TESTO INTEGRALE CON NOTE E BIBLIOGRAFIA

Il D.l. 4 maggio 2023, n. 48, c.d. “Decreto Lavoro”, convertito in Legge 3 luglio 2023, n.85, ha introdotto delle disposizioni urgenti per l’inclusione sociale e l’accesso al mondo del lavoro, andando a “ripescare” un noto tema relativo al rafforzamento della programmazione dell’attività ispettiva.
Da anni, infatti, l’obiettivo del Legislatore in materia è volto al miglioramento dell’efficacia e dell’efficienza delle ispezioni, anche attraverso una programmazione più oculata e una condivisione di dati tra gli enti pubblici e privati, al fine di orientare l’attività stessa nei confronti di imprese che evidenziano elementi di rischio. Di fatto, però, tale obiettivo ha mantenuto una cornice esclusivamente teorica, mancando radicalmente riflessi pratici.
Ciò premesso, il recente articolo 15 del Decreto Lavoro, rubricato “Condivisione dei dati per il rafforzamento della programmazione dell’attività ispettiva” cita testualmente: “Al fine di orientare l’azione ispettiva nei confronti delle imprese che evidenziano fattori di rischio in materia di salute e sicurezza sui luoghi di lavoro, di lavoro irregolare ovvero di evasione od omissione contributiva, nonché di poter disporre con immediatezza di tutti gli elementi utili alla predisposizione e definizione delle pratiche ispettive, gli enti pubblici e privati condividono gratuitamente, anche attraverso cooperazione applicativa, le informazioni di cui dispongono con l’Ispettorato Nazionale del Lavoro. Le informazioni di cui al primo periodo sono altresì rese disponibili alla Guardia di finanza, anche attraverso cooperazione applicativa, con apposita convezione da stipulare con l’INL, entro trenta giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, ai fini dello svolgimento dei controlli ispettivi di cui all’art.7, comma 1”, relativi all’Assegno di inclusione.
Da una prima lettura, si evince l’ambiziosa (ma corretta) finalità della norma: INPS, INAIL, Ispettorato Nazionale del Lavoro, Guardia di finanza e Arma dei carabinieri non devono più agire autonomamente ma devono collaborare, scambiarsi dati e informazioni in modo da garantire una regolarità in materia di lavoro a 360 gradi. Le analisi raccolte e le ispezioni effettuate da un solo ente possono essere fondamentali per porre un “campanello dall’allarme” agli altri enti pubblici, i quali velocizzerebbero i processi di individuazione delle imprese con potenziali criticità.
Eppure, già nel lontano febbraio 2003 il Governo aveva previsto, tramite pubblicazione di più decreti legislativi, il riassetto della disciplina vigente sulle ispezioni in materia di previdenza sociale e di lavoro. Infatti, il D.lgs. 23 aprile 2004, n. 124, ha istituito, senza costi aggiuntivi per il bilancio dello Stato, una banca dati telematica contenente le informazioni sui datori di lavoro ispezionati, informazioni e approfondimenti sulle dinamiche del mercato del lavoro e su tutte le materie oggetto di aggiornamento e di formazione permanente del personale ispettivo. Da lì in poi, si è assistito sia ad una serie di piccole correzioni della predetta norma, sia a Protocolli d’intesa tra Ministero del Lavoro e delle Politiche sociali (Direzione generale per l’attività ispettiva), INPS e INAIL, e Convenzioni per lo scambio di dati e informazioni tra INPS ed INAIL.
Il 7 aprile 2005, un protocollo d’intesa siglato a Roma dal Dr. Mario Notaro (Ministero del lavoro e delle politiche sociali), dal Dr. Vittorio Crecco (Inps) e dal Dr. Maurizio Castro (Inail) aveva previsto, oltre allo scambio di informazioni per una migliore pianificazione dell’attività di vigilanza in materia di lavoro e di previdenza e assistenza obbligatoria, la predisposizione di un modello unificato di verbale di rilevazione degli illeciti ad uso dei predetti organi, in modo da garantire una maggiore linearità procedurale.
Al fine di scardinare la “solita” burocrazia, la Convenzione INPS – INAIL del 19 Luglio 2011 disciplina nel dettaglio la procedura e i dati oggetto di scambio tra le parti. Pertanto, rimarcando nuovamente la condivisione gratuita di informazioni, l’Inail avrebbe dovuto condividere le denunce di nuovo lavoro temporaneo, i dati anagrafici delle aziende e i verbali ispettivi. Di contro, l’Inps, le denunce contributive mensili, i datori di lavoro beneficiari di strumenti di integrazione salariale, le retribuzioni imponibili annuali ai fini contributi, ecc.
Più recente invece è stato istituito il “Portale nazionale del sommerso” (PNS), un portale unico nazionale gestito dall’Ispettorato nazionale del Lavoro, volto a contrastare violazioni in materia di lavoro sommerso nonché in materia di lavoro e legislazione sociale, in cui INPS, INAIL, Arma dei Carabinieri e Guardia di Finanza possono condividere le risultanze degli accertamenti ispettivi, immediatamente dopo le rispettive ispezioni.
Si deduce quindi che, nonostante ripetuti interventi in materia, volti a contrastare una problematica nazionale che accompagna il nostro Paese da decenni, nessun Governo è riuscito a dare un impulso deciso obbligando gli enti e gli istituti a condividere i dati magari con sanzioni a carico del trasgressore.
Il contrasto al lavoro irregolare e la sicurezza sul lavoro rappresentano uno dei “capisaldi” di ogni legislazione, al centro di qualsiasi programma di governo e forza motrice per orientare il Paese verso una maggiore legalità.

I numeri parlano chiaro:
a. sommerso: dalle stime effettuate a dicembre 2022, il lavoro sommerso coinvolge almeno 3 milioni di persone, pari al 12% delle irregolarità ;
b. salute e sicurezza sul lavoro: tra il 1° gennaio 2022 e il 30 settembre 2022, su 15.522 ispezioni effettuate dall’Ispettorato nazionale del lavoro in materia di salute e sicurezza, la percentuale di irregolarità riscontrata nei settori produttivi supera l’83% .
È condivisibile che il miglioramento di tali problematiche passi attraverso un’inversione di rotta nelle procedure di controllo effettuate dagli organi competenti.
Pertanto, la domanda sorge spontanea: Perché non si è dato seguito alle disposizioni messe in atto dai governi volte al rafforzamento dell’attività ispettiva? Perché nessun ente pubblico ha condiviso i propri dati?
La risposta a questi interrogativi rappresenta quasi “un tabù”. Eppure, rileggendo attentamente il recente art. 15, si nota l’assenza di alcuni passaggi fondamentali. Sicuramente, da un lato, notiamo una chiarezza nel percorso di condivisione dei dati: il fulcro è nuovamente rappresentato dall’Ispettorato nazionale del lavoro, il quale dialoga singolarmente con gli enti pubblici e privati e raccoglie a sé tutte le informazioni. È presumibile che l’INL, in un secondo momento, si occupi di far veicolare dati e informazioni celermente per orientare e rendere maggiormente efficienti le attività poste in essere dagli organi tutti. Dall’altro lato però, non è stato inserito alcun obbligo di condivisione dei dati, non essendo presente nel testo di legge una “deadline” entro il quale fornire le informazioni possedute.
Inoltre, la norma in commento, al comma 3 dell’art. 15, sottolinea come le amministrazioni debbano adempiere alla condivisione di dati con le risorse umane, strumentali e finanziarie disponibili, senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica.
Per cui, qual è l’interesse che possa portare gli enti a condividere informazioni ricercando al proprio interno le risorse economiche, umane e strumentali da mettere in campo senza, peraltro, alcuna imposizione legislativa? La risposta è: Nessuno. Il Governo, prima di imporre qualsiasi deadline, sempre che voglia davvero inserirle, è quasi “obbligato” a stanziare delle risorse finanziare per le amministrazioni, ovvero mettere a disposizione forza lavoro che si occupi di far veicolare dati e informazioni.
Risulta strano l’inserimento di questa norma nel Decreto lavoro. L’articolo 15 risulta pressoché “nascosto” e passa quasi in secondo piano rispetto alle novità in tema di lavoro a termine, lavoro agile, semplificazione del Decreto Trasparenza e delle misure per l’inclusione sociale. In effetti, l’ultimo periodo del comma 1 dell’articolo in esame rimanda ai controlli ispettivi rivolti proprio all’assegno di inclusione (ADI), nuova misura di contrasto alla povertà, alla fragilità e all’esclusione delle fasce più deboli, istituita a decorrere dal 1° gennaio 2024.
Probabilmente, viste le irregolarità verificatesi negli ultimi anni con il Reddito di cittadinanza, si è voluto dare un’impronta decisa sul piano dei controlli relativi alla nuova misura, cercando sin da subito la cooperazione tra le amministrazioni e rendendo così più efficaci ed efficienti i controlli stessi.
È possibile ipotizzare che, da una logica di miglioramento del coordinamento dell’attività ispettiva relativa all’ADI, si sia voluto ampliare il raggio di azione della norma, riportando “alla luce” una fattispecie già nota, quasi un memento.
Pertanto, come anticipato in precedenza, l’obiettivo della norma, oltre ad essere corretto, è chiaro. I dubbi, ahimè, permangono e sono legati esclusivamente al riflesso pratico. Le amministrazioni, in assenza di scadenze, verosimilmente non condivideranno mai le informazioni in loro possesso o li condivideranno con estrema lentezza.
Non ci resta che confidare in una presa di posizione da parte del Governo affinché vengano stabilite per legge modalità, scadenze e periodicità per lo scambio dei dati e delle informazioni nonché le relative sanzioni per le omissioni. Sarebbe infine auspicabile che vi sia una dotazione economica in capo all’INL, se sarà lui ad essere il responsabile del processo, trattandosi di investimenti strutturali di cui la nostra Pubblica Amministrazione ha bisogno, magari utilizzando i fondi del PNRR.

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