testo integrale  con note e bibliografia

1. Il quesito sull’abrogazione del decreto legislativo n. 23 del 2015.

Il quesito sull’abrogazione integrale del decreto n. 23 del 2015 è di facile comprensione (almeno per chi abbia un minimo di conoscenza del problema) e, in caso di accoglimento, porterebbe alla lineare applicazione dell’art. 18 St. lav. e dell’art. 8 della legge n. 604 del 1966 e, comunque, della disciplina dei rapporti costituiti prima del 7 marzo 2015. Poiché, a suo tempo, mi espressi a sfavore dell’introduzione del contratto a tutele crescenti e, nonostante le opposte indicazioni maggioritarie, resto convinto del fatto che il fare dipendere la regolazione delle sanzioni in tema di licenziamento dalla data di assunzione violi l’art. 3 cost. e il principio di ragionevolezza, non posso dissentire dal quesito. Tuttavia, decorsi nove anni e dopo una ormai consolidata esperienza applicativa, non credo che una drastica abrogazione giovi alla coerenza del sistema. Pertanto, non mi pare una grande idea la richiesta oggi di un referendum sul punto, quando, se mai, in tempi medi si dovrebbe pensare a una organica riforma dell’intera materia, seppure con il superamento del modello del rapporto a tutele crescenti.

2. Il quesito sull’abrogazione parziale dell’art. 8 della legge n. 604 del 1966.

Si vuole eliminare il limite massimo dell’indennità dovuta in caso di licenziamento illegittimo, nell’ambito di applicazione dell’art. 8 della legge n. 604 del 1966. Ne deriverebbe un potere del giudice di determinazione discrezionale dell’indennità, senza il precostituito confine delle sei mensilità. L’esito positivo del referendum creerebbe una evidente e irrazionale disparità di trattamento rispetto all’opposto tenore dell’art. 9, primo comma, del decreto n. 23 del 2015. Né vale dire che i promotori auspicano la sua abrogazione, visto il precedente quesito, perché ciascuno deve essere esaminato in sé. Se mai, occorre una riflessione complessiva sul tema del licenziamento nelle imprese di minori dimensioni, con una modificazione equilibrata dell’art. 8 della legge n. 604 del 1966 e dell’art. 9 del decreto n. 23 del 2015, tema meritevole di considerazione nell’ambito di una riforma coerente del sistema sanzionatorio. Per il modo nel quale è formulato, il quesito non merita un apprezzamento positivo.

3. Il quesito sul rapporto a tempo determinato.

Il rapporto a tempo determinato attrae sempre l’attenzione del sistema politico e di quello sindacale, con una costante ansia di novità, mentre l’unica, ragionevole idea sarebbe il ritorno alla legge n. 230 del 1962, il provvedimento più sensato ed equilibrato sul tema. Il quesito presenta una soluzione irragionevole, volendo eliminare tutte le norme che prevedono una libera stipulazione del contratto. Ne deriverebbe un esito singolare; poiché i presupposti di carattere organizzativo non si verificano mai e la stipulazione di una intesa che li invochi è impossibile e destinata a un disastro processuale, si potrebbe concludere l’accordo a termine solo per la sostituzione di dipendenti assenti e ciò sarebbe irrazionale e contrario a una efficace organizzazione del lavoro.

4. Il quesito sull’art. 26, quarto comma, del decreto legislativo n. 81 del 2008.

Se il referendum avesse esito positivo, in caso di appalto, il committente risponderebbe sempre per il risarcimento dei danni subiti dai dipendenti dell’appaltatore. Non si vede perché l’appaltante dovrebbe rispondere di fattori di rischio inerenti alla specifica competenza dell’appaltatore. L’attuale disciplina è ragionevole e non merita di essere modificata. Del resto, sulla base di consolidati principi applicativi, vi è una estesa e diretta responsabilità del committente, così che ha mero carattere residuale quella solidale dell’art. 26, quarto comma, del decreto n. 81 del 2008. Proprio per la rigorosa valutazione della diretta responsabilità del committente, non ha senso estendere quella solidale.

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