Testo integrale con note e bibliografia
1. Il manuale di Diritto del lavoro di Giuseppe Santoro-Passarelli è giunto, nel 2022, alla nona edizione.
La prima edizione, datata 2002, recava il titolo “Diritto dei lavori”.
Nelle edizioni successive, a partire dalla quinta, il titolo originario è stato arricchito con l’aggiunta “e dell’occupazione”.
Se, dunque, nel corso di 20 anni e 9 edizioni il titolo del manuale è cambiato una sola volta, è, invece, rimasta sempre immutata la dedica agli studenti, che prende a prestito una citazione di Norberto Bobbio: “L’importante è che l’uomo di cultura, quando è impegnato nella sua funzione che è quella di capire, non si lasci frastornare dagli zelatori di ogni ortodossia o dai pervertiti di ogni propaganda, i quali saranno sempre pronti a gettargli in faccia l’accusa che egli – per il fatto che non sceglie l’alternativa di destra – tradisce la civiltà, o – per il fatto che non sceglie
l’alternativa di sinistra – si oppone al progresso. Non vi è per l’intellettuale che una forma di tradimento o di diserzione: l’accettazione degli argomenti dei “politici” senza discuterli, la complicità con la propaganda, l’uso disonesto di un linguaggio volutamente ambiguo, l’abdicazione della propria intelligenza all’opinione settaria, in una parola il rifiuto di “comprendere” e in tal guisa di apportare agli uomini l’aiuto prezioso di cui la cultura sola è capace, l’aiuto a infrangere i miti, a spezzare il circolo chiuso di impotenza e di paura, in cui si rivela la contagiosa inferiorità dell’ignoranza” .
Questa dedica dice molto e testimonia la profonda aspirazione di Giuseppe Santoro-Passarelli giurista a trasmettere agli studenti gli strumenti e la metodologia per poter diventare un “uomo di cultura” nel senso tratteggiato da Bobbio.
La dedica, del resto, evidenzia, sotto molti punti di vista, quella che potrebbe considerarsi la “cifra” di Giuseppe Santoro-Passarelli giurista.
La Sua produzione scientifica, da un lato, e le modalità delle lezioni, dall’altro, lasciano, infatti, trasparire in modo nitido molte delle qualità dell’”uomo di cultura”.
La sua funzione è quella di “capire”, il che lo porta ad esplorare tutte le aree del diritto del lavoro non accontentandosi di rimanere nei confini “tradizionali” della materia, ma contribuendo, con le Sue ricerche, ad espandere quegli stessi confini.
Già il titolo originario del manuale “Diritto dei lavori” segna un profilo innovativo rispetto alla manualistica classica, fino ad allora prevalentemente focalizzata sul diritto del lavoro, declinato al singolare.
Emerge esplicitamente l’attenzione non più soltanto per il lavoro subordinato nella sua forma per così dire “comune”, a tempo pieno e indeterminato, ma per tutta una serie di altre forme, subordinate e non. Sotto quest’ultimo punto di vista è significativo l’approfondimento riservato anche al lavoro autonomo e, dunque, l’apertura di una finestra oltre i confini della subordinazione.
Ma un discorso analogo vale per le edizioni successive, a partire dalla quinta, quando l’Autore introduce nel manuale il c.d. diritto dell’occupazione, anche in questo caso realizzando un’operazione di grande innovazione ed esplicitando un’ulteriore estensione del campo di indagine verso aree tradizionalmente non battute dai manuali di diritto del lavoro e ritenute separate.
Sono, invece, l’osservazione della realtà e l’attenzione per la contestualizzazione socio-economica dei fenomeni giuridici (qualità, queste, che gli derivano in particolare dalla formazione sotto il Maestro Gino Giugni) a convincere Giuseppe Santoro-Passarelli che un manuale di diritto del lavoro moderno non può più limitarsi a considerare le posizioni di coloro che lavorano, ma debba necessariamente aiutare a comprendere le dinamiche e le situazioni di coloro che sono in cerca di un lavoro o che lo hanno perso e devono essere re-inseriti nel sistema produttivo.
Questa voglia di comprendere la materia a tutto tondo è anche testimoniata dalla vastità della produzione scientifica di Giuseppe Santoro-Passarelli: la pubblicazione della nona edizione del manuale è accompagnata dall’uscita del IV tomo della raccolta dei Suoi scritti “Realtà e Forma del diritto del lavoro”, che coprono un arco temporale dal 2006 al 2022.
Vale la pena osservare, tra l’altro, come l’aspirazione a “capire” sempre più profondamente porti l’Autore ad affrontare in alcuni importanti lavori tematiche anche storico-giuridiche e ad approfondire giuristi ed esperienze anche pre-codicistiche.
Questo particolare interesse per la storia appare solo a prima vista dissonante con l’ etichetta di “giurista della contemporaneità” esplicitata nel Liber amicorum a Lui dedicato . Al contrario, completa la figura di uno studioso conscio dell’eredità culturale dei Maestri e, non a caso, pronto ad esclamare a lezione, nel riferirsi a grandi giuristi, che “siamo nani sulle spalle dei giganti” .
Altre caratteristiche dell’ “uomo di cultura” che certamente possono essere rinvenute nella figura di Giuseppe Santoro-Passarelli è il rifiuto di accettare gli argomenti dei “politici” senza discuterli, nonché il rifiuto della complicità con la propaganda e dell’uso disonesto di un linguaggio volutamente ambiguo.
La preoccupazione per la chiarezza dei discorsi si registra anche a lezione e sfocia, non di rado, in vere e proprie interrogazioni volte a verificare il livello di comprensione degli studenti. Ne scaturisce un corso sicuramente non monotono, aperto al confronto con gli studenti e con i collaboratori, sempre incoraggiati ad intervenire anche in senso dissonante e a discutere criticamente tutti gli argomenti.
Vale la pena accennare, da ultimo, ad un ulteriore riferimento culturale di Giuseppe Santoro-Passarelli, spesso citato a lezione: Italo Calvino e le sue “Lezioni americane” . La “leggerezza”, in particolare, viene spesso raccomandata agli studenti, con l’avvertenza, però, di non confonderla con la superficialità.
E, del resto, la leggerezza non superficiale si sposa perfettamente con la vocazione dell’ “uomo di cultura” di “apportare agli uomini l’aiuto prezioso di cui la cultura sola è capace”.
Gli scritti di Giuseppe Santoro-Passarelli rifuggono così la tentazione in cui un giurista attento al dettato normativo rischia di essere indotto: quella di perdersi in dettagli tecnici incomprensibili ai più e non essenziali per comprendere lo spirito della materia, le ragioni che hanno portato a determinate normative e l’impatto delle stesse nei contesti di riferimento.
E, proprio con riferimento allo spirito della materia, emerge con nettezza ancora una volta il rifiuto di un linguaggio volutamente ambiguo laddove l’Autore ribadisce e difende la funzione del diritto del lavoro: la tutela della dignità del lavoratore come valore non negoziabile” .
Non è un caso che una affermazione così netta venga inserita anche in uno scritto pubblicato su una rivista di taglio più specificatamente economico, quando da più parti, e anche tra autorevoli giuristi del lavoro, si dibatte sulla necessità di riconsiderare la gerarchia tra dignità del lavoratore e libertà di iniziativa economica, in favore di una diversa logica di contemperamento tra valori costituzionali pari-ordinati.
2. Molte delle caratteristiche dell’ “uomo di cultura” emergono dalla lettura del manuale e degli scritti di Giuseppe Santoro-Passarelli.
In questa sede sarà possibile dare solo qualche breve cenno in ordine a tre tematiche emblematiche: il lavoro “parasubordinato” o “coordinato”; il regime sanzionatorio dei licenziamenti illegittimi; la limitazione dei poteri datoriali in caso di gestione algoritmica della prestazione lavorativa.
Qui gli scritti sono fortemente connotati dal rifiuto dell’uso disonesto di un linguaggio volutamente ambiguo e dalla accesa discussione degli argomenti dei “politici”, con una attenzione costante ai contesti socio-economici e alla tutela della persona che lavoro come valore primario rispetto alla libertà di iniziativa economica.
3. Uno dei temi di ricerca cari al prof. Giuseppe Santoro-Passarelli è sicuramente quello delle collaborazioni coordinate e continuative.
La monografia “Il lavoro parasubordinato” del 1979 costituisce uno dei principali contributi volti a ricostruire in modo organico la nozione di coordinazione di cui all’art. 409, n. 3, c.p.c..
Si tratta di un’opera di grande modernità perché anticipa di quasi quarant’anni l’epilogo normativo che quella nozione ha avuto con la legge n. 81 del 2017.
In quell’opera Giuseppe Santoro-Passarelli metteva in evidenza l’autonomia del collaboratore nell’organizzazione della prestazione lavorativa e la possibilità che le modalità di esecuzione della stessa potessero essere concordate tra le parti.
Trentotto anni dopo, la legge n. 81 del 2017, come è noto, nel modificare l’art. 409, n. 3, c.p.c. ha previsto che “ferme restando le modalità di coordinamento stabilite di comune accordo dalle parti, il collaboratore organizza autonomamente l’attività lavorativa” .
Con la chiarezza che lo contraddistingue Giuseppe Santoro-Passarelli riconosce, tuttavia, che “anche la prestazione di lavoro coordinata può concorrere a realizzare un modello organizzatorio analogo a quello costituito dalla prestazione di lavoro subordinato” e che il carattere della coordinazione appare “non sempre distinguibile e identificabile” .
Queste considerazioni aiutano a comprendere perché secondo il nostro Autore la coordinazione finisce per risolversi in una formula ambigua e insincera, per la sua contiguità alla subordinazione e l’idoneità a mascherare rapporti di falso lavoro autonomo .
Come, pure, il tema del rifiuto di un linguaggio volutamente ambiguo, unitamente alla costante discussione degli “argomenti dei politici” torna con riferimento al potere unilaterale di coordinamento, già teorizzato da autorevole dottrina con l’obiettivo di inquadrare il lavoro coordinato in un tertium genus. Erano anche stati presentati diversi progetti di legge sul lavoro coordinato.
Anche sotto questo punto di vista Giuseppe Santoro-Passarelli mette in guardia dalle facili assimilazioni, esplicitando inequivocabilmente e con grande nettezza la diversità di logica, finalità e contesto che caratterizzava la prospettiva originaria del lavoro “parasubordinato” rispetto alle più recenti ricostruzioni del “lavoro coordinato”: “Il lavoro parasubordinato era una proposta di tipo concessivo diretta a estendere in via interpretativa tutele proprie del lavoro subordinato nei confronti di soggetti non subordinati ma contrattualmente deboli”. “Al contrario, il lavoro coordinato è una proposta (…) ispirata ad una logica di tipo ablativo, cioè di riduzione di tutele rispetto a quelle riconosciute ai lavoratori subordinati .
Secondo il nostro Autore, il potere di coordinamento può forse essere ricostruito nell’ambito della disciplina del lavoro a progetto, ma una volta abrogata questa tipologia contrattuale, non può trovare ulteriormente cittadinanza nell’ambito del novellato art. 409, n. 3 c.p.c..
Un discorso analogo viene svolto con la stessa nettezza con riferimento alle più recenti collaborazioni etero-organizzate di cui all’art. 2 del d. lgs. n. 81 del 2015 contro la ricostruzione di un potere organizzativo, distinto dal potere direttivo, diretta ad individuare un ipotetico quartum genus.
Anche in questo caso si assiste ad un deciso rifiuto del linguaggio ambiguo nell’esplicitare (“Bisogna essere avvertiti”) che l’obiettivo dell’operazione è delineare una disciplina meno favorevole rispetto a quella del lavoro subordinato .
4. Merita, poi, di essere accennata la crescente attenzione di Giuseppe Santoro-Passarelli per il c.d. “diritto vivente”, soprattutto con riferimento al regime sanzionatorio per il licenziamento illegittimo.
Nell’ultima edizione del manuale viene aggiunto, infatti, un nuovo capitolo 36, dedicato al confronto tra il regime pre Jobs Act e quello in vigore per i lavoratori assunti dopo l’entrata in vigore del d. lgs. n. 23 del 2015.
L’attenzione dell’Autore si concentra sul campo di applicazione della reintegrazione, alla luce degli interventi della Corte costituzionale e della Cassazione che hanno notevolmente accentuato la diversità di regime applicabile in ragione della data di assunzione.
Ancora una volta Giuseppe Santoro-Passarelli non accoglie acriticamente le nuove disposizioni e non si lascia convincere “dagli argomenti dei politici senza discuterli”.
In un contesto in cui, nonostante le modifiche apportate dalla legge Fornero, la giurisprudenza continua a considerare la sanzione della reintegrazione al centro del sistema nell’ambito dell’art. 18 Stat. lav., la stessa sanzione, per i lavoratori assunti in regime di Jobs Act, appare del tutto residuale. Essa, infatti, non è più prevista per i licenziamenti disciplinari sproporzionati e per i licenziamenti per giustificato motivo oggettivo, che rappresentano le ipotesi più frequenti.
Questa crescente discrasia tra i due regimi porta il nostro autore ad interrogarsi sulla perdurante ragionevolezza della differenziazione in ragione del mero elemento della data di assunzione, proprio alla luce dei mutati contesti socio-economici e dell’evoluzione del diritto vivente, che, tuttavia, “non consente di superare il favor per la tutela risarcitoria previsto dal Jobs Act” .
Ma anche su questo versante emerge prepotentemente il rifiuto del linguaggio ambiguo con riferimento alla valutazione del regime sanzionatorio per il licenziamento nullo.
Come è noto, il Jobs Act non ricalca l’assetto previsto dall’art. 18, comma 1, Stat. lav., e introduce l’avverbio “espressamente” agli altri casi di nullità previsti dalla legge.
Questa diversità testuale tra le due disposizioni alimenta interpretazioni volte ad escludere la condanna alla reintegrazione in ipotesi di violazione di norme imperative non accompagnate dalla espressa previsione di nullità del licenziamento.
Qui Giuseppe Santoro-Passarelli non esita a proporsi quale autorevole voce dissonante rispetto alla maggior parte della dottrina e arriva ad affermare che “l’avverbio “espressamente” contenuto nell’art. 2. sulla tutela della reintegrazione non sembra sufficiente a porre nel nulla l’intera disciplina della nullità del codice” e che “deve essere preferita una interpretazione sistematica e non meramente letterale dell’art. 2 del d. lgs. n. 23/2015, confortata anche dall’evoluzione del diritto vivente, per riconoscere ugualmente la reintegrazione per tutte le ipotesi di violazione di norme imperative” .
Una interpretazione che, ancora una volta, mette in primo piano la dignità del lavoratore rispetto alla libertà di iniziativa economica, in un contesto in cui i più recenti arresti giurisprudenziali della Corte costituzione e della Corte di Cassazione inducono a riflettere sull’effettiva dissuasività della tutela economica oggi riconosciuta, in particolar modo nelle piccole imprese.
5. Un ultimo cenno merita una ulteriore tematica affrontata da Giuseppe Santoro-Passarelli: quella della tutela del lavoro nell’ambito della civiltà digitale.
Si tratta di un tema molto ampio che, però, in questa sede, vale la pena tratteggiare sotto un punto di vista particolare: l’impatto dell’intelligenza artificiale nella c.d. gestione algoritmica della prestazione lavorativa.
Anche in questo caso il nostro Autore non esita a rimarcare la necessità di interventi legislativi volti a limitare l’esercizio dei poteri datoriali.
La spersonalizzazione del datore di lavoro che si realizza, ad esempio, nel caso di lavoro mediante piattaforme digitali, non rende evanescente l’esercizio dei poteri datoriali. Al contrario, tali poteri, esercitati attraverso sistemi decisionali automatizzati, risultano ancora più intensi e pervasivi.
Giuseppe Santoro-Passarelli, sotto questo punto di vista, mette in evidenza come il d. lgs. n. 103 del 2022 costituisca un primo esempio di intervento legislativo teso a limitare la gestione algoritmica della prestazione lavorativa a tutela della dignità dei lavoratori.
Il nostro Autore, in particolare, apprezza, “il tentativo di attribuire a quest’ultimi efficaci strumenti di controllo sulle decisioni automatizzate che incidono sul rapporto di lavoro e, dunque, per l’implicazione personale che lo contraddistingue, sulla stessa persona che lavora” .
Fedele all’attenzione per l’effettività dei diritti riconosciuti dalle norme nei contesti socio-economici in cui le stesse sono destinate ad operare, Egli sottolinea l’importanza delle misure di tutela incentrate sul coinvolgimento del sindacato e sull’inversione degli oneri probatori.
Ciononostante, il rifiuto del linguaggio ambiguo torna a manifestarsi con riferimento al campo di applicazione delle nuove disposizioni, nella parte in cui il nostro Autore critica il richiamano testuale alle collaborazioni organizzate dal committente come se le stesse possano dare vita ad una tipologia contrattuale.
6. In conclusione, seppur per brevi cenni, si è cercato di mettere in evidenza, con riferimento a tre argomenti emblematici, come gli scritti di Giuseppe Santoro-Passarelli restituiscano al lettore una figura di giurista ben delineata.
La figura di un giurista, per un verso, fermamente convinto della perdurante funzione del diritto del lavoro di tutela della dignità del lavoratore quale valore non negoziabile e sovraordinato alla libertà di iniziativa economica. Per altro verso, quella di uno studioso profondamente consapevole della missione dell’ “uomo di cultura” tratteggiato da Norberto Bobbio.
Del resto, la redazione di un manuale giuridico consente all’autore di esplicitare la propria visione generale di una materia, il suo inquadramento costituzionale, le modalità con cui essa si rapporta alle altre branche del diritto e il suo impatto sulla realtà socio-economica in cui si cala.
Non è un caso, allora, che il passaggio di Bobbio sulle caratteristiche dell’uomo di cultura sia inserito proprio in apertura del manuale: anche sotto questo punto di vista, allora, quella dedica contribuisce ad esplicitare la cifra di Giuseppe Santoro-Passarelli giurista.