testo integrale con note e bibliografia
1. La subordinazione e la centralità dell’etero-direzione.
Il tema della subordinazione resta sempre al centro del dibattito giuslavoristico nonostante il mutamento dei processi organizzativi, le nuove forme di lavori, l’innovazione tecnologica. Sono cambiate le modalità di svolgimento delle prestazioni lavorative in molti contesti, anche tradizionali, e ciò ha indotto da tempo alcuni settori della dottrina a diagnosticare la crisi della subordinazione e persino ad ipotizzarne il tramonto .
Si tratta, a ben vedere, di provocazioni o, meglio, di sollecitazioni a rivolgere lo sguardo all’intero mondo del lavoro a fronte dell’esigenza che siano predisposte tutele per così dire trasversali, applicabili al di là della subordinazione.
Tuttavia, sul piano dello ius conditum, da un lato, si è certamente assistito ad una sempre più significativa estensione delle norme giuslavoristiche oltre i confini della subordinazione, in particolare a quella parte del lavoro parasubordinato caratterizzato da etero-organizzazione.
Dall’altro, la qualificazione dei rapporti di lavoro resta fondamentale per l’individuazione delle tutele applicabili, benché, oltre che tra subordinazione e autonomia, sia ormai necessario parlare di dicotomia anche tra etero-organizzazione e auto-organizzazione.
Il ripensamento dei criteri distintivi tra autonomia e subordinazione ha finito talora per mettere in discussione persino risultati che parevano consolidati, tanto da indurre a ritenere che ci troviamo di fronte ad un cantiere aperto che merita una nuova riflessione. O, ancor di più, riceve conferma l’idea che la distinzione tra i due tipi contrattuali, così come quella tra i vari sottotipi specie nell’ambito del lavoro autonomo, sia particolarmente liquida. Inoltre, innanzitutto, è necessario quantomeno abbandonare il convincimento della pretesa unitarietà della nozione di subordinazione: ciò di cui la dottrina aveva incominciato a parlare sin dagli anni ’80, quando da più parti si era sottolineato che il tipo d cui all’art. 2094 c.c. non costituisce il “modello generale unitario” di contratto di lavoro subordinato . In secondo luogo, benché il metodo tipologico non sia sufficientemente rigoroso ai fini della qualificazione del rapporto di lavoro, il contrapposto metodo sussuntivo, che richiede la perfetta corrispondenza fra fattispecie concreta e fattispecie astratta, appare di ancor più difficile ed improbabile fruizione a fronte della innegabile varietà delle modalità di svolgimento dei rapporti di lavoro.
In ogni caso, anche atteggiandosi diversamente, in particolare in alcune norme e per alcuni rapporti speciali, quali il lavoro a domicilio, quello professionistico sportivo e da ultimo il lavoro agile, la subordinazione resta caratterizzata dalla etero-direzione e l’assoggettamento ai poteri del datore di lavoro, a quello direttivo in primis, appare invero il presupposto essenziale per la qualificazione del rapporto come subordinato.
Pertanto, stante il tenore delle norme, a partire dall’art. 2094 c.c., non appare ancora possibile optare per una nozione di subordinazione che prescinda da tale elemento e, a maggior ragione, che risulti fondata su un dato non giuridico quale la c.d. dipendenza economica.
2. La rilevanza dei cosiddetti indici sintomatici e la prova presuntiva della subordinazione.
Tuttavia, se si considera che l’etero-direzione si concretizza talora in forme e con modalità sfumate e decisamente attenuate, non è agevole qualificare taluni rapporti di lavoro con sicuri margini di certezza.
È in questo contesto che, da tempo, anche tenendo presente che l’etero-direzione appariva difficilmente distinguibile dalla coordinazione, tipica dei rapporti di lavoro parasubordinato, si è sottolineato come essa non sia in grado di segnare da sola il discrimen tra lavoro subordinato e autonomo . Di conseguenza la giurisprudenza ha incominciato a dare rilievo ad una pluralità di indici o criteri distintivi sussidiari, di sempre più difficile e complessa applicazione ed affidabilità: ciò specie in contesti in cui le tradizionali coordinate di tempo e di luogo si manifestano addirittura irrilevanti, ma anche in situazioni tutt’altro che nuove, in cui la prestazione dedotta in contratto risulta estremamente elementare, ripetitiva e predeterminata nelle sue modalità di esecuzione o, al contrario, di contenuto professionale, per lo più di tipo intellettuale, dotato di elevata creatività. Vengono in gioco i cosiddetti criteri distintivi sussidiari, quali la continuità e la durata del rapporto, le modalità di erogazione del compenso ed in particolare la percezione di un corrispettivo prestabilito a cadenze fisse, la regolamentazione dell’orario di lavoro o meglio il rispetto di un orario predeterminato, l’assenza di rischio e la presenza di una sia pur minima organizzazione imprenditoriale, la sussistenza di un effettivo potere di autorganizzazione in capo al prestatore di lavoro, desunto anche dalla eventuale concomitanza di altri rapporti di lavoro .
Al riguardo, non si possono non segnalare le contraddizioni che talora emergono sia nella ricostruzione concettuale sia nelle concrete applicazioni operate dalla giurisprudenza. A titolo esemplificativo, da un lato, si può in particolare sottolineare come, benché venga ribadito a più riprese il concetto che qualunque rapporto può avere natura subordinata o autonoma, in alcune occasioni si è riconosciuta la natura “ontologicamente” subordinata di alcune figure di lavoratori (quali il commesso, il pizzaiolo, il cameriere) .
D’altro lato, ed è la questione più complessa, la giurisprudenza in più occasioni è pervenuta a dedurre la prova della subordinazione dai suddetti indici sintomatici. Ma lo ha fatto senza indicare una sorta di gerarchia o di diverso peso tra di essi, tra i quali talora riconduce la stessa sottoposizione al potere direttivo, benché, per quanto in precedenza argomentato, l’esistenza di un sia pur minimo nucleo di etero-direzione debba essere considerato elemento imprescindibile, anziché un mero indice, della subordinazione.
Inoltre, resta dubbio se gli indici abbiano finito per essere elevati al rango di elementi costitutivi della fattispecie, in sostituzione dell’etero-direzione, benché la giurisprudenza non sia espressamente pervenuta a tale conclusione in termini così drastici e categorici . Del resto, una tesi del genere non potrebbe essere condivisa, a differenza di quella, in realtà più ricorrente, che deduce dagli stessi la prova presuntiva della subordinazione. In quest’ottica l’utilizzo degli indici ricordati “si spiega nella logica pragmatica ed empirica della ricerca giudiziale di fattori indizianti gravi, precisi e concordanti da cui presumersi l’esistenza del potere direttivo, ovvero, ancor meglio, si può affermare che tali indici giocano quali fattori di <<disvelamento mediato>> della subordinazione-eterodirezione, onde, lungi dal negare rilievo al criterio del potere direttivo, il loro utilizzo ne conferma la qualità di indice legale-tipico prioritario ed assorbente” . In altre parole, essi assumono carattere sussidiario e funzione indiziaria e possono essere qualificati come presunzioni semplici, tali da consentire al giudice di risalire da un fatto noto (le circostanze di fatto dimostrate) ad un fatto ignoto (l’assoggettamento ai poteri del datore di lavoro), che qualifica appunto la subordinazione. In ossequio a quanto previsto dall’art. 2727 c.c. costituiscono una prova completa alla quale il giudice può attribuire rilevanza anche in via esclusiva, ai fini della formazione del proprio convincimento, nella misura in cui gli elementi o indizi in base ai quali è possibile pervenire alla presunzione si presentino gravi, precisi e concordanti, sempre, peraltro, ammettendosi la prova contraria, ovvero la dimostrazione della piena autonomia con cui viene svolta la prestazione di lavoro.
Sul punto, peraltro, manca una presa di coscienza, netta e convinta, ma ancora una volta non si può gettare la croce soltanto sulla magistratura nella misura in cui neppure la dottrina e lo stesso legislatore hanno contribuito a sufficienza a sciogliere nodi così intricati tanto sul piano concettuale quanto su quello dell’applicazione concreta.
Con riguardo al contributo del legislatore è sufficiente richiamare il recente intervento in un settore pur peculiare quale quello del lavoro sportivo. Il d.lgs. n. 36/2021, infatti, si è spinto ad introdurre una presunzione di autonomia dei rapporti di lavoro sportivo nell’area del dilettantismo (art. 28), a fronte di una presunzione di subordinazione nell’area del professionismo (art. 27): si tratta di presunzioni legali relative, che quindi ammettono la prova contraria. Se nel caso dello sportivo professionista la natura autonoma del rapporto ricorre nei soli casi di agevole individuazione espressamente indicati, al contrario, nel caso del dilettante, al di là dei dubbi sulle condizioni di operatività della presunzione stessa (le 24 ore settimanali al di sotto delle quali la presunzione opera sono da considerare una media annua o non possono essere mai superate?), restano indefiniti i criteri o gli indici di subordinazione. Anzi, nel prevedere la possibilità della certificazione dei contratti di lavoro, il legislatore rinvia in funzione qualificatoria ai contratti collettivi (peraltro in un settore in cui la maggiore rappresentatività comparata è invero di difficile riscontro) e in via sussidiaria ad un decreto ministeriale (art. 25, comma 3). Sarà interessante vedere come verranno individuati e definiti i suddetti indici, ma, al di là delle particolarità delle modalità di svolgimento delle prestazioni nel settore e delle esigenze economiche di quest’ultimo, resta l’incertezza. Fermo restando che anche in questo caso l’elemento dell’etero-direzione non è stato abbandonato o espressamente derogato.
3. Il lavoro etero-organizzato.
La conclusione appena esposta sembra trovare conferma anche nell’art. 2, d. lgs. n. 81/2015. Sono ben note le diverse letture fornite dalla dottrina in ordine alla portata ed al significato di tale disposizione, da molti qualificata come norma di fattispecie .
Tuttavia, la ricostruzione in termini di norma di disciplina, compiuta anche dalla Suprema Corte , da un lato, appare convincente. E’ quanto suggeriscono, infatti, sia la lettera della disposizione in esame (l’uso dell’espressione “si applica la disciplina”), sia la considerazione secondo cui in tal modo appare meno problematico superare il potenziale contrasto con il principio di rango costituzionale dell’indisponibilità del tipo contrattuale a fronte delle esclusioni dall’applicazione della disciplina del lavoro subordinato operate dal comma 2. Se, infatti, si ritenesse che con l’art. 2, comma 1 sia stata ampliata la nozione di lavoro subordinato fino a comprendere le prestazioni etero-organizzate, il comma 2 avrebbe l’effetto di escludere dalla nozione allargata di subordinazione i rapporti di lavoro elencati nelle lettere da a) a d). Così facendo, verrebbe violato il principio dell’indisponibilità del tipo contrattuale perché si escluderebbe l’applicazione delle norme inderogabili poste a tutela del lavoro subordinato a rapporti che oggettivamente avrebbero tale natura . In particolare, sarebbe piuttosto discutibile la possibilità riconosciuta alle parti sociali, attraverso il contratto collettivo nazionale, di sottrarre una serie anche consistente di contratti di lavoro subordinato al relativo statuto protettivo in presenza di “particolari esigenze produttive ed organizzative” (ex art. 2, comma 2, lett. a). Infatti, il legislatore, se non può negare la qualificazione in termini di subordinazione a rapporti che abbiano tale natura quando ne consegua l’inapplicabilità delle norme inderogabili di tutela, non può nemmeno autorizzare le parti sociali a compiere analoga operazione . Non pone, invece, particolari problemi rispetto al principio dell’indisponibilità del tipo contrattuale affermare che, dopo aver esteso lo statuto protettivo del lavoro subordinato ad alcune collaborazioni coordinate e continuative, il legislatore ha ritenuto opportuno mantenere per altre la disciplina propria del lavoro autonomo.
D’altro lato, la soluzione ora accolta dovrebbe incidere a contrario sulla nozione stessa di subordinazione, abbandonandosi quell’orientamento giurisprudenziale, pur minoritario, che aveva svalutato l’etero-direzione a favore dell’etero-organizzazione, considerato che la distinzione tra etero-direzione e etero-organizzazione è imposta dalla norma . Come si leggeva in alcune sentenze, invero, “ove le prestazioni necessarie per il perseguimento dei fini aziendali siano organizzate in maniera tale da non richiedere l’esercizio da parte del datore di lavoro di un potere concretizzantesi in ordini specifici […], la sussistenza della subordinazione deve essere verificata in relazione all’intensità dell’etero-organizzazione” . Poiché, infatti, nelle moderne organizzazioni d’impresa i lavoratori sono spesso in possesso di specifiche conoscenze e professionalità, talora il datore di lavoro non è in grado, o non ha la necessità, di fornire direttive specifiche sulle modalità di svolgimento della prestazione, ma può limitarsi ad orientare quest’ultima verso le esigenze dell’organizzazione aziendale. In questi casi il datore di lavoro si limita a specificare i programmi che il lavoratore è tenuto a raggiungere con un ampio margine di autonomia. Per qualificare come subordinati i rapporti di lavoro di medici, infermieri specializzati, giornalisti, collaboratori di studi professionali, la giurisprudenza ricordata ha valorizzato il fatto che la prestazione di lavoro sia inserita stabilmente nell’organizzazione datoriale e sia plasmata in base “all’assetto organizzativo dato all’impresa dal datore di lavoro secondo le mutevoli esigenze di tempo e di luogo dell’organizzazione imprenditoriale” . Il rapporto avrebbe natura subordinata perché il lavoratore non è libero di decidere luogo e tempo della prestazione, la cui determinazione è effettuata dal datore di lavoro. La suddetta soluzione è stata talora accolta anche in relazione a prestazioni semplici e ripetitive per la cui qualificazione in termini di subordinazione non è necessario che il lavoratore riceva direttive de die in diem, ma è sufficiente che sia tenuto a lavorare secondo le esigenze spazio-temporali dettate dal datore di lavoro .
Tale orientamento giurisprudenziale deve essere superato a maggior ragione nella misura in cui l’etero-organizzazione è considerata elemento costitutivo di un sottotipo del lavoro parasubordinato, evidentemente escludendosi in modo espresso che possa assurgere da sola al rango di elemento qualificante della subordinazione, di cui rappresenta un mero indizio.
Peraltro, esso può aiutare a comprendere quando una collaborazione può dirsi organizzata dal committente ai sensi dell’art. 2, d.lgs. n. 81/2015: la prestazione del collaboratore è etero-organizzata nei casi in cui il committente, pur non esercitando il potere direttivo, determina unilateralmente, secondo le esigenze della propria organizzazione produttiva, le condizioni, non necessariamente di tempo e di luogo, in cui si svolgerà la prestazione lavorativa . L’impossibilità per il collaboratore di definire tali condizioni di lavoro giustifica l’applicazione della disciplina del lavoro subordinato, con esclusione dei casi di cui alle lett. da a) a d) del comma 2. L’etero-organizzazione consiste, pertanto, nel potere del committente di condizionare con la propria organizzazione ed alla luce delle proprie esigenze produttive, le modalità della prestazione del collaboratore, di cui rimane peraltro impregiudicata l’autonomia tecnico-esecutiva . Non sembra, pertanto, potersi dire che tutti i rapporti di collaborazione che si svolgono “all’interno” dell’impresa rientrino nella categoria delle collaborazioni etero-organizzate: quando, ad esempio, il committente e il collaboratore hanno pattuito che quest’ultimo espleti la propria prestazione all’interno dell’impresa del primo, ma sia pienamente (ed effettivamente) libero di determinarne le condizioni per lo svolgimento, a partire dai tempi di lavoro, non si avrà una collaborazione etero-organizzata. Se si considera che lavorare “dentro il sistema informatico aziendale” può equivalere a lavorare “dentro l’organizzazione” aziendale, il tele-lavoratore, ad esempio, potrebbe essere considerato un collaboratore etero-organizzato quando è tenuto ad utilizzare il sistema informatico del committente secondo le modalità temporali dettate da quest’ultimo. Qualora, invece, riceva specifiche direttive sulle modalità di svolgimento della prestazione, il tele-lavoratore andrebbe considerato lavoratore subordinato, mentre dovrebbe essere ritenuto tuttalpiù collaboratore coordinato quando è pienamente libero di determinare tempo, luogo e modalità di svolgimento della prestazione.
In ogni caso, gli indici elaborati dalla giurisprudenza per l’accertamento della subordinazione possono essere utilizzati anche ai fini qualificatori del lavoro etero-organizzativo; fermo restando che la prova richiesta dall’art. 2, comma 1, d. lgs. n. 81/2015 è decisamente più agevole.
4. Le collaborazioni coordinate e continuative.
Anche un ulteriore recente intervento legislativo incide sulla nozione di subordinazione. E’ il caso dell’art. 15, l. n. 81/2017, che, novellando l’art. 409, n. 3, c.p.c., ha fornito elementi utili a chiarire il concetto di collaborazione coordinata e continuativa, ed in particolare la portata del coordinamento, che attiene ai modi in cui deve essere organizzata la prestazione del collaboratore, affinché essa sia funzionalmente collegata all’organizzazione del committente.
La novella legislativa si preoccupa di precisare, con una sorta di interpretazione autentica peraltro non priva di elementi innovativi, che il coordinamento non può essere espressione di un potere unilaterale esercitato dal committente nel corso del rapporto nemmeno in forma edulcorata rispetto al potere direttivo, ma è “frutto di una cooperazione fra le parti, si qualifica come istituto giuridico diverso sia dall’etero-organizzazione prevista nella fattispecie del lavoro <<etero-organizzato>> ex art. 2, comma 1, sia dal potere direttivo nella fattispecie di subordinazione, sia dalle prerogative tipiche del creditore in quelle fattispecie di lavoro autonomo ove la legge attribuisce ab origine la facoltà di impartire <<istruzioni>>, come accade nel contratto di mandato e nel contratto di agenzia” ; ciò in quanto nelle collaborazioni coordinate e continuative “è la determinazione consensuale delle parti o la determinazione autonoma del collaboratore nei limiti pattuiti dal contratto, ad individuare le modalità di esecuzione della prestazione, all’inizio del rapporto o durante lo svolgimento dello stesso” . In definitiva, il principio consensualistico sancito dal legislatore modifica la natura giuridica del coordinamento, che non può più essere distinto dal potere direttivo sotto un profilo soltanto quantitativo. In questo modo, indirettamente, si estende l’area della subordinazione a tutti i rapporti in cui le modalità di svolgimento della prestazione lavorativa sono in qualche guisa dettate dal committente, attraverso l’esercizio di un potere evidentemente direttivo, anche se esplicato in forma attenuata.
Il coordinamento consiste, pertanto, in un comportamento attivo del debitore, che dovrà definire modalità di svolgimento della propria prestazione tali da coordinarla con l’organizzazione del committente .
L’etero-organizzazione, invece, si colloca su un piano diverso, anch’essa espressione di un potere, benché qualitativamente e quantitativamente diverso dal potere direttivo.
In conclusione le collaborazioni cui si applica la sola disciplina del lavoro autonomo sono quelle caratterizzate dalla concatenazione di prestazioni, le quali, in base ad elementi predeterminati dai contraenti, sono volte a realizzare l’interesse dell’altra parte. Si avrà, ad esempio, coordinamento e non etero-organizzazione qualora le parti abbiano pattuito che la prestazione del collaboratore si svolga nell’impresa del committente, ma il collaboratore sia pienamente libero di organizzare la propria prestazione di lavoro. Al contrario, si passa dal coordinamento all’etero-organizzazione tutte le volte che sia configurabile un potere del committente di organizzare la prestazione del collaboratore secondo le proprie esigenze, anche, ma non soltanto, di tempo e di luogo, ovvero di condizionarla in modo significativo.
Si tratta di una distinzione non sempre agevole, frutto di un raccordo tutt’altro che felicemente riuscito tra l’art. 2094 c.c. e gli artt. 2, d. lgs. n. 81/2015 e 15, l. n. 81/2017. Donde la necessità che la riflessione sistematico-concettuale si sviluppi senza perdere di vista le esigenze più pratiche dell’esperienza applicativa.