testo integrale con note e bibliografia
1. Sulla coessenzialità della salute nel discorso giuslavoristico
L’attenzione costante che si riscontra nel diritto del lavoro rispetto ai temi legati alla Salute costituisce un elemento coessenziale alla materia, stante la peculiarità del contratto di lavoro rispetto a tutti gli altri contratti costituita dall’immanenza della persona nel rapporto di lavoro.
Il diritto dei contratti infatti, con il lavoro, incespica nella persona rispetto alla quale è impreparato; nessun contratto, infatti, ne prevede la sussunzione. Potrebbe valere, a questo proposito, per tutti i lavoratori, la frase molto plastica che i sociologi hanno utilizzato per i lavoratori extracomunitari: “Cercavamo braccia e sono arrivati uomini” . È come se i datori volessero braccia o teste e si vedono arrivare dalla soglia della fabbrica, dell’ufficio, un uomo e una donna.
Questo impone di fare i conti con la persona e, dunque, con la sua salute.
2. Le nozioni della salute nel rapporto di lavoro. La salute come assenza di malattia.
Se è vero, dunque, che il discorso giuslavoristico sia intriso del tema della salute, è altresì evidente che diverse sono le nozioni della stessa; e ciò dipende dalle prospettive attraverso le quali si guarda alla salute.
Diventa perciò imprescindibile, prima di affrontare qualsiasi profilo sull’argomento, una preliminare riflessione sulle nozioni.
L’impostazione giuridica tradizionale, per esempio, ha confinato nell’ambito dell’interesse privatistico il bene “Salute” del lavoratore, intendendolo quale capacità di rendere la prestazione in favore del datore; per contro, quest’ultimo ha interesse a ricevere la prestazione; ne è conseguenza il fatto che ricadano sul lavoratore in malattia, quali obblighi che si inseriscono nel più ampio alveo della correttezza e buona fede, sia quello della reperibilità sia quello di non ritardare la convalescenza e, quindi, di non mettere in atto comportamenti incompatibili con il processo di guarigione, proprio perché il lavoratore possa tornare nel più breve tempo possibile nelle condizioni che gli consentano di erogare la propria energia psicofisica in favore del datore di lavoro.
Ne discende che, in quest'ottica, la nozione di salute coincide con la mancanza di malattia come condizione, a sua volta, che non consente la prestazione.
2 a. Segue. La nozione olistica di salute mutuata dall’OMS
Invero, l'Organizzazione Mondiale della Sanità, già dal 1946, ha dato una definizione diversa di salute che non è limitata all'assenza di malattia, ma costituisce una vera e propria nozione olistica perché si occupa della salute quale completo stato di benessere fisico, mentale e sociale del lavoratore.
Quindi si prende in considerazione una nozione di salute molto più ampia che sconfina rispetto gli steccati del contratto di lavoro e degli interessi ad esso sottostanti; essa viene giuridificata nel nostro ordinamento nell'articolo 2, comma 1, lettera o) del decreto legislativo 81 del 2008.
In realtà, accanto alla nozione di salute quale mera mancanza di malattia e a quella dell’OMS che si riferisce al completo stato di benessere del lavoratore, si rinviene nel nostro ordinamento quella contenuta nell'art. 2087 cod. civ., che obbliga il datore di lavoro, unitamente alla corresponsione della retribuzione, a farsi carico della salute fisica ma anche morale del lavoratore.
La disposizione codicistica, seppure scontando una qualche vetustà linguistica, adotta una nozione di salute del lavoratore che non si limita alla componente fisico-organistica.
Con la norma, dunque, già prima della giuridificazione della nozione olistica, ponendo in capo al datore proprio un obbligo rispetto alla tutela della salute del lavoratore, si vuole non solo dare ristoro al lavoratore che sia vittima di infortunio e cioè la cui salute risulti danneggiata dal lavoro (prospettiva rimediale), ma evidentemente, prevenire questi danni anche in chiave economica nell’interesse del datore (prospettiva prevenzionistica).
3. La prospettiva rimediale e quella prevenzionistica
Nel passaggio tra le diverse nozioni di salute si osserva il passaggio tra le diverse prospettive con le quali si guarda al tema.
L’attenzione del diritto del lavoro rispetto al tema segue almeno tre direttrici.
La prima coincide con una dimensione rimediale che è quella più antica, legata alla possibilità di rimediare quanto più possibile rispetto all'avvenuto infortunio sul lavoro o al verificarsi o insorgere di una malattia professionale.
E in questo senso, le leggi che si sono occupate della salute e sicurezza dei lavoratori costituiscono il nucleo essenziale di legislazione sociale, da cui poi ha preso le mosse tutto lo sviluppo del diritto del lavoro.
Più avanti nel tempo, alla prospettiva rimediale si è affiancata quella prevenzionistica, dunque preventiva rispetto al verificarsi del danno che implica una nozione più complessa di salute con differenti sfumature e declinazioni. In altri termini, rispetto a quest’ultimo approccio, occorre considerare che la dimensione prevenzionistica è più ampia e diversamente declinabile a partire da quante dimensioni della persona umana si prendono in considerazione; più sfaccettature della persona si prendono in considerazione e tanto più si allarga, conseguentemente, la nozione di salute, tante più dimensioni assume la prevenzione.
Un addentellato normativo che risulta esemplificativo di questo ragionamento è l'articolo 28 del decreto legislativo 81 del 2008, dal momento che questa norma di derivazione uni-europea, al di là della sua formulazione imperfetta, con parti giustapposte e compromissorie (con esso viene recepito l'accordo quadro europeo sullo stress lavoro - correlato e non quello coevo sul mobbing) allarga la tutela ai rischi psicosociali.
L’art. 28 costituisce il precipitato logico della nozione di salute adottata.
In primo luogo, infatti, se la salute non coincide soltanto con il benessere fisico, ma anche mentale e relazionale del lavoratore, la valutazione dei rischi deve rispecchiare questa tripartizione e, quindi, si prende in considerazione anche la dimensione sociale (nel rapporto di lavoro ci sono fasci di relazioni verticali e orizzontali che condizionano la qualità delle condizioni di lavoro e della prestazione).
Anche rispetto alla valutazione dei rischi sulla salute dei lavoratori si osserva, dunque, un allargamento di orizzonte, ricomprendendo anche quei rischi che sono dati appunto psico-sociali, rispetto ai quali il medium è lo stress lavoro-correlato.
In seconda battuta, questi rischi evocano la complessità. Essi, infatti, non hanno, come i rischi fisici, la causalità diretta tra causa e danno; sono a rischio soggettivizzazione, perché è evidente che la risposta all'esposizione al rischio non è meccanica e quindi non è uguale per tutti e, dunque, ogni valutazione dei rischi deve tener conto di tutte le interazioni tra l’organizzazione e i lavoratori e di tutte le possibili ricadute sulla salute dei lavoratori considerati nella loro medietà .
In ultimo, rimandano sia al contenuto sia al contesto del lavoro e, quindi, attengono proprio al profilo organizzativo (le modalità di espletamento della prestazione che ovviamente non sono neutre); e si allargano, appunto anche al contesto, che non solo evoca la dimensione organizzativa ma anche degli elementi che possono, a tal punto, ingerire nella vita delle persone, come per esempio le discriminazioni che, non a caso, in quella formulazione rinveniamo.
Tra le discriminazioni per genere, per provenienza geografica, per tipologia contrattuale, c’è anche il fattore età, che potrebbe essere preso in considerazione come portato dell'allungamento della vita umana ma anche della vita lavorativa e quindi, come dire, una dimensione da considerare sia per valorizzarla, sia per evitare che diventi un fattore di rischio.
La dimensione prevenzionistica, pertanto, per sua natura è multidimensionale e aperta, cioè, la considerazione di tutti gli aspetti della salute del lavoratore.
4. La prospettiva “qualitativa”.
L'estensione delle declinazioni che la salute può assumere a partire dalla logica della prevenzione induce però ad una considerazione ulteriore, anche a partire dagli studi medico-scientifici che sono invalsi sul tema e cioè quelli connessi alla salute totale del lavoratore , intendendo per essa la promozione della salute del lavoratore non limitata al contenimento dei rischi professionali. Trasponendo in ambito giuridico il ragionamento, si potrebbe dire che, così come la salute generale del lavoratore può peggiorare, in occasione del lavoro può avvenire il contrario. Se accedessimo ad una nozione promozionale della salute sui luoghi di lavoro, si potrebbe immaginare addirittura che attraverso il lavoro, in occasione del lavoro, persino a causa del lavoro o in concomitanza col lavoro, si possa promuovere una qualità della vita e della salute del lavoratore più alta.
Andando ancora oltre, si può osservare che, se l'obiettivo è quello di pensare alla salute non soltanto per evitare danni, ma di aumentarne la qualità, essa deve essere connessa più in generale e ancor prima alla qualità del lavoro.
Si propone, perciò, a questo proposito, una riflessione.
Quando parliamo addirittura di “Salute totale del lavoratore”, partendo dalla connessione salute-lavoro, si sta dando per scontato che ogni ulteriore aspetto del rapporto di lavoro (a iniziare dal trattamento retributivo e normativo; l’orario di lavoro) si svolga nel rispetto delle previsioni legali e contrattuali; così come, nella medesima prospettiva, si deve dare per acclarato il rispetto di tutti i dispositivi per la tutela della salute e sicurezza del lavoro; insomma, che si abbia un tasso accettabile e fisiologico di infortuni e che tutte le valutazioni dei rischi siano state fatte al punto da pensare addirittura all’innalzamento della qualità della salute.
Si deduce che la qualità della salute è perseguibile laddove la qualità di quel rapporto di lavoro sia già elevato e che, al contrario, non sia minimamente pensabile lo stesso ragionamento,, laddove il lavoro non abbia qualità o sia addirittura squalificato e squalificante per chi lo compie. Si pensi ai lavori molto precari, al lavoro grigio, al lavoro nero e quindi ai casi in cui non vi sia il rispetto degli altri standard in presenza dei quali si è al cospetto di un lavoro di qualità.
Per dirla in modo ancora più tranchant: se attraverso il lavoro (o in occasione del lavoro o a causa del lavoro o in concomitanza col lavoro) si può innanzare la qualità della salute della persona, si deve convenire che il lavoro di cui si parla è esso stesso di qualità; altrimenti, nessun lavoratore penserebbe che attraverso quel lavoro si possa raggiungere il pieno benessere o completo stato di salute e men che meno affiderebbe al proprio datore la “gestione” della propria salute in generale, oltre cioè alla dimensione meramente lavorativa.
Dunque, la riflessione sulla sicurezza si allarga, in questa prospettiva, al più generale stato di benessere del lavoro e della qualità di quest'ultimo.
In altri termini, nell’economia di questo contributo, si propone che accanto ai paradigmi tradizionali con i quali si è considerato il tema della salute nel discorso giuslavoristico e cioè quello del rimedio e della prevenzione multidimensionale, ci sia anche quello del lavoro di qualità osservato attraverso il prisma della salute del lavoratore.
Peraltro, a contrario, si consideri che nell'unica norma che abbiamo nell'ordinamento sullo sfruttamento, una norma penalistica e non lavoristica, tra gli indici in presenza dei quali si desume sfruttamento appunto, oltre alla mancata applicazione del contratto collettivo, si rinviene il mancato rispetto dell'orario di lavoro - che, non a caso ha sempre una matrice connessa alla salute – e la violazione delle norme a protezione della salute e sicurezza; se ne desume che è lavoro di qualità quello che ovviamente non sia sfruttato o povero o quello rispetto al quale gli standard di protezione sulla salute sicurezza vengano rispettati.
Si vuol dire, insomma, che parlare di salute consente di tenere insieme il basso e l'alto (il lavoro sfruttato e quello di qualità).
5. A mo’ di traccia conclusiva
Attraverso la salute, dunque, si può monitorare lo stato di qualità del lavoro e ciò in due direzioni. In positivo, si potrebbe perseguire innanzitutto l’individuazione, pur in mancanza di una norma che non sia quella penale di sfruttamento, “del lavoro senza qualità”; in positivo, laddove gli standard stiano tutti rispettati, questa prospettiva consente di andare oltre, perseguendo la salute “ulteriore” della persona, ancor prima del lavoratore; in altri termini, attraverso il lavoro (allargando lo sguardo agli strumenti di welfare aziendale, per esempio). La dimensione prevenzionistica non è connessa soltanto al rapporto di lavoro ma allo stato di salute in generale dei lavoratori; la salute “privata” incrocia, in tal modo, il tema della salute pubblica dal momento che è evidente che, quando la salute non è più solo quella del lavoratore sul luogo di lavoro o in occasione del lavoro ma quella della persona anche a prescindere e al di là della sfera lavorativa, si sconfina in una dimensione della salute che riveste carattere generale e, quindi, pubblico.
Quindi, la salute in una dimensione privata e la salute in una dimensione pubblica diventano tangenti così come salute dentro i luoghi di lavoro e salute fuori dal luogo di lavoro, in un continuum osmotico. Peraltro, non solo si tratta della salute del lavoratore e, più in generale della persona, ma anche della collettività, perché evidentemente se si promuove un modello virtuoso dentro il luogo di lavoro, esso ha delle “esternalità” virtuose positive sul sistema “salute” generale e sull'ambiente.
Si costruisce così, attorno all'analisi della qualità della salute del lavoratore, un altro paradigma possibile del lavoro di qualità.
In altri termini, si può costruire un paradigma del lavoro di qualità attraverso il filo rosso della salute del lavoratore.
Nel caso delle imprese virtuose, ciò consente di tenere insieme salute privata e pubblica, dentro e fuori, persona e collettività e, laddove vi siano imprese viziose, la salute diventa lo strumento attraverso il quale guardare tutto lo stato di salute, sia consentito il gioco di parole, del rapporto di lavoro (è davvero difficile immaginare che un datore non rispetti gli obblighi di sicurezza e poi applichi i ccnl o le norme sui tempi di lavoro).
La tutela della salute del lavoratore, perciò, diventa indice assai attendibile dello stato di salute, id est, della qualità di tutto il rapporto di lavoro.