testo integrale con note e bibliografia
La previdenza complementare privata svolge un ruolo importante nel sistema pensionistico italiano L'introduzione delle forme pensionistiche individuali ha tuttavia trasformato il lavoratore in un investitore consapevole, responsabile della gestione del proprio risparmio previdenziale. Questa evoluzione ha portato a una maggiore frammentazione della previdenza, con implicazioni sul delicato equilibrio tra dimensione individuale e collettiva nella tutela degli interessi sociali. La previdenza complementare privata deve quindi bilanciare la funzione pubblica di tutela sociale con la dimensione privata ed economica. La regolamentazione delle forme pensionistiche individuali deve garantire un equilibrio tra questi due aspetti, promuovendo principi di buona governance, correttezza, trasparenza, efficienza e solidità patrimoniale
Private supplementary pension schemes play an important role in the Italian pension system. However, the introduction of individual pension plans has transformed workers into conscious investors, responsible for managing their own retirement savings. This evolution has led to greater fragmentation of pension provisions, with implications for the delicate balance between individual and collective dimensions in safeguarding social interests. Private supplementary pensions must therefore balance the public function of social protection with the private and economic aspects. The regulation of individual pension schemes must ensure a balance between these two aspects, promoting principles of good governance, fairness, transparency, efficiency, and financial stability.
Sommario: 1. Il “paradosso” della previdenza complementare privata e le sue finalità. 2. Le forme pensionistiche individuali: i fondi pensione aperti. 3. La gestione dei fondi pensione aperti. 4. I piani pensionistici individuali: nozione e caratteristiche. 5. Gestione patrimoniale e separazione delle risorse finanziarie nei Pip. 6. La tutela dell’interesse degli assicurati nella gestione. 7. La regolamentazione dei conflitti di interesse nei PIP
1.Il “paradosso” della previdenza complementare privata e le sue finalità.
La disciplina della previdenza complementare prevede diverse tipologie di forme pensionistiche, collettive ed individuali, per integrare il trattamento pensionistico pubblico con una copertura aggiuntiva, al fine di mantenere invariato il tenore di vita nel periodo successivo alla cessazione dell’attività lavorativa.
In questo sistema, i fondi pensione “chiusi” (o negoziali), sono riservati ai lavoratori individuati da specifiche “fonti istitutive” come contratti collettivi, accordi sindacali o regolamenti interni di enti e aziende, mentre i fondi pensione “aperti” e i piani pensionistici individuali sono accessibili anche a singoli individui, senza vincoli con particolari settori professionali o datori di lavoro.
La disciplina della previdenza complementare privata ha un duplice obiettivo: contenere il peso finanziario del sistema pensionistico pubblico, riducendo progressivamente le prestazioni erogate, e promuovere il ruolo del sistema privato, basato su criteri di capitalizzazione e una gestione efficiente ed economicamente sostenibile, in risposta alle sfide demografiche che mettono in crisi il tradizionale modello previdenziale pubblico a ripartizione.
Inoltre, lo sviluppo della previdenza complementare privata favorisce la crescita del mercato dei capitali, offrendo nuove risorse per gli investimenti e contribuendo al rafforzamento del tessuto economico.
L’introduzione delle forme pensionistiche individuali ha modificato il rapporto tra autonomia collettiva e libertà individuale. Il lavoratore non è più visto come destinatario passivo delle tutele collettive, ma come investitore consapevole e responsabile della gestione del proprio risparmio previdenziale. Questo cambio di paradigma avvicina il concetto di montante contributivo a quello di investimento finanziario ( ).
Questa evoluzione comporta una maggiore frammentazione della previdenza, con riflessi sul delicato equilibrio tra dimensione individuale e collettiva nella tutela degli interessi sociali.
Il rapporto tra previdenza pubblica e privata è pertanto intrinsecamente complesso e talvolta contraddittorio. Sebbene la previdenza complementare abbia una matrice privatistica, essa contribuisce a realizzare finalità pubbliche, in linea con quanto previsto dall’art. 38, c. 2, Cost., che garantisce il diritto dei lavoratori a mezzi adeguati in caso di vecchiaia e situazioni di bisogno.
Nonostante le tensioni tra concorrenza e principi di solidarietà, queste dimensioni non si escludono a vicenda. La giurisprudenza europea ha riconosciuto che la concorrenza può coesistere con la tutela di interessi sociali, purché si mantenga un equilibrio adeguato. Il legislatore nazionale, avvalendosi di un ampio margine di discrezionalità, ha il compito di modulare tale equilibrio ( ).
Il progressivo superamento del modello basato esclusivamente sui fondi negoziali e l’ampliamento delle possibilità di scelta per il lavoratore si allineano con l’approccio pluralistico della Costituzione italiana e con le indicazioni dell’Unione Europea. Tuttavia, il processo di privatizzazione della previdenza solleva interrogativi sia teorici sia pratici, in merito alla capacità del sistema privato di garantire livelli adeguati di sicurezza economica per la popolazione, rispetto alle garanzie offerte dal sistema pubblico.
Emerge la quindi la distinzione tra risparmio previdenziale, destinato a coprire i rischi legati alla perdita della capacità lavorativa (art. 38 Cost.), e risparmio finanziario, finalizzato a scopi d’investimento (art. 47 Cost.). L’integrazione della previdenza con i mercati finanziari comporta rischi legati alla volatilità e alle possibili pratiche scorrette, come dimostrato da scandali finanziari del passato (ad es. i casi Maxwell ed Enron ( )).
Nonostante questi rischi, la previdenza complementare svolge un ruolo fondamentale nel garantire il benessere dei lavoratori, integrando il sistema pubblico senza sostituirlo. La Corte Costituzionale ha riconosciuto la previdenza complementare privata come parte del sistema di tutela previsto dall’art. 38, c. 2 e 4, confermandone la rilevanza sociale ( ).
Pur restando un sistema volontario, la previdenza complementare assume una funzione strategica nel garantire la sostenibilità del welfare, senza obbligare i cittadini all’adesione, riflettendo un equilibrio tra libertà individuale e tutela collettiva, in linea con i principi costituzionali.
La previdenza complementare non va quindi considerata, per la sua volontarietà, una componente fondamentale ed ineliminabile della tutela costituzionale del diritto alla sicurezza sociale, pur rientrando in essa.
La previdenza complementare privata, e soprattutto con le forme previdenziali individuali, si caratterizza dunque per una complessità intrinseca e per alcune contraddizioni strutturali: da un lato, si inserisce pienamente nel contesto dei mercati finanziari, in quanto i fondi raccolti sono gestiti attraverso strumenti di natura finanziaria o assicurativa; dall’altro, coinvolge aspetti di rilevanza sociale, come la protezione del rapporto di lavoro e la tutela previdenziale. Tale doppia dimensione genera una tensione tra la logica economico-finanziaria e le finalità di welfare, configurando il “paradosso” della previdenza complementare privata ( ).
Tale paradosso può rendere particolarmente complessa l’integrazione tra le diverse esigenze coinvolte. Se la gestione patrimoniale e finanziaria dei fondi pensione e delle altre forme di previdenza complementare rientrano nell’ambito delle regole che disciplinano il mercato finanziario, tali attività non possono prescindere dalle implicazioni di carattere sociale, legate alle dinamiche del lavoro, alle relazioni industriali e alla protezione previdenziale.
La regolamentazione della gestione dei fondi pensione deve cercare un equilibrio tra funzione pubblica di tutela sociale e dimensione privata ed economica della previdenza complementare. Acquisiscono quindi particolare rilevanza i principi di buona governance, correttezza, trasparenza, efficienza e solidità patrimoniale: pilastri fondamentali della disciplina dei mercati finanziari. Il legislatore ha scelto di affidare una parte significativa della protezione previdenziale dei cittadini al sistema finanziario, confidando nella sua capacità di garantire efficienza e sostenibilità.
La disciplina delle forme pensionistiche complementari, collettive e individuali, richiede pertanto un’integrazione tra le normative tradizionali del mercato finanziario e quelle specifiche della previdenza complementare. L’obiettivo è offrire una tutela effettiva agli aderenti, che si trovano in una duplice posizione: sono risparmiatori, e quindi clienti degli intermediari finanziari che gestiscono fondi e piani, e beneficiari di prestazioni previdenziali, che rispondono a esigenze di sicurezza sociale.
2.Le forme pensionistiche individuali: i fondi pensione aperti.
Le forme pensionistiche individuali comprendono i fondi pensione aperti e i piani pensionistici individuali (PIP), previsti dagli artt. 12 e 13 del D.Lgs. n. 252/2005.
Mentre i fondi pensione negoziali si configurano come soggetti giuridici di natura associativa, ai sensi dell’art. 4, D.Lgs. n. 252/2005, i fondi pensione aperti non possiedono personalità giuridica autonoma rispetto all’ente promotore. Sono istituiti come patrimoni separati, destinati all’erogazione delle prestazioni pensionistiche per gli aderenti, con una gestione che evita la creazione di un nuovo ente autonomo, ma garantisce comunque la separazione patrimoniale ( ).
Il termine “aperti” sottolinea la possibilità di adesione libera, senza specifici accordi collettivi. Possono aderire i lavoratori privi di forme pensionistiche “chiuse” e qualsiasi individuo, anche mediante il conferimento del TFR e su base individuale o collettiva.
I fondi aperti possono essere istituiti da soggetti autorizzati alla gestione patrimoniale di fondi pensione chiusi: banche, società di intermediazione mobiliare (SIM), compagnie di assicurazione, società di gestione del risparmio (SGR). Essi gestiscono direttamente il patrimonio del fondo, ma possono anche delegare attività specifiche ad altri soggetti qualificati, mantenendo la supervisione complessiva sulla gestione e monitorando le modalità operative del gestore delegato.
Strutturalmente, i fondi pensione aperti sono configurati come patrimoni di destinazione separati, distinti dal patrimonio dell’ente promotore, in conformità all’art. 4, c. 2, D.Lgs. n. 252/2005 e all’art. 2117 c.c., garantendo che i creditori della società promotrice non possano rivalersi sulle risorse del fondo, mentre gli aderenti mantengono un diritto di credito sulle somme accumulate.
Gli aderenti ai fondi pensione aperti hanno una posizione assimilabile a quella dei partecipanti a fondi comuni di investimento: non detengono la proprietà diretta delle quote, ma un diritto di credito sul valore della posizione individuale, esercitabile al momento della maturazione del diritto alla prestazione pensionistica o in casi particolari previsti dalla legge (ad esempio anticipazioni, riscatti o trasferimenti).
Per la loro natura di prodotti finanziari, ai sensi del Testo Unico della Finanza (TUF), sebbene possano rientrare nella definizione di strumenti finanziari solo in via analogica, l’offerta di fondi pensione aperti dovrebbe rispettare le norme sull’offerta pubblica di prodotti finanziari (art. 93-bis e seguenti TUF).
Tuttavia, in virtù dell’art. 25, c. 3, l. n. 262/2005, le competenze in materia di trasparenza e correttezza sono affidate alla COVIP, l’autorità di vigilanza sulla previdenza complementare.
In sintesi, i fondi pensione aperti rappresentano uno strumento flessibile per l’integrazione del trattamento previdenziale pubblico, con una disciplina che bilancia esigenze di tutela degli aderenti e principi di gestione finanziaria efficiente.
3.La gestione dei fondi pensione aperti.
In base all’art. 12, c. 3, D.Lgs. n. 252/1005, ai fondi pensione aperti si applicano molte delle regole dei fondi pensione chiusi, per quanto riguarda il finanziamento, le prestazioni e il regime fiscale. Inoltre, altre norme relative alla gestione e all’organizzazione dei fondi pensione possono essere applicate ai fondi aperti, a condizione che non siano incompatibili con la loro specifica natura.
La gestione del patrimonio di un fondo pensione aperto è affidata agli organi della società promotrice e non richiede obbligatoriamente l’intervento di un gestore esterno qualificato tramite apposita convenzione, come avviene per i fondi pensione chiusi. Infatti i promotori dei fondi aperti sono intermediari finanziari qualificati e non necessitano di affidare la gestione a terzi, a differenza dei fondi chiusi, i cui promotori non hanno necessariamente competenze finanziarie.
Come per i fondi pensione chiusi, anche per la gestione dei fondi pensione aperti a prestazioni variabili è prevista la presenza di una banca depositaria. Quest’ultima si occupa della custodia del patrimonio del fondo e dell’esecuzione delle operazioni finanziarie necessarie alla sua gestione.
Per garantire un’effettiva separazione patrimoniale e gestionale tra fondo pensione e società promotrice, quest’ultima è tenuta ad adottare procedure che assicurino la distinzione amministrativa e contabile delle operazioni del fondo rispetto a quelle relative agli altri servizi offerti ai propri clienti.
L’art. 5, c. 2, D.Lgs. n. 252/2005, prevede inoltre che ogni fondo pensione aperto debba nominare un responsabile, che deve possedere requisiti di indipendenza e imparzialità. Tale figura non può ricoprire il ruolo di amministratore o dipendente del fondo pensione, né avere un rapporto di lavoro subordinato o continuativo con la società promotrice o con le società collegate a quest’ultima.
Il responsabile della forma pensionistica ha il compito di garantire la tutela degli aderenti e dei beneficiari, verificando che la gestione avvenga nel loro esclusivo interesse e nel rispetto delle normative e dei regolamenti. In particolare, sorveglia la gestione finanziaria, assicurandosi del rispetto delle norme sugli investimenti, la gestione amministrativa, verificando la separazione contabile e la corretta tenuta della documentazione, le misure di trasparenza verso gli aderenti e beneficiari, l’adeguatezza delle procedure per la gestione dei reclami, la corretta e tempestiva erogazione delle prestazioni, eventuali conflitti di interesse, il rispetto delle buone pratiche e della corretta amministrazione. In caso di irregolarità, il responsabile le segnala agli organi competenti, proponendo interventi correttivi. Ogni anno redige una relazione sulle attività di controllo svolte, le anomalie riscontrate e le azioni intraprese per risolverle.
Per i fondi aperti con adesione collettiva, se almeno 500 lavoratori di un’azienda o gruppo si iscrivono, la società istitutrice deve creare un organismo di rappresentanza. Questo include un rappresentante dell’azienda o gruppo e uno dei lavoratori, con il compito di facilitare il collegamento tra gli aderenti e la società di gestione.
4.I piani pensionistici individuali: nozione e caratteristiche.
I Piani Individuali Pensionistici (PIP), ulteriore forma di previdenza complementare individuale, consistono in specifici contratti di assicurazione sulla vita stipulati con compagnie assicurative e devono rispettare un regolamento che ne definisce le modalità di adesione, le procedure per eventuali trasferimenti e i criteri di trasparenza nei confronti degli aderenti ( ).
I PIP si basano su contratti di assicurazione appartenenti ai rami I o III (polizze unit linked), stipulati con imprese autorizzate dall’IVASS. Anche in questo contesto non si costituisce un soggetto autonomo, ma si attua un meccanismo di separazione patrimoniale.
Secondo l’art. 13, c. 3, D.Lgs. n. 252/2005, le risorse delle forme pensionistiche individuali attuate tramite contratti di assicurazione sulla vita costituiscono un patrimonio separato e autonomo, come previsto dall’art. 2117 c.c. L’istituzione di ciascuna forma pensionistica individuale deve essere approvata dal consiglio di amministrazione, che ne riconosce le risorse destinate alla fase di accumulo come patrimonio autonomo, non utilizzabile per scopi diversi dalla previdenza.
Il consiglio di amministrazione deve inoltre approvare i regolamenti delle gestioni interne separate e/o dei fondi assicurativi interni, trasmettendo i relativi verbali e regolamenti alla Covip al fine della relativa autorizzazione.
Dal punto di vista contrattuale, i PIP si distinguono in prodotti del ramo I, legati alla durata della vita dell’assicurato, prodotti del ramo III, con prestazioni collegate a quote di organismi di investimento collettivo del risparmio (OICR), fondi interni, indici o altri parametri finanziari, e contratti misti, che combinano caratteristiche di entrambi i rami (Regolamento ISVAP n.21/2008 e successive modifiche).
I PIP si realizzano quindi attraverso polizze assicurative sulla vita (con la natura di prodotti assicurativo-previdenziali), appartenenti principalmente al ramo I (che prevedono una rivalutazione basata sui rendimenti di una gestione separata) e al ramo III (unit linked, in cui le prestazioni dipendono dal valore delle quote di fondi collegati ai premi versati). In alcuni casi, i PIP combinano elementi di entrambi i rami.
L’adesione a un PIP si perfeziona con la stipula del contratto assicurativo, a seguito del quale l’impresa raccoglie i contributi destinati al finanziamento del piano. Secondo l’art. 13, c. 1, D. Lgs. n. 252/2005, i PIP sono soggetti alle stesse regole generali di finanziamento previste dall’art. 8 dello stesso decreto.
Generalmente, il finanziamento di un PIP avviene tramite i versamenti volontari dell’aderente. Tuttavia, per i lavoratori dipendenti è possibile destinare anche il Trattamento di Fine Rapporto (TFR) maturando e, se previsto dal contratto di lavoro, i contributi del datore di lavoro.
L’importo e la frequenza dei versamenti sono stabiliti liberamente dall’aderente al momento dell’adesione. Egli ha inoltre la facoltà di modificarli nel tempo o di sospendere i versamenti senza che ciò comporti la cessazione del contratto, con la possibilità di riprenderli successivamente. Questo aspetto distingue i PIP dai contratti di assicurazione sulla vita disciplinati dal Codice Civile, in cui l’omesso pagamento dei premi successivi al primo può determinare la risoluzione del contratto, salvo i casi di riduzione o riscatto.
Un’ulteriore differenza riguarda la possibilità di riprendere i versamenti: nei PIP, la sospensione non pregiudica la ripresa dei contributi in un momento successivo, mentre nei contratti assicurativi sulla vita l’interruzione dei pagamenti può comportare la riduzione della prestazione, senza possibilità di riattivare il contratto alle condizioni originarie.
5. Gestione patrimoniale e separazione delle risorse finanziarie nei Pip.
Per la gestione del patrimonio delle forme pensionistiche individuali, a maggiore tutela degli aderenti, la normativa dispone, oltre al generale rispetto delle norme sulla gestione assicurativa, anche uno specifico regime di separazione individuale. I fondi accumulati devono essere separati dalle altre risorse della compagnia, destinate a coprire le ordinarie garanzie assicurative. Le riserve relative ai piani pensionistici complementari sono infatti soggette a una doppia separazione patrimoniale: oltre alla separazione ordinaria prevista per le riserve matematiche, si applica anche quanto stabilito dall’art. 4, c. 2, D.Lgs. 252/2005. Ciò impedisce che le risorse siano utilizzate per finalità diverse dalla previdenza o che possano essere aggredite dai creditori della compagnia assicurativa, garantendo una protezione aggiuntiva rispetto ad altre forme di risparmio.
Per tutelare i contributi versati nell’ambito di un piano pensionistico individuale, il legislatore ha dunque imposto che tali risorse siano gestite separatamente dall’impresa assicurativa che istituisce il piano. Poiché i PIP non possiedono una propria soggettività giuridica, è necessario che la compagnia di assicurazione mantenga una netta distinzione tra le risorse del piano e il proprio patrimonio aziendale. A tal fine, si applica l’art. 2117 c.c., che disciplina in via generale i “Fondi speciali per la previdenza e l’assistenza”, imponendo la costituzione di un patrimonio autonomo e separato, destinato esclusivamente alle finalità previdenziali e sottratto a eventuali azioni esecutive da parte di creditori, sia dell’impresa che degli aderenti, e a procedure concorsuali.
Questo principio è ribadito dall’art. 13, c. 3, D.Lgs. 252/2005.
La separazione patrimoniale tra diversi piani pensionistici individuali gestiti dalla stessa impresa ha innanzitutto una funzione contabile, volta a determinare con precisione il montante previdenziale di ciascun aderente al momento della prestazione. Allo stesso tempo, ogni piano è inserito in un più ampio patrimonio separato, garantendo che le risorse destinate alla previdenza rimangano distinte da quelle con altre finalità. In sostanza, questa struttura può essere assimilata a un sistema a “cerchi concentrici”, volto a offrire una protezione più incisiva rispetto a quella prevista per altre forme di risparmio, in linea con l’art. 38, c. 2, Cost. ( )
L’impresa assicurativa deve quindi predisporre specifiche strutture organizzative e adottare una delibera per la costituzione di un patrimonio di destinazione relativo ai piani pensionistici attuati mediante contratti di assicurazione sulla vita. Questo principio è sancito dall’art. 13, c. 3, della disciplina del D. Lgs. 253/2005 ulle forme pensionistiche complementari ed è in linea con quanto previsto dall’art. 2117, c. c., che impone la creazione di patrimoni distinti e autonomi.
Oltre a questa protezione generale, nei piani pensionistici individuali si applica un ulteriore livello di separazione patrimoniale, che riguarda gli attivi destinati a copertura delle riserve tecniche. Tale separazione, regolata dalla normativa assicurativa, garantisce che le risorse accumulate tramite i premi versati siano esclusivamente destinate a coprire gli impegni assunti dall’impresa nei confronti degli aderenti. L’art. 42 del Codice delle Assicurazioni (D. Lgs. n. 209/2005) ribadisce questo principio, stabilendo anche, all’art. 258 dello stesso Codice, che gli assicurati debbano essere considerati creditori privilegiati dell’impresa, assicurando che gli obblighi contrattuali siano rispettati anche in caso di crisi aziendale, come la liquidazione coatta amministrativa. In tali circostanze, gli attivi a copertura delle riserve tecniche sono prioritariamente destinati a soddisfare i diritti degli assicurati.
6. La tutela dell’interesse degli assicurati nella gestione.
Nei PIP i contributi raccolti sotto forma di premi vengono gestiti dalla compagnia assicurativa attraverso investimenti finanziari. A differenza dei fondi pensione negoziali, in cui la gestione è affidata a intermediari specializzati, nei PIP la compagnia assicurativa è direttamente responsabile della gestione delle risorse.
La gestione dei PIP deve essere svolta nell’interesse esclusivo degli aderenti, e il rispetto di questo principio è garantito dal Responsabile del PIP, soggetto indipendente con requisiti di professionalità e onorabilità, incaricato di vigilare sulla corretta amministrazione del piano in conformità alle normative e alle condizioni contrattuali.
Le modalità di investimento dei PIP variano, come si è visto, a seconda delle scelte dell’aderente e della tipologia di polizza sottoscritta. Se il piano prevede una polizza di ramo I, i contributi confluiranno in una gestione separata con investimenti a basso rischio, garantendo la restituzione del capitale e un rendimento minimo. Se invece il PIP è strutturato tramite una polizza unit linked (ramo III), i contributi saranno investiti in fondi assicurativi interni o in organismi di investimento collettivo (OICR), con una maggiore esposizione al rischio di mercato e senza garanzie di rendimento.
La tutela degli aderenti ai fondi pensione è strettamente legata al modello di governance adottato. L’art. 5 del D.Lgs. 252/2005 prevede sistemi di governance differenziati per le varie forme di previdenza complementare. A differenza dei fondi negoziali, i fondi pensione aperti e i PIP non hanno personalità giuridica autonoma né organi propri, essendo gestiti da intermediari finanziari o da imprese di assicurazione.
Nei fondi pensione aperti la governance è garantita principalmente dalla figura del responsabile del fondo, nominato dall’organo amministrativo della società promotrice. Questo soggetto deve possedere requisiti di onorabilità e professionalità, essere indipendente e privo di conflitti di interesse. Il suo compito è vigilare sul rispetto delle normative e delle best practice nella gestione del fondo, con particolare attenzione agli investimenti, alla gestione dei rischi e alla separazione contabile tra le risorse del fondo e quelle del promotore. Il responsabile assicura inoltre la trasparenza delle informazioni fornite agli aderenti e la correttezza operativa nella gestione del fondo.
Anche nei PIP l’assenza di una soggettività giuridica autonoma comporta una governance dipendente dalla compagnia promotrice, che nomina il responsabile con funzioni analoghe a quelle previste per i fondi aperti.
Un principio cardine nella disciplina della previdenza complementare è l’obbligo di investire i contributi raccolti sui mercati finanziari per costituire un montante individuale, che determinerà l’ammontare della pensione complementare. Il rendimento di questi investimenti incide direttamente sulle prestazioni future degli aderenti, rendendo essenziale una gestione finanziaria prudente ed efficace.
Le modalità di gestione finanziaria variano in base alla tipologia di fondo. Nei fondi negoziali, che sono entità autonome con una governance propria, il fondo stesso stabilisce le strategie di investimento, mentre i gestori eseguono le operazioni nel rispetto degli obiettivi definiti. Nei fondi aperti e nei PIP, che non hanno autonomia giuridica, il patrimonio del fondo è separato all’interno della società promotrice, che si occupa direttamente della gestione finanziaria. Per i PIP, essendo prodotti previdenziali-assicurativi, si applicano le regole del settore assicurativo, con alcune specificità legate ai conflitti di interesse, disciplinati con regolamento (D.M. 166/2014) in base a quanto previsto dall’art. 6, c. 5-bis, D. Lgs. 252/2005.
La normativa stabilisce infatti che il Ministero dell’Economia e delle Finanze, d’intesa con il Ministero del Lavoro e su parere della COVIP, definisca le attività in cui i fondi pensione possono investire, con eventuali limiti prudenziali, i criteri di investimento nelle diverse categorie di strumenti finanziari, le regole per prevenire conflitti di interesse, in linea con la normativa nazionale ed europea.
I fondi pensione devono inoltre rivedere periodicamente, almeno ogni tre anni, le proprie strategie di investimento per garantire che restino coerenti con gli interessi degli aderenti. Essi sono tenuti a fornire informazioni chiare sulle scelte di investimento e a pubblicare un documento che descriva gli obiettivi e le tecniche di gestione del rischio adottate.
Un altro aspetto fondamentale riguarda il calcolo delle riserve tecniche, che devono essere adeguate a coprire gli impegni pensionistici assunti. Il calcolo deve essere effettuato seguendo metodi attuariali riconosciuti e certificato da esperti qualificati. Le riserve devono essere sufficienti a garantire la continuità delle prestazioni e devono basarsi su ipotesi prudenziali riguardanti i tassi di interesse, le aspettative di vita e i rischi finanziari.
In un contesto sempre più attento alla gestione del rischio, i fondi pensione devono inoltre adottare approcci integrati per monitorare e mitigare le varie tipologie di rischio. Tra questi, l’Enterprise Risk Management (ERM) rappresenta un modello avanzato che consente di valutare in modo sistematico i rischi operativi, finanziari e strategici, con l’obiettivo di tutelare gli interessi degli aderenti e garantire la sostenibilità del sistema pensionistico nel lungo termine.
7.La regolamentazione dei conflitti di interesse nei PIP
Ad ulteriore tutela della posizione degli aderenti, la gestione finanziaria dei Piani Individuali Pensionistici (PIP) deve conformarsi alle normative sui conflitti di interesse e rispettare le regole di investimento stabilite dal Codice delle Assicurazioni.
Queste normative richiedono ai PIP di adottare politiche e procedure efficaci per identificare, prevenire e gestire i conflitti di interesse, garantendo che essi non incidano negativamente sugli interessi degli aderenti. Le misure possono includere la separazione delle funzioni, la trasparenza nelle operazioni e l’obbligo di informativa agli aderenti in caso di situazioni potenzialmente conflittuali.
Il quadro normativo è definito dall’art. 13, D. Lgs. n. 252/2005, che rinvia alle disposizioni già contenute nell’art. 6, c. 5-bis, lett. c), il quale affida la definizione delle regole sui conflitti di interesse a un decreto emanato dal Ministro dell’Economia e delle Finanze, di concerto con il Ministro del Lavoro e della Previdenza Sociale, previa consultazione della COVIP. In proposito il D.M. n. 166/2014 ha sostituito il precedente D.M. n. 703/1996, che disciplinava i limiti agli investimenti e i conflitti di interesse nei fondi pensione. Il nuovo approccio normativo abbandona la rigida impostazione basata su limiti quantitativi prefissati per ogni categoria di investimento e introduce invece un sistema incentrato sull’analisi, valutazione e gestione del rischio.
Inoltre, anche nella gestione delle risorse dei PIP, le compagnie assicurative devono attenersi ai criteri generali di investimento stabiliti per gli attivi destinati alla copertura delle riserve tecniche, come indicato dall’art. 38, del Codice delle Assicurazioni.
L’art. 41 del Codice delle Assicurazioni specifica poi i principi di che si applicano agli attivi destinati a coprire le obbligazioni derivanti da polizze unit linked (c. 3)
Essendo contratti di natura assicurativa, la gestione delle risorse accumulate deve rispettare le norme di investimento previste dal Codice delle Assicurazioni Private (D.Lgs. 209/2005), oltre ai principi sanciti dall’art. 6, c. 5-bis, lett. c, del D.Lgs. 252/2005, in materia di prevenzione dei conflitti di interesse nei fondi pensione.
Per quanto riguarda la fattispecie di conflitto di interesse nei PIP, esso si verifica quando la compagnia di assicurazione che gestisce un PIP potrebbe essere influenzata da interessi propri o di terzi, compromettendo la gestione imparziale e nell’esclusivo interesse degli aderenti. Questo può avvenire, ad es., nella scelta degli strumenti finanziari in cui investire, privilegiando quelli emessi da società collegate alla compagnia di assicurazione, oppure nella determinazione delle commissioni di gestione, con possibili costi non giustificati dall’effettivo valore del servizio. Si potrebbero poi attuare strategie di investimento e disinvestimento che potrebbero favorire la compagnia anziché gli aderenti, oppure potrebbero sussistere rapporti con intermediari finanziari che potrebbero avere legami con la compagnia assicurativa.
La gestione dei conflitti di interessi nei PIP è regolata dal D. Lgs. n. 252/2005, che disciplina la previdenza complementare, dai D.M. n. 166/2014 e dalle norme specifiche stabilite dalla COVIP. Per i fondi aperti, la Delibera Covid del 19 maggio 2021 ha adottato gli schemi di statuto dei fondi pensione negoziali e i regolamenti dei fondi pensione aperti, includendo disposizioni specifiche sulla gestione dei conflitti di interesse
Secondo la normativa del D.Lgs. n. 252/2005 (art. 6, c. 5 bis) e del D.M. n.166/2014 (art. 8), i soggetti che gestiscono PIP devono operare nell’esclusivo interesse degli aderenti, adottando politiche di investimento trasparenti e imparziali, individuare e monitorare i potenziali conflitti di interesse, adottando misure preventive per evitarne l’insorgenza e fornire un’informativa chiara e dettagliata agli aderenti, specificando eventuali situazioni di conflitto e le soluzioni adottate per mitigarle.
La COVIP esercita un’attività di controllo e vigilanza, imponendo alle compagnie assicurative l’adozione di procedure di gestione del rischio e richiedendo la pubblicazione di informazioni periodiche sulla gestione dei PIP. Per minimizzare il rischio di conflitti di interesse, le compagnie che offrono PIP devono inoltre adottare ulteriori misure fra cui innanzitutto la già citata separazione patrimoniale e gestionale.
Per assicurare la trasparenza nelle scelte di investimento, le compagnie devono dichiarare i criteri utilizzati per la selezione degli strumenti finanziari, eventuali rapporti con soggetti collegati alla compagnia e i costi applicati, evitando pratiche che possano favorire l’intermediario finanziario anziché l’aderente.
E’ poi necessario che le compagnie adottino opportune misure in tema di controlli interni e vigilanza esterna. Ogni compagnia assicurativa deve infatti istituire un sistema di controllo interno, con procedure per identificare e mitigare i conflitti di interesse. In proposito, la Covip verifica il rispetto delle normative e può imporre correttivi in caso di irregolarità.
La regolamentazione dei conflitti di interesse nei PIP si inserisce dunque in un quadro normativo volto a garantire trasparenza e sicurezza agli aderenti. Le norme sulle regole di investimento, la diversificazione del rischio e la gestione finanziaria sono elementi chiave per proteggere il risparmio previdenziale, bilanciando opportunità di rendimento con la tutela del capitale investito.