Testo integrale con note e bibliografia
Introduzione
Con il presente contributo si intende offrire alcune riflessioni sull’introduzione delle nuove tecnologie digitali all’interno di processi produttivi manifatturieri e in particolare su come l’introduzione di queste tecnologie siano state accompagnate da alcuni cambiamenti delle condizioni di lavoro. Le riflessioni che seguono riposano in larga misura sulle risultanze di una ricerca pluriennale commissionata dalla FIOM di Bologna alla Fondazione Sabattini e ad un gruppo di ricercatori afferenti a diverse Università italiane. L’obiettivo generale della ricerca, svoltasi tra il 2017 e il 2020, è stato quello di capire, attraverso i vissuti dei lavoratori, le trasformazioni organizzative e delle condizioni di lavoro che si sono verificate all’interno di alcune importanti imprese metalmeccaniche dell’area bolognese che hanno implementato negli ultimi anni programmi di innovazione tecnologica riconducibili al paradigma di ‘Industria 4.0’. In particolare, le imprese studiate sono Lamborghini, Ducati, GD, IMA, Marchesini, Samp, Cesab-Toyota e Bonfiglioli, realtà leader a livello nazionale e internazionale nei rispettivi settori (automotive di lusso, packaging e mezzi e macchine da lavoro). Il metodo adottato è stato quello dell’inchiesta sociale: durante gli oltre tre anni di ricerca sono state svolte 165 interviste semi-strutturate a lavoratori e lavoratrici dipendenti di queste 8 imprese e 22 interviste a figure manageriali; in ciascuna realtà aziendale sono stati organizzati gruppi di discussione con le RSU; l lavoro di campo ha, inoltre, previsto la visita agli stabilimenti e ai reparti produttivi maggiormente investiti dai cambiamenti oggetto di studio e l’analisi di materiale informativo proveniente dalle stesse imprese. La ricerca, coerentemente al metodo dell’inchiesta sociale, ha deliberatamente evitato di assumere ipotesi forti, salvo i seguenti presupposti generali: i) il fatto che gli artefatti tecnologici riconducibili a ‘Industria 4.0’ siano molteplici ed eterogenei e che, nonostante sia evidente la linea di continuità tra tali artefatti e quelli delle precedenti ondate di innovazione tecnologica, ‘Industria 4.0’ si contraddistingue per la capacità di combinazione delle tecnologie Big Data, l’uso estensivo e intensivo di Internet of Things e la messa in opera del Cloud Computing; ii) il rifiuto di una prospettiva di ‘determinismo tecnologico’ che deriva le trasformazioni organizzative e delle condizioni di lavoro da supposte proprietà intrinseche delle tecnologie (senza, tuttavia, negare che a specifiche tecnologie appartengano specifiche proprietà dispositive, ovvero spazi di possibilità che le tecnologie, in sede di progettazione, integrazione e utilizzo, aprono/limitano per l’azione organizzativa a livello micro, meso e macro); iii) l’assunzione di una prospettiva che esclude la possibilità di studiare la tecnologia separatamente dal contesto organizzativo e istituzionale in cui è collocata. Rispetto a quest’ultimo punto è quindi particolarmente importante considerare che le realtà produttive che sono state studiate hanno da tempo sviluppato modelli organizzativi ispirati alla lean production (Womack, Jones, Roos, 1991; Womack, Jones, 2006).
E’ evidente che, per una interpretazione corretta dei risultati, è opportuno tenere in considerazione le caratteristiche del contesto in cui si è svolta la ricerca: si tratta, infatti, di uno spaccato produttivo, il settore metalmeccanico bolognese, importante per l’intero sistema industriale del paese e integrato in posizioni relativamente favorevoli all’interno delle rispettive catene globali del valore; in secondo luogo, le imprese considerate rappresentano realtà di eccellenza in termini di innovazione non solo all’interno del territorio locale, ma anche a livello internazionale; in terzo luogo, la ricerca è stata svolta in una fase precedente all’emergenza pandemica e molto prima dell’attuale crisi energetica e di approvvigionamento di materie prime e semi-lavorati e, quindi, in una situazione in cui le filiere, gli ecosistemi industriali e le catene globali del valore non registravano le tensioni a cui sono sottoposti oggi; infine, ma non per importanza, è necessario considerare le peculiarità del sistema di relazioni industriali che si è consolidato nel tempo nel settore metalmeccanico bolognese, il quale presenta un’alta sindacalizzazione dei lavoratori del settore, forti capacità di mobilitazione, una radicata presenza sindacale (soprattutto della Fiom-Cgil) a livello aziendale e una dialettica tra le parti sociali definita di cooperazione conflittuale (Baldissara, Pepe, 2010; D’Aloisio, 2021; Russo, Pavone, Cetrulo, 2019; Telljohann, 2015; Cetrulo, Moro, 2021); Tutto ciò obbliga a contestualizzare sia le risultanze della ricerca, che le riflessioni derivanti da tali risultanze e a fare con estrema cautela generalizzazioni a contesti più ampi.
Di seguito ci si soffermerà solo su alcuni aspetti emersi dalla ricerca che si ritiene particolarmente importanti per comprendere le trasformazioni delle condizioni di lavoro a seguito dell’introduzione delle nuove tecnologie, mentre per una un’illustrazione più esaustiva delle risultanze della ricerca si rimanda alla pubblicazione curata da Garibaldo e Rinaldini (2021). Gli aspetti su cui si riporrà l’attenzione riguardano i cambiamenti qualitativi delle condizioni di lavoro e dell’organizzazione del lavoro che accompagnano l’introduzione delle nuove tecnologie, mentre non si farà cenno a cambiamenti di ordine quantitativo, non essendo state, queste ultime, oggetto di studio.
In particolare nelle pagine che seguono si tratterà di tre tematiche che sono emerse dalla ricerca: la safety come vettore di legittimazione delle nuove tecnologie; le nuove tecnologie e i cambiamenti dei tempi di lavoro; le nuove tecnologie, il controllo e riconfigurazione delle competenze.
La safety come vettore di legittimazione dell’introduzione delle nuove tecnologie
L’introduzione delle nuove tecnologie digitali e di automazione è spesso orientata, nel discorso manageriale, all’ottimizzazione dei produttivi e all’aumento dei margini di efficienza, ma l’incremento della safety che determinerebbero le nuove macchine e i nuovi strumenti di lavoro è altrettanto spesso enfatizzato. Le interviste con i lavoratori, in effetti, sembrano confermare che le nuove tecnologie hanno permesso un miglioramento della salubrità dell’ambiente e delle postazioni di lavoro, migliori condizioni ergonomiche e meno rischi in termini di sicurezza. L’utilizzo di co-robot in postazioni che prevedono attività lavorative particolarmente gravose da un punto di vista fisico (ad esempio, nella fase di marriage della linea Urus in Lamborghini) ha indubbiamente diminuito la fatica fisica degli operatori che lavorano in queste postazioni, così come l’utilizzo dei dispositivi e macchinari digitali ed interconnessi tra loro lungo la linea di assemblaggio, oltre ad aver incrementato il livello di sicurezza in cui vengono svolte le operazioni di lavoro, hanno anche facilitato e reso meno faticoso molte attività (si pensi all’utilizzo degli Automated Guided Veicle di nuova generazione e alla loro capacità di muoversi in sicurezza in un ambiente ‘umanamente denso’ sollevando al contempo gli operatori da molti task gravosi da un punto di vista fisico). Particolarmente emblematici, in questo senso, sono i reparti di verniciatura, dove la drastica riduzione dell’esposizione dei lavoratori a sostanze nocive è dovuta, sia all’adozione di nuovi e meno nocivi materiali di verniciatura, che all’adozione di sistemi di Artificial Iintelligence che permettono l’allontanamento degli operatori dalle macchine durante gran parte del tempo in cui queste sono in funzione. La safety si presenta, quindi, come un driver dell’introduzione delle nuove tecnologie e non è azzardato sostenere che l’incremento dei livelli di salute e sicurezza a seguito dell’innovazione tecnologica svolge una funzione di legittimazione di quest’ultima. Tutto ciò rappresenta un’evidenza forte della ricerca sulle imprese metalmeccaniche bolognesi, che peraltro conferma ciò che emerge da altre ricerche simili che sono state svolte negli ultimi anni (non si tratta infatti di un’evidenza particolarmente originale: molte ricerche recenti che hanno per oggetto i cambiamenti tecnologici che si sono verificati nelle imprese giungono alle stesse conclusioni). Allo stesso tempo è necessario sottolineare due aspetti importanti: il primo, la funzione di vettore di legittimazione della safety non rappresenta una novità legata alle tecnologie di nuova generazione; il secondo, dai dati di ricerca emerge che, parallelamente alla diminuzione della fatica fisica, i lavoratori percepiscono un significativo aumento dei livelli di stress.
Rispetto al primo aspetto, è facile trovare riscontro della relazione cambiamento tecnologico e safety nella passata letteratura sociologica e organizzativa in materia. Tutte le ondate di innovazione tecnologica che si sono verificate da un certo momento in poi hanno trovato una fonte di legittimazione nell’incremento della salute e sicurezza. A questa relazione fa esplicitamente riferimento Bonazzi (1993) nelle ricerche sull’implementazione del modello di fabbrica integrata alla FIAT degli anni Novanta del secolo scorso e si potrebbero trovare numerosi esempi anche più indietro nel tempo: per rimanere alla FIAT si pensi, ad esempio, alla relazione tra la safety come regime giustificativo e l’implementazione delle linee LAM o l’eliminazione delle cosiddette ‘fosse’ negli anni Settanta/Ottanta del secolo scorso, ovvero le postazioni/buca poste al di sotto della linea di assemblaggio in cui lavoravano gli operatori a braccia alzate per raggiungere il pianale dell’auto. Si potrebbe quasi sostenere, con una punta di provocazione, che, da Taylor in poi, non esiste una proposta di trasformazione tecno-organizzativa dell’impresa che non concepisca la salute e la sicurezza come un vettore di legittimazione dell’introduzione delle nuove tecnologie. In questo senso, quindi, le nuove tecnologie digitali e di automazione riconducibili a ‘Industria 4.0’ non sembrano rappresentare una rottura con il passato, ma anzi si pongono (e ci mancherebbe altro, verrebbe da dire) in continuità con il passato.
Anche il secondo aspetto non rappresenta una novità assoluta se si considera che già negli anni Sessanta/Settanta la cosiddetta nuova Medicina del Lavoro e in particolare gli studi e le ricerche di Oddone (Marri, Oddone, 1967) avevano ‘scoperto’ lo stress come nuova patologia del lavoro nella fabbrica taylorista. Nonostante ciò, il dispendio di energie cognitive richiesto dall’utilizzo delle nuove tecnologie, unitamente ad altri cambiamenti su cui ci si soffermerà nei paragrafi successivi, sembrano determinare un salto di qualità in termini di stress lavoro correlato.
Le nuove tecnologie e i cambiamenti dei tempi di lavoro
Uno dei cambiamenti più significativi che la ricerca è stata in grado di cogliere è quello relativo ai tempi di lavoro. L’introduzione delle nuove tecnologie è stata generalmente accompagnata da un processo di intensificazione dei ritmi lavorativi e da una saturazione dei tempi di lavoro: le operazioni che un tempo venivano svolte in un determinato lasso di tempo oggi sono aumentate grazie al fatto che innovazioni introdotte rendono il flusso lavorativo più veloce e permettono all’operatore di lavorare su più postazioni contemporaneamente. La rappresentazione plastica di questo processo di intensificazione del ritmo di lavoro e dell’aumento della saturazione è rappresentato dalla contrazione del takt time (il tempo assegnato per svolgere le attività previste in una fase lavorativa prima che il semilavorato proceda lungo il flusso) avvenuto negli ultimi anni in Cesab-Toyota: nel 2007 un operatore di linea lavorava su tre postazioni con un takt time di 19 minuti; nel 2018, il periodo in cui si è svolta la ricerca, lo stesso operatore lavorava su cinque postazioni con un takt time di 6 minuti e mezzo.
Allo stesso tempo, l’aumento del mix produttivo sulla stessa linea di produzione e l’orientamento verso una sempre più elevata customizzazione del prodotto, processi largamente favoriti dalle stesse innovazioni digitali introdotte recentemente, ha incrementato la complessità e la variabilità delle operazioni svolte dai lavoratori, determinando per questi ultimi una condizione di difficile programmazione temporale della propria attività lavorativa. In altri termini, al di là dei tempi programmati dalla produzione per ogni specifico prodotto, i lavoratori vedono ridimensionata la capacità di ‘giocare’ all’interno dei tempi assegnati e di anticipare alcune operazioni per accumulare tempi di riposo. Ciò non significa che non possano verificarsi tempi morti o rallentamenti dei ritmi di lavoro, ma la capacità da parte dei lavoratori di gestirli (prevederli, crearli, limitarli, evitarli, ecc.) è significativamente ridotta (evidentemente, mai eliminata del tutto).
In generale, anche il confine tra tempo di lavoro e tempo di non lavoro sembra avere registrato cambiamenti, soprattutto in termini di variabilità. La possibilità offerta dalle nuove tecnologie, grazie alle loro capacità di interconnessione, di aumentare la sincronizzazione tra l’impresa e la rete di subfornitura da una parte, e, dall’altra, tra domanda di mercato e capacità produttiva, creano le condizioni per una rimodulazione degli orari di lavoro. Non si tratta solo dell’intensificazione dell’utilizzo di strumenti ‘tradizionali’ di organizzazione dell’orario di lavoro come i turni, il part-time, o gli straordinari, ma anche, sulla base delle novità introdotte dalla legislazione e dalla contrattazione collettiva, dell’adozione e/o l’estensione di relativamente nuove pratiche di gestione come la flessibilità (talvolta anche di due ore) in entrata e uscita (in alcuni casi, dove i vincoli organizzativi lo permettono, anche in reparti di produzione), la cosiddetta flessibilità positiva e negativa da collocare nell’arco dell’anno e il lavoro agile (ovviamente per le figure professionali che svolgono attività remotizzabili). Se in alcuni casi tutto ciò risulta favorire il cosiddetto work/life balance dei lavoratori, in generale ne deriva un orario di lavoro che per variabilità e collocazione è sempre più lontano dall’orario standard 8.00/16.00 o 9.00/17.00 su cui, in qualche misura, è ancora registrata la vita sociale nel suo complesso ed emergono in tutta la loro evidenza i rischi di disallineamento sociale a cui Wajkman (2020) fa riferimento nei suoi studi sulla ‘tirannia del tempo’ nelle società contemporanee.
Le nuove tecnologie, il controllo e riconfigurazione delle competenze
Dalla ricerca emerge una percezione diffusa dell’aumento dell’intensità e della pervasività del controllo della prestazione tramite l’utilizzo delle nuove tecnologie digitali. In alcuni casi, a tale percezione corrisponde un effettivo aumento del controllo della prestazione esercitato attraverso l’utilizzo di dispositivi da lavoro digitali interconnessi che, sulla base di dati ricorsivamente raccolti e analizzati, monitorano, vincolano e guidano in tempo reale le operazioni dell’operatori: ad esempio, le chiavi dinamometriche digitali interconnesse, diffuse in molte linee produttive delle imprese studiate, sono impostate su una specifica sequenza di operazioni e su precise misure di serraggio e, in tempo reale, raccolgono e analizzano i dati relativi al serraggio svolto dall’operatore, bloccando il sistema in caso di sequenza o serraggio non corretto e obbligando l’operatore a rieseguire secondo programma stabilito tutte le operazioni. In altri casi, invece, il controllo non è agito e rimane in una dimensione potenziale: ad esempio, i braccialetti digitali indossati dagli operatori della logistica interna della linea Urus in Lamborghini (gli stessi in dotazione nei magazzini di Amazon) raccolgono dati relativi alle operazioni di pick and stow, ma non tracciano gli spostamenti degli operatori, pur essendo tecnicamente in grado di farlo; oppure il Manufacturing Execution System (MES) adottato in Bonfiglioli, il cui utilizzo a scopo di controllo della prestazione individuale dei lavoratori, in base ad accordi raggiunti con il sindacato, è inibito, pur potendo svolgere anche questa funzione. E’ evidente, tuttavia, che anche la sola potenzialità dell’esercizio del controllo non è priva di conseguenze sulle relazioni di potere interne al luogo di lavoro.
Rispetto alla trasformazione delle competenze emerge invece un quadro di luci ed ombre. Da una parte, lo sfruttamento a pieno delle potenzialità offerte dalle nuove tecnologie necessita di sviluppare tra i lavoratori nuove competenze digitali e trasversali e non a caso negli ultimi anni le imprese coinvolte nella ricerca hanno fatto investimenti significativi in formazione. In alcuni casi, alla riconfigurazione delle competenze corrisponde anche un aumento di responsabilità che ci si aspetta che l’operatore si assuma nel prendere decisioni inerenti la propria attività di lavoro, concedendogli, quindi, maggiori margini di discrezionalità. La relazione tra competenze e attribuzione di responsabilità (soprattutto dei risultati) è però un tema che spesso determina tensioni e conflitti, non solo lungo la linea gerarchica (a partire dalla richiesta di riconoscere in termini salariali, di qualifica o di status le responsabilità assegnate), ma anche nelle relazioni orizzontali (tra operatori della stessa squadra, ad esempio). Dall’altra parte, nelle stesse imprese studiate è possibile rintracciare casi in cui le nuove tecnologie, di fatto, sostituiscono, automatizzandole, una serie di attività che in passato erano in carico all’operatore, relegando quest’ultimo prevalentemente ad attività di supporto (ad esempio il caricamento e l’attrezzaggio della macchina) o di monitoraggio e semplificando radicalmente l’interazione uomo/macchina. In Bonfiglioli, ad esempio, in una specifica fase di lavorazione 38 minuti di operazioni che erano in carico all’operatore e che quest’ultimo svolgeva a memoria sono oggi svolte da un robot di nuova generazione; al momento della ricerca, l’intervento dell’operatore era ancora necessario perché la macchina mostrava alcuni difetti di funzionamento che necessitavano di essere corretti manualmente, ma prevedibilmente, una volta che la macchina sarà perfezionata, l’operatore avrà la sola funzione di carico/scarico del materiale e di monitoraggio.
In tutti i casi, la sostituzione delle operazioni di lavoro ad opera di tecnologie automatiche e interconnesse e/o l’introduzione di tecnologie digitali che svolgono una funzione di intermediazione tra uomo e macchina presentano rischi di impoverimento, tanto in termini di competenze manuali, quanto in termini di competenze cognitive.
Conclusioni
In generale la ricerca fa emergere un quadro delle trasformazioni delle condizioni di lavoro caratterizzato da luci ed ombre, ma non c’è dubbio che l’adozione delle nuove tecnologie riconducibili al paradigma ‘Industria 4.0’ sia già accompagnata da cambiamenti profondi del modo di lavorare in fabbrica e tutto lascia pensare che ci si trovi di fronte all’inizio di un lungo e vasto processo di trasformazione del mondo del lavoro nell’industria. Nonostante ciò, emerge anche una linea di continuità con il recente passato e cioè quella con i sistemi di lean production implementati a partire dagli anni Novanta dello scorso secolo. Le nuove tecnologie sembrano essere integrate nei processi produttivi con l’obiettivo di consolidare e/o rafforzare le tipiche caratteristiche delle organizzazioni snelle: razionalizzazione degli ambienti e delle postazioni di lavoro, mantenimento del ‘flusso teso’, flessibilità produttiva, eliminazione o riduzione delle Non Value Addeed Activities, riconfigurazione gerarchica, ecc. In questo senso pare adeguata la definizione di augmented lean coniata dalla letteratura in materia quando si riferisce alla sinergia tra nuove tecnologie riconducibili al paradigma ‘Industria 4.0’ e i modelli di lean production (si veda ad esempio: Mokudai et al., 2021).
Tutto ciò porta ad esasperare i ben noti aspetti critici delle condizioni di lavoro presenti nei sistemi lean quali l’intensificazione e la saturazione dei tempi di lavoro (nonché la loro variabilità), l’aumento e la pervasività dei sistemi di controllo, la trasformazione delle competenze professionali (che non sempre coincide con un loro aumento) accompagnate dalla richiesta di assunzione di responsabilità a tutti i livelli della catena gerarchica e un incremento della percezione di stress lavoro correlato; e allo stesso tempo, l’integrazione tra lean system e ‘Industria 4.0’ non è priva di contraddizioni, a partire dal rischio indotto dai processi di digitalizzazione e automazione di ‘allontanare’ gli operatori dalla materialità del processo di lavoro, mettendo a rischio la possibilità che si sedimentino nel tempo quelle competenze manuali e cognitive che la letteratura definisce ‘sticky’ (appiccicose, ovvero appiccicate alla materia lavorata) (von Hippel, 1994; von Hippel, Tyre, 1995) e che risultano fondamentali nei processi di miglioramento continuo, un pilastro imprescindibile dei sistemi lean.
Molto dipende, evidentemente, dalle scelte di progettazione, adozione e utilizzo (Masino, Zamarian, 2003) delle nuove tecnologie che le imprese faranno, dalla logica di implementazione che prevarrà (Mokuday et al., 2021) e dal tipo di obiettivi che ci si porrà. L’idea che tali scelte, tuttavia, siano fatte dal management in un vacuum socioeconomico e istituzionale è del tutto naïve. E’ evidente che le traiettorie di implementazione delle tecnologie siano sempre radicate in un contesto e innervate dalle relazioni di potere che lo caratterizzano. A tal riguardo la ricerca conferma il peso del contesto istituzionale in cui si situano le realtà studiate (si veda a riguardo: Bianchi et al., 2021) e, soprattutto, fa emergere la peculiare capacità negoziale delle locali organizzazioni sindacali su materie come l’integrazione delle tecnologie nei processi produttivi e l’organizzazione del lavoro. Questa specifica azione dei sindacati (in qualche misura e in qualche modo sempre presente nei casi studiati), che riposa su rapporti di forza determinatisi nel tempo a livello locale, contribuisce ad orientare per lo meno i processi di adozione e di utilizzo delle nuove tecnologie (il processo di progettazione rimane indubbiamente più problematico): in alcuni casi, limitando o impedendo alcuni specifici utilizzi delle nuove tecnologie, come, ad esempio, quella di tracciamento degli spostamenti ad opera del braccialetto digitale per gli addetti alla logistica, quella di controllo della prestazione individuale del lavoratore ad opera del MES o quella di automatizzazione/sostituzione tout court delle operazioni in precedenza svolte dall’operatore; in altri casi, negoziando gli effetti dell’introduzione delle nuove tecnologie, come, ad esempio, l’intensificazione e la variabilità dei tempi di lavoro, arginandone il carattere eterodirettivo o utilizzandoli come materia di scambio nella contrattazione con l’impresa (aumento del salario, riduzione oraria, incremento delle assunzioni, benefit di diversa natura, caratteristiche della formazione, ecc.).
Le condizioni di lavoro che accompagnano l’introduzione delle nuove tecnologie, quindi, presentano ad oggi luci ed ombre e la velocità con cui si verificano le attuali trasformazioni tecnologiche porta ad essere cauti nel formulare previsioni sugli scenari futuri di lungo periodo. Allo stesso tempo, tutto questo risulta essere inserito, almeno per quel che riguarda i casi studiati, in un articolato sistema di relazioni di potere che sembra garantire la capacità di trovare ricorsivamente nuovi equilibri in grado di sfruttare le opportunità offerte dalle nuove tecnologie e, al contempo, attenuarne o compensarne le criticità. Rimane aperta, tuttavia, la questione della scalabilità di questo sistema (e dei risultati a cui questo sistema è pervenuto), in termini di sostenibilità nel tempo (la recente crisi pandemica unitamente all’attuale crisi energetica e di approvvigionamento delle materie prime è certamente un nuovo elemento di criticità in questo senso) e, soprattutto, di replicabilità in altre realtà lontane e vicine, alcune delle quali anche strettamente connesse con le imprese studiate nella ricerca perché appartenenti alla stessa filiera o allo stesso ecosistema, ma che presentano caratteristiche molto diverse.