TESTO INTEGRALE CON NOTE E BIBLIOGRAFIA
Sul salario minimo si assiste ad un dibattito intriso di ideologia, in cui si rischia di perdere di vista quale sia il focus della questione.
Nessuno può dirsi contrario all’adozione di provvedimenti di contrasto al lavoro povero e alle insufficienti retribuzioni, che impongono prioritariamente iniziative per una migliore definizione dei minimi salariali da garantire a lavoratori e lavoratrici, in conformità al dettato dell’art. 36 della Costituzione. Tuttavia, la complessità del problema richiede soluzioni strutturali, da introdurre in relazione alle peculiarità del nostro mercato del lavoro e non di certo misure semplicistiche frutto di un posizionamento strategico, che appare, in modo evidente, mera propaganda politica.
La stessa Direttiva europea 2022/2041 del 19 ottobre 2022, come è stato ampiamente precisato nell’ambito della discussione pubblica, non reca in sé né un obbligo per gli Stati membri di introdurre un salario minimo legale (artt. 4 e 5), né prescrive uno specifico livello salariale e nemmeno pone vincoli volti a prevedere un’efficacia generalizzata dei contratti collettivi. Ciò proprio affinché la scelta degli strumenti a cui ricorrere, per garantire delle retribuzioni dignitose, possa tenere conto delle rispettive prassi nazionali e del pertinente diritto nazionale.
Il compito del legislatore è quello di guardare la realtà, analizzando i fenomeni diretti e indiretti che caratterizzano lo scenario economico e sociale, per poi porre in essere i provvedimenti più adeguati a sostegno di un lavoro di qualità in tutte le sue dimensioni, a partire dall’adeguatezza delle retribuzioni.
Il basso livello di salari, che riguarda soprattutto alcune categorie di lavoratori, va esaminato anche in relazione alle fragilità strutturali del nostro sistema economico, alla bassa produttività, al gap tecnologico ed innovativo che scontiamo rispetto ai nostri competitor internazionali. A ciò si aggiungono criticità specifiche che esistono nel panorama occupazionale, quali la discontinuità dei rapporti di lavoro, il basso numero di ore lavorate, l’uso distorto di istituti giuridici - che determinano lavoro irregolare – i ritardi nei rinnovi contrattuali, il ricorso ai cosiddetti contratti pirata, la scarsa diffusione del welfare aziendale.
Ciò premesso, sull’opportunità o meno di introdurre nell’ordinamento italiano un salario minimo per via legislativa si mette in evidenza che è stato svolto nella commissione Lavoro pubblico e privato della Camera - che ho l’onore di presiedere - un ampio ciclo di audizioni che ha visto esprimersi autorevoli giuslavoristi, nonché referenti del mondo delle imprese e delle associazioni di categoria.
Quanto emerso da tali interlocuzioni ha portato, a mio parere, ad una ben precisa conclusione, ossia la necessità di privilegiare l’individuazione del trattamento economico minimo in coerenza con la tradizione del nostro sistema di relazioni industriali, fondato sulla contrattazione collettiva che copre più dell’90% dei lavoratori.
Il ricorso ad altre soluzioni potrebbe avere effetti distorsivi e controproducenti e non garantirebbe una retribuzione di base, proporzionata alla quantità e qualità del lavoro svolto e sufficiente ad assicurare un'esistenza libera e dignitosa come prevede la Carta costituzionale.
L’istituzione di un salario minimo per via legislativa, oltretutto, darebbe luogo a ulteriori problematiche, non di poco conto, che le proposte di legge presentate in materia non hanno risolto in relazione alla definizione di cosa si intenda per “salario minimo”, all’eterogeneità dei comparti a cui sarebbe rivolto, all’individuazione di un importo che non provochi effetti distorsivi nel mercato del lavoro e non impatti, in modo gravoso, soprattutto sulle imprese di piccole dimensioni.
In un’ottica di maggior tutela per i lavoratori, è stata dunque espressa la necessità di superare il concetto stesso di salario minimo per riferirsi ad un trattamento economico complessivo che solo la contrattazione collettiva garantisce e nel cui ambito la retribuzione minima è una componente insieme alle previste voci aggiuntive come, a titolo di esempio, gli aumenti periodici di anzianità, la tredicesima, la quattordicesima mensilità, eventuali forme di welfare, ecc. Tra l’altro, solo il riferimento ad un trattamento economico complessivo andrebbe a soddisfare le esigenze espresse dalla summenzionata Direttiva europea, i cui precetti comunque mirano a favorire negli Stati membri politiche volte a diffondere la contrattazione collettiva. Difatti, nei paesi europei il salario minimo legale viene tendenzialmente introdotto come soluzione sussidiaria rispetto a quella contrattuale in un’ottica di rafforzamento di quest’ultima. In tal senso andava una proposta di legge presentata a mia firma nel 2019, a fronte di un diverso scenario economico-sociale.
Se da un lato va privilegiata la contrattazione per garantire salari equi, d’altro canto, non vi è dubbio che si debba intervenire sulle criticità che accompagnano questo strumento.
In particolare, è urgente escludere la stipula di contratti giudicati dalla magistratura sotto la soglia di povertà, poiché non conformi ai dettami dell’art. 36 della Costituzione, come più volte verificatosi rispetto al CCNL Vigilanza Privata e servizi fiduciari. A ciò si aggiunge la necessità di intervenire rispetto alla anomala proliferazione dei contratti collettivi registrati che, dal 2005 ad oggi, è più che triplicato e coinvolge un numero esiguo di lavoratori, comportando un aumento dell’offerta in relazione alle regole che disciplinano il rapporto di lavoro che potrebbe determinare una corsa al ribasso delle condizioni di lavoro e dei salari. Questione che si lega all’ulteriore problema dei ritardi nei rinnovi contrattuali. Sul punto, si consideri che ad aprile 2023, il 55% dei lavoratori dipendenti risultava coperto da un contratto scaduto (42% nel privato), in media da 2 anni (fonte Dipartimento Occupazione e Affari Sociali – Ocse).
È del tutto evidente, dunque, che la questione salariale coinvolge una serie di ambiti e problematiche che non troverebbero le giuste e opportune risposte con un intervento normativo che individui un minimo salariale che valga per tutti i settori. Una tale misura non risolverebbe criticità notoriamente complesse che richiedono, invece, in primis, l’attivazione di misure che incidano nel perimetro della contrattazione collettiva che resta la sede per eccellenza in cui confluiscono le esigenze economiche e sociali presenti nel mercato del lavoro italiano.