testo integrale con note e bibliografia
1. La giurisprudenza sul lavoro povero
Il tema del lavoro povero riguarda le situazioni nelle quali il reddito da lavoro non è sufficiente a soddisfare i bisogni essenziali del lavoratore e della sua famiglia, condizione sempre più diffusa in un paese come il nostro nel quale, in estrema sintesi, i prezzi salgono ed i salari sono fermi.
Di recente, il tema è tornato alla ribalta della giurisprudenza nazionale con una serie di sentenze della sezione lavoro della Corte di Cassazione del mese di ottobre 2023, le n. 27711, n. 27713, n. 27769, n. 2820, n. 2821, n. 28323, le quali hanno dato continuità ad orientamenti precedenti, e li hanno ampliati e consolidati in un quadro europeo ed internazionale.
Al dichiarato scopo di supportare gli interventi del giudice di merito in materia, la Cassazione si è pronunciata in casi nei quali si discuteva del CCNL Vigilanza Privata - Sezione Servizi Fiduciari, ed in particolare del trattamento retributivo che tale contratto collettivo riserva agli addetti alle attività di portineria e guardiania.
Nella realtà, si tratta perlopiù di personale dipendente di cooperative che svolgono i servizi in appalto da parte di soggetti privati o pubblici. E già questo fatto evidenzia il fondamentale collegamento fra lavoro povero e servizi svolti in appalto e subappalto, dei quali tanto si è discusso anche negli interventi odierni.
Il problema di fondo consiste nel fatto che il CCNL Vigilanza Privata, pur essendo sottoscritto dalle OOSS più rappresentative, stabilisce retribuzioni sensibilmente inferiori rispetto ad altri contratti collettivi riferiti a mansioni assimilabili. Infatti, un lavoratore a tempo pieno, nel CCNL Vigilanza Privata riceve circa una retribuzione lorda mensile di euro 930,00 (pari ad una retribuzione lorda oraria di euro 5,30).
Invece, a parità di inquadramento, nel CCNL Multiservizi la retribuzione lorda mensile è di circa €. 1.180,00 (pari ad una retribuzione lorda oraria di €. 6,80); nel CCNL dipendenti da proprietari di fabbricati la retribuzione lorda mensile è di circa €. 1.240 (pari ad una retribuzione lorda oraria di euro 7,04); nel CCNL Commercio Terziario la retribuzione lorda mensile è di circa euro 1400,00 (pari ad una retribuzione lorda oraria di euro 8,36).
2. Il parametro costituzionale
Nel contenzioso in esame i lavoratori hanno agito in giudizio affermando che i bassi livelli retributivi stabiliti dal CCNL Vigilanza Privata violano l’art. 36 Cost. secondo il quale il lavoratore ha diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro, ed in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia una esistenza libera e dignitosa.
In proposito la giurisprudenza è da sempre consolidata nel senso che la proporzionalità (funzione corrispettiva della retribuzione, quale scambio fra compenso e prestazione) e la sufficienza (funzione sociale della retribuzione, a garanzia di una vita dignitosa del lavoratore e della sua famiglia) siano criteri complementari, nel senso che la retribuzione costituzionale li deve soddisfare entrambi contemporaneamente.
Le domande dei lavoratori, ed il loro accoglimento in giudizio, hanno messo in crisi la c.d. presunzione di conformità del contratto collettivo all’art. 36 Cost., che a sua volta rifletteva la natura di autorità salariale assegnata alla contrattazione fra le organizzazioni collettive.
Infatti, tradizionalmente la giurisprudenza di legittimità riteneva che la contrattazione collettiva stipulata dalle organizzazioni più rappresentative attuasse il parametro di proporzionalità e sufficienza della retribuzione costituzionale dell’art. 36, anche in relazione ai rapporti di lavoro ai quali nessun contratto collettivo sia direttamente applicabile (o perché le parti non aderiscono alle associazioni stipulanti o perché di fatto il datore non lo utilizza come parametro del trattamento riservato ai propri dipendenti).
Inoltre, le domande dei lavoratori, ed il loro accoglimento in giudizio, hanno messo in crisi anche l’ulteriore il principio normativo per il quale il trattamento retributivo stabilito dalla contrattazione collettiva stipulata dalle organizzazioni più rappresentative rappresenta il minimo inderogabile anche nei rapporti ai quali nessun contratto collettivo sia direttamente applicabile. Principio stabilito dall’art. 1 comma 1 d.l. n. 338/1989 convertito in l. n. 389/1989 in materia contributiva, e nell’art. 7, comma 4, d.l. n. 248/2007, conv. in l. n. 31/2008 in materia di cooperative.
Le sentenze della sezione lavoro della Corte di Cassazione dell’ottobre 2023 hanno ribadito la centralità della gerarchia delle fonti e dei relativi principi inderogabili nell’ordinamento. In questo senso, i precetti costituzionali di proporzione e sufficienza della retribuzione, rappresentano il discrimine fra lavoro povero e lavoro dignitoso (quest’ultimo retribuito con il trattamento costituzionale minimo) e come tali si impongono sulla legge, sul contratto collettivo anche se stipulato dalle organizzazioni più rappresentative, ed ovviamente sui contratti individuali.
Quindi, gli stessi precetti si imporrebbero anche su una eventuale futura legge sul salario minimo.
Di conseguenza, per attuare l’art. 36 Cost. e verificare in concreto se un lavoro denunciato come povero meriti un trattamento più dignitoso, il giudice deve prima di tutto fare riferimento alla retribuzione stabilita dal CCNL (presunzione di conformità del contratto collettivo all’art. 36 Cost.).
Ma se ne può discostare, anche d’ufficio, se lo stesso CCNL viola i principi costituzionali di proporzionalità e sufficienza dell’art. 36 Cost.
3. Onere della prova e accertamento giudiziale
Come in tutti i giudizi civili, anche in questo caso, si parte dall’onere della prova, per stabilire quale sia il suo oggetto e come sia distribuito fra le parti.
Le sentenze di cui stiamo parlando hanno affermato che il lavoratore ha il seguente onere: dimostrare il rapporto di lavoro, le mansioni assegnate e svolte, e la misura della retribuzione percepita in applicazione del CCNL. Su questa base, egli affermerà che la retribuzione percepita è inferiore ai parametri costituzionali di proporzione/sufficienza, e quindi richiamerà i parametri di confronto del proprio trattamento retributivo dai quali ricavare la retribuzione minima costituzionale.
Se la domanda del lavoratore non assolve questo onere, opera nuovamente la presunzione di conformità, da cui si ricava la adeguatezza ai precetti costituzionali della retribuzione corrisposta in applicazione del contratto collettivo del settore stipulato dalle organizzazioni più rappresentative.
Se invece la domanda del lavoratore assolve l’onere, il giudice deve prima accertare se la retribuzione corrisposta in concreto sia adeguata ai parametri costituzionali di proporzione e sufficienza, ed in caso negativo dichiarare nullo il CCNL applicato al rapporto (Prima fase), e poi stabilire quale sia la retribuzione minima che spetta a lavoratore (Seconda fase).
E qui entriamo nel nucleo problematico del compito del giudice di merito, al quale la Corte di Cassazione ha suggerito una varietà di strumenti da impiegare in questo accertamento.
E ciò appunto perché nel nostro ordinamento manca una legge sul salario minimo, e nemmeno i CCNL sono validi erga omnes, per non essere mai stato attuato l’art. 39 Cost. secondo il quale «i sindacati registrati con personalità giuridica, rappresentati in modo unitario in proporzione dei loro iscritti, stipulano contratti collettivi di lavoro con efficacia obbligatoria per tutti gli appartenenti alle categorie alle quali il contratto si riferisce».
Come detto, l’accertamento della nullità del CCNL e la successiva ricerca della giusta misura della retribuzione si svolgono suddivisi in due fasi: la prima relativa ai criteri di giudizio in base ai quali verificare se in concreto sussiste la violazione del precetto costituzionale, ovvero se la retribuzione del CCNL è inadeguata; e, qualora la retribuzione risulti inadeguata, la seconda relativa ai criteri di giudizio per stabilire come si individua il giusto trattamento conforme a Costituzione. Ovviamente, le fasi sono strettamente collegate fra di loro, perché il ragionamento svolto per verificare la violazione dei parametri costituzionali, orienta anche la successiva ricerca della relativa soluzione.
3.1. Prima fase
Nei giudizi che riguardano il CCNL Vigilanza Privata, la prima fase si esaurisce confrontando il trattamento retributivo (retribuzione prevista per la prestazione ordinaria, esclusi eventuali straordinari) con il valore soglia di povertà assoluta, calcolato ogni anno dall’Istat in relazione ad un paniere di beni e servizi essenziali, differenziato per età, area geografica di residenza e componenti della famiglia.
Quella dell’Istat è una soglia di povertà assoluta, che nei giudizi dovrebbe essere utilizzata solo “in negativo”, cioè come livello al di sotto del quale è sicuro che la retribuzione viola l’art. 36 Cost. (poiché per definizione non consente ad una famiglia di sostenere le spese essenziali alla propria sopravvivenza), e quindi il CCNL è nullo.
Invece, la stessa soglia di povertà assoluta non dovrebbe essere utilizzata “in positivo”, come livello superato il quale la retribuzione è di per sé adeguata, poiché la retribuzione dignitosa è ben di più di una somma che si limita a superare la soglia di povertà assoluta.
Infatti, la nozione costituzionale di dignità non presuppone solo di garantire i bisogni essenziali (cibo, alloggio, salute, ecc.), ma anche di soddisfare le necessità di istruzione, sviluppo e formazione generale, che a loro volta condizionano la possibilità di partecipare alle formazioni sociali e di esercitare cittadinanza attiva e consapevole.
In alternativa alla soglia Istat di povertà, la Corte di Cassazione segnala che nella prima fase la retribuzione percepita può essere confrontata ad importi previsti per le prestazioni pubbliche (come la Naspi, la Cassa Integrazione, il Reddito di cittadinanza ecc.) oppure ad importi stabiliti ad altro fine (come la soglia di reddito per l’accesso alla Pensione di inabilità, o l’offerta di lavoro congrua il cui rifiuto comporta la perdita del Reddito di cittadinanza).
Inoltre, dalle fonti europee come ulteriori indicatori di riferimento per valutare l’adeguatezza della retribuzione si ricavano il 60% del salario mediano o il 50% del salario lordo medio.
Poiché la retribuzione regolata dal CCNL è lorda, i parametri di riferimento della prima fase dovranno essere omogenei, e quindi il raffronto dovrà essere fatto fra valori tutti lordi o tutti netti.
3.2. Seconda fase
Qualora, a conclusione della prima fase, la retribuzione percepita in applicazione del CCNL risulti inadeguata, una volta dichiarato nullo lo stesso CCNL, si tratta di stabilire quale sia il trattamento conforme a Costituzione.
In proposito, il criterio principale è il raffronto con altri CCNL, analoghi per settore e mansione dei lavoratori.
Nel contenzioso di cui stiamo parlando, i CCNL di riferimento esaminati dai giudizi di merito generalmente sono il CCNL Multiservizi, Dipendenti da proprietari di fabbricati e Commercio Terziario, tutti fonti di migliori retribuzioni mensili e orarie rispetto alla CCNL Vigilanza Privata.
Le soluzioni della giurisprudenza di merito finora sono state variegate.
In alcuni casi, fra i vari CCNL di raffronto, i giudici hanno scelto quello più prossimo al CCNL vigilanza privata, ovvero il minore fra gli aumenti possibili del trattamento retributivo, ritenendo già così soddisfatti i parametri costituzionali.
In altri casi invece, fra i vari CCNL di raffronto, i giudici hanno scelto quello considerato più inerente al settore regolato dalla Vigilanza Privata, ovvero il più prossimo dal punto di vista dei compiti dei lavoratori e dell’attività di impresa del datore.
Comunque, l’accertamento della retribuzione adeguata oggetto della seconda fase impone un esame di dettaglio delle voci (lorde/nette) che compongono il trattamento retributivo in applicazione del CCNL Vigilanza Privata, considerato il livello di inquadramento del lavoratore ed il regime orario del suo rapporto, e prosegue con una comparazione con le voci che compongono il trattamento retributivo del CCNL alternativo utilizzato come parametro di adeguatezza, sempre a parità di livello di inquadramento e di regime orario.
Allo stato si può già considerare la varietà delle soluzioni possibili anche nell’ambito di contenzioso come quello sul CCNL Vigilanza Privata relativamente semplice per la misura bassissima delle retribuzioni previste. Ed è infine inevitabile chiedersi quali potranno essere gli ulteriori sviluppi di questa giurisprudenza, se la analoga indagine sulla giusta retribuzione sarà sollecitata nei confronti di altre contrattazioni collettive, i cui livelli retributivi siano bassi ma non siano così critici come quello fin qui esaminato.