testo integrale con note e bibliografia
❖ Premessa: potere ispettivo e funzione amministrativa
Il rapporto tra la funzione amministrativa pubblica e la tutela del lavoro - di recente de1nito “peculiare e tormentato” 1 - merita una rinnovata attenzione dei Giuslavoristi 2.
Ed infatti, dopo la riforma del 2020, i poteri ispettivi a dati all’Ispettorato nazionale del lavoro3 assumono una particolare rilevanza alla luce dei dati riportati nella Relazione sull’attività svolta nell’anno 2023 e della loro incidenza sull’eIettività della tutela dei diritti dei lavoratori e sulla responsabilità dell’impresa nell’osservanza delle norme contrattuali e di quelle sulla salute e sicurezza dei lavoratori.
La Costituzione a da la tutela del lavoro alla legge e all’autonomia collettiva e la rappresentanza degli interessi dei lavoratori al sindacato e non alla pubblica amministrazione anche se emerge fortissimo l’interesse pubblico alla tutela dei lavoratori.
Le principali funzioni amministrative attengono alla vigilanza in materia di rapporti di lavoro e dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali e sono regolate all’art.1 decreto legislativo 23 aprile 2004 n.124, poi aggiornato con decreto legislativo 14 settembre 2015 n. 149, sulla “razionalizzazione delle funzioni
ispettive in materia di previdenza sociale e di lavoro a norma dell’art.8 della legge 14
febbraio 2003 n. 30”.
Si articolano principalmente in tre fasi:
1. al momento della costituzione del rapporto di lavoro per la promozione dell’occupazione (in materia di certi1cazione, formazione, integrazione salariale);
2. a tutela del lavoratore nello svolgimento del rapporto di lavoro (in materia di controlli, ad esempio per l’installazione di impianti audiovisivi, sulle modalità di svolgimento del lavoro intermittente e di somministrazione);
3. di vigilanza e controllo sul rispetto della disciplina normativa e delle prescrizioni delle autorità amministrative e di irrogazione di sanzioni, ad esempio per la violazione delle discipline cosiddette auto applicative come quella sulla parità di trattamento, i licenziamenti collettivi, il lavoro dei minori, il lavoro notturno, l’orario di lavoro.
Sotto diverso aspetto, rileva l’interazione tra funzioni amministrative e autonomia collettiva che si esplica, innanzitutto, riguardo alla contrattazione collettiva sia per la conclusione dei contratti (ad esempio con l’Aran per il lavoro pubblico) sia nei
momenti di crisi e di conRitto per il ruolo di mediazione che l’amministrazione svolge tra lavoratori, impresa e rappresentanze sindacali con accordi anche triangolari, secondo il modello della concertazione.
Proverò a delineare, di seguito, l’ambito dell’intervento ispettivo esercitato attraverso il provvedimento dispositivo che si concretizza con riguardo alla legislazione (cd autoapplicativa) tradizionalmente caratterizzata da regole inderogabili poste a tutela del lavoratore, come ad esempio quelle sull’applicazione del contratto collettivo, l’inquadramento delle lavoratrici e dei lavoratori , il trattamento economico e la sua conformità alle norme e ai principi di adeguatezza e proporzionalità.
L’INL ha tracciato nella Relazione del 2023 un bilancio complessivo dell’attività dalla cui casistica emerge un indice di irregolarità in crescita (+ 2G%) di lavoratori irregolari e (+ 14%) in nero.
Sull’utilizzo del provvedimento dispositivo nell’anno 2023 la Relazione riporta un indice pari al G9,8% di cui il G3,9% in materia di vigilanza ordinaria e l’85% in materia di salute e sicurezza, mentre il dato del 2022 era del GG,G% di cui G1,1% in materia di vigilanza e 82,5 in materia di sicurezza e salute.
Le disposizioni impartite sono 2G.4G2 a fronte di un numero totale di lavoratori a cui si riferiscono le complessive violazioni accertate pari a 104.84G di cui il maggior numero nell’industria (11.5G9) e nel terziario (11.39G) mediante i quali è stata fornita tutela a una platea complessiva di G2.118 lavoratori 4 .
I casi di più frequente utilizzo dello strumento hanno riguardato ipotesi di:
● obblighi in materia di orario di lavoro, di congedo parentale, di riposi, permessi, licenziamento della lavoratrice madre, alterazione dei modelli di dimissione. Mancata individuazione delle fasce orarie o dei turni, della collocazione oraria nei rapporti di lavoro a tempo parziale;
● obblighi di comunicazione sul lavoro intermittente, limite percentuale dei lavoratori a tempo determinato e principio di non discriminazione tra lavoratori a tempo determinato e indeterminato, limiti al ricorso alla somministrazione;
● obblighi di formazione in materia di apprendistato, retribuzione del lavoro a domicilio, obblighi di comunicazione previsti per le prestazioni occasionali;
● omesse e infedeli registrazioni sul LUL che non determinano diIerenti trattamenti retributivi, previdenziali o 1scali (art. 39 del D.L. 112/2008 conv. con L. 133/2008). Irregolarità del sistema di rilevazione delle presenze sul LUL per indicare la precisa collocazione degli orari di eIettiva prestazione in modo da consentire al personale ispettivo la veri1ca del rispetto delle prescrizioni normative e contrattuali;
● irregolarità relative al Regolamento delle società cooperative;
● mancato rispetto della rotazione dei lavoratori da porre in CIG o in CIG in deroga (se previsto nell’accordo sottoscritto tra il datore di lavoro e le OO.SS.);
● obblighi sul rispetto della parte economica dei CCNL attraverso l’adempimento immediato da parte del datore di lavoro.
L’adozione del provvedimento dispositivo è esclusa:
nel caso di inadempienze degli oneri individuati nella cosiddetta “parte obbligatoria” del CCNL di riferimento;
qualora si tratti di obblighi che trovano la loro fonte in via esclusiva in una scelta negoziale delle parti (es. contratto individuale di lavoro/lettera d’assunzione);
ovvero se rientra nella diversa disciplina ad esempio 1scale (nel caso di omessa o incompleta consegna del CUD) obbligo del sostituto d’imposta sanzionabile da parte dell’Agenzia delle Entrate, ai sensi dell’art. 11 co. 1, lett. a) del D.Lgs. n. 471/1997.
❖ La norma: ratio e natura del provvedimento dispositivo
La legge 14 febbraio 2003 n.30 in materia di occupazione e mercato del lavoro ha delegato al Governo la razionalizzazione delle funzioni ispettive in materia di previdenza sociale e di lavoro ai 1ni dell'esercizio unitario tenendo conto della speci1ca funzione di polizia giudiziaria dell'ispettore del lavoro.
Così all’art.8 è disposto il riassetto della disciplina nonché la de1nizione di un quadro regolatorio del rapporto di lavoro in sede conciliativa, ispirato a criteri di equità ed e cienza.
La delega è esercitata nel rispetto di criteri direttivi tra cui:
a) improntare il sistema delle ispezioni alla prevenzione e promozione dell'osservanza della disciplina degli obblighi previdenziali, del trattamento economico e normativo minimo e dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale, anche valorizzando l'attività di consulenza degli ispettori. Si pensi alla disciplina dell’interpello introdotta nel 2004 sul modello dell’istituto previsto in materia 1scale, attraverso cui determinati soggetti e le organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative possono proporre al Ministero quesiti di ordine generale sull’applicazione delle normative di sua competenza cosicché l’adeguamento alle indicazioni fornite nelle risposte esclude l’applicazione delle sanzioni penali amministrative e civili;
b) de1nizione di un raccordo e cace fra la funzione di ispezione del lavoro e le soluzioni conciliative in sede pubblica sia delle controversie individuali che per la soddisfazione dei crediti.
Il d.lgs 23 aprile 2004 n.124 agli artt. 13, 14 e 15 de1nisce i poteri del personale ispettivo ed in particolare all’art.13 l’accesso ispettivo, il potere di di da e verbalizzazione unica, all’art. 14 il potere di disposizioni, all’art. 15 la prescrizione obbligatoria per le violazioni di carattere penale.
La vigilanza è una fase importante dell’intervento di prevenzione in quanto consente di individuare le carenze che richiedono interventi (anche non sanzionatori) diretti ad assicurare il rispetto di una determinata disciplina.
In particolare, per quanto di nostro interesse, l’art.14 sostituito dall’art.12 bis ,
comma 3 lett. b) del DL 15 luglio 2020 n. 75 convertito, con modificazioni dalla Legge 11 settembre 200 n.120 dispone l’esercizio di un potere dispositivo da esercitare riguardo alle irregolarità formali:
1. Il personale ispettivo dell'Ispettorato nazionale del lavoro puo' adottare nei confronti del datore di lavoro un provvedimento di disposizione, immediatamente esecutivo, in tutti i casi in cui le irregolarita' rilevate in materia di lavoro e legislazione sociale non siano gia' soggette a sanzioni penali o amministrative.
La norma quali1ca l’atto in questione come “provvedimento” e precisa che lo stesso è “immediatamente esecutivo”.
Le violazioni sono formali e, a diIerenza di quelle di carattere sostanziale, non
prevedono un procedimento in contraddittorio: l’ispettorato accerta e dispone.
Diverso dal provvedimento è, infatti, il “verbale” e la di da accertativa e la prescrizione regolamentati agli articoli 13 e 15.
La diIerenza tra il provvedimento e la di da è evidente dal raIronto con il potere esercitato ai sensi dell’art. 13, comma 1, dello stesso d.lgs. n. 124 del 2004, che culmina con il rilascio del “Verbale di primo accesso”, il quale richiede un previo atto di di da (comma 2) al datore di lavoro trasgressore.
Il provvedimento dispositivo ha, invece, contenuto meramente ordinatorio, è espressione di un potere pubblicistico e cace e vincolante per il destinatario, il quale deve necessariamente conformarsi alle statuizioni contenute nello stesso, pena l’applicazione di una sanzione pecuniaria.
Al comma 2 è previsto che: “Contro la disposizione di cui al comma 1 e'
ammesso ricorso, entro quindici giorni, al direttore dell'Ispettorato territoriale del lavoro, il quale decide entro i successivi quindici giorni. Decorso inutilmente il termine previsto per la decisione il ricorso si intende respinto” ed, altresì, a garanzia della sua osservanza, che “Il ricorso non sospende l'esecutivita' della disposizione.”
Ad ulteriore garanzia dell’osservanza del provvedimento dispositivo è prevista una sanzione al comma 3 ossia che: la mancata ottemperanza alla disposizione di cui al comma 1 comporta l'applicazione della sanzione amministrativa da 500 euro a
3.000 euro.
L’applicazione della sanzione amministrativa, prevista dal comma 3 dell’articolo in questione, è solo eventuale: scatta soltanto di fronte all’ipotesi in cui il datore di lavoro non ottemperi al provvedimento stesso.
❖ La nozione di irregolarità, la natura del potere di disposizione
ed i suoi limiti.
Le funzioni ispettive di cui al d.lg. n. 124 del 2004 si concretizzano nella vigilanza sul rispetto, da parte del datore di lavoro, della normativa previdenziale e civilistica, che è dettata, con carattere per lo più inderogabile, a tutela del lavoratore.
Ne deriva l'attinenza di tali funzioni alle materie di cui all'art. 117 comma 2 lett. l) e o) Cost., nonché alla lett. m) dell'art. 117 comma 2 con riguardo all'esigenza unitaria implicita nelle 1nalità del sistema di vigilanza di cui all'art. 1 d.lg. n. 124 del 2004.
In argomento è intervenuta la Corte Costituzionale - su ricorso proposto da alcune Regioni che, in sede di contrasto, avevano, tra l’altro, sostenuto che le funzioni amministrative relative alla vigilanza in materia di lavoro dovessero essere regolate dalla legislazione regionale - dichiarando non fondate le questioni sollevate ed aIermando che la vigilanza attiene alle materie dell'ordinamento civile e della previdenza sociale e le attività concernenti l'emersione del lavoro sommerso e il contrasto al lavoro irregolare rientrano in via diretta nell'ordinamento civile e si riRettono in via mediata negli ordinamenti tributario e previdenziale, tutti di competenza esclusiva dello Stato. (Corte Costituzionale, 14/10/2005, n.384)
Il potere di disposizione è un atto amministrativo emesso dagli Ispettori del lavoro, ai sensi dell’art. 14 d.lgs. n. 124 del 2004, a conclusione di un procedimento svolto, in assenza del contraddittorio con il datore di lavoro, nell’interesse dei lavoratori.
E’ un provvedimento amministrativo che ha i connotati della de1nitività e della immediata lesività per la parte alla quale lo stesso è indirizzato e che, in quanto tale, è impugnabile dinanzi al giudice amministrativo.
Trattandosi a tutti gli eIetti di un atto amministrativo, è fondamentale che, nella motivazione di questo provvedimento, venga sempre dettagliatamente speci1cata la fonte (legale o contrattuale) che fa sorgere l’obbligo di ottemperanza a carico del datore di lavoro destinatario.
Il provvedimento, infatti, fa scattare immediatamente l’obbligo del datore di lavoro di mettersi in regola, chiude il procedimento e incide sulla sfera giuridica del destinatario imponendogli un facere, pena la comminatoria di una sanzione.
Tra le “irregolarità” che possono formare oggetto del “Provvedimento di disposizione” ci sono anche le violazioni dei contratti e accordi collettivi di lavoro ed in
questo la norma esprime una valutazione dell’ordinamento di rilevanza pubblicistica dell’esigenza di una piena ed eIettiva applicazione degli stessi, tale da meritare attenzione a livello amministrativo anche indipendentemente dalle reazioni e iniziative civilistiche dei singoli lavoratori interessati.
❖ La giurisprudenza: il sindacato del giudice amministrativo giudice
del potere pubblico sulla contrattazione obbligo di motivazione ed esigenze di trasparenza
Gli ispettori del lavoro possono adottare un provvedimento di disposizione anche con riguardo all’applicazione di un contratto collettivo e, in particolare, tra le irregolarità rilevate rientra anche quella relativa all’inquadramento dei lavoratori e alle relative mansioni.
In argomento sono intervenute diverse pronunce del giudice amministrativo ed, in particolare, la decisione del TAR FRIULI VENEZIA GIULIA che con sentenza 18 maggio 2021, n. 155 ha annullato per eccesso di potere il Verbale di Disposizione del 24.02.2021 emesso dall’Ispettorato Territoriale del Lavoro e con cui è stato disposto l’inquadramento di alcuni dipendenti ad altro livello rispetto a quello previsto dal datore di lavoro.
Il Tribunale amministrativo aIerma che l’inquadramento in una categoria contrattuale diversa da quella spettante, in forza delle mansioni esercitate secondo il CCNL applicabile, non rientra tra le irregolarità in materia di lavoro e legislazione sociale che possono essere contestate nell’esercizio del potere di disposizione in quanto se così fosse si consentirebbe all’Ispettorato di sindacare l’esercizio del potere direttivo
del datore e di imporre, sotto la minaccia della sanzione pecuniaria, una determinata e permanente conformazione al rapporto di lavoro.
Al contrario, il Consiglio di Stato, con la sentenza n. 2778/2024, aIerma che “la scelta di includere tra le ‘irregolarità’ che possono formare oggetto del Provvedimento di disposizione anche le violazioni dei contratti e accordi collettivi di lavoro esprime una
valutazione dell’ordinamento di rilevanza pubblicistica dell’esigenza di una
piena ed effettiva applicazione degli stessi, tale da meritare attenzione a livello amministrativo anche indipendentemente dalle reazioni e iniziative civilistiche dei singoli lavoratori interessati”.
E aggiunge: “è evidente che il meccanismo di cui all’art. 14 d.lgs. n. 124 del 2004 incentrato sulla sollecitazione di una attività ‘collaborativa’ da parte del datore di lavoro, che può concludersi con l’eliminazione spontanea delle irregolarità riscontrate, può svolgere anche un’importante funzione preventiva e deflattiva del contenzioso giuslavoristico”.
AIermata l’astratta applicabilità della norma e - quindi - confermando la possibilità di intervento dell’Ispettorato anche su “irregolarità” consistenti nella violazione del contratto collettivo (in particolare rispetto all’inquadramento in un livello anziché in un altro) – il Consiglio di Stato ha però confermato la sentenza di emessa in primo grado ritenendo che, nel caso speci1co, il provvedimento dell’ITL non fosse
congruamente motivato e che gli atti e fatti richiamati (ma non riportati) nello stesso provvedimento avrebbero dovuto essere stati resi accessibili al privato, contrariamente a quanto avvenuto.
Annulla, dunque, il provvedimento in quanto ritiene che il provvedimento di disposizione deve riportare una motivazione puntuale e completa e che tale obbligo non sia stato assolto nel caso in esame.
Il Consiglio di Stato precisa che nel caso in cui “il provvedimento amministrativo sia preceduto da atti istruttori o da pareri, l’obbligo della motivazione può ritenersi adeguatamente assolto anche con il mero richiamo ad essi, giacché sottintende l’intenzione dell’Autorità emanante di farli propri, assumendoli a causa giustificativa della determinazione adottata. Condizione indefettibile di tale operazione, sovente giustificata anche da esigenze di economia e celerità procedimentali, è che essi risultino menzionati nel testo del provvedimento e resi accessibili al privato, in modo da consentirgli di prenderne visione anche in ossequio alla normativa sul diritto di accesso ai documenti amministrativi.”
Sull’obbligo di motivazione dell’atto amministrativo rileva, infatti, l’art.3 legge n.241/90 che espressamente prevede che: “Ogni provvedimento amministrativo, compresi quelli concernenti l'organizzazione amministrativa, lo svolgimento dei pubblici
concorsi ed il personale, deve essere motivato.”
Ed inoltre che “La motivazione deve indicare i presupposti di fatto e le ragioni giuridiche che hanno determinato la decisione dell'amministrazione, in relazione alle risultanze dell'istruttoria. Se le ragioni della decisione risultano da altro atto dell'amministrazione richiamato dalla decisione stessa, insieme alla comunicazione di quest'ultima deve essere indicato e reso disponibile, a norma della presente legge, anche l'atto cui essa si richiama.”
L’obbligo di motivazione è disposizione attuativa, da un lato, dell’art. 97 Cost. che, tra i principi che regolano l’attività amministrativa, ascrive il principio di legalità che vincola – almeno formalmente – le scelte della pubblica amministrazione ai 1ni determinati dalla legge e, dall’altro, dell’art. 41 CEDU che, nell’introdurre il diritto ad una buona amministrazione, stabilisce che, a nché l’attività amministrativa sia
imparziale ed equa, debba prevedersi, tra l’altro, l’obbligo (rectius: per le istituzioni, organi e organismi dell’Unione europea) di motivare le proprie decisioni.
La giurisprudenza amministrativa ha più volte chiarito la necessità da parte delle pubbliche amministrazioni di adempiere all’onere motivazionale in maniera chiara e intelligibile, evitando una «fuga dalla decisione» ovvero che dietro un provvedimento non su cientemente motivato si palesi un’istruttoria carente da parte del soggetto pubblico.
In tal senso anche il Consiglio di Stato con sentenza n. 11222 del 27 dicembre 2023, oltre a rilevare l’interesse del cittadino a che la motivazione sia adeguatamente formulata, ribadisce la stretta funzionalità dell’onere motivazionale con l’esigenza di trasparenza del procedimento amministrativo.
In ultimo e per completezza merita di essere richiamata, in tema di salario, la decisione del TAR Lombardia 2046/2023 (Servizi 1duciari) che annulla il verbale di disposizione n. 020/0G0/052 del 21 dicembre 2022 dell’Ispettorato Territoriale del Lavoro di Como-Lecco, con cui è stata disposta la corresponsione ai soci-lavoratori dipendenti della Cooperativa Servizi Fiduciari delle diIerenze retributive rideterminate secondo le tabelle retributive previste dal C.C.N.L. Multiservizi.
Il giudice amministrativo aIerma che il trattamento complessivo minimo da garantire al socio- lavoratore è quello previsto dal C.C.N.L. comparativamente più rappresentativo del settore, che funge da parametro esterno di commisurazione della proporzionalità e della su cienza del trattamento economico da corrispondere al socio lavoratore, ai sensi dell’art. 3G Cost. (cfr. Corte costituzionale, sentenza n. 51 del 2015).
In tal modo, sostiene il giudice amministrativo, si impedisce l’applicazione al socio-lavoratore di una Cooperativa di un Contratto collettivo c.d. “pirata” (sottoscritto da organizzazioni sindacali minoritarie e quindi poco rappresentative) o l’applicazione di
un Contratto collettivo non pertinente rispetto al settore di attività in cui opera la predetta Cooperativa.
La questione posta - tuttora di grande interesse e dibattuta nella giurisprudenza ordinaria ed amministrativa - è se l'autorità di controllo, in assenza di un salario minimo previsto (e imposto) dalla legge che individua le modalità di commisurazione del trattamento economico proporzionato e su ciente, può de1nire in sede ispettiva la giusta retribuzione.
La possibilità di individuare la giusta retribuzione in sede ispettiva comporta il vantaggio di una tutela rapida ed eIettiva del diritto dei lavoratori ma potrebbe comportare inevitabili conseguenze in termini di disparità di trattamento tra i lavoratori e le imprese. Ed invero il carattere parcellizzato e soggettivo degli interventi ispettivi con le ulteriori conseguenze, di cilmente preventivabili, nel loro impatto possono determinare una fonte di incertezza che l’ordinamento non può tollerare per i risvolti sociali e per quelli economici.
Soprattutto per questi ultimi pro1li della disparità e dell’incertezza è auspicabile un intervento normativo di natura complessiva e sistemica che indichi il salario minimo e i criteri di sua determinazione rinviando alla contrattazione collettiva tutto ciò che va oltre.
Un tale provvedimento favorirebbe l’esercizio del potere dispositivo rendendolo un valido ed e cace strumento di tutela dei diritti lavoratori, con il vantaggio di svolgere una funzione deRattiva del contenzioso e restituire certezza alle imprese assicurando altresì il corretto svolgimento della libera concorrenza nel mercato.