TESTO INTEGRALE CON NOTE E BIBLIOGRAFIA

Parlare di “nuove forme di collaborazione nell’impesa” significa certamente parlare delle collaborazioni che, ai sensi dell’art. 2094 c.c., a prescindere dalla loro localizzazione territoriale, sono inserite strutturalmente nel ciclo produttivo dell’impresa per essere svolte <alle dipendenze e sotto la direzione dell’imprenditore>. Cioè, lo si riconosca o meno, per essere la loro esecuzione dall’imprenditore variamente organizzata, a partire, in prevalenza, dai profili spazio-temporali.
Significa però anche parlare delle collaborazioni che sono inserite solo funzionalmente nel ciclo produttivo dell’impresa, nel senso che sono ad esso essenziali ma l’ingerenza dell’imprenditore nelle modalità della loro esecuzione è assente o marginale in quanto sono per molti profili auto-organizzate dai collaboratori.
Mi sono occupato espressamente di queste seconde e quindi da esse intendo muovere cominciando con una precisazione.
Il dibattito intorno all’intelligenza artificiale, anche con riguardo alle sue incidenze sull’organizzazione d’impresa e sul lavoro, è all’ordine del giorno ma con essa, a mio avviso, non hanno nulla a che vedere gli algoritmi utilizzati dall’imprenditore tramite piattaforme digitali per valersi di collaborazioni <esterne>.
Queste piattaforme sono strutture hardware e software complesse che elaborano e trasmettono, nell’ambito di una circoscritta cerchia di destinatari, comunicazioni frutto della elaborazione di dati e indicazioni immesse dai loro titolari.
Per fare un solo esempio, il titolare di una piattaforma che deve fornire un servizio ad un cliente mediante un collaboratore connesso può <chiedere> al software di affidare l’incarico con priorità a quello che, nell’area territoriale di riferimento, ha svolto un numero di prestazioni più elevato e con maggiore diligenza, individuato sempre sulla base dei dati immessi, o, al contrario, con priorità a quello più in sofferenza quanto all’affidamento di incarichi.
È oltremodo utile la lettura attenta dell’<Accordo collettivo nazionale> stipulato da ASSOGROCERY con le Federazioni di categoria di CGIL, CISL e UIL <per la regolamentazione dell’attività di collaborazione alle imprese che svolgono, attraverso l’ausilio di piattaforme digitali, attività di acquisto e rivendita di un carrello contenente i prodotti di largo consumo ordinati on line dal cliente>.
Questo accordo impone all’impresa di dare alla piattaforma indicazioni che, unitamente a quella sopra descritta, valgano ad escludere la ricorrenza nell’attività del collaboratore e-grocery di quegli elementi, forzando la cui rilevanza la corrente giurisprudenza perviene a qualificare i riders come lavoratori subordinati ai sensi dell’art. 2094 c.c. o come etero-organizzati ai sensi dell’art. 2, comma 1, d- lgs. 181/2015. Quindi, a prescindere e al di là della riconducibilità di detto Accordo all’artt. 2, comma 2, del medesimo decreto.
Insomma, le piattaforme digitali del “delivery”, del “e-grocery”, del “marketing operativo” non elaborano pensieri e soluzioni, quindi non appartengono, per definizione, al genus dei sistemi di intelligenza artificiale.
Ciò non vuol dire che l’intelligenza artificiale già oggi, probabilmente, non possa essere utilizzata anche nell’ambito del lavoro subordinato venendo inserita nel ciclo produttivo per la realizzazione, unitamente alla prestazione dei lavoratori, di segmenti dell’opus completo.
Ma i sistemi di intelligenza artificiale, quando saranno più progrediti dell’attuale ChatGPT quanto alla capacità di <ragionamento> e di elaborazione delle soluzioni per i problemi che verranno loro prospettati, potranno essere utilizzati per risolvere nel concreto le questioni di qualificazione dei rapporti di lavoro? Magari per aiutare la dottrina giuslavorista (ed altresì la giurisprudenza) ad uscire dallo stato, che oserei definire confusionale, nel quale versa in materia, specie dopo gli interventi legislativi succedutisi a partire dal D. Lgs. n. 81/2015?
Purtroppo, per rispondere all’interrogativo, sono costretto, ancora una volta, a ripetermi. Cercherò di essere il più sintetico possibile.
Eviterò anzitutto di ripercorrere la storia delle divagazioni teoriche dottrinali che si sono affastellate nel corso dei decenni mentre in giurisprudenza, pragmaticamente, andava consolidandosi l’utilizzo, al servizio delle definizioni generali, nei casi concreti, degli <indici della subordinazione>.
Sintetizzerò poi quel che è accaduto e sta accadendo a valle dell’art. 2, comma 1, del menzionato decreto, rinviando, per l’approfondimento, al mio saggio più recente pubblicato in questa rivista .
Ho parlato di stato confusionale perché in dottrina hanno cominciato ad essere elaborate varie teorie che ho definito dello <sfrangiamento> della fattispecie tipica del lavoro subordinato e dell’articolazione della relativa disciplina. Marina Brollo ha efficacemente sintetizzato la più brillante di tali teorie come improntata ad una “tecnica matriciale, ordinata in base ai valori e ai principi” e non più “secondo la logica fattispecie-effetti .
Queste teorie hanno trovato riscontro, o anticipazione, nella notissima sentenza della Cassazione n. 1663/2020 che ha qualificato l’art. 2, comma 1, D. lgs. n. 81/2025 come norma di mera disciplina per affermare l’applicazione di quella del lavoro subordinato, salvi i tratti di essa incompatibili con lo specifico contenuto del rapporto.
Se non che, come ritengo di avere dimostrato , la Corte ha in realtà correlato l’applicazione di detta disciplina alla ricorrenza di una serie di elementi (o indici?) nella esecuzione del rapporto, tali da esprimere, secondo la sua valutazione (di merito?) la c.d. etero-organizzazione. Insomma, l’insieme di tali elementi, al di là delle teorizzazioni, nella sentenza costituisce innegabilmente la fattispecie di riferimento.
Dunque, fattispecie e indici paiono in disgrazia. Eppure la bozza di Proposta di Direttiva Europea sulle piattaforme digitali (assai apprezzata dalla nostra dottrina) originariamente voleva affidata ad una serie di indici vincolanti la presunzione (solo nominalmente relativa) di ricorrenza del lavoro subordinato. Ed anche la nuova proposta, approvata l’11 aprile scorso dai Ministri degli Esteri di tutti i Paesi della Comunità, sebbene elimini l’elencazione, rimette tuttavia ai Legislatori nazionali il compito di individuare gli indici deputati alla individuazione del lavoro soggetto alla “direzione e controllo” dell’imprenditore. Nella consapevolezza, evidentemente, che tali elementi sono sprovvisti di autonoma capacità qualificatoria, al pari del resto di quelli offerti dall’art. 2094 del nostro codice civile.
Ho in altra sede sottolineato come le proposte dottrinali “di moda”, variamente improntate al superamento delle fattispecie e alla applicazione della disciplina del lavoro subordinato disarticolata alla stregua dei “valori e principi”, siano inidonee ad offrire al giudice un qualche contributo per risolvere ogni specifico contenzioso sulla base di parametri ragionevoli e prevedibili, non affidati alla sua assoluta discrezionalità.
Credo sia lecito escludere, ora aggiungo, che tale contributo possa venire dall’utilizzo di sistemi, pur sempre più perfezionati, di intelligenza artificiale. Lo dico perché di ciò pare si cominci a parlare in dottrina.
Infatti nella locandina di un seminario del 23 aprile 2024 nell’Università La Sapienza dedicato a “L’impatto dell’intelligenza artificiale sul lavoro di oggi e domani” compare un modulo, con Orsola Razzolini relatrice e Pietro Ichino discussant, intitolato “La ridefinizione della fattispecie lavoro subordinato/lavoro autonomo a seguito della perdita di valore distintivo dell’<inserimento> e del <coordinamento> della prestazione nell’impresa”.
La premessa, ispirata alle correnti alchimie dottrinali che predicano la dissoluzione delle fattispecie a beneficio dell’articolata applicazione della disciplina lavoristica secondo <valori e principi>, mi pare però non faccia molto sperare. Non riesco infatti davvero immaginare una intelligenza artificiale così sensibile e raffinata da essere capace di dosare tale applicazione a misura delle peculiarità dei concreti rapporti di lavoro.
Pur se va riconosciuto che nell’anzidetto scenario, prospettato dalle odierne correnti della dottrina giuslavoristica <destrutturali>, solo l’asetticità di una intelligenza artificiale potrebbe salvarci dalla piena discrezionalità, per non dire (libero) arbitrio, dei giudici. Non però, certo, dalla assoluta imprevedibilità dell’esito dei giudizi!
Peraltro, anche nello scenario tradizionale delle <fattispecie e degli indici>, nel quale confido che la giurisprudenza torni a collocarsi, mi pare lecito dubitare che una intelligenza artificiale, per quanto progredita, possa sostituirsi a quella umana nelle operazioni di (prudente e puntualmente argomentato) dosaggio della quantità e qualità degli indici variamente rinvenibili nei casi concreti al fine della loro riconduzione ad una od altra fattispecie astratta.

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