testo integrale con note e bibliografia
Il sistema italiano di previdenza complementare contempla l’affiancamento, in situazione di quasi parità concorrenziale, delle forme pensionistiche complementari individuali a quelle collettive.
Questa distinzione, in verità, ha perduto larga parte del suo significato dopo che, con la riforma del 2005, fu eliminata la condizione per cui l’adesione alle forme pensionistiche complementari individuali fosse condizionata alla insussistenza o inoperatività delle fonti istitutive di fondi pensione negoziali (recte: chiusi).
Ciononostante, la dottrina giuslavoristica, dopo una fase iniziale in cui la previdenza individuale è stata oggetto di analisi prevalentemente critiche, per l’asserita svalutazione della solidarietà in essa implicita, non ha dedivato alla previdenza complementare individuale l’attenzione che merita.
La recente presa d’atto politica della indispensabilità della previdenza complementare, stante la prospettica strutturale insufficienza della previdenza di base a ripartizione nell’attuale contesto di grave crisi demografica, ha alimentato, a ridosso del dibattito sulla legge di Bilancio 2025, l’idea che siano necessarie misure di rilancio e potenziamento sia della forme negoziali-collettive, sia di quelle individuali, all’insegna di una sinergia piuttosto che di una competizione.
Nel passaggio legislativo, la proposta “forte” ma dal sapore vincolistico, di prevedere per i neo-assunti (quindi per i giovani) una nuova “tornata” di conferimento semi-automatico, o di conferimento parziale obbligatorio, del TFR, ha lasciato il passo a una misura di sostegno solo indiretto e sussidiario alla previdenza complementare, prevedendosi il computo della rendita complementare teorica ai fini del raggiungimento della soglia pensionistica utile per il conseguimento della prestazione di base a 64 anni di età.
Vero è che - come osservato in dottrina (P. Sandulli Prime riflessioni sul secondo welfare nella legge di bilancio 2025, Blog Mefop, gen. 2025) - la più efficace strategia per perseguire l’obiettivo della cd. “obbligatorietà” della previdenza complementare sarebbe quella di utilizzare il canale contrattuale collettivo, restando così nella logica del sistema, ma smitizzando il principio della libertà di adesione, che a ben vedere non ha senso se messo in contrapposizione con l’autonomia collettiva). A sostegno di questo percorso starebbero, a ben vedere, ragioni analoghe a quelle che, sulla scorta di una ricerca CNEL, hanno dissuaso finora il legislatore dall’ intervenire sul salario minimo, puntando sulla contrattazione collettiva (A. Tursi, Salario minimo legale, salario minimo contrattuale o efficacia erga omnes dei contratti collettivi ?, Lav.Dir.Eur. n. 2/2022). Nell’attesa che maturino le condizioni politiche per nuove misure legislative di sviluppo della previdenza complementare, auspicabilmente estese a quella individuale, la Rivista ha deciso di ospitare in questo forum un quadro organico di interventi dottrinali, arricchiti da una qualificata testimonianza aziendale, centrati sul ruolo e sulle prospettive di sviluppo della previdenza complementare individuale, in chiave di sostegno sinergico a quella collettiva; interventi dai quali emerge la rilevanza centrale della diffusione capillare dell’educazione previdenziale nelle scuole, e della informazione e formazione previdenziale nelle stesse aziende.
I contributi qui raccolti riprendono gli interventi al convegno svoltosi presso l’Università degli studi di Milano il 21 ottobre 2024.