testo integrale con note e bibliografia
Dopo la forte accelerazione impressa dalla presentazione, da parte delle opposizioni, della proposta di legge AC 1275/2023, il dibattito politico sul salario legale minimo è entrato in una iniziale fase di decantazione, che ha registrato il coinvolgimento istituzionale del CNEL, “incaricato” dalla Premier di studiare un intervento condiviso di contrasto al lavoro povero e ai bassi salari. Prima che il termine di sessanta giorni assegnato dal Governo al suo organo consultivo scadesse, il CNEL ha prodotto un documento che, si potrebbe dire, “cambia le carte in tavola”, negando in sostanza l’esistenza di minimi contrattuali collettivi inferiori all’equa retribuzione costituzionale, e puntando invece l’attenzione sulla necessità di promuovere una contrattazione collettiva “di qualità”, capace di produrre salari attestati ben al di sopra del minimo costituzionale. Nel dibattito si è inserita assai tempestivamente la giurisprudenza, avendo la Corte di Cassazione recentissimamente avuto modo di (ri)affermare la propria competenza a valutare la conformità dei minimi contrattuali collettivi rispetto all’equa retribuzione sancita dalla Costituzione. La parola spetta adesso al Governo e, soprattutto, al Parlamento. In questo ravvivato dibattito LDE, che ha già ospitato - e recentemente ripubblicato in forma antologica - numerosi interventi sul tema, intende ancora inserirsi, invitando esperti e accademici a dare il loro contributo sui diversi profili evocati da una proposta di legge in materia di salario minimo. L’auspicata adesione all’iniziativa consentirà di mettere a disposizione della comunità scientifica e delle parti politico-sindacali, un mosaico rappresentativo dei diversi orientamenti.
LDE sottoposto agli autori una pluralità di profili di analisi del tema, lasciandoli ovviamente liberi di trattare altri e diversi, purchè inerenti al tema centrale del salario minimo.
Il primo profilo attiene al ruolo del CNEL, come venutosi a configurare nella fattispecie.
Nel merito, tra le numerose questioni che si pongono, sembrano degne di particolare attenzione almeno le macro-questioni che seguono.
La distinzione concettuale e costituzionale tra minimo salariale legale, efficacia erga omnes dei minimi tabellari previsti dai ccnl ex art. 36 Cost., efficacia erga omnes dei ccnl ex art. 39 Cost.
la opportunità, o meno, al fine di contrastare il problema delle retribuzioni “povere”, di un intervento normativo “di sistema”, ossia sull’efficacia del contratto collettivo e sulla regole della rappresentanza.
la rigorosa messa a fuoco del tema dei cdd. “contratti pirata”: sono tali i contratti che stabiliscono retribuzioni inique ex art. 36 cost., ovvero quelli stipulati da soggetti poco o per nulla “rappresentativi” ? Con le relative implicazioni sulla tipologia e sulla natura dello strumento normativo da utilizzare onde far fronte ai diversi problemi (salario iniquo o sindacato scarsamente rappresentativo ?).
Su un piano non solo giuridico ma anche di relazioni industriali, ci si può chiedere perché accada che contratti stipulati da sindacati confederali, peraltro un settori economico - produttivi ben individuati - fissino retribuzioni minime di circa € 5 all’ora, sì da indurre i giudici a rompere il tradizionale self restraint nei confronti dell’autonomia collettiva, riaffermando altresì a chiare lettere l’inesistenza di una riserva a favore di quest’ultima in materia salariale (e tanto meno in materia di salario minimo). E una volta ciò chiarito, derivarne le più opportune conclusioni sulla necessità e soprattutto sui contenuti (livello del salario minimo) del progettato intervento legislativo.
Domanda che ne solleva, sul piano istituzionale, un’altra: fino a che punto e in quale ambito possa spingersi la mano giudiziaria, travalicando i limiti di una forzosa supplenza del Legislatore, e sconfinando nell’intervento indebito; più in particolare, se possa avallarsi e anzi auspicare, come accaduto, un intervento in ambito penale.
Ancora, ci si è chiesti se siano fondati i dubbi da più parti sollevati, circa un possibile effetto di compressione dei salari oltre soglia, o di fuga dai contratti collettivi, che scaturirebbe dall’adozione di un salario minimo di 9 €.
Infine, e riprendendo più d’uno degli spunti che preedono, semba opportuno interrogarsi altresì sull’impatto del progettato provvedimento legislativo sull’assetto sistematico-giurisprudenziale vigente, che riconosce all’autonomia collettiva un ruolo di concreta determinazione della retribuzione equa ex art. 36 Cost.: possono, e in quali limiti e condizioni, porsi problemi di legittimità costituzionale di una legge che prescrive, in maniera assolutamente inderogabile (da parte dei contratti collettivi, anche aziendali), minimi retributivi superiori a quelli previsti dal ccnl ?
9)E’ possibile ritenere che retribuzioni minime di circa € 5 all’ora (ancora di recente previste da primari ccnl) siano correlate alla produttività effettiva del lavoro? E/o che esse possano essere considerate adeguate in qualche territorio d’Italia? E, ancora: che fare per i settori non astrattamente coperti da un ccnl di riferimento?