testo integrale con note e bibliografia

All’interno del progetto PRIN 2017 “WORKING POOR N.E.E.D.S. New Equity, Decent work and Skills”, che ha coinvolto gli studiosi di quattro Università (Udine, Bologna, L’Aquila, Milano) e i cui risultati sono contenuti nel volume “Dal lavoro povero al lavoro dignitoso. Politiche, strumenti, proposte”, oggetto di presentazione e di dibattito nel corso del Convegno dell’Università di l’Aquila dell’8 novembre 2024, l’unità di ricerca aquilana si è occupata della prima parte della ricerca, cioè della definizione, delimitazione e analisi del c.d. lavoro povero in un’ottica necessariamente interdisciplinare.
Infatti, da un lato è necessario individuare il contesto economico nel quale può annidarsi il lavoro povero, il quale – preme anticiparlo subito –determina un significativo impatto negativo sul piano della crescita economica del Paese e, dall’altro, rivisitare, in chiave giuridica, le aree nelle quali il primo viene a manifestarsi che, secondo la stessa analisi economica, si innesca nella precarietà dei rapporti di lavoro, ma anche nell’indebolimento del potere di acquisto delle retribuzioni dei lavoratori subordinati .
In quest’ultimo contesto appare significativa la stessa proliferazione dei contratti di lavoro flessibili, che la legislazione degli anni duemila ha incentivato, spostando sostanzialmente il baricentro verso la precarietà dell’occupazione, senza trascurare poi l’emersione dei c.d. “nuovi lavori”, come nel caso della prestazione lavorativa resa attraverso l’utilizzo delle piattaforme digitali.
Sotto la lente del contesto economico deve essere preliminarmente sottolineato che avere lavoro a basso costo costituisce uno svantaggio economico per l’insieme delle aziende, perché riduce la domanda aggregata, formata in gran parte dai redditi dei lavoratori. Si innesca, pertanto, una spirale negativa, che incide fortemente sulla crescita economica, inferiore a quanto si potrebbe ottenere in presenza di redditi di lavoro più dignitosi.
Inoltre la presenza di lavoro povero modifica anche la composizione settoriale del sistema produttivo del paese. Se il paese si specializza nei settori in declino la crescita futura sarà compromessa; settori con alto ricorso al lavoro povero sono quelli caratterizzati da scarsa innovazione, forte concorrenza dai paesi del terzo mondo e riduzione costante delle vendite .
Altro profilo, nel quale possiamo rinvenire – secondo la felice puntualizzazione di un interprete – “povertà nonostante il lavoro” , è rappresentato dalla proliferazione dei contratti di lavoro atipici o flessibili e, in tale area, emergono, in particolare, il contratto di lavoro a tempo determinato e il lavoro a tempo parziale.
Sotto quest’ultimo versante il lavoro a tempo parziale spesso si configura come part- time c.d. involontario, quale unica alternativa per l’ingresso nel mondo del lavoro. Anche qui ci si può interrogare sul recupero del “principio della volontarietà”, peraltro fisiologicamente connaturato con una prestazione di lavoro ad orario ridotto, combinato con la possibilità di incentivare, con la “stampella” offerta dalla legge e dalla stessa contrattazione collettiva, la trasformazione del rapporto di lavoro (da tempo parziale a tempo pieno). Tale indicazione tende ad evitare che il lavoratore rimanga permanentemente “intrappolato” in un’occupazione precaria, la quale non gli consente di raggiungere condizioni economiche e normative dignitose.
Non devono essere neppure trascurate le nuove d forme di lavoro svolto attraverso l’utilizzo di piattaforme digitali, che, in primo luogo, comportano la necessità di “decodificare” le diverse fattispecie riconducibili al fenomeno (alle quali consegue la loro qualificazione in chiave giuridica) e, in secondo luogo, richiedono di apprestare una rete protettiva per lavoratori che normalmente si trovano in una condizione endemica di “debolezza contrattuale”.
Si tratta di assicurare una protezione non solo sotto il profilo individuale, ma anche collettivo, incentivando la presenza del sindacato, ma, soprattutto, sul piano della copertura previdenziale, laddove la “discontinuità occupazionale” – che condivide con le altre forme flessibili di impiego - pone un evidente vulnus non solo sul piano del trattamento economico, ma in particolare, sul piano pensionistico.
Comunque la prestazione di lavoro svolta mediante l’utilizzo di piattaforme digitali getta un ponte, in presenza di lavoratori formalmente autonomi, verso una diversa area dell’indagine sul lavoro povero che investe direttamente il lavoro autonomo, laddove la Carta costituzionale impone alla Repubblica di tutelare il lavoro “in tutte le sue forme ed applicazioni” (art. 35, primo comma, Cost.).
Se la tutela della persona che lavora, senza ulteriori aggettivazioni (rectius lavoro subordinato o autonomo) costituisce l’oggetto del programma costituzionale, come viene bel delineato dai contributi dei giupubblicisti e privatisti dell’unità di ricerca aquilana, allora anche nel lavoro autonomo è possibile rintracciare i segni del lavoro povero .
Qui si apre la questione dei professionisti intellettuali, i quali, nell’impossibilità di mantenere livelli di redditi congrui per continuare a esercitare la professione e spesso costretti ad abbandonarla per l’impossibilità di pagare i contributi minimi richiesti dalle casse professionali, si trovano dinanzi a quella che è stata definita dagli interpreti come “vulnerabilità economica”, comprensiva non soltanto di un impoverimento di tipo economico, ma anche relazionale e sociale .
Sul punto il legislatore vi ha posto mano, a più riprese, con una disciplina dell’equo compenso, ma, più in generale, nello stesso modello negoziale, consegnatoci dal codice civile, del contratto d’opera, si registra spesso una discrasia con il contesto socio – economico, che squarcia il velo di un lavoratore autonomo, il quale può trovarsi non più in una posizione di parità (peraltro formale) con il committente, ma, viceversa, in una condizione di sostanziale disparità, la quale lo avvicina al lavoratore povero.
Non a caso il legislatore è recentemente intervenuto a tutela del lavoro autonomo non imprenditoriale, con la legge n. 81 del 2017, in una logica che, seppure parziale, prende in esame proprio la “debolezza contrattuale” del lavoro autonomo. Sul punto è questa l’occasione – segnalata dai commentatori – di impiegare le tecniche di tutela offerte dai rimedi giusprivatistici, volti a far emergere l’”asimmetria” del potere contrattuale e correggere, con il criterio della meritevolezza degli interessi, il programma negoziale.
L’ambito finale della ricerca si intrattiene sugli aspetti amministrativo-contabili delle politiche attive del lavoro, se è vero che le forme di sostegno della povertà devono accompagnarsi – al fine di poter costituire un efficace strumento di contrasto di quest’ultima – con un cospicuo investimento delle risorse pubbliche nei percorsi di formazione e riqualificazione professionale.

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