testo integrale con note e bibliografia

1. Premessa: la durata dell’orario di lavoro nell’era del lavoro agile. – Nelle logiche fordistiche l’essenza del lavoro subordinato è sempre stata connessa alla necessità di trascorrere la giornata in un luogo fisso per un lasso di tempo predeterminato . Il quadro muta con l’accentuarsi di rapidi e profondi cambiamenti tra cui la globalizzazione e la crescente digitalizzazione, determinando l’intensificazione dei ritmi lavorativi . La modernità digitale ha fatto sì che i confini tra il tempo della prestazione e quello dedicato al lavoratore non siano più definiti come nei rapporti di lavoro improntati alle ciclicità stabili ma appaiono più fragili , trovandosi, così, il lavoratore a svolgere la prestazione senza un preciso vincolo orario . Nello stesso Protocollo nazionale sul lavoro agile del 7 dicembre 2021 si afferma che «l’assenza di un preciso orario di lavoro» e «l’autonomia nello svolgimento della prestazione nell’ambito degli obiettivi prefissati» costituiscono caratteristiche principali del lavoro agile.
Nel rapporto di lavoro subordinato, tuttavia, il fattore tempo costituisce un elemento essenziale ed è correlato alla prestazione di lavoro o, in altri termini, alla prestazione debitoria del datore di lavoro. In particolare, tale collegamento sussiste con lo status di disponibilità del prestatore di lavoro, cioè il periodo durante il quale il datore di lavoro esercita il potere direttivo .
Per misurare il lavoro, la legge deve rifarsi al tempo come unità di misura della prestazione di lavoro e per questa ragione l’ordinamento ha bisogno di definire il tempo tramite l’orario di lavoro benché, in casi ben determinati, sia possibile avere un rapporto di lavoro subordinato senza un orario misurato .
In relazione al lavoro agile, l’art. 18 della l. 81/2017 prevede esplicitamente che debba esser prestato nei limiti della durata massima previsti dalla legge e dalla contrattazione collettiva. Le istituzioni dell’Unione Europea si mostrano molto attente a questo aspetto, considerando la durata massima dell’orario lavorativo – in Italia sancita dal d.lgs. 66/2003 - come un diritto di ogni lavoratore .
Il problema che sorge, specie nelle circostanze in cui la prestazione lavorativa viene effettuata con la modalità di lavoro agile, è dato dalla corretta misurazione della durata dell’orario di lavoro.
La proposta di direttiva allegata alla risoluzione del Parlamento europeo del 21 gennaio 2021, imporrebbe agli Stati membri di garantire che «i datori di lavoro istituiscano un sistema oggettivo, affidabile e accessibile, che consenta la misurazione della durata dell’orario di lavoro giornaliero svolto da ciascun lavoratore nel rispetto del diritto dei lavoratori alla vita privata e alla tutela dei dati personali. I lavoratori possono chiedere ed ottenere il registro del loro orario di lavoro» . Su tale scia, nel panorama spagnolo, l’art. 39.co.4 dello Estatuto de los trabajadores sancisce espressamente l’obbligo di tenuta di un registro di orario giornaliero nel quale venga indicato l’orario concreto di inizio e fine di ogni lavoratore, senza alcun pregiudizio per la flessibilità temporale. La letteratura giuridica spagnola ha messo in luce alcuni elementi sui quali è bene soffermarsi, ovvero la necessità che la registrazione riguardi sia il numero di ore dedicate al lavoro, sia la sua distribuzione oraria, essendo ammesso qualsiasi sistema di registrazione (cartaceo, telematico o misto) purché ne garantisca la tracciabilità e la non modificabilità. Questa sembra una soluzione compatibile con la sentenza Federaciòn de Servicios de Comisiones Obras (CCOO) della Corte di Giustizia UE del 14 maggio 2019. Secondo i giudici di Lussemburgo, infatti, «gli Stati membri devono imporre ai datori di lavoro l’obbligo di predisporre un sistema oggettivo, affidabile e accessibile che consenta la misurazione della durata dell’orario di lavoro giornaliero svolto da ciascun lavoratore» . Nel nostro ordinamento vi è la previsione del Libro unico del lavoro (LUL), uno strumento meno rigoroso rispetto agli altri europei in quanto al suo interno sono riportate le ore complessivamente svolte dal lavoratore e non anche l’articolazione temporale della giornata . L’esigenza di predisporre uno strumento consono a garantire la corretta misurazione dell’orario di lavoro si accentua soprattutto dopo il processo di destrutturazione del tempo di lavoro in quanto la flessibilità dell’orario di lavoro non può pregiudicare, in alcun modo, la fruizione del tempo libero della persona e la tutela della salute, la quale assume un rilievo costituzionale . A parere di chi scrive, bisognerebbe fare in modo che qualsivoglia strumento consideri che le implicazioni derivanti dal concetto di ‘’orario di lavoro’’ siano cambiate a fronte dell’organizzazione lavorativa destrutturata. Di qui la consapevolezza della odierna palese difficoltà nella corretta e definita individuazione del requisito della disponibilità .

2. I rischi della remotizzazione. – I risvolti dei processi di dematerializzazione spazio-temporale possono sfuggire al controllo del lavoratore. La cultura working everytime and everywhere favorisce disturbi di tipo comportamentali come, ad esempio, il workaholism il quale si manifesta in seguito all’impossibilità di riuscire a controllare i propri ritmi lavorativi, non riuscendo a delegare in alcun modo i propri compiti. Questa condizione causa fenomeni di autosfruttamento ed è connessa a un’ulteriore condizione patologica, il c.d. technostress , in cui incorrono i lavoratori che si mostrano incapaci di utilizzare le tecnologie in modo sano, non riuscendosi a sentirsi al passo con l’evolversi del mutamento della dimensione organizzativa del lavoro .In particolare, si distinguono i fenomeni di techno-strain da quelli di techno-anxiety. Nel primo caso, l’utilizzo degli strumenti tecnologici è associato a un elevato senso di disorientamento e stress, mentre nel secondo il disagio sfocia in un senso di agitazione, paura e rifiuto. Ciò che, però, è riscontrabile in entrambi i casi è l’incertezza causata dall’impatto della tecnologia la quale – in ambito lavorativo – può influire sull’ (in)capacità del lavoratore di dare seguito alla corretta gestione sia del maggiore carico di lavoro in termini di quantità di informazioni o velocizzazione dei processi (“techno-overload”), sia dell’impiego di strumenti complessi e difficili da padroneggiare (“techno-complexity”) . I disagi percepiti dai lavoratori che svolgono la propria attività lavorativa a distanza - resi evidenti mediante delle ricerche empiriche - non si limitano a questi già esposti (come si illustrerà nella trattazione che segue) . I rischi per la salute dei lavoratori sono andati costantemente evolvendosi con il progresso tecnologico. Comunemente per indicare quest’ultimi, viene utilizzata la definizione di rischi psicosociali in quanto questi sono correlati al contesto sociale, lavorativo e alla percezione dello stesso lavoratore . A seconda di come i fattori psicosociali vengono gestiti e percepiti da ciascun lavoratore, possono avere effetti sia positivi (eustress), che negativi (distress). In quest’ultimo caso, provocando l’esaurimento o il superamento di risorse personali utili a fronteggiarlo, possono determinare l’insorgenza di rilevanti patologie . Al fine di vagliare gli strumenti utili a scongiurare il verificarsi degli effetti negativi dei rischi è importante tenere a mente la previsione legislativa - di cui all’art. 28 del d.lgs. 81/2008 - secondo la quale la valutazione dei rischi deve necessariamente riguardare (anche) i rischi da stress lavoro correlato , uno dei capisaldi del benessere organizzativo . L’obbligo valutativo deve essere interpretato in senso dinamico coerentemente a quanto sancito nella direttiva 89/391/CE . La fattispecie aperta discende altresì dall’art. 2087 c.c. , grazie al quale la dottrina e la giurisprudenza italiana sono riuscite ad innalzare i livelli di tutela dell’obbligo di sicurezza sino ad arrivare al principio della ‘’massima sicurezza tecnologicamente possibile’’ . È proprio da questo articolo che, in quanto norma in bianco, discende un obbligo di continuo aggiornamento degli standard di prevenzione tenendo conto delle acquisizioni tecniche e di «una funzione di adeguamento permanente dell’ordinamento alla sottostante realtà socio-economica, che ha una dinamicità ben più accentuata di quella dell’ordinamento giuridico, legato a procedimenti e schemi di produzione giuridica necessariamente complessi e lenti» . In quest’ottica, la norma integra il corpus delle norme tecniche, nell’ipotesi in cui, in assenza di specifiche disposizioni legislative, si accerti comunque l’esistenza di rischi, e conseguentemente, la necessità, secondo le conoscenze tecniche del tempo, di apprestare le misure idonee a tutelare i lavoratori dai potenziali rischi presenti , ambendo ad offrire una tutela piena .

3. Segue: Un diritto di nuovo conio: il diritto alla disconnessione. – Certamente la digitalizzazione del mondo del lavoro rende meno netti i confini tra l’attività lavorativa e la vita privata e rischia di sottoporre i lavoratori a una costante connessione che finisce per rendere loro reperibili in qualsiasi momento, indipendentemente dall’orario, determinando una prolungata tensione derivante dall’uso dei dispositivi tecnologici in grado di causare rilevanti problemi. Nell’attuale fisionomia del lavoro è plausibile pensare che la giornata lavorativa non si identifica con l’uscita dall’ufficio essendo frequenti fenomeni di ‘’dipendenza tecnologica’’ la quale si manifesta con una consultazione eccessiva alle e-mail ricevute al termine della giornata di lavoro, emergendo, così, uno stato costante di allerta con il fine di soddisfare le richieste del datore di lavoro. In questo contesto, non restano estranei fenomeni di insonnia, stress lavoro correlato, burnout e time porosity (indicando con tale termine particolari fenomeni di interferenza tra ciò che è considerato tempo di lavoro e ciò che è considerato tempo personale) . È opportuno dare la giusta importanza alla disconnessione , introdotta nel nostro ordinamento con la l. n.81/ 2017 . Il legislatore interviene ancor prima che il rischio di overworking si palesa – successivamente all’esperienza pandemica - con il Rapporto Istat del 2020, nel quale il 40% dei lavoratori agili, durante la pandemia, dichiara di aver lavorato oltre l’orario di lavoro. La l. n.81/2017, però, pur riconoscendo la necessità del lavoratore di disconnettersi, non la qualifica espressamente come un diritto .
La legislazione europea, da sempre interessata a questi temi, come si è detto, nel 2021 adotta una risoluzione del Parlamento europeo allegando una proposta di direttiva nella quale si intende la disconnessione come il mancato esercizio di attività o comunicazioni lavorative tramite strumenti digitali, al di fuori dell’orario di lavoro, prevedendo un vero e proprio divieto per i datori di lavoro di contattare i lavoratori. Nello stesso anno, il legislatore interno interviene nuovamente, ammettendo, forse, in maniera implicita la debolezza della soluzione offerta dalla legge sul lavoro agile, la quale affida il diritto alla disconnessione all’accordo individuale tra le parti.
Non si può non ricondurre il diritto alla disconnessione alla categoria dei diritti fondamentali della persona, capace di rafforzare il diritto al riposo e strettamente connesso al diritto alla salute . In accordo con questa visione, seppure non esaustivamente, si pone l’art. 2, comma 1-ter del d.l. n. 13 marzo 2021, n.30, conv. dalla l. n.61/2021 ai sensi del quale «l’esercizio del diritto alla disconnessione, necessario per tutelare i tempi di riposo e la salute del lavoratore, non può avere ripercussioni sul rapporto di lavoro e sui trattamenti retributivi» . Tuttavia, nonostante la l. 6 maggio 2021, n.61 all’art. 2 comma 1-ter qualifichi la disconnessione come un vero e proprio diritto del lavoratore è discutibile la mancata previsione di una sanzione nel caso in cui il datore di lavoro violi tale divieto. Portando, invece, alle estreme conseguenze questa mancata previsione, potrebbe ricondursi sotto l’ombrello protettivo di cui all’art. 2087 c.c.
L’istituto in esame è comunque in grado di incidere su molti aspetti rilevanti come, oltre che sul diritto alla salute, sulla finalità conciliativa del lavoro agile con le esigenze di vita personali e familiari.

4. La conciliazione vita lavoro tra work life balance e work life blending. - Il tema della conciliazione vita lavoro è indissolubilmente legato al diritto alla disconnessione, in quanto solo attraverso il corretto rispetto di tale diritto è possibile raggiungere il work life balance. Con i vari provvedimenti legislativi (si pensi alla riforma Fornero del 2012, al Jobs Act, alle c.d. leggi di stabilità del 2016 e 2017 e alla l. n. 81/2017) si è cercato di rispondere alle varie sollecitazioni provenienti dall’Unione Europea che spinge a incrementare le nostre politiche pubbliche per armonizzare i tempi di vita e quelli di lavoro . La conciliazione, però, ha avuto una vita difficile, influenzata da un contesto economico globalizzato condizionato e altresì dalla crisi del welfare . Maggiore favore hanno avuto le forme di lavoro a distanza, da interpretare quali possibili veicoli per l’affermazione della conciliazione. Sin dalla prima forma di lavoro a distanza, penso al telelavoro, le parti sociali lo hanno considerato come un mezzo idoneo a conciliare l’attività lavorativa con la vita sociale. L’art. 8 dell’accordo interconfederale per il recepimento dell’accordo quadro europeo sul telelavoro del 9 giugno 2004 tra Unice/Ueampme/ Ceep/ Ces prevede che «nell’ambito della legislazione, dei contratti collettivi e delle direttive di aziendali applicabili, il telelavoratore gestisce l’organizzazione del proprio tempo di lavoro». Tale risultato può esser più facilmente raggiunto quando si svolge nelle forme off line e one way line, vale a dire quando le direttive del datore di lavoro vengono rese solo quando il lavoro non è ancora stato prestato e il potere di controllo viene esercitato solo quando il lavoro è stato concluso. Non è la sede per soffermarsi su tale istituto ma è bene precisare che questa non è l’unica modalità in cui la prestazione lavorativa può esser resa: esiste anche la modalità on line con la quale l’orario dei telelavoratori coincide con quello dei lavoratori che operano all’interno dei locali aziendali .
Chiaramente, anche lo smart working rientra tra le modalità di svolgimento della prestazione lavorativa con cui sembrerebbe maggiormente possibile assicurare un giusto equilibrio tra la vita personale e lavorativa . Com’è noto, la l. n. 81/2017 sancisce esplicitamente che la promozione del lavoro agile ha lo scopo di agevolare la conciliazione dei tempi di vita e di lavoro . Con l’utilizzo della modalità di lavoro agile, sarebbe possibile lavorare senza precisi vincoli di orario e luogo e (apparentemente) potrebbe sembrare la forma migliore per armonizzare il tempo dedicato al lavoro rispetto agli altri tempi della vita personale. Tuttavia, il legislatore sovranazionale suggerisce che l’uso del lavoro a distanza dovrebbe esser limitato. Con tale indicazione, vi si riconduce a tutti i rischi relazionati alla possibile sovrapposizione tra tempo di lavoro e riposo (su cui supra).
La flessibilità oraria può, dunque, rappresentare un’opportunità di conciliazione in grado di garantire il work life balance, per meglio dire il corretto equilibrio le energie dedicate alla vita professionale e a quella privata . Ma, dal punto di vista diametralmente opposto, può rischiare di accentuarne il conflitto dando vita a fenomeni che in letteratura sono stati identificati con il termine work life blending dove blending dal punto di vista etimologico sta per fusione, appunto, tra vita privata e lavorativa, anche a prescindere dal sistema di calcolo della retribuzione che può essere orario, per obiettivi, su budget temporali, settimanali o mensili .
Intervenire sul rapporto tra il tempo libero e tempo di lavoro è una condizione essenziale affinché questi non possano esser vissuti ovvero subiti passivamente . È importante che la riflessione giuridica si soffermi su tale aspetto attraverso un ripensamento degli strumenti conciliativi, garantendo sia la volontà nella scelta dei programmi flessibili che il rispetto della vita privata. L’obiettivo di riuscire a trovare una giusta combinazione tra il lavoro retribuito e la gestione della vita privata con l’aiuto delle tecnologie è senz’altro complesso, ma fondamentale per offrire un’adeguata tutela ad ogni lavoratore che svolge la propria prestazione mediante forme di lavoro a distanza. In caso contrario, è presumibile che la giurisprudenza sia chiamata a forzare il dato normativo come spesso accade .

5. La strada della parità e l’equilibrio dei tempi familiari. - Per affrontare questa disamina, bisogna partire dal presupposto che il diritto alla conciliazione è in grado di produrre un impatto che va misurato attraverso un’ampia trasformazione di valori con il fine di riequilibrare il tempo familiare . Oltre il lavoro flessibile, tra le misure più indicate per favorire la conciliazione vi sono i congedi , ma l’uso dell’istituto ha condizionato il modo stesso di approcciarsi alla conciliazione, in quanto, in principio, è stato costruito intorno alla concezione secondo la quale le funzioni di assistenza e la cura del minore veniva svolta principalmente dalla madre. La giurisprudenza non ha mancato di pronunciarsi in tal senso, sottolineando la necessità di una tutela speciale nei confronti della donna . Del resto, nella nostra Costituzione è contenuta in maniera esplicita l’espressione «essenziale funzione familiare della donna» . Attualmente, è indubbia la possibilità di andare oltre questa concezione e dare maggiore rilevanza alle «misure che incoraggiano gli uomini ad adeguare il proprio orario di lavoro alle proprie responsabilità».
In un secondo momento, infatti, incomincia a diffondersi un’idea di conciliazione differente, alla luce della quale gli uomini cominciano ad esser considerati, al pari delle donne, protagonisti principali all’interno della coppia. Questa concezione è ispirata a una più equa distribuzione degli impegni, promuovendo un modello in cui vige la condivisione della cura. Si afferma, dunque, l’idea di ‘‘conciliazione condivisa’’ . In questo scenario, particolare rilevanza assume la risoluzione del Parlamento europeo del 13 settembre 2016 nella quale viene sottolineato che per affrontare questioni di genere è inevitabile sostenere propedeuticamente un cambiamento culturale e assicurare il tempo imprescindibile per adempiere alle finalità di cura, sia alla madre che al padre, con una ripartizione equa. Questo principio è stato, poi, richiamato nella direttiva del Parlamento e del Consiglio europeo del 10 maggio 2023, n. 970 secondo cui è necessario promuovere l’equa divisione delle responsabilità tra donna e uomini nella cura dei figli e delle persone a carico. Uno specifico tentativo di salvaguardia della conciliazione tra vita privata e vita professionale è stato effettuato con la direttiva n.1158 del 20 giugno 2019. La previsione di condizioni minime relative al congedo di paternità previste nella direttiva conduce al possibile raggiungimento del work life balance, concentrandosi su entrambi i genitori affinché sia loro consentito di continuare a far parte della forza lavoro, tenendo in considerazione gli interessi familiari. La direttiva invita gli stessi lavoratori a beneficiare degli strumenti digitali per l’esecuzione della prestazione lavorativa valorizzando gli aspetti positivi del lavoro flessibile . Allontanandoci dalla prospettiva europea, si può notare come anche il legislatore interno ha perseguito l’obiettivo della maggiore conciliazione tra vita privata e lavorativa prediligendo la condivisione delle responsabilità di cura e assistenza in ambito familiare mediante il d.lgs. 105/2022 , il quale introduce il congedo di paternità obbligatorio che vanta di una tutela rilevante rispetto al mancato riconoscimento del diritto da parte del datore di lavoro giacché, in questo caso, quest’ultimo verrà sanzionato .
In conclusione, affinché possano essere valorizzati anche gli aspetti positivi delle forme di lavoro a distanza, queste potrebbero prestarsi ad essere uno strumento in grado di consentire una corretta ripartizione degli obblighi genitoriali, facendo sì che l’uomo possa realmente essere titolare di responsabilità di cura in ambito familiare.
Sarebbe opportuno favorire una ‘’carriera di vita’’ durante la quale l’ambito lavorativo riesca a fondersi in maniera sinergica con i valori che riguardano la vita e gli aspetti familiari .

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