TESTO INTEGRALE CON NOTE E BIBLIOGRAFIA
Cari studenti, cari amici, vi ringrazio di essere presenti a questo incontro per la presentazione della nona edizione del mio manuale e del IV tomo dei miei scritti. Guardando questa aula ormai rinnovata, il mio ricordo va agli anni 65-69 quando, studente, frequentavo questa aula, assai più disadorna e questa facoltà. Gli studenti erano numerosi perché a quell’epoca esisteva soltanto l’università la Sapienza e una sola facoltà quella di giurisprudenza. E i professori erano 18- 20, grandi maestri ma non facilmente avvicinabili. In compenso ogni professore aveva il suo gruppo di assistenti che manteneva i contatti con noi studenti. Guardando a ritroso il mio percorso di studente della Sapienza mi sento orgoglioso di avere avuto il privilegio di essermi formato alla scuola della grande dottrina giuridica italiana della seconda metà del 900.
Se ci penso sono stato in questa Facoltà fino ad oggi, 58 anni prima come studente, poi come assistente, allora non era stato ancora istituito il dottorato di ricerca e neppure il ruolo di associato. Poi come professore ordinario dal 1992, e oggi come professore emerito e debbo dire che questa Facoltà è stata per me veramente una scuola non solo di formazione scientifica ma di vita.
In questa circostanza mi sia consentito ricordare il prof. Renato Scognamiglio. E’stato il presidente della mia Commissione di Concorso, e queste circostanze non si dimenticano. E voglio associare in questo ringraziamento Gino Giugni che ha avuto un’influenza determinante nella mia formazione e le letture di Tullio Ascarelli, già deceduto quando ero studente. E di un altro amico a me molto caro, anche se l’amicizia fu talvolta tempestosa, di Matteo Dell’Olio prematuramente scomparso.
Ringrazio per la loro presenza e partecipazione il Preside Prof. Oliviero Diliberto e la nostra Direttrice di Dipartimento prof. Luisa Avitabile. E ringrazio sentitamente per la loro presenza i nostri introduttori Pietro Rescigno, decano dei civilisti italiani e magister magistrorum, e Piero Curzio Primo presidente della Corte suprema e Stefano Bellomo ordinario di diritto del lavoro di questa facoltà. E poi Arturo Maresca il coordinatore della tavola rotonda composta dai professori che insegnano nelle università romane a cominciare da Giampiero Proia , Ilario Alvino, Valerio Maio , Domenico Mezzacapo, Carlo Pisani e Lucia Valente e il nostro conclusore, il prof. Capogrossi, al quale sono legato da sincero affetto e stima maturata negli anni del mio insegnamento a Roma, e nella non facile gestione dell’allora neonato dipartimento. E comunque Capogrossi, che pure si è schermito, da par suo ha analizzato il profilo storico dei miei scritti e in particolare quello corporativo E last but not least voglio ringraziare i miei allievi e i miei studenti che vedo qui numerosi. E il Master in Diritto del lavoro che ha contribuito con il mio editore Giappichelli alla pubblicazione di questo quarto tomo e della nona edizione del mio manuale.
Esauriti i ringraziamenti vorrei tacere, e sentirmi vicino a tutti voi con il silenzio che talvolta avvicina più della parola.
Ma desidero esprimere qualche valutazione sui tanti argomenti trattati, iniziando dalla erosione della fattispecie lavoro subordinato disegnata dall’art. 2094 c.c. E’ vero la nozione di lavoro subordinato è certamente datata e forse anche antiquata. Non esiste più soltanto l’impresa fordista che il codice ha presente come referente socioeconomico, non esiste più soltanto il mercato nazionale ma prevale la cosiddetta globalizzazione dei mercati. Come è noto, accanto al contratto di lavoro subordinato sono stati previsti e regolati nel tempo una decina di contratti temporanei, e non mi riferisco ovviamente solo al contratto a tempo determinato ma alla somministrazione, agli stages, all’apprendistato, al contratto di lavoro intermittente, al lavoro agile, e poi ad altre forme di lavoro autonomo continuativo come le collaborazioni continuative e coordinate e il lavoro a progetto, per le quali è stato elaborato il cd. potere unilaterale di coordinamento.
Come è noto la disciplina del lavoro a progetto è stata abrogata lasciando in vita le collaborazioni continuative e coordinate dell’art. 409 n. 3 c.p.c. alle quali si applica la disciplina precedente a quella del lavoro a progetto. D’altra parte l’art. 15 della legge 81 del 2017 ha chiarito che non esiste un potere unilaterale del committente, come più autori affermavano e continuano ad affermare, ma le parti, come in ogni contratto, determinano di comune accordo le modalità di esecuzione del contratto e il collaboratore nell’ambito di queste modalità, organizza autonomamente la propria prestazione
Ancora l’art.2 del d.lgs 81 del 2015 ha introdotto la figura della etero-organizzazione che secondo alcuni darebbe vita ad un quartum genus. In ogni caso a questi rapporti, ai sensi dell’art. 2 comma 1 si applica la disciplina del lavoro subordinato ed ai sensi dell’art. 2 comma 2 una diversa disciplina può essere stabilita dalla contrattazione collettiva ma non dal giudice.
D’altra parte neppure il decreto legislativo 104 del 2022 che ha esteso molte parti della sua disciplina ai rapporti di collaborazione coordinata e continuativa dell'articolo 409 n. 3 c.p.c. e ai rapporti di collaborazione etero-organizzata dell'articolo 2 comma 1 del d.lgs. 81 del 2015 sembra sufficiente a dare corpo e sostanza normativa a due fattispecie come il coordinamento e la etero-organizzzazione distinte dalla subordinazione.
Come ha affermato il considerando 8 della direttiva 1152/2019 del quale il decreto dovrebbe essere di attuazione “è opportuno che la determinazione dell’esistenza di un rapporto di lavoro si fondi sui fatti correlati all’effettiva prestazione di lavoro e non basarsi sul modo in cui le parti descrivono il rapporto”.
Orbene i diversi rapporti di lavoro prima menzionati da un lato, hanno favorito l’elusione della disciplina del lavoro subordinato e, dall’altro lato, quando erano genuini, hanno certamente influito, sull’ambito di applicazione della fattispecie lavoro subordinato dando luogo, secondo alcuni, ad una pluralità di fattispecie di subordinazione e tuttavia l’art. 2094 c.c. non è stato modificato.
Pertanto non resta che un’alternativa: o il legislatore modifica l’art. 2094 c.c. cercando di allargare le maglie della norma e potrebbe ispirarsi all’art. 4 della proposta di direttiva sui riders del 9 dicembre 2021 che prevede ben 5 indici di subordinazione, ritenendo sufficiente la presenza soltanto di due e addossando l’onere della prova al datore per provare che non si tratta di lavoro subordinato.
O in alternativa si decide di abbandonare la regolazione per fattispecie avendo presente però che diventa comunque necessario individuare criteri per applicare le diverse discipline inderogabili relative alle diverse materie, salvo che si decida di ritornare indietro agli inizi del 900, quando Vittorio Emanuele Orlando di fronte alla proposta di legge dell’on. Luzzatti di regolare il rapporto d lavoro di impiego privato affermò che si trattava “di un progetto che per la natura inderogabile di alcune norme, costituiva una novità assoluta nel diritto privato dell’epoca dominato dal principio dell’uguaglianza delle parti e costituiva perciò un vulnus alla libertà, intesa nel suo triplice senso di libertà giuridica , economica, e politica”. Per fortuna molta acqua è passata sotto i ponti ma vedo che il processo progressivo di riduzione delle norme inderogabili potrebbe trasformare questo tipo di norma in un simulacro.
Insomma, a mio avviso, sarebbe un errore cancellare la norma inderogabile nella disciplina del rapporto di lavoro e nel rapporto tra legge e contratto collettivo.
Quanto all’inderogabilità nel rapporto tra contratti collettivi di diverso livello credo che l’art.51 del d.lgs. n.81 del 2015 sia destinato a seguire la vicenda dell’art.8 del 2011 ora sottoposto al vaglio di costituzionalità dalla Corte Costituzionale. In altri termini mi sembra difficile che l’art. 51 possa essere usato come supporto normativo per giustificare la derogabilità in pejus della legge da parte contratto aziendale se l’art 8 del 2011 sarà dichiarato incostituzionale. La deroga in pejus può essere prevista, come afferma il testo dell’accordo interconfederale del 2013 nei limiti e secondo le procedure previste dal contratto nazionale.
Ciò non significa che il diritto del lavoro debba essere considerato un diritto che comporta la cristallizzazione di un sistema di valori immutabile perchè al pari di tutti i fenomeni umani è calato nella storia, e quindi risente inevitabilmente dei diversi contesti storici economici e geopolitici.
E infatti non si può negare che il diritto del lavoro nel corso di questi decenni sia stato uno dei laboratori più attivi che ha consentito di verificare il punto più delicato dei rapporti tra diritto formale e diritto materiale e, cioè come quest’ultimo si innesti nell’ordinamento giuridico formale attraverso le cerniere della libertà dell’organizzazione sindacale e dell’effettività dell’attività sindacale.
E tuttavia nell’attuale contesto socioeconomico e geopolitico, come ho già detto, la globalizzazione dei mercati e la conseguente competività delle imprese non devono intaccare il valore fondante del nostro ordinamento democratico che la Costituzione, non a caso individua all’art. 1 nel Lavoro e così anche la dignità della persona di chi lavora con o senza vincolo di subordinazione garantita dagli artt. successivi 2,3,4 ,32, 35.
E’ noto che oggi si discute del rapporto tra i diritti della persona e la libertà di impresa e dottrine autorevoli affermano la necessità di un bilanciamento tra i primi e la seconda senza tenere conto che in un’economia globalizzata quale legislatore dovrebbe effettuare questo bilanciamento, quello nazionale o quello europeo?
Allo stato, a mio avviso, l’art. 41 comma 2 cost non ha la funzione di bilanciare la libertà di iniziativa economica con i diritti che attengono alla persona del lavoratore, ma consente al legislatore di apporre limiti ai poteri dell’imprenditore affinchè possa esistere un’impresa sostenibile che riesca a sopravvivere in un regime di forte competività senza sacrificare la dignità dei lavoratori.
In caso contrario la globalizzazione dei mercati impone alle imprese, per restare sul mercato di ridurre i costi di produzione e tra questi quelli del lavoro, e conseguentemente come avviene attualmente ,il bilanciamento finisce inevitabilmente per ridurre le tutele della parte debole del rapporto e cioè del lavoratore.
Per evitare equivoci non sostengo affatto che l’imprenditore non debba perseguire il profitto e che debba essere prevista la costituzione coattiva dei rapporti di lavoro ma soltanto che la normativa tuteli effettivamente la dignità del lavoro.
E la effettività della tutela comporta che la dignità del lavoratore non sia messa in discussione dalla progressiva precarizzazione del rapporto di lavoro, evidenziata opportunamente ma non risolta dal recente decreto Dignità. Infatti ormai numerosi sono i contratti a tempo determinato ad un mese e in certe casi anche a sette giorni. E il contratto a tempo indeterminato non è più il comune mezzo di assunzione.
E per questo mi auguro che l’applicazione delle diverse normative in materia di lavoro non faccia venire meno quella che, a mio modo di vedere, è la ragion d’essere della nostra disciplina, e cioè la tutela della parte debole del rapporto di lavoro, che non può non implicare il ricorso sia pure temperato alla tecnica della normativa inderogabile, che rimane il vero presidio della tutela del lavoratore.
E a questo proposito mi piace ricordare un’osservazione di mio padre che già nel 1949 affermava che “se tutti gli altri contratti riguardano l’avere delle parti, il contrato di lavoro riguarda ancora l’avere per l’imprenditore ma per il lavoratore riguarda e garantisce l’essere che è condizione dell’avere e di ogni altro bene”.
E quanto al rapporto tra Francesco Santoro Passarelli e Gino Giugni ho già sostenuto in altra sede che non vedo una contrapposizione ma piuttosto un’integrazione nel metodo seguito dai due autori : Infatti Giugni, pur essendo autore della teoria dell’ordinamento intersindacale, non ha mai disconosciuto la funzione della legge. Basta ricordare che il nostro è stato il principale autore dello Statuto dei lavoratori, che non a caso è denominato legislazione di sostegno e di promozione dell’autonomia collettiva, distinguendosi in questo dai progetti di legge attuativi dell’articolo 39 che invece tendevano ad apporre limiti all’autonomia sindacale.
Quanto a me, il metodo che ho seguito, è compiutamente illustrato dalla recensione di Alpa sulla Trimestrale del 2018 “Realtà e forma” “sta a significare, invertendo l’or¬dine dei termini per meglio sottolineare il messaggio, che i rapporti giuridici nascono da un substrato economico e sociale, e sono tradotti in “forma” dal giurista, il quale però non può, more kelseniano, operare mediante astrazioni e formule magiche, ma deve rimanere aderente al contenuto e alle condizioni materiali in cui essi nascono e si svolgono. Un approccio quindi non solo giuspositivistico, ma, se mi è consentito, giusrealistico”.
Il riferimento di Alpa al metodo da me seguito coglie perfettamente nel segno perché voglio ribadire che hanno influito sulla mia formazione di giurista e sul metodo che ho praticato, anche le letture delle numerose opere di Ascarelli, purtroppo già deceduto (1959) quando io ho iniziato a frequentare l’Università (1965). Era nato il 6 ottobre del 1903 ed io il 6 ottobre del 1946. Ovviamente solo una coincidenza casuale.