testo integrale con note e bibliografia
1. Premessa.
Chi è l’effettivo datore di lavoro?
A questo interrogativo la giurisprudenza cerca di rispondere da decenni, interpretando le disposizioni normative alla luce di un contesto socioeconomico in continua evoluzione e, al contempo, analizzando minuziosamente le concrete modalità di svolgimento delle prestazioni lavorative anche laddove la segmentazione dei processi produttivi rende particolarmente ardua l’imputazione della titolarità dei rapporti .
Gli orientamenti giurisprudenziali maturati nel corso del tempo consentono di individuare con sempre maggiore sicurezza i tratti caratteristici della figura datoriale anche quando la multilateralità dei rapporti potrebbe indurre in inganno, sovrapponendo o confondendo il dato formale con quello sostanziale e, così, aggirando di fatto l’antico e sempre attuale divieto di interposizione illecita di manodopera.
In questo nutrito filone – sempre più vivacizzato dalle molteplici e variegate possibilità offerte dall’innovazione tecnologica – si inserisce la pronuncia in commento, emanata dalla Corte d’appello di Venezia il 30 marzo 2023 e avente ad oggetto un contratto d’appalto di servizi nel settore della logistica, ritenuto non genuino in primo grado , con tutte le relative ripercussioni sui rapporti di lavoro in essere .
2. L’“organizzazione dei mezzi necessari” come discrimen tra appalto genuino e interposizione illecita di manodopera.
La linea di demarcazione tra appalto genuino e illecita interposizione è tracciata – nelle sue caratteristiche essenziali – nella “assunzione del rischio di impresa” e nella “organizzazione dei mezzi necessari”. La giurisprudenza ha focalizzato l’attenzione su quest’ultima formula, la quale implica, da un lato, la disponibilità delle risorse materiali impiegate e, dall’altro, la direzione e il controllo dei lavoratori coinvolti nella realizzazione dell’opera o del servizio.
Per quanto concerne il primo punto, è opportuno ricordare che “disponibilità delle risorse materiali” non significa che gli strumenti utilizzati per la realizzazione del servizio esternalizzato debbano necessariamente essere di proprietà dell’appaltatore, dal momento che la vigente disciplina non ripropone quanto stabilito dalla previgente l. n. 1369/1960: “è considerato appalto di mere prestazioni di lavoro ogni forma di appalto o subappalto, anche per esecuzione di opere o di servizi, ove l’appaltatore impieghi capitali, macchine ed attrezzature fornite dall’appaltante, quand’anche per il loro uso venga corrisposto un compenso all’appaltante” .
Disancorare l’individuazione della sussistenza di un’effettiva struttura imprenditoriale dall’accertamento del titolo di proprietà dei mezzi materiali rende, però, meno agevole la verifica giudiziale, chiamata ad adottare, caso per caso, tecniche diversificate, in base alle caratteristiche specifiche del servizio appaltato . Talvolta, in mancanza dell’esclusiva proprietà dei mezzi necessari per l’espletamento del servizio, le pronunce sottolineano la rilevanza della piena disponibilità giuridica, intesa quale diritto dell’appaltatore di disporre dei beni in questione . In altre occasioni, evidenziano come il solo utilizzo di strumenti di proprietà del committente da parte dei dipendenti dell’appaltatore non costituisca elemento decisivo per qualificare la fattispecie come appalto non genuino, dovendosi valutare tutte le circostanze concrete dell’appalto, a condizione che la responsabilità dell’utilizzo rimanga totalmente in capo all’appaltatore e che la fornitura dei mezzi non inverta il rischio di impresa che deve gravare sull’appaltatore . In ogni caso, negli appalti c.d. “labour intensive” – ossia quelli aventi ad oggetto la fornitura di servizi non richiedenti l’impiego di rilevanti mezzi materiali, in quanto connotati dalla prevalenza delle prestazioni lavorative – l’inconsistenza o irrisorietà dell’apparato strumentale da parte dell’appaltatore può essere valutata con maggiore indulgenza , in considerazione delle esigenze relative alle concrete attività esternalizzate .
Dal momento che il criterio rappresentato dall’organizzazione delle risorse materiali è diventato, nei fatti, piuttosto evanescente, al fine di verificare la legittimità dell’appalto ha assunto maggiore rilevanza il secondo parametro desumibile dal dettato normativo, riconducibile all’organizzazione della forza-lavoro.
Anche in questo caso, l’indagine è piuttosto impegnativa, in quanto occorre verificare chi – tra appaltatore e committente – eserciti concretamente i tipici poteri del datore di lavoro, a prescindere dalla formale assunzione dei lavoratori.
I poteri datoriali si estrinsecano, essenzialmente, “nell’emanazione di ordini specifici oltre che nell’esercizio di una assidua attività di vigilanza e controllo nell’esecuzione delle prestazioni lavorative” o, comunque – nelle ipotesi di mansioni dai contenuti altamente professionali o, al contrario, elementari e ripetitivi – possono essere riconosciuti nell’inserimento del lavoratore all’interno dell’organizzazione imprenditoriale e nella “permanente disponibilità del lavoratore ad eseguire le istruzioni” .
Pertanto, ogniqualvolta sia il committente ad esercitare concretamente le attività organizzative e direttive nei confronti dei dipendenti dell’appaltatore , il contratto di appalto non è genuino, ma maschera un’illecita interposizione delle prestazioni di lavoro, con tutte le conseguenze previste dall’ordinamento . Al riguardo, è irrilevante che in capo all’appaltatore permanga la gestione amministrativa del personale – consistente, ad esempio, nella corresponsione della retribuzione e nell’assegnazione delle ferie – perché, di per sé considerata, è insufficiente ad incarnare l’eterodirezione .
3. Gli indici di eterodirezione nella fattispecie concreta sottoposta al vaglio della Corte d’appello di Venezia.
La corposa sentenza in commento – ben 34 pagine – offre un’interessante occasione per riflettere non solo sugli indici di eterodirezione nell’ambito di un appalto di servizi non genuino, ma anche sulla rilevanza assunta dall’utilizzo della tecnologia nell’esercizio dei poteri datoriali. Nel caso di specie, infatti, la digitalizzazione gioca un ruolo determinante, rappresentando l’incontrastata protagonista nella ricostruzione dei fatti e nelle argomentazioni riportate, nonché la prova regina nel convincimento della Corte ai fini dell’imputazione del processo produttivo e della sua organizzazione in capo all’appaltatore o al committente.
D’altronde, ciò che sostanzialmente contesta la società ricorrente – pseudo-committente nell’operazione commerciale realizzata e riconosciuta dal Tribunale di Padova come interpositoria – è proprio l’erroneo inquadramento della fattispecie come “subordinazione tecnologica”. E, quindi, l’incidenza della tecnologia nell’organizzazione del lavoro è, al tempo stesso, il perno attorno al quale si snoda l’intera vicenda e l’elemento di novità della fattispecie in esame , che, per il resto, ricalca lo schema tradizionale dell’interposizione illecita di manodopera .
L’organizzazione dell’attività di movimentazione delle merci – consistente nel ricevimento, stoccaggio e preparazione dei prodotti all’interno del magazzino della società committente – risulta completamente automatizzata mediante l’impiego di un software – di esclusiva proprietà del committente – in grado di impartire le disposizioni operative a ciascun lavoratore, dapprima attraverso un palmare e, successivamente, mediante una voce sintetica. Come rileva la pronuncia in commento, l’incidenza dell’applicazione informatica utilizzata è tale da non poter essere considerata “un mero strumento di lavoro”, bensì “una modalità di esercizio del potere direttivo in cui alla persona fisica del preposto era sostituito il programma” .
Dalle risultanze probatorie è emerso che ciascun lavoratore era sottoposto ad un’operazione di riconoscimento vocale , dopodiché veniva letteralmente “telecomandato” dal software, che impartiva “ogni più minuta direttiva, centinaia di volte al giorno”. Ogni singolo prelievo di merce dagli scaffali “era oggetto di direttiva e di stima […] attraverso le indicazioni provenienti direttamente” dalla società committente “su un visore di computer collocato su ogni specifico carrello elettrico” . Inoltre, tutti i dati relativi alle prestazioni individuali venivano immagazzinati nel software e, quindi, erano nella disponibilità del formale committente , ma non conoscibili e verificabili dall’appaltatore.
In questa sofisticata organizzazione dell’attività, il ruolo svolto dall’appaltatore è minimale, in quanto non si discosta da una mera funzione di controllo esercitata da un capo reparto, priva di discrezionalità, visto che sia i ritmi che le modalità di lavoro vengono dettati dal software, così come impostato dal committente. Al riguardo, è significativa la previsione di ben due riunioni al giorno tra i referenti dell’appaltatore e il responsabile del magazzino del committente, a valle delle quali venivano assunte le iniziative “paradisciplinari” relative ad inadempienze dei singoli operatori .
4. Osservazioni conclusive alla luce delle nuove tecnologie
Il quadro delineato nella pronuncia è talmente chiaro da non lasciare alcun margine di dubbio sulla riferibilità del potere organizzativo e direttivo in capo al committente, per il tramite del sistema informatico adottato.
Il ruolo esercitato travalica abbondantemente la funzione di “coordinamento” che compete al committente, nell’ambito di un appalto endoaziendale, in riferimento al segmento dell’attività esternalizzata, in quanto, come la Corte d’appello ha evidenziato, attraverso il software aziendale la società era in grado di gestire non solo l’attività nel suo complesso, ma addirittura la prestazione singolarmente svolta da ciascun operatore .
Per completezza, è opportuno far presente che la Corte ha accolto uno dei motivi del ricorso, relativo al corretto inquadramento dei lavoratori alla luce del contratto collettivo applicato. Anche sotto questo profilo è stata determinante la valutazione dell’elemento tecnologico. Il giudice di primo grado ha ritenuto che l’attività concretamente svolta dai pickers non potesse essere equiparata a quella svolta da un mero facchino o da un addetto al carico/scarico delle merci perché l’informatizzazione delle operazioni richiedeva un livello di competenza e dimestichezza in campo tecnico riconducibile alla declaratoria contrattuale del livello superiore. Sulla scorta di tale ragionamento, ha riconosciuto ai lavoratori ricorrenti l’inquadramento superiore e le conseguenti differenze retributive.
Il giudice di seconde cure, però, in assenza di evidenze probatorie in merito al particolare “livello ideativo, organizzativo ed esecutivo” richiesto dall’inquadramento superiore, ha riformato la decisione sul punto, sottolineando come dalle emergenze istruttorie sia rilevabile un impegno di carattere elementare , per il quale “l’uso della tecnologia applicata non richiedeva alcuna specifica competenza tale da qualificare diversamente le operazioni di carico e scarico a cui gli stessi erano addetti” . Il lavoratore, come già segnalato, veniva “telecomandato” e, pertanto, non svolgeva alcun ruolo attivo nell’interazione con il sistema informatico.
Questa riflessione, però, non deve indurre all’erronea conclusione che siano le “macchine a guidare il processo produttivo” e che l’evoluzione tecnologica renda “obsoleta la relazione da superiore a subordinato” , alterando o snaturando l’esercizio dei poteri datoriali.
Per quanto l’organizzazione del lavoro e della produzione possa essere ampiamente digitalizzata , l’intervento umano è comunque presente e individuabile non soltanto nella fase di impostazione delle modalità di svolgimento della prestazione – nel caso di specie, indicazione dei tempi di lavoro, della quantità e tipologia dei prodotti da movimentare – attraverso la programmazione dell’algoritmo che gestisce il software, ma anche nel costante controllo delle attività durante la loro esecuzione , in modo da poter agire tempestivamente per sopperire ad eventuali malfunzionamenti del sistema informatico o a possibili errori umani. Com’è stato rilevato, “il fatto che il potere direttivo, un tempo esercitato in maniera personale, cioè fisicamente da persona a persona, si manifesti ora anche in maniera digitalizzata ha un’incidenza, a ben vedere, più ‘estetica’ che sostanziale”, in quanto è una fattispecie che resta invariata “a prescindere dalle modalità di esercizio” .
Alla luce di ciò non si può negare che il fulcro dell’attività di organizzazione, direzione e controllo sia il datore di lavoro , il quale si avvale degli apparati tecnologici a sua disposizione per realizzare il programma produttivo in maniera sempre più performante.