TESTO INTEGRALE CON NOTE E BIBLIOGRAFIA

1. Il collegamento tra lavoro autonomo e organizzazione consente di mettere a fuoco alcuni aspetti sistematici ricostruttivi in quella zona che si colloca nei dintorni del rapporto di lavoro subordinato, rilevatasi particolarmente problematica soprattutto a seguito degli interventi legislativi del 2015 del 2017.
Conviene partire da una osservazione tanto banale quanto a volte trascurata, e cioè che il collegamento tra una prestazione di lavoro autonomo e l’organizzazione del committente si attua essenzialmente mediante il coordinamento. Questo, secondo la nuova sistematica che scaturisce dall’art. 2 d. lgs n.81/15 e dell’art. 409 n. 3 cod. proc. civ., se è unilateralmente imposto dal committente, produce l’effetto dell’applicazione della disciplina del lavoro subordinato, se invece viene stabilito di “comune accordo”, rimane al di fuori di tale disciplina.
Ed allora, porre l'accento sul collegamento tra il lavoro autonomo e l'organizzazione richiama subito l'aspetto, prima che giuridico, fenomenico, del lavoro autonomo che viene svolto nell'organizzazione altrui in modo continuativo, anche se la continuità è implicita già in questo suo inserimento nell’altrui organizzazione.
Un tratto distintivo di questa realtà (perché di realtà si tratta, che viene prima della sua giuridificazione) è la modalità necessaria per la sua attuazione, sintetizzata con il termine “collaborazione”.
Infatti anche il lavoratore autonomo, poiché è inserito nell'altrui organizzazione, deve comunque “lavorare insieme”, secondo il significato etimologico, appunto, della parola collaborazione.
Cosicché il coordinamento è la modalità attraverso la quale, nel lavoro autonomo, si attua questa collaborazione. Nel lavoro subordinato la collaborazione si attua, invece, lavorando alle dipendenze e sotto le direttive del datore. Ma in entrambe le fattispecie il debitore di lavoro, proprio perché inserito nell’organizzazione del creditore, per adempiere esattamente la propria obbligazione e quindi per soddisfare l’interesse del creditore, deve comunque adattarsi alla sua organizzazione, anche se in misura e con modalità differenti a seconda se è subordinato o autonomo.
Si può dunque affermare che la fattispecie del lavoro autonomo coordinato e continuativo non è altro che la giuridificazione di questo “lavorare insieme/collaborare” del lavoratore autonomo quale portato naturale o ontologico dell'inserimento.
In ciò ovviamente differisce questa tipologia di lavoro autonomo da quella che non si svolge in modo continuativo nell'organizzazione altrui.
* Relazione tenuta nel corso del seminario “Dialogo su lavoro autonomo e organizzazione”, tenutosi presso l’Università “Sapienza” di Roma, il 17 aprile 2024.
Questa particolare tipologia di lavoro autonomo è un dato di realtà poiché vi è un interesse concreto di entrambe le parti all'integrazione stabile e duratura della collaborazione nell'organizzazione produttiva, con livelli di autonomia organizzativa del collaboratore variabili ma che non possono mai essere totali. E ciò per la semplice ragione che l'organizzazione del lavoro non è un teorema di geometria. Infatti, quando si parla di organizzazione necessariamente si arriva a un punto per cui è ineliminabile che vi sia un soggetto coordinante e uno che viene coordinato.

2. Le suddette considerazioni, che discendono innanzitutto dalla scienza dell'organizzazione, inducono a ritenere che teorizzare in astratto di coordinamento pan consensuale è quasi un ossimoro che cozza con il principio di realtà.
Credo che, anche di fronte alla quarta rivoluzione industriale, sia ancora valida l’analisi di Massimo D’Antona, secondo cui la funzione del lavoro autonomo coordinato è una risposta all'inettitudine della fattispecie del lavoro subordinato ad accogliere la varietà di punti di incontro tra capitale e lavoro che si esprimono nelle variegate forme di integrazione contrattuale del lavoro anche autonomo nell'attività economica.
Tutto questo pone in luce la criticità o, meglio, il contrasto con la realtà, che genera il dato letterale della nozione di coordinamento della norma, ritenuta di interpretazione autentica, di cui al 409, n. 3 cod. proc. civ., così incautamente introdotta dal legislatore con la l. n. 81/17, per cui tutto quello che non viene pattuito dovrebbe essere lasciato integralmente alla autonoma organizzazione del collaboratore.
In precedenza, la Cassazione, anche a sezioni unite, e la stessa Consulta, hanno dovuto prendere atto che disposizioni e direttive sono ineliminabili nell'inserimento di un'attività nell'organizzazione del lavoro, configurandosi quale semplice potere di sovraordinazione e coordinamento (ma pur sempre potere. Quindi, resta il fatto che la giurisprudenza ai massimi livelli ha ripetutamente affermato che tale potere di ingerenza è tipico dei rapporti di parasubordinazione, riconducendolo addirittura nell'ambito della eterodirezione, sia pure relativa o attenuata (Corte Cost.7 maggio 2015, n.76; Cass. SU 20 gennaio 2017, n.1545; Cass. 22 dicembre 2009, n.26986; 6/159.
Non a caso vari poteri del genere sono previsti nelle altre fattispecie di lavoro autonomo regolate nel libro quarto del codice civile. Anche in relazione al contratto d’opera, la dottrina è unanime nel ritenere che il potere di ingerenza del creditore, ancorché non previsto espressamente dalla sua disciplina, è pienamente compatibile con il lavoro autonomo.
Del resto, la categoria della parasubordinazione venne introdotta dal legislatore assumendo come figura paradigmatica proprio il rapporto di agenzia, ossia quel particolare rapporto di lavoro autonomo contraddistinto dal potere del committente di impartire istruzioni al prestatore d’opera (art. 1746). Onde la prima opzione dell’interprete non può che essere quella di ritenere che l’elemento del coordinamento, che caratterizza gli altri rapporti di collaborazione accostati al rapporto di agenzia, sia anch’esso il risultato di un potere analogo al potere di istruzioni, conferito al preponente.
Sicché, è difficile ipotizzare che proprio quella tipologia di lavoro autonomo che tipicamente si svolge mediante l’inserimento nell’organizzazione del committente, sia caratterizzata dall’eccezionale assenza di qualsiasi potere di ingerenza. Questa conclusione appare sistematicamente, oltre che fattualmente, incongrua e irrealistica, in quanto un simile rapporto coordinato e continuativo diventerebbe il rapporto di lavoro più autonomo che c'è, addirittura ancora di più di quelli che non si svolgono all’interno dell’organizzazione altrui. Inoltre, costituirebbe una porta di accesso al lavoro subordinato che sopravanzerebbe addirittura l'articolo 2, d. lgs. n. 81/15, perché non verrebbe neanche richiesta la dimostrazione della eterorganizzazione da parte del committente delle modalità di esecuzione della prestazione, ma sarebbe sufficiente molto meno, anche una lieve ingerenza del committente non pattuita di comune accordo.
Siamo di fronte ad un radicalismo legislativo che probabilmente doveva controbilanciare la rigidità in senso opposto dell’art.2 d.lgs n.81/15, laddove si onera di una prova non agevole il collaboratore che intenda ottenere l’applicazione della disciplina del lavoro subordinato, giacchè egli deve dimostrare che il committente abbia organizzato le modalità di esecuzione della prestazione fin nei suoi aspetti esecutivi.

3. Senonché, come avviene alle volte con norme che si pongono in contrasto con la realtà dei fatti, continuano tranquillamente ad esserci sentenze che, ad esempio, di fronte a personale organizzato in turni di lavoro imposti dal committente, ritengono ciò compatibile con il lavoro autonomo coordinato, sostenendo che, se l'organizzazione in turni o il rispetto di un orario fisso di lavoro, appare connaturale alla prestazione, ciò non costituisce un indice della subordinazione perché nella determinazione di questi turni si estrinseca il necessario coordinamento con l'attività del committente (Cass. 24/4/17, n. 10189; Cass. 4/5/2020, n. 8444; Trib. Roma, 16 aprile 2024, n. 4557; Trib. Roma, 25 ottobre 2023, n.9496; Trib. Bologna, 22 dicembre 2023, n.976).
Appare evidente che, ai sensi di un'interpretazione strettamente letterale di questa nuova nozione di coordinamento, sia difficile dubitare che la predisposizione di turni non rispetti l'autonomia organizzativa del collaboratore. Eppure, la giurisprudenza sembra ignorarlo e lo ignorano anche le stesse parti ricorrenti che non risulta abbiano fatto valere una simile violazione dell’autonomia organizzativa del collaboratore. Si può ipotizzare che questo atteggiamento dipenda dal fatto che stiamo di fronte a una norma irrealistica, eccedente ed esagerata nell’assolutezza del suo tenore letterale.

4. A tutto questo si può obiettare che però bisogna rispettare il dato testuale della disposizione. Allora questo principio deve valere sempre, anche per l’altra norma in materia, che pure conduce a contraddizioni sistematiche, quale è quella di cui all'articolo 2, comma 1, lgs. n.81/15, in cui si prevede che si applica la disciplina del rapporto di lavoro subordinato senza alcuna limitazione. Questa applicazione integrale, verso cui il testo della norma spinge, determina quello che è stato chiamato un effetto di ritorno sulla fattispecie di partenza: i tratti costitutivi dell’eterorganizzazione sarebbero rimossi con il lavoratore sottoposto non più al parziale e circoscritto potere del creditore di lavoro eterorganizzato, bensì al pervasivo potere del datore di lavoro subordinato, che appunto determinerebbe il mutamento del tipo contrattuale e quindi uno strano “ircocervo” di un lavoro in sé autonomo a cui tuttavia si applicherebbe la disciplina del lavoro subordinato.
Proprio per evitare simili contraddizioni allora sono state proposte in dottrina applicazioni selettive nell’ambito della complessiva disciplina prevista per il rapporto di lavoro subordinato, distinguendo tra ciò che è ontologicamente incompatibile con le collaborazioni coordinate e continuative, e ciò che è ad esse adattabile, evidentemente forzando il testo della norma.
Ma allora analoga operazione di interpretazione correttiva può essere effettuata anche a proposito della nozione (o di interpretazione) legale di coordinamento di cui all’art. 409, n. 3 cod.proc.civ., evitando ciò che è ontologicamente in contraddizione con il potere di coordinamento.
Così come, anche a proposito del tenore testuale dell’articolo 2, se dobbiamo rispettare le finalità del legislatore di agevolare la conquista delle tutele della subordinazione, occorre dare una lettura più edulcorata, ammorbidita, al significato dell’organizzazione delle modalità di esecuzione della prestazione da parte del committente, affinché non diventi una prova più gravosa di quella degli indici secondari della subordinazione. Infatti, ad oggi i ricorrenti se ne tengono ben alla larga da una norma del genere.
Temo che si tratti di prendere atto che stiamo di fronte da anni a un legislatore tecnicamente approssimativo per cui tutti i ragionamenti sistematici assumono un valore molto relativo perché devono tenere conto di questo fattore, che è anch’esso un dato di realtà.

 

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