del quale la prima è soltanto una parte e che vive insieme ad una “base materiale” in continua evoluzione. L’ordinamento è così formato da: a) un testo, ossia la carta fondamentale; b) un contesto normativo, di livello non necessariamente e formalmente costituzionale; c) un contesto politico, sociale e culturale. I mutamenti dell’ordinamento possono avvenire perciò nei modi più diversi dalle procedure di revisione di cui all’art.138 Cost.
Essi non debbono portare l’ordinamento fuori del nucleo di scelte e di valori espressi dalla Carta, che ne uscirebbe altrimenti sovvertita (A. BARBERA, Costituzione della Repubblica italiana, in Enc, dir., Annali VIII, 2015, 265-267). Il rispetto di questa esigenza è affidato, prima che alla giustizia costituzionale, al modo di interpretazione-applicazione delle norme costituenti il contesto sub b. In altre parole la nomofilachia costituzionale spetta, prima che alla Corte, all’interpretazione adeguatrice affidata ai giudici comuni nonché agli altri soggetti dell’ordinamento, ciascuno per la sua parte.
E’ così possibile che graduali mutamenti della legislazione ordinaria, pur non dando isolatamente luogo ad incidenti di costituzionalità, comportino innovazioni alle quali sia da riconoscere rilevanza costituzionale ossia producano mutamenti della costituzione vivente percepibili dagli operatori giuridici e in particolare dai giudici.
Tutto ciò può essere riscontrato nella più recente legislazione del lavoro, che almeno dal 2012 è caratterizzata dall’allentamento dei vincoli protettivi del lavoratore ossia dalla crisi della precedente fase garantista, di cui è soltanto un aspetto il capovolgimento del rapporto regola-eccezione quanto a tutela reale e tutela risarcitoria conseguenti al licenziamento illegittimo (rinvio per brevità al mio Le nuove tutele contro i licenziamenti illegittimi. Incidenza sull’ordinamento costituzionale ?, in Giust. civ. 2015, 743; vedi anche F. GUARRIELLO, Il decennio perduto del diritto del lavoro, in Riv. giur. lav. 2019, II, 545)). Alessandro PIZZORUSSO, Delle fonti del diritto, Bologna-Roma 2011, 368. parlava di “violento battage tendente ad affermare l’avvenuto superamento della ‘costituzione economica’ espressa dalle norme vigenti ad opera di un diverso sistema di norme aventi la loro base in dottrine liberiste”. Il superamento sarebbe dovuto avvenire attraverso “modificazioni tacite” della carta fondamentale.
Da ricordare infine che il Comitato europeo per i Diritti sociali, istituito ai sensi dell’art.25 della Carta sociale europea, nel rapporto al Comitato dei ministri dell’11 settembre 2019, pronunciando sul reclamo collettivo n.158/2017 (CGIL c. Italia) e dopo aver considerato Corte cost. n.194 del 2018, ha ritenuto che, in difetto di tutela in forma specifica del lavoratore contro il licenziamento illegittimo, gli importi indennitari di cui agli artt.3, 4, 9, 10 d. lgs. n.23 del 2015 sono non adeguati rispetto al danno, onde le relative disposizioni violano l’art.24 della Carta sociale europea.
La Corte di giustizia UE con la sentenza 9 settembre 2015 – C 20/13 dice che “Gli Stati membri così come, eventualmente, le parti sociali a livello nazionale dispongono di un ampio margine discrezionale nella scelta non soltanto di perseguire uno scopo determinato fra altri in materia di politica sociale e di occupazione, ma altresì nella definizione delle misure adatte a realizzare questo scopo (par.57 della motivaz.). La Corte pone, a norma dell’art.6, par. 1, primo comma, della direttiva 2000/78, il limite della congruità dei mezzi al fine, ossia della ragionevolezza (parr.59 e 65). Essa si rimette in definitiva ai controlli delle giurisdizioni nazionali.
3. La Corte d’appello di Napoli solleva la questione di legittimità costituzionale concernente il contrasto fra gli artt. 1, comma 7, l. n.183 del 2014, 2, comma 2, e 10 d. lgs. n.23 del 2015 e gli artt.3, 4, 24, 35, 38, 41, 111 Cost., per avere i primi disposto, nell’ambito della medesima procedura di licenziamento collettivo e per l’inosservanza dei medesimi criteri di designazione dei licenziandi, differenti sanzioni a carico dell’imprenditore a seconda della data di assunzione dei lavoratori, anteriore o successiva al d. lgs. Disparità di trattamento diacronica, in altre parole, che sarebbe priva di giustificazione.
Quanto al petitum la questione è stata decisa nel senso della non fondatezza da Corte cost. n.194 del 2018. Secondo questa sentenza la disparità non contrasta né col principio di eguaglianza, perché essa è giustificata dalla diversità temporale delle situazioni comparate, né con la ragionevolezza in quanto corrisponde allo scopo di rafforzare le opportunità d’ingresso nel mondo del lavoro da parte di coloro che sono in cerca d’occupazione (la Corte rimanda all’alinea dell’art.1 l. n.183 del 2014). Più precisamente l’alleggerimento delle conseguenze del licenziamento illegittimo a carico dei datori tende a favorire le nuove assunzioni.
4. La causa petendi viene ora posta dalla Corte di Napoli “in termini parzialmente diversi” (par. 45 della motivaz.) ossia con riferimento al licenziamento collettivo: la procedura comparata delle diverse posizioni dei lavoratori, necessaria in questo genere di licenziamento, pur avendo ad oggetto situazioni del tutto omogenee, “viene concretamente vanificata ove si introducano simultanei regimi di tutela, completamente diversi tra loro” (par.49). Anche in dottrina si è osservato che il “regime sanzionatorio minimale” del d.lgs. n.23 del 2015 “stride rispetto a quello più favorevole applicabile ai lavoratori assunti prima del 7.3.2015” (S. MAGNIFICO, Prime soluzioni giurisprudenziali dopo la sentenza della Corte costituzionale n.194/2018 sul contratto a tutele crescenti, in Riv. giur. lav. 2019,II , 280). Secondo la Corte di Napoli la procedura dovrebbe essere regolata soltanto dalla legge 23 luglio 1991 n. 223, art.5, mentre non potrebbero influire “fattori estranei ai parametri normativi” (scilicet: della legge ult. cit.).
Sembra di poter obiettare che il combinato disposto degli artt.10 e 1 d. lgs. n.23 del 2015 riguarda la materia non già procedimentale bensì delle sanzioni per le violazioni dei diritti soggettivi dei lavoratori licenziati in violazione delle norme di quel procedimento: i lavoratori assunti prima del 7 marzo 2015 sono titolari di un diritto diverso, più vantaggioso, rispetto agli assunti in data successiva. In altre parole le norme procedimentali restano eguali per tutti mentre la differenza di trattamento riguarda soltanto le nuove norme sulle sanzioni, che non estendono la loro efficacia ai rapporti di lavoro sorti prima della loro entrata in vigore. Questi rapporti erano, e restano, caratterizzati dalla tutela piena del diritto alla conservazione del posto di lavoro in caso di accertata illegittimità del licenziamento. Ciò equivale a dire che intenzione del legislatore del 2015 è stata quella di proteggere un’aspettativa, destinata a trasformarsi, nel momento del licenziamento illegittimo, nel diritto soggettivo alla reintegrazione; aspettativa che il 7 marzo 2015 era già nel patrimonio del prestatore di lavoro. Può dirsi così che la stabilità del posto di lavoro è un bene che, se giuridicamente tutelato in qualunque modo, appartiene al patrimonio dell’interessato.
Spetta ora alla Corte costituzionale di decidere se questa protezione dell’affidamento contrasti con la ragionevolezza e col principio d’eguaglianza fra lavoratori della stessa impresa, assoggettati alla stessa procedura di licenziamento collettivo.
In tema di diritto transitorio la Corte ha lasciato al legislatore ampia discrezionalità nell’incidenza sui rapporti di durata, riconoscendogli il potere di modificare in senso sfavorevole situazioni giuridiche già maturate, salvo restando sempre il limite della ragionevolezza: si tratta in altre parole di sacrificare oppure di proteggere l’affidamento del cittadino nella stabilità giuridica, da intendere “quale elemento fondamentale dello Stato di diritto” (sent. 9 maggio 2013 n.83). L’affidamento quale oggetto di tutela costituzionale è costantemente affermato dalla Corte (ex multis sent. 11 giuugno 2010 n.209, e vedi G. MATUCCI, Tutela dell’affidamento e disposizioni transitorie, Padova 2009, nonché ultimam. il mio commento a Corte cost. n.194 del 2018 in LavoroDirittiEuropa , n.2 – 2018).
Nella Francia dell’Ottocento vigeva la massima secondo cui lo Stato doveva comportarsi “en grand honnête homme”; massima violata se esso, ad esempio, ritirava i vantaggi di un prestito pubblico o toglieva valore alla moneta o istituiva giudici dell’espropriazione più vicini all’amministrazione che agli amministrati. “Les contracts restent en principe régis par la loi sous l’empire de laquelle ils s’étaient formés”. Oggi si ritiene che quest’onestà costituisca l’ “esprit” dello Stato di diritto (J. CARBONNIER, Droit et passion du droit, sous la V République, Parigi 1996, 42 e 163).
Nel nostro diritto civile, ossia nei rapporti tra soggetti privati, l’interesse di una parte al comportamento rettilineo dell’altra, ossia privo di mutamenti imprevedibili, vale a dire alla ragionevole stabilità della propria posizione giuridica, è tutelato dal principio di correttezza e buona fede (artt.1175 e 1375 cod. civ.) (Cass. 17 maggio 2018 n.12108 parla anch’essa di tutela dell’affidamento della parte). Nel diritto del lavoro la questione si è di recente posta, ad esempio, con riguardo all’abolizione, da parte del datore di lavoro, di benefici attribuiti al pensionato in un contratto collettivo concluso prima del collocamento in quiescenza. Ci si è chiesto se in questo giorno avvenisse l’acquisizione del diritto al beneficio, ormai irrevocabile (G. CALVELLINI, Contratto collettivo e posizioni giuridiche di vantaggio in favore dei lavoratori in quiescenza, in Riv. giur. lav. 2019, I, 325).
A maggior ragione, si può dire, al legislatore non è precluso di mantenere posizioni già acquisite, tanto più se aventi ad oggetto interessi di rilievo costituzionale, quale l’interesse a lavorare.
Dubbi di costituzionalità possono sorgere sulla normativa nuova, in sé considerata, ma essi rimangono distinti dai dubbi concernenti la comparazione con la normativa precedente ossia coi problemi di diritto transitorio.
Questi richiami sembrano poter essere utilizzati anche per la seconda questione di legittimità costituzionale, sintetizzata nel par, 67 dell’ordinanza in esame, con cui la Corte d’appello dubita che contrastino con gli artt.3, 10, 35, 117 Cost., 24 della Carta sociale europea, 30 CDUFE gli artt.3 e 10 d. lgs. n.23 del 2015, i quali dispongono “un concorrente sistema sanzionatorio” (quello reintegratorio e quello soltanto indennitario) inefficace rispetto al danno subito con la illegittima perdita del posto di lavoro e “ con attenuata efficacia deterrente del licenziamento illegittimo, intimato nell’ambito di una stessa procedura” collettiva.
Corte giust. UE 9 settembre 2015 – C 20/13, già citata, afferma (parr. 42 e 59) che la tutela dei diritti acquisiti da una categoria di persone (nella specie, dai lavoratori) costituisce un “motivo imperativo d’interesse generale” capace, per quanto qui rileva, di giustificare differenze di trattamento diacroniche.
Si tratta ora di verificare se si ponga in contrasto col diritto europeo il legislatore nazionale che, con riguardo a rapporti in corso, limiti l’efficacia della legge nuova per proteggere un’aspettativa legittima (“sur le plan technique, il est difficile de déterminer un criterium pour distinguer un droit acquis d’une simple expectative” - P. ROUBIER, Le droit transitoire. Conflit des lois dans le temps [1960], Parigi 2008, p.I eII).
5. Non è mancato chi, per verificare un ipotetico eccesso di potere legislativo,ha addotto dati empirici sull’occupazione a tempo indeterminato, asseritamente dimostrativi del mancato raggiungimento degli scopi perseguiti dai legislatori, delegante e delegato, del 2014 e 2015 (notizia in M. TUFO, La tutela contro i licenziamenti collettivi illegittimi di fronte alla Corte di giustizia europea: l’assalto al Jobs act continua, in LavoroDirittiEuropa n.3-2019): il sacrificio del diritto alla reintegrazione, già spettante ai lavoratori licenziati, non sarebbe bilanciato da un corrispondente miglioramento della situazione dell’occupazione. Sarebbe così violato il principio di ragionevolezza, specificato in quello di proporzione e da riportare all’articolo 3 Cost.
In dottrina si è notato come sul concetto di proporzionalità la nostra giurisprudenza costituzionale non segua criteri di giudizio uniformi: il riferimento alla proporzionalità come adeguatezza del mezzo al fine è oggi frequente ma dà luogo ad un quadro “molto complesso” (P. LOI, Il principio di ragionevolezza e proporzionalità nel diritto del lavoro, Torino 2016, 82-83). Raffrontare lo scopo perseguito dal legislatore con gli effetti concreti prodotti dalla legge è certo necessario per un giudizio di opportunità politica ma è dubbio che il raffronto possa servire per un controllo di legittimità costituzionale.
In altre parole, si può dubitare che il quesito sia ammissibile, considerato che l’ art.28 l. 28 marzo 1953 n.87 vieta nel giudizio di legittimità costituzionale il sindacato sull’uso del potere discrezionale del Parlamento, con conseguente necessaria riduzione al minimo essenziale degli interventi della Corte in tema di ragionevolezza della legge (A. CERRI, Ragionevolezza della legge, in Enc. giur. it., XXIX 2005, par. 2.3.3.). Ciò non impedisce a voci, autorevoli anche per l’esperienza maturata, di considerare “la contrapposizione tra giustizia e politica largamente sopravvalutata” onde “non si può ignorare che molti casi hanno implicazioni politiche o costituiscono decisioni politiche sia pure prese a seguito di un’analisi tecnico giuridica e sulla base di elementi razionali (ad esempio il criterio di ragionevolezza)” (S. CASSESE, Dentro la Corte. Diario di un giudice costituzionale, Bologna 2015, 17 e 24).
In ogni modo, per valutare la congruenza del mezzo (la disposizione di legge) al fine dichiarato dal legislatore è necessaria l’acquisizione di dati di fatto non facile per una corte di legittimità. Un’istruttoria può essere compiuta dalla Corte costituzionale secondo le regole contenute negli artt. 13 e 22 l. cit. ed in alcune Norme integrative novellate il 7 ottobre 2008 (in GU 7 novembre 2008 n.261, artt. 7, commi 2, 12, 13, 14), ma è da chiedersi se queste disposizioni siano sufficienti a soddisfare le esigenze conoscitive di una giurisdizione incidente su astratte disposizioni precettive.
Il problema è presente però nell’attività giudiziaria di ogni livello e specialmente nel sindacato di legittimità di qualunque tipo. Si tratta di giudicare conoscendo i dati di fatto della controversia e quindi sapendo prevedere le conseguenze concrete della decisione (C. DI MARTINO, Il legittimo affidamento nel bilanciamento della Corte costituzionale e della Corte europea dei diritti dell’uomo in materia di retroattività legislativa, in AAVV, Le leggi retroattive nei diversi rami dell’ordinamento, a cura di C. Padula, Napoli 2018, 202-203).
Nel diritto del lavoro occorre la conoscenza delle dinamiche della contrattazione, del mercato della manodopera, dei modi di funzionamento dell’impresa (F. PIRRO, Aris Accornero, sociologo [e giurista], in Riv. giur. lav. 2018, XIII). Il giudice non è adeguatamente attrezzato per compiere indagini di tipo sociologico sulla portata effettiva del criterio valutativo da adottare (G. PINO, Diritti e interpretazione. Il ragionamento giuridico nello Stato costituzionale, Bologna 2010, 187. Più in generale, R. SACCO, Processo ermeneutico, in Dig. disc. priv. - sez. civ., Aggiornamento VII 2012, 795). Problema antico e già segnalato nell’età dell’Illuminismo (U. PETRONIO, La lotta per la codificazione, Torino 2002, 315, ricorda Pietro Verri il quale, in una lettera da Vienna del 1760, lamentava che nella pratica curiale milanese si conoscessero le opinioni di Bartolo ma non la zecca, l’annona, le acque, le manifatture, il commercio e in genere l’economia politica).
Ultimamente la Corte costituzionale richiede che le affermazioni di fatto rese dalle parti siano sorrette da adeguata dimostrazione (sent. 3 ottobre 2019 n.218).
Resta viva anche l’esigenza dell’imparzialità del soggetto che fornisce le informazioni e dell’acquisizione di esse in contraddittorio (G. D’AMICO, La Corte e lo stato dell’arte [prime note sul rilievo del progresso scientifico e tecnologico nella giurisprudenza costituzionale], in AAVV, Il giudizio sulle leggi e la sua diffusione. Verso un controllo di costituzionalità di tipo diffuso ?, a cura di E. Malfatti, R. Romboli, E. Rossi, Torino 2002. Vedi anche l’intervista al presidente della Corte Alessandro Criscuolo, in la Repubblica del 23 maggio 2015) e della pubblicazione delle ordinanze istruttorie (M. LUCIANI, Laterna magika. I diritti “finanziariamente condizionati”, in AAVV, Giuseppe Santoro Passarelli. Giurista della contemporaneità cit., 141).
A. BARBERA, op. cit., 358, segnala in ogni caso il pericolo della trasformazione della iurisdictio in gubernaculum.
6. La terza questione (par. 99) sollevata dalla Corte d’appello ha per oggetto le stesse disposizioni di legge denunciate con le questioni precedenti mentre la norma- parametro è l’art.76 Cost.: quelle disposizioni violerebbero i princìpi e i criteri direttivi stabiliti nella legge delega ossia nell’art.1, comma 7, l. n.183 del 2014.
Il licenziamento collettivo sarebbe infatti escluso dalla delega legislativa, che parla solo di “licenziamenti economici” ossia (secondo la Corte d’appello, individuali) determinati da giustificato motivo oggettivo. La Corte richiama alcuni lavori preparatori della legge di delega.
La materia dell’eccesso di delega è per sua natura tra quelle in cui più difficile cogliere un orientamento netto nella giurisprudenza costituzionale, a causa della maggiore o minore determinazione dei princìpi e criteri direttivi nonché degli oggetti della delega, dei quali all’art.76 cit., e del conseguente frequente self-restraint esercitato dalla Corte. Il confine delle valutazioni di natura politica e dell’uso del potere discrezionale spettante al Parlamento, di cui all’art.28 l. n.87 del 1953, qui non può essere che molto elastico: la proporzione tra gli apprezzamenti d’opportunità, ancorché inespressi o ricondotti al generale parametro della ragionevolezza, e gli argomenti di stretto diritto, non risulta in genere la stessa nei giudizi incidentali ed è ancor diversa, più in generale, nei conflitti di attribuzioni e nei giudizi di ammissibilità dei referendum (rimando per brevità al mio La delega legislativa, in AAVV, Giurisprudenza costituzionale e fonti del diritto, a cura di N. Lipari, Napoli 2006, 423. Sull’imprecisione della stessa nozione di criteri direttivi e sul mutamento di essa nel tempo vedi M. CARTABIA, Modello costituzionale e prassi legislativa nella delega per l’attuazione delle norme comunitarie, in Giur. cost. 1993, 2035 e 2043). La Corte esorta il legislatore ad una maggiore specificazione (sent. n. 54 del 2007) ma aggiunge che in ogni caso essi vanno ricostruiti dal legislatore delegato tenendo conto del complessivo contesto normativo e delle finalità che hanno ispirato la delega. Né l’art.76 impedisce l’emanazione di norme che rappresentino un coerente sviluppo e, se del caso, un completamento delle scelte espresse dal legislatore delegante (sentt. nn. 426 del 2006, 230 del 2010, 146 del 2015). Altre volte il potere legislativo mostra insicurezza anche nell’emanazione di una disciplina organica e innovativa e così ricorre al meccanismo delle deleghe correttive onde prevenire problemi di instabilità o incertezza, maggiori di quelli che verrebbero prodotti da una legge definitiva e inalterabile nelle singole formulazioni (N. LUPO, Deleghe e decreti legislativi “correttivi”; esperienze, problemi, prospettive, Milano 1996, 143). Scelte di valore decisive vengono così affidate all’esecutivo.
Qualche volta è stata ritenuta sufficiente, per la corretta realizzazione della sequenza, l’aderenza della norma delegata alle sole finalità ispiratrici della norma delegante (sent. n.285 del 2006).
In definitiva può dirsi che l’art.76 ha conosciuto i più diversi modi d’attuazione sì che il relativo istituto non si lascia ricondurre ad un unico modello. E’ perciò assai difficile, se non impossibile, azzardare una previsione sull’esito della questione sollevata dal Collegio di Napoli