Testo integrale con note e bibliografia
Ordin . Cass. Civ. n.33108 del 10. Nov. 2022
I. Cass. civ., sez. VI, 10 novembre 2022, n. 33108
Lo scorso mese di novembre, la sesta sezione della Corte di Cassazione si pronunciava in materia di poteri istruttori del giudice del lavoro, percorrendo (e riassumendo) un territorio argomentativo abbondantemente arato dalla giurisprudenza di legittimità nel corso degli ultimi venti anni.
In sintesi la Corte, con tale pronuncia, individuava la facoltà ex art. 421 cod. proc. civ. del giudice del lavoro di assumere d’ufficio mezzi istruttori a condizione che la parte abbia allegato quanto meno una cd. “pista probatoria”.
Infatti, nella motivazione dell’ordinanza in commento si legge «la normativa processuale consente al giudice del lavoro il dispiego di poteri ben più incisivi di quelli usuali, potendo egli sanare eventuali carenze (cfr. Cass. n. 12573 del 2020, Cass. n. 1 995 del 2016; Cass. n. 12210 del 2014) e potendo financo disporre d’ufficio “in qualsiasi momento” l’ammissione di ogni mezzo di prova, anche al di fuori dai limiti del codice civile, ad eccezione del solo giuramento decisorio, sulla base dell’unico presupposto dell’esistenza di una c.d. pista probatoria dedotta dalle parti, prescindendo quindi da preclusimi e decadenze già verificatesi (su cui Cass. Sez. Un. 17 giugno 2004, n. 11353)».
Come noto la sezione sesta della Corte di Cassazione era una “apposita sezione” per la «verifica se sussistono i presupposti per la pronuncia in camera di consiglio» (vedi art. 376 cod. proc. civ.). Tali presupposti, di fatto, sussistono quando la Corte “riconosce di dovere” ai sensi dell’art. 380-bis, primo comma, cod. proc. civ. (a) dichiarare l’inammissibilità del ricorso principale (e di quello incidentale eventualmente proposto) ai sensi dell’art. 375, n. 1, cod. proc. civ. ovvero (b) accogliere o rigettare il ricorso principale (e l’eventuale ricorso incidentale) ai sensi dell’art. 375, n. 5, cod. proc. civ. per manifesta fondatezza o infondatezza.
Ebbene nonostante l’ordinanza in commento sia stata emessa dalla sezione sesta perché trattavasi evidentemente di una “manifesta infondatezza” del ricorso , si è ritenuto comunque di trarre da tale pronuncia l’occasione per alcune riflessioni sui poteri istruttori del giudice nel processo del lavoro e sul testo dell’art. 421, secondo comma, cod. proc. civ. ai sensi del quale «[n.d.r. il giudice] può disporre d’ufficio in qualsiasi momento l’ammissione di ogni mezzo di prova, anche fuori dai limiti stabiliti dal codice civile, ad eccezione del giuramento decisorio, nonché la richiesta di informazioni e osservazioni, sia scritte che orali, alle associazioni sindacali indicate dalle parti. Si osserva la disposizione del comma sesto dell’art. 420».
L’occasione si rende necessaria perché chi è solito frequentare le aule dei Tribunali del lavoro avrà certamente verificato che si tratta di una norma tra le più invocate dalle difese (per porre rimedio a decadenze processuali ovvero ad inadempimenti dell’onere della prova) e parimenti tra le più disattese - ad avviso di chi scrive - dai giudici di merito.
II. Il processo in una visione prospettica.
Per comprendere appieno la portata del dato normativo in commento, occorre provare a ricostruire una definizione prospettica di cosa sia il processo civile nel nostro ordinamento.
Secondo un approccio strettamente formalistico/burocratico si potrebbe definire il processo come una serie di atti scambiati dalle difese per l’ottenimento di una sentenza.
Ancora, tenuto conto dei suoi principi regolatori quali il principio della domanda (art. 99 cod. proc. civ.), il principio dispositivo (art. 99 cod. proc. civ.), le numerose decadenze e preclusioni normative e da ultimo il riparto dell’onere della prova (art. 2697 cod. civ.), si potrebbe arrivare a definire il processo “soltanto” come uno strumento per dirimere le controversie. Ovviamente, in tale prospettiva, l’esigenza di accertare la verità (ovvero di “fare giustizia”) passa in secondo piano; motivo per il quale numerose (forse troppe) sono le sentenze che definiscono il processo con una pronuncia di accoglimento delle eccezioni procedurali.
Ne consegue che il processo - quanto meno nella declinazione del rito ordinario - nel nostro ordinamento spesso assume il sapore drammatico di una partita a scacchi tra le difese. Partita caratterizzata da numerosi trabocchetti e sorprese che non esclude l’ipotesi di una beffarda vittoria di una parte sull’altra; talvolta resa ancora più gravosa dai limiti alla facoltà di compensazione delle spese previsti dall’ultima riforma dell’art. 92, secondo comma, cod. proc. civ. .
In questo contesto, l’art. 421, secondo comma, cod. proc. civ. rappresenta una luce che illumina il processo del lavoro e lo rende uno strumento più efficace (quanto meno rispetto al rito ordinario) per l’accertamento della verità e la tutela dei diritti costituzionali. Nell’ordinanza in commento, infatti, si legge: «per quanto concerne i poteri del giudice in ordine all'ammissione della prova, dell’art. 421 c.p.c., comma 1 ed il comma 2, sono disposizioni che vanno necessariamente lette in modo unitario, come espressione della medesima esigenza volta a contemperare il principio dispositivo con la ricerca della verità materiale cui è ispirato il rito del lavoro, per il carattere costituzionale delle situazioni implicate nel rapporto di lavoro, nella previdenza e nell’assistenza sociale (fra le tante, Cass., n. 18410 del 2013; Cass. n. 13353 del 2012)».
III. I mezzi di prova ammissibili.
Entrando nello specifico dei mezzi istruttori ammissibili d’ufficio, occorre premettere che il giudice non potrà certamente assumere: (1) il giuramento decisorio (vedi art. 421, secondo comma, cod. proc. civ.) e (2) le presunzioni contro gli atti per i quali è richiesta la forma scritta (art. 2725 cod. civ.); ciò in quanto vi è una espressa limitazione normativa.
In merito all’assunzione d’ufficio della prova testimoniale, invece, occorre fare un distinguo. Infatti, se da un lato tendenzialmente non è consentita tale assunzione, il giudice potrà in ogni caso valutare la riduzione della lista testi (art. 245 cod. proc. civ.) e procedervi sul luogo di lavoro (art. 421, terzo comma, cod. proc. civ.).
Parimenti il giudice potrà integrare la prova testimoniale chiedendo al testimone precisazioni e chiarimenti ulteriori rispetto alle circostanze capitolate (si pensi ad esempio nell’ambito di una controversia avente ad oggetto l’accertamento di un rapporto di lavoro subordinato). La più recente giurisprudenza si è orientata anche in senso favorevole nel qualificare “mera irregolarità” e pertanto rimediabile ai sensi dell’art. 421 cod. proc. civ, l’omessa indicazione delle generalità dei testimoni .
Per quanto riguarda l’acquisizione documentale, il giudice potrà disporre d’ufficio la produzione dei verbali ispettivi dei funzionari degli istituti previdenziali e dei documenti ritenuti necessari dal c.t.u. per l’espletamento dell’incarico . Negli anni la giurisprudenza di legittimità si è orientata in senso positivo anche per l’acquisizione d’ufficio delle prove acquisite tra le stesse parti in altro processo (sia civile che penale) , a condizione che vi sia stato un pieno contraddittorio . Parimenti il giudice dovrà disporre d’ufficio l’acquisizione del contratto collettivo (a condizione che non vi sia contestazione in ordine all’esistenza e al contenuto di tale contratto) necessario per le differenze retributive richieste .
IV. Il limite al potere discrezionale.
Tale potere officioso trova un limite nel contemperamento con la regola dell’onere della prova, il principio del contradditorio ed in senso più ampio con il diritto alla difesa.
Per tale motivo, già nelle prime interpretazioni dell’art. 421 cod. proc. civ. si è sempre fatto riferimento al requisito indefettibile della “pista probatoria” (il primo ad enunciare tale espressione fu un Pretore di Pisa negli anni ottanta) allegata agli atti di una delle parti.
Una volta verificata tale pista probatoria, il giudice non potrà comunque fare alcun riferimento nella parte motivazionale della decisione di assunzione del mezzo istruttorio alla propria scienza privata (leggi cognizione di fatti acquisiti al di fuori del processo) ovvero, in ogni caso, travalicare le allegazioni difensive.
Da ultimo occorre rilevare che può sembrare discusso se l’esercizio dei poteri officiosi da parte del giudice siano per lui un obbligo ovvero una facoltà. Nonostante il termine “può” inserito nel dato normativo dell’art. 421 cod. proc. civ. - «può altresì disporre d’ufficio in qualsiasi momento l’ammissione di ogni mezzo di prova» –, l’onere motivazionale (statuito dalla Sezioni Unite ) sull’accoglimento o il rigetto della richiesta istruttoria, necessario per consentire il sindacato della corte di legittimità, fa propendere per un vero e proprio obbligo.
V. Elementi di diritto comparato: “è meglio schivare l’esca che dibattersi nella trappola” .
Nell’anno 2004, a Caracas presso la Corte di Cassazione Venezuelana (Sala Social del Tribunal Supremo de Jusiticia) si tenne un importante convegno internazionale di diritto del lavoro, a cui parteciparono magistrati provenienti da tutto il mondo.
Dalla lettura dei documenti del congresso emerge una impostazione dell’impianto normativo che regola il processo del lavoro venezuelano meritevole di un approfondimento, anche perché - a detta dei commentatori presenti al convegno - ispirata agli scritti dei grandi maestri italiani (tra cui Chiovenda, Liebman e Calamandrei) .
In estrema sintesi, dalla lettura della relazione al convegno si comprende che la Ley Organica venezuelana prevede la scansione delle attività processuali in due fasi: la prima innanzi al “Giudice della conciliazione” (soggetto appartenente all’ordinamento giudiziario) e la seconda innanzi al “Giudice del giudizio”.
La peculiarità degna di nota si rileva non tanto nell’attività strettamente conciliativa del primo giudice, ma in quella che egli dovrà porre in essere in caso di mancata conciliazione e trasmissione degli atti al “Giudice del Giudizio”.
Infatti, gli articoli 124 e 134 della Ley Organica venezuelana prevedono che - qualora il “Giudice della Conciliazione” ravvisi delle lacune nella formulazione degli scritti difensivi (ivi comprese le eccezioni procedurali rilevabili d’ufficio e non) - conceda attraverso un “despacho saneador” un termine per porvi rimedio. Ciò proprio al fine di evitare la mancata tutela dei diritti della persona a causa di vizi procedurali.