testo integrale con note e bibliografia
1. A me non è capitato di ascoltarlo, ma mi è stato riferito che in una intervista televisiva Landini, il segretario generale della CGIL, nel ricordare gli anni Novanta, abbia detto «Lì sì che c'erano giuristi di valore, Massimo D'Antona e Franco Carinci», un accoppiamento estremamente gratificante, visto lo spessore scientifico e umano di Massimo. Solo che lui ha aggiunto «Massimo è morto, Carinci è ancora vivo», come se ci fosse qualche dubbio al riguardo, certo non dissipato dal fatto che l’altro anno non ho parlato in apertura del Simposio, sì che ho pensato fosse meglio pronunciare qualche parola. Diciotto sono i numeri romani che scandiscono il percorso fatto fino a qui, cominciato nel 2004, interrotto per un solo anno a causa del Covid. Fu un’idea che condivisi con Mattia Persiani e Tiziano Treu, un incontro seminariale aperto in linea di massima ai professori ordinari, da ripetere ogni anno su un tema di grande attualità. La sede prescelta fu quella di Bertinoro, un borgo medievale appollaiato sul dorso di una collina, definito con un pizzico di poesia “fra cielo e mare”, in cima un castello, che aveva dalla sua l’essere gestito dall’Università di Bologna, con un uso gratuito per i suoi professori. Non era facile raggiungere quel borgo romagnolo, famoso per il suo vino, eppure fin dal primo anno si ebbe una partecipazione calcolabile in qualche decina di colleghi, fino al crescendo di oggi, con una quarantina di interventi programmati e centosessanta partecipanti. Il salto numerico è stato caratterizzato da un trasferimento della sede da Bertinoro a Bologna, dotata di ben altra ricettività universitaria e alberghiera, e dall’apertura all’iscrizione a tutti gli studiosi, professori ordinari e associati, ricercatori, assegnisti e dottoranti. Il problema ricorrente è stato costituito dal costo del Simposio via via crescente, senza riuscire a trovare sufficienti patrocini pubblici o privati, sì che fin dall’inizio si è dovuti ripiegare su una tassa di iscrizione prevista per tutti, puranche per gli interventori. Fatto davvero straordinario che poteva far presumere un rapido esaurimento del progetto, non è stato così, tanto che oggi non senza un pizzico di presunzione, mi sembra di poter dire che il Simposio è divenuto un appuntamento annuale secondo solo alle Giornate di studio Aidlass. Ha giocato certo l’autorevolezza dei promotori e dei primi partecipanti, che l’hanno reso immediatamente attrattivo, ma se dovessi indicarne il carattere più rilevante, questo è stato il rigoroso pluralismo nella selezione degli autori, degli interventi programmati, senza che avesse rilievo la sede universitaria, la scuola, la politica del diritto, la tecnica ermeneutica, alla ricerca di un punto di equilibrio fra le diverse opinioni. Importante la scelta dei temi, in ragione della loro attualità legislativa e giurisprudenziale, nonché la loro centralità nella ricerca scientifica in atto: tempi di ampio respiro, disarticolati e trattati in più sessioni, sì da metterne in evidenza la molteplicità dei profili. Naturalmente il far parlare più gente ha come ricaduta la necessità di rispettare i tempi, 15 o 20 minuti, cosa che costringeva all’essenzialità, dote piuttosto rara nei convegni.
Non va sottovaluto il fattore umano, quel vedersi e rivedersi, accoppiando la persona di un autore al nome in testa ad uno scritto, in un processo di socializzazione che trova un suo momento significativo nella stessa sera della prima giornata.
2. Quanto al tema odierno, la trasparenza, credo che della sua complessità possiate avere una conferma nello stesso programma, tanto ricco ed articolato ma da far ritenere che sia una scommessa esaurirlo integralmente entro la tarda mattinata di domani, così è ogni volta ed ogni volta la scommessa viene vinta. Ad offrire un quadro generale saranno le due relazioni di apertura, di Bellavista e Proia, cui è concesso di intrattenerci per una trentina di minuti.
Mi permetterò solo di fare una specie di aggiunta che riguarda due problemi su cui qualsiasi legislazione o qualsiasi sistemazione teorica inevitabilmente incappa, per costituirne la base di partenza: riguardano, rispettivamente, l’individuazione della nozione di subordinazione sia la delimitazione dell’efficacia erga omnes della contrattazione collettiva. Ne rappresenta una precisa conferma proprio la proposta dell’opposizione e la controproposta governativa sul salario minimo, che ne ha bloccato la discussione in assemblea, dove per vedere quanto estesa ne sia l’applicazione, bisognerebbe chiarire chi possa dirsi lavoratore subordinato e chi possa presentarsi come organizzazione sindacale comparativamente più rappresentativa o firmataria del contratto a più applicazione.
Non è il caso di ricordare che per la maggioranza di noi tutti, ad eccezion fatta per gli ultimi arrivati, la problematica relativa alla nozione di subordinazione era tutta centralizzata sull’art. 2094 c.c., che si curva in chiave esclusiva o inclusiva, essendo la porta di ingresso di una nutrita dote protettiva. Solo che negli anni più recenti, con riferimento ad un fenomeno relativamente limitato, quello dei riders, la legislazione è intervenuta con la nozione di etero-regolamentazione, che, a prescindere dalla discussione dottrinale circa la sua appartenenza al lavoro autonomo o al lavoro subordinato, prelude all’applicazione della disciplina prevista per la subordinazione. Quello che si è fatto con l’art. 2, comma 1, nella versione ristretta del decreto legislativo n. 81/2015 e in quella allargata del decreto-legge n. 81/2019, è di dilatare enormemente l’art. 2094 c.c., creando una/due nuove fattispecie non riconducibili a quell’articolo, ma comunque aventi la stessa sua portata in relazione alla dote protettiva che l’accompagna. Fattispecie diverse, ma unitarietà della disciplina applicabile. Trattasi di una operazione maldestra, perché, essendo una disciplina costruita a misura di una specifica fattispecie, quella di cui all’art. 2094 c.c., non può applicarsi integralmente ad una fattispecie diversa, cosa questa ultima riconosciuta obtorto collo dalla stessa giurisprudenza di legittimità, facendo carico all’interpretazione di individuarne le parti assolutamente incompatibili.
Solo che l’art. 2094 c.c. era scritto insieme all’art. 2222 c.c., per cui per poter individuare il lavoro autonomo si doveva anzitutto escludere che si trattasse di lavoro subordinato, che dunque assumeva il valore di un discrimen, ora sembrerebbe avvenire il contrario, cioè, sarebbe giocoforza prendere avvio dal lavoro autonomo, come sembra confermare una direttiva europea in itinere.
Il che riesce ulteriormente complicato dall’aggiornamento dell’art. 409 c.p.c., con l’introduzione del lavoro coordinato, sicuramente un lavoro autonomo, affidato ad una parola, coordinamento”, passibile di svariate gradazioni progressive.
Passando oltre al problema dell’efficacia della contrattazione, per quanto ci si giri intorno da quando ha cominciato a prender forma il diritto del lavoro post-costituzionale, l’ostacolo è sempre lo stesso, quale costituito da un precedente apparentemente inamovibile della Corte costituzionale, passare per la porta stretta della legge sindacale attuativa dell’art. 39 Cost., commi secondo e ss., o accontentarsi di una efficacia ristretta in linea di massima agli iscritti. Il che, è vero, ma si deve prendere atto di un certo sofisma cui la Corte ha ricorso e ricorre, da ultimo per il lavoro del socio, per cui l’applicazione del trattamento collettivo non come frutto del contratto, ma della stessa legge che lo assume a referente vincolato.
Vale la pena di ritornare alla controproposta governativa sul salario minimo, non fa riferimento alle associazioni comparativamente più rappresentative ma ai contratti collettivi più applicati da parte delle aziende e da parte dei dipendenti di queste aziende. Ma è inutile dire che questa sostituzione non risolve quella che è la questione a monte, cioè l'individuazione delle categorie e del settore in cui questi conti dovrebbero essere fatti, solo spostando l'attenzione da quello che riguarda il lato dei lavoratori a quello che riguarda i datori, perché sono i datori che danno il numero dei dipendenti.
3. Diciamo che è la stessa cosa sostanzialmente, è un progetto che cammina, cammina con le sue gambe, sarà in grado di camminare anche dopo di me. In fondo a farsi carico dell’organizzazione sono ormai Pizzoferrato e Mainardi, due persone che ho l’orgoglio di definire miei allievi, col supporto indispensabile dell’ottima dott.ssa Montanari. Grazie e ora si dia inizio alle danze.