testo integrale con note e bibliografia
1. Processo del lavoro e giustizia predittiva.
In un’epoca in cui si torna a riflettere sulla compatibilità tra l’imparzialità del giudice del lavoro ed un suo ruolo promozionale delle tutele, ed anzi riemerge l’idea di una giurisprudenza del lavoro "altrettanto diseguale" , già si pone l’interrogativo teleologico sull’impiego, nel processo, dell’intelligenza artificiale quale veicolo di progresso ed efficienza .
In particolare, rispetto alle diverse tecnologie che designa l’espressione intelligenza artificiale (da adesso IA), il machine learning è la tecnica per costruire algoritmi che possono imparare da eventi passati e (e per) prevedere eventi sconosciuti. Quando applicata allo jus dicere, la previsione può allora diventare pre-dizione.
Se la prospettiva da assumere è quella della giustizia predittiva intesa come possibilità e capacità tecnologica di prevedere l’esito delle controversie, ci si muove nella direzione, potenzialmente antitetica allo sviluppo delle tutele del lavoro, della certezza del diritto o – appunto secondo le impostazioni critiche – di uno specifico diritto, finalizzato a garantire, anche attraverso una tecnica ideologicamente non neutra, la cristallizzazione dei rapporti di produzione nella loro presente (e dunque passata rispetto al futuro) configurazione giuridico-istituzionale .
In via generale, la certezza del diritto non è soltanto un mito discusso, perché la semplificazione non è sinonimo di giustizia e neppure coincide con la verità . Infatti, se concepita come stato ed assieme fine di conservazione dell’esistente, essa appare incompatibile, anche quale mera aspirazione, con l’evoluzione di qualunque ordinamento.
Su queste considerazioni si innesta la peculiarità del diritto del lavoro, che è nato proprio per ribellarsi alla valenza ‘borghese’ e finalistica dello stare decisis, cioè il quieta non movere.
Pertanto, senza negare che in altre discipline e per la natura o il valore di determinate controversie la sperimentazione dell'IA abbia serie prospettive di successo, l'approccio giuslavoristico al tema deve preservare – nel rispetto della diversità delle impostazioni culturali e delle dinamiche che lo ravvivano dall'interno – la dimensione di scopo a cui è preordinato.
D’altra parte, se è vero che l’IA produrrà stravolgimenti sui sistemi organizzativi e le forme di lavoro, seppur con tempistiche variabili, è altrettanto plausibile che il diritto sostanziale sarà costretto ad adeguarsi a quelle modifiche. Sicché l’ipotesi che l’algoritmo possa essere finalizzato alla prevedibilità in sede giudiziale rischia di costituire un paradosso rispetto ad una realtà, materiale e poi normativa, che quello stesso strumento è destinato a cambiare.
Per altro verso, le fisiologiche istanze di evoluzione non possono essere sempre o semplicisticamente barattate con, pur innegabili, esigenze di deflazione del contenzioso, né con meccanismi alternativi di risoluzione del conflitto, che sono meritevoli di attenzione nei limiti in cui la garanzia di accesso alla tutela giurisdizionale è consacrata in principi costituzionali e sovranazionali. Ciò che trova riscontro nelle letture restrittive delle vigenti regole prescrizionali e decadenziali.
2. Amministrazione della giustizia e intelligenza artificiale ad 'alto rischio'.
Il discorso sull’applicazione dell’IA al settore della giustizia può essere scomposto nel momento del ragionamento giudiziale, cioè in senso ampio la decisione , e in quello, preventivo, della prevedibilità intesa come calcolabilità dell’esito del giudizio.
Come è stato opportunamente evidenziato, si tratta di profili che meritano un differente approccio ma restano collegati , soprattutto allorché si escluda, come sembra giusto e inevitabile, la possibilità di affidarsi alla figura del giudice-robot .
La questione del confinamento dell’amministrazione della giustizia (peraltro, assieme alla occupazione e gestione del personale) tra i settori considerati ad alto rischio ai sensi dell’art. 6, paragrafo 2, del Regolamento UE n. 2024/1689 e relativo Allegato, va misurata sull’utilizzo, da parte di “un’autorità giudiziaria o per suo conto per assistere un'autorità giudiziaria”, dei sistemi di IA “nella ricerca e nell'interpretazione dei fatti e del diritto e nell'applicazione della legge a una serie concreta di fatti” .
A differenza delle “pratiche vietate”, espressamente previste per il pericolo di commissione di reati da parte di persone fisiche, l’alto rischio non preclude l’utilizzo di sistemi di IA, che però è corredato dall’obbligo di adozione di molteplici misure, innanzitutto prevenzionistiche, comunque già oggetto di osservazioni critiche rispetto alla portata generica o di dubbia interpretazione degli enunciati normativi .
Al netto della deroga all’esistenza di un alto rischio – che appare inapplicabile alla materia – ci si può chiedere se ed in che modo la combinazione tra una delle condizioni dell’art. 6, paragrafo 3, del Regolamento, che determinano la qualificazione di un sistema IA come ad alto rischio , ed il rispetto delle regole di attuazione della sorveglianza umana fissate dal successivo art. 14, paragrafo 4 , consenta di sperimentare un utilizzo ausiliario dell’IA nel ragionamento decisionale, così favorendo anche la gestione preventiva di una controversia da parte di coloro che con quel ragionamento devono confrontarsi.
Senonché, mentre la decisione autonoma e quindi prescrittiva della macchina va esclusa già in forza dei principi costituzionali (a prescindere dagli eventuali limiti posti dal Regolamento UE n. 2016/679), si ritiene che pure l’utilità di una funzione di sostegno resti (e, con alcune distinzioni, debba restare) assai circoscritta, in ragione dell’assetto del nostro ordinamento giudiziario.
3. Intelligenza artificiale, prevedibilità delle controversie e principi di diritto.
Per valutare quale impatto possa avere un sistema IA, che intervenga a supporto delle decisioni giudiziali, sulla loro calcolabilità, occorre definire le problematiche che ‘affliggono’ l’attuale stato di prevedibilità di tali decisioni.
Il nostro sistema processuale si basa sui principi di diritto, come adesso confermano espressamente le novelle del codice di rito con cui, a partire dal 2006, è stata accentuata la funzione nomofilattica della Cassazione.
Questi principi non equivalgono ai precedenti del common law, perlomeno se intesi nella loro accezione originaria di regole dei casi concreti (case law), ai quali raffrontare quelli successivi nella cultura della law as practice.
In un sistema di diritto positivo, il caso non è soltanto il fatto o l’insieme dei fatti, bensì l’esito del giudizio di conformità di quei fatti ad una fattispecie astratta e preesistente .
Senonché tale operazione, nota come sussunzione, presuppone l’interpretazione di una o più disposizioni di legge e, per il diritto del lavoro, anche di contratto collettivo, in forza delle rispettive regole ermeneutiche . Secondo l’impostazione tradizionale, l’interpretazione consente di elaborare una norma e poi, mediante la sua applicazione al caso, anche una regola di diritto che, se confermata per casi identici o analoghi, assume il valore di principio conforme.
I nostri principi di diritto corrispondono, pertanto, al concetto di precedente giurisprudenziale, che è una regola di decisione del caso affermata dalle sentenze del giudice di legittimità in modo ripetuto, al punto da potersi definire consolidata. Tuttavia, attraverso la nozione di principi conformi la disciplina positiva si limita a identificare tale fenomeno di consolidamento, senza definirlo per qualità e quantità, salvo il vincolo procedimentale e sprovvisto di sanzione dell’art. 374, co. 3, c.p.c. .
Per il positivismo estremo tutto ciò neanche servirebbe, perché il giudice del caso successivo perverrebbe (dovrebbe pervenire) sillogisticamente ed autonomamente alla stessa conclusione di chi lo ha preceduto. Invece, attraverso il processo di consolidamento il precedente non solo preclude, ma esprime anche una forza argomentativa, consentendo di garantire la coerenza intrinseca e potenzialmente diacronica dell’ordinamento.
In questo quadro, la dottrina contribuisce allo sviluppo dei principi di diritto, proponendo modelli interpretativi ed eventualmente criticando quelli diversi accolti dalla giurisprudenza. Il dissenso può riguardare il prodotto dell’interpretazione, cioè la norma, ovvero la sua applicazione nel singolo caso controverso.
Ovviamente, su queste considerazioni aleggia il dibattito teorico sulla crisi delle fattispecie, con le sue ramificazioni che si manifestano anche con la proposta di modelli di regolazione alternativi. Però il sistema processuale continua a incentrarsi sul caposaldo dell’art. 113 c.p.c. , che impone al giudice, salvo eccezioni, di pronunciarsi seguendo “le norme del diritto” .
Pertanto, il dibattito insiste ancora sui limiti all’interpretazione giudiziale di un testo che preesiste . Da qui il tentativo del legislatore di contenere la crisi del suo stesso prodotto mediante la esaltazione del ruolo nomofilattico della Cassazione, a partire dalla pronuncia d’ufficio del principio di diritto (art. 363 c.p.c.) fino alla recente nomofilachia accelerata introdotta per le disposizioni di legge (art. 363-bis c.p.c.).
Ad ogni modo, gli operatori forensi, soprattutto quando specializzati, sono in grado di rinvenire, grazie alle riviste ed alle banche dati e senza particolari difficoltà, i principi di diritto che, nel momento della ricerca, governano una situazione giuridica sostanziale. Nella maggior parte dei casi la giurisdizione conferma quei principi proprio uniformandosi al precedente giurisprudenziale che, per questo, assume pure la funzione di precedente preclusivo.
Fin qui, lo stato della prevedibilità delle decisioni giudiziali non sembrerebbe particolarmente inciso dall'avvento dell'IA, salvo l'importante utilità che può derivare dalla accelerazione impressa tanto al reperimento delle informazioni, tramite l'assistenza dell’IA nella individuazione delle sentenze, quanto all'organizzazione del lavoro professionale e giudiziale, con possibili benefici pure rispetto al nodo gordiano della durata dei processi.
4. Prevedibilità e revirement.
Talora, tuttavia, i principi di diritto vengono cambiati a condizioni fattuali invariate, vale a dire in relazione ad una situazione giuridica che, nei suoi elementi costitutivi, non presenta significative differenze rispetto a quelle già esaminate.
Ciò accade mediante un ripensamento nel ragionamento giudiziale (revirement) che richiede, o meglio richiederebbe, una motivazione esplicita e rafforzata, secondo la cosiddetta etica del cambiamento.
In proposito, oramai si utilizza anche il termine overruling, che tuttavia non sembra esprimere compiutamente, per ragioni storiche, culturali, tecniche e perfino quantitative, il diverso fenomeno, proprio del case law, di formulazione di una regola diversa nel caso concreto successivo, lì inteso come fatto storico che non presenta alcuna significativa divergenza da quello già interessato da una decisione giudiziale.
La questione dei revirement riguarda innanzitutto le ipotesi in cui la nuova interpretazione ha carattere correttivo, che andrebbe a sua volta ripartita tra quella che riconosce l’erroneità del precedente per cattivo uso dei canoni ermeneutici (correttiva in senso stretto) e quella che accoglie, in una logica di preferibilità, un’altra soluzione tra quelle compatibili con la lettera della disposizione (correttiva modificativa).
Non è sempre agevole o possibile distinguere tra le due forme di correzione, né tra di esse ed il ripensamento imposto dalla cosiddetta interpretazione evolutiva, che può essere giustificata dal cambiamento socio-economico e/o da una rivisitazione in chiave assiologica, spesso incentrata su principi costituzionali, dell'assetto interpretativo vigente.
Secondo l’opinione più diffusa, l’output di un sistema IA precluderebbe la modifica dell'interpretazione anche se usato in senso ausiliario (ricognitivo-descrittivo), perché l'algoritmo, rivolgendosi a ciò che è stato detto giudizialmente nel passato, confermerebbe il precedente e dunque fornirebbe un esito contrario all'evoluzione.
Nella logica della “interpretazione … del diritto” dell’art. 6 del Regolamento UE, si giustificherebbe dunque l’inquadramento della giustizia tra i settori ad altro rischio, infatti corredato dalla riconosciuta facoltà della persona fisica di non affidarsi, ignorare e perfino ribaltare l’output dell’IA, appunto identificabile nel giudizio di conformità al precedente.
Di recente, si è anche osservato che "gli attuali sistemi non si basano più ... sul tentativo di riprodurre la capacità teorica e di ragionamento dell’intelligenza umana, bensì, in gran parte, su un approccio di tipo statistico". Ciò che segnerebbe il passaggio allo statistical machine learning, non a caso giudicato inconciliabile con la "fondamentale" possibilità di un overruling .
In realtà, soprattutto rispetto alla interpretazione stricto sensu correttiva non si può escludere che un uso ragionevole dell’algoritmo, cioè sottoposto alla sorveglianza umana, consenta di rinvenire (ulteriori) argomenti tecnici che contribuiscano a rafforzare la motivazione del revirement.
Anche la possibilità di esplicitare un utilizzo dell’IA nell’ambito di questo ragionamento è, tuttavia, gravemente compromessa dalla scarsa disponibilità degli organi decidenti a dichiarare come tale l’erroneità del precedente in punto di diritto. Il che si spiega agevolmente, perché una tale interpretazione correttiva determina proprio una frattura nell’ordinamento, evidenziando la sua incapacità di autoregolarsi mediante regole esegetiche prestabilite .
Questo ‘atteggiamento’ si lega al problema della assenza di regole sulla consistenza del consolidamento del principio di diritto, che anzi di fatto viene rinnegato quando si afferma che un revirement è configurabile solo in mancanza di un “larvato dibattito dottrinale” , o addirittura quando era “impredittibile per qualunque operatore del diritto” .
Esemplificando rispetto a vicende note e recenti, in tema di infrazioni tipizzate o meno dai contratti collettivi, rilevanti per la selezione delle tutele dei licenziamenti illegittimi, la Cassazione ha rovesciato la sua precedente interpretazione, ma ha definito il nuovo approdo come un semplice chiarimento.
Rispetto all’analisi, la questione non è se la nuova soluzione sia condivisibile o almeno preferibile, come pure si ritiene . Il punto, invece, sarebbe stabilire quando era stato intimato il licenziamento controverso e, soprattutto, se in quel momento l’orientamento giurisprudenziale più restrittivo sull’applicazione delle previsioni contrattuali collettive si potesse considerare consolidato rispetto a quello sopravvenuto (cosiddetto contrasto reale diacronico).
Il ricorso all’IA è superfluo per la prima domanda, mentre la risposta al secondo quesito dipenderebbe da un input immesso dall’interprete secondo una scelta che, in difetto di regole predefinite, resterebbe comunque ‘umanamente’ opinabile e giudizialmente sovvertibile.
5. Prevedibilità e tutela dell'affidamento.
Nell’ambito della stessa tematica, ma in una prospettiva opposta, merita di essere valutata anche la possibilità di ricorrere ai sistemi IA per la protezione dell’affidamento al precedente giurisprudenziale.
In effetti, il problema dei revirement – sollecitati da una società che cambia sempre più rapidamente – è collegato alla (fictio della) natura dichiarativa delle sentenze, con conseguente carattere retrospettivo dell’interpretazione sopravvenuta, che così viene indistintamente applicata a tutte le situazioni giuridiche sostanziali, anche se oramai esaurite, sussumibili nella relativa disposizione.
Alla stregua dei principi conformi, tuttavia, la calcolabilità dell’esito di una specifica controversia si radica nell’affidamento del singolo ad un principio di diritto consolidato. Ne deriva che il carattere integralmente retrospettivo del suo capovolgimento sacrifica l’affidamento individuale in nome della evoluzione ragionevole dell’ordinamento, a cui è sotteso l’interesse generale.
Ci si può chiedere se tramite l’IA si possa apprestare un rimedio (non circoscritto alla eventuale compensazione delle spese di lite) che contemperi questi interessi, ma occorre innanzitutto precisare che la posizione di affidamento individuale meritevole di tutela dovrebbe essere qualificata. Tale è quella riferita al momento in cui si compie un atto o si assume una condotta nella vigenza del precedente giurisprudenziale, appunto confidando nella sua futura conferma.
L’individuazione di questa posizione giuridica – che già presenta complicazioni se si ragiona di rapporti continuativi o di fattispecie a formazione progressiva – andrebbe dunque distinta da quella di chi si affida ad un precedente consolidatosi in un momento successivo al perfezionamento della situazione giuridica, e quindi pure nel corso del giudizio .
Un ragionamento ulteriore dovrebbe inoltre riguardare il cambiamento delle regole di ripartizione degli oneri probatori, le quali, tuttavia, si ricavano sempre dalle fattispecie sostanziali e non vanno confuse col mutamento delle regole del processo. Non a caso, la tecnica del prospective overruling, in ipotesi utile a tutelare l’affidamento individuale, vale solo (peraltro, in via endogena ed auto-correttiva della stessa giurisprudenza) per le regole strettamente processuali, essendo esclusa la sua applicazione al diritto sostanziale .
Se così è, dinanzi a questi revirement l’unico modo di preservare la prevedibilità di una decisione giudiziale, alle ricordate condizioni di meritevolezza, sarebbe quello di delimitare temporalmente il carattere retrospettivo delle sentenze, modellandolo su una logica affine alla retroattività impropria della legge ed a quella delle pronunce di incostituzionalità sopravvenuta (quindi, in definitiva, riconoscendo alla nuova interpretazione valore di jus superveniens).
Tuttavia, se si esclude che la giurisprudenza sia una fonte formale di diritto, come del resto ‘formalmente’ ribadisce la Cassazione , la soluzione non è percorribile. Allo stesso modo, però, anche il diverso rimedio tecnico, che consisterebbe nel collocare il caso concreto in una specifica e 'precedente' dimensione temporale, appare impraticabile pure ammettendo che sia possibile fornire all’IA degli input al riguardo.
Il problema si pone soprattutto per le correzioni modificative, in cui la giustificazione del cambiamento, anche se espressa in termini di preferibilità di una diversa interpretazione, è in effetti sempre agganciata ad opzioni di carattere valoriale o addirittura alla evoluzione della realtà materiale.
In queste ipotesi, potrebbe pure dirsi certa – anche alla luce della giurisprudenza costituzionale o sovranazionale – l’affermazione di un determinato valore o il mutamento di un assetto socio-economico, senza che per questo esistano certezze temporali rispetto ad un giudizio che qui non involge solo un fatto, proprio di una specifica situazione giuridica soggettiva, bensì la sua collocazione rispetto alla percezione dell’avvenuto cambiamento nella cosiddetta coscienza sociale.
È inevitabile che la Cassazione rifiuti un simile approccio prospettico, ribadendo che questa valutazione è riservata all’intervento del legislatore, nel rispetto dei principi di uguaglianza e ragionevolezza .
D’altra parte, l’immissione di un siffatto dato da parte dell’interprete sarebbe talmente discrezionale, quanto alla decorrenza storica di tale mutamento, da non garantire affatto la sua tenuta nella disamina del caso successivo. Sicché si finirebbe per ragionare di caso in caso, vanificando proprio lo scopo di prevedibilità e lo stesso intento nomofilattico.
Tantomeno sembra plausibile rimettere all’IA tale compito, il quale richiederebbe capacità intellettive di ordine superiore come la comprensione, la metacognizione e la percezione contestuale di concetti astratti , mentre il modello di apprendimento automatico non sarebbe in grado di comprendere tali concetti in relazione ai compiti che gli vengono assegnati .
Per esemplificare – prescindendo dalle diverse regole di protezione dell’affidamento proprie di altri settori – rispetto ad una condotta potenzialmente integrativa dell’illecito di atti osceni in luogo pubblico non è possibile ottenere dall’IA (come evidentemente da nessun’altro), la definizione esatta di quando, come e pure dove siano cambiati il pudore, la moralità pubblica e il buon costume .
6. Prevedibilità e mutamento del diritto positivo.
Dal fenomeno appena esaminato va distinto, almeno in linea teorica, quello per cui l’affermazione di una diversa regola di diritto dipende da un cambiamento del diritto positivo (da ora, per comodità, anche evoluzione normativa, purché sia chiaro che si tratta di modifiche della disposizione) tale da consentire una nuova interpretazione.
Pure in questo caso si è di fronte ad una evoluzione. A rigore, tuttavia, l’interpretazione giudiziale sopravvenuta non può essere ricondotta ad un revirement, poiché a cambiare è lo stesso significante e non solo il significato, dato che la norma è il risultato dell’interpretazione di un nuovo testo.
Nella prospettiva della prevedibilità, non si è dunque in presenza di una questione di uniformazione al precedente, ma semmai di formazione di un nuovo principio di diritto, che può anche richiedere tempo per comprendere quale soluzione interpretativa si affermerà rispetto ad altre (cosiddetto contrasto reale sincronico). Mentre il precedente elaborato per il testo non più vigente può assumere rilievo, sul piano argomentativo, in una logica comparativa.
Il problema della tutela dell’affidamento individuale non si pone quando il significante è immediatamente riconoscibile, come accade quando la disposizione interessata dall’interpretazione subisce delle modifiche dirette (sostituzione, integrazione, abrogazione implicita, etc.). In queste ipotesi, infatti, trova sicura applicazione la regola del tempus regit actum, che governa anche la riconduzione del caso concreto all’interpretazione della disposizione modificata.
Per esemplificare, appartengono a questo fenomeno la fattispecie del difetto di forma scritta nel lavoro a tempo parziale, con conseguenze diverse a seconda che si applichi, ratione temporis, l’art. 5, co. 2, d.l. n. 726/84, conv. l. n. 863/84, ovvero la disciplina del d.lgs. n. 61/00, protrattasi con ulteriori modifiche fino al d.lgs. n. 81/15; oppure la fattispecie dei controlli difensivi nell’ambito della disciplina del controllo a distanza, con interpretazione che, a seguito della riforma dell’art. 4, co. 1, Stat. lav., sembra essersi perfino irrigidita rispetto a quella affermatasi nella vigenza del testo originario.
Si può immaginare che l’IA possa contribuire a questo processo di formazione del precedente elaborando soluzioni innovative, benché l’attenzione giudiziale e l’attuale profluvio dottrinale su ogni singola questione tecnica non lascino molto spazio a percorsi algoritmici muniti di 'ragionevole' creatività.
L’analisi si complica quando una disposizione, testualmente immutata, viene reinterpretata alla luce di altre modifiche apportate al sistema legislativo. In effetti, rispetto a questa evoluzione normativa ‘indiretta’ non è sempre agevole stabilire (e dunque prevedere) quali disposizioni interferiscano nel ragionamento decisorio; o meglio, quali debbano interferire, con ulteriori evidenti implicazioni valoriali.
In questo contesto – aggravato da interventi legislativi che cercano, spesso in modo confuso o velleitario, di adeguare il diritto alla realtà – accade pure che l’interpretazione condizionata dalla modifica del significante si intrecci con ripensamenti, non sempre espliciti, di principi di diritto già esistenti.
Ad esempio, la dottrina maggioritaria aveva subito prospettato che l’interpretazione della disciplina della prescrizione dei crediti retributivi sarebbe mutata a seguito della riforma dei licenziamenti del 2012, come poi affermato dalla giurisprudenza di legittimità.
Tutt’altro è sostenere, però, che la decorrenza dei termini prescrizionali dalla cessazione del rapporto sia “originaria”, senza alcuna preventiva sospensione e conseguente retroazione dell’interpretazione sopravvenuta a pretese retributive risalenti fino al 2007. Qui, in effetti, non si tratta di prevedere la formazione di un principio di diritto per cambiamento del diritto positivo, bensì di una interpretazione correttiva di un principio già esistente, come tale riconducibile al diverso ordine di problemi sopra esaminato .
Lo stato di riconoscibilità di una evoluzione normativa indiretta diviene poi convulso allorché occorra considerare l’eventuale efficacia retroattiva della legge, le conseguenze dei giudizi incidentali di costituzionalità e di esiti referendari, l’incidenza dei giudizi pregiudiziali per le materie regolate dal diritto euro-unitario e finanche l’utilizzo, sul piano argomentativo, di precedenti giurisprudenziali vigenti in altri ordinamenti nazionali . Si apre, quindi, anche una questione relativa al ‘linguaggio’ dei dati processati dall’algoritmo, peraltro sovrapposta a quella linguistica già corrente.
Per il diritto del lavoro, questo coordinamento multilivello è ancora più complesso, perché si interseca con la disciplina delle fonti collettive, soprattutto quando oggetto di rinvio legale e perfino se preesistenti alla funzione regolativa che viene loro delegata.
Rispetto a questa congerie di elementi di valutazione, non si può escludere che l’utilizzo dell’IA, se da un lato può fornire una completa mappatura normativa e, almeno figurativamente, anche concettuale dello stato dell’arte, dall'altro arrivi tuttavia ad elaborare schemi decisionali altamente creativi e potenzialmente incontrollabili. Il che – ad avviso di chi scrive – giustifica ampiamente, alla luce delle condizioni di classificazione e supervisione previste dal Regolamento UE, l’inclusione dell’amministrazione della giustizia tra i settori ad alto rischio.
7. Prevedibilità e rilevanza del fatto.
Sebbene il cambiamento dei principi di diritto non sia un fenomeno insolito rispetto a casi identici, è assai più frequente l’ipotesi in cui il ‘fatto’ genera il cosiddetto 'problema' (se si vuole, 'illumina' la norma), vale a dire il dubbio che la disposizione di legge o di contratto collettivo, pure nella sua interpretazione consolidata, possa essere applicata nonostante ricorra un elemento fattuale che connota, o potrebbe connotare diversamente, la situazione giuridica sostanziale.
In queste ipotesi, pertanto, non si tratta – almeno stando alla dogmatica – di adeguare l’interpretazione al sopravvenuto contesto normativo o sociale o a un diverso ordine valoriale, quanto di riconoscere che la diversità o novità fattuale altera il giudizio di sussunzione, rendendo discutibile la conformità del ‘fatto’ al caso già deciso in applicazione di una regola di diritto.
Pertanto, mentre per i revirement opera la “ragione del discostarsi”, richiesta dalla direttiva ordinamentale ‘di tendenza’ costituita dallo stare decisis e ravvisabile nel cosiddetto precedente preclusivo dell’art. 118 disp. att. c.c., qui dovrebbe invece rilevare la “tecnica del discostarsi” , appunto incentrata sulla individuazione di un elemento idoneo a contaminare lo schema sussuntivo.
Il 'problema' generato da questo ‘fatto’ può riguardare la definizione contenutistica di un elemento della fattispecie astratta, ovvero l'estensione applicativa di quest'ultima, richiedendo di stabilire a quali fatti concreti si riferisca l’interpretazione di una disposizione e, rispettivamente, se essa debba comprendere situazioni giuridiche diverse da quelle fino ad allora esaminate. Da ultimo, per esempio, la Cassazione ha affermato – con principio da verificare in relazione ai principi di sufficienza e proporzionalità – che la sede protetta dell’art. 2113, co. 4, c.c., è necessaria anche per il solo accordo di riduzione della retribuzione, sebbene non dipenda da una modifica dell’inquadramento .
Più spesso, il ‘fatto’ conduce, mediante il cosiddetto giudizio riflessivo (latamente corrispondente al concetto di “interpretazione … dei fatti”, espresso dal Regolamento UE), alla integrazione dell’ordinamento, consentendo di assegnare alla novità fattuale il valore di elemento costitutivo di una diversa fattispecie, elaborata dalla giurisprudenza in senso distintivo (specificativo, derogatorio, etc.) rispetto alla regola di diritto già esistente.
Si parla, dunque, di sub-norme o paradigmi di fattispecie, che altro non sono che nuove regole di diritto, applicabili ad ogni caso futuro in cui ricorra l’elemento distintivo che ha permesso di coniarle.
Anche la Corte costituzionale conferma implicitamente questa impostazione, ribadendo che “compito essenziale della giurisprudenza è quello di dipanare gradualmente, attraverso gli strumenti dell’esegesi normativa, i dubbi interpretativi che ciascuna disposizione inevitabilmente solleva, nel costante confronto con la concretezza dei casi in cui essa è suscettibile di trovare applicazione” .
Finché si ragiona di fattispecie astratte e ci si àncora al modello analitico-deduttivo, l’ordinamento di civil law continua ad evolversi attraverso una tecnica distintiva solo apparentemente affine al distinguishing anglo-sassone.
Gli elementi fattuali distintivi assumono comunque rilievo, ma il problema si pone in funzione nomopoietica e sempre previa verifica della potenziale riconduzione del fatto nuovo alla fattispecie già regolata da un principio di diritto, come d’altronde stabilisce l’art. 12, co. 2, preleggi.
Pertanto il processo analogico presiede l’indagine giudiziale, consentendo l’integrazione delle lacune mediante l’uso regolativo della dogmatica che “assume una funzione ermeneutica orientata dal topos dell’argomento a simili” .
Ciò non toglie che, secondo l'espressione adoperata in più occasioni da Paolo Grossi, il fatto è "fangoso". Sicché, proprio per la peculiare rilevanza che assume in ogni situazione giuridica, i principi di diritto proliferano incessantemente, legittimando l’opinione secondo cui il nostro l’ordinamento sarebbe oramai strutturato su provvisorie e mutevoli aree di ordine .
Il diritto del lavoro è pervaso da tale fenomeno, riguardando un rapporto di durata oltretutto incardinato, se si resta nel perimetro del tradizionale lavoro subordinato, su un’unica fattispecie generale. Ed anzi, come già osservato, è plausibile che l’uso dell’algoritmo nei processi produttivi e di gestione del personale amplificherà in modo esponenziale questo effetto, per il quale, condivisibilmente, si è anche parlato di vera e propria nomotesia .
Nell’ottica della prevedibilità di una decisione giudiziaria, chiedere all’IA di predire se e come un 'fatto' possa generare una nuova regola di diritto, a sua volta applicabile a casi simili futuri, non solo giustifica l’inquadramento dell’amministrazione della giustizia tra i settori ad alto rischio (qui, stando al Regolamento UE, per la “applicazione della legge a una serie concreta di fatti”), ma presuppone l’immissione di input che specifichino l’esistenza di quel 'fatto' in aggiunta a quelli che caratterizzano i casi già decisi.
In questo senso, è lodevole ogni proposito di istituire repertori della giurisprudenza di merito che, andando oltre la massimazione, consentano di individuare analiticamente i fatti di ogni situazione giuridica controversa. Il che potrebbe perfino determinare, seppur a condizioni diverse dai sistemi di common law, un cambiamento nell'approccio culturale del ceto forense ma pure dello studio teorico, istituendo una relazione permanente e di reciprocità con i programmatori nell'ambito dell'engineering prompt.
Tuttavia, questi sviluppi sono attualmente condizionati dalla necessaria tenuta del ‘precedente verticale’, perché è raro che le pronunce di legittimità, anche se correttamente massimate, descrivano compiutamente quei fatti. D’altra parte, senza uno specifico motivo di impugnazione il ‘problema’, quando non sollevato dal giudice del merito, in quella sede può emergere solo ai sensi dell’art. 363 c.p.c.
L’analisi finora svolta è, poi, inevitabilmente costretta a confrontarsi con il persistente ricorso, da parte del legislatore, alle norme generali e (ove si ammetta la distinzione) a quelle elastiche, e quindi con l’annesso dibattito che attraversa perennemente il discorso giuslavoristico.
Nei limiti della trattazione, almeno per le seconde, al pari di quanto vale per le clausole generali di buona fede e correttezza (che peraltro si interfacciano al ‘problema’ in termini di pretesa ad un fatto), occorre riconoscere che lo stesso 'fatto' si colora immediatamente di implicazioni assiologiche, poiché il giudizio attinge a standard valutativi e a norme sociali di condotta.
Sempre nell’ottica della prevedibilità, si può discutere se queste norme consentano comunque di ricorrere ad un giudizio deduttivo, che le assuma quali “categorie dogmatiche assiologicamente orientate” permettendo una catalogazione dei modelli di comportamento ; oppure se, tramite di esse, l’ordinamento respiri in una logica non dissimile da quella del case law, vale a dire mediante uno stare decisis improntato al precedente del caso concreto ed alla forza della tradizione .
Al riguardo, la giurisprudenza costituzionale assume un atteggiamento ‘laico’, riferendosi cautamente a norme programmaticamente aperte a “processi di specificazione e di concretizzazione giurisprudenziale” .
Vero è, ad ogni modo, che rispetto a tali norme e clausole per l’utilizzo dell’IA si ripropongono, mutatis mutandis, le perplessità già sollevate sulla possibilità di demandare a un algoritmo soluzioni inevitabilmente intrise di scelte valoriali. Perplessità che, anzi, sarebbero acuite dalla combinazione di quelle scelte con dati statistici, ove preordinata all’applicazione standardizzata ad ogni singola controversia, con conseguenze aberranti già comprovate da note vicende d'oltreoceano.
8. Dialettica processuale e ragionamento decisorio.
Il problematico utilizzo dell’IA nell’amministrazione della giustizia si manifesta, infine, nella delicata fase della dialettica processuale, in cui confluiscono, fino a saldarsi, il momento della calcolabilità dell’esito delle controversie e quello del ragionamento giudiziale.
Va intanto osservato che in questa fase l’IA si declina anche nelle sue ulteriori applicazioni tecnologiche, cioè per il riconoscimento del discorso (speech recognition) e il trattamento automatico del linguaggio (natural language processing), col rischio di generare un intollerabile sacrificio sia della argomentazione giuridica, sia del carattere dell’oralità, che invece è essenziale per il processo del lavoro. Mentre qualche utilità potrebbe derivare dal ricorso alla tecnologia dell’immagine (image recognition).
Anche per il machine learning emergono però ulteriori complicazioni tecniche. Infatti il nostro processo civile è governato dal principio dispositivo delle prove ma prima ancora dei fatti (art. 115 c.p.c.), la cui allegazione è soggetta a rigide preclusioni, rilevanti soprattutto per il rito speciale (artt. 414 e 416, c.p.c.).
Nella costruzione della controversia gli avvocati selezionano i fatti , non solo per una esigenza di semplificazione processuale, che nel rito del lavoro è spesso imprescindibile per le caratteristiche del rapporto di durata, ma anche seguendo precise strategie processuali, collegate alle eccezioni in senso stretto, nel rispetto di un non facile connubio tra oneri deontologici e obblighi professionali .
Peraltro, quest'opera ricostruttiva è comunque necessariamente improntata, in senso adesivo o per disaccordo nelle varie modalità già riferite, al modello logico-deduttivo, cioè ai precedenti conformi, poiché è culturalmente impossibile pretendere che un contraddittorio sia impostato su percorsi inferenziali, e neanche si può pensare che tutti padroneggino, tanto meno con disinvoltura, le coordinate filosofiche di modelli alternativi suggeriti dagli studi teorici .
Come visto, tuttavia, nella definizione di una situazione giuridica l'individuazione del fatto è essenziale, non solo perché condiziona l'eventuale elaborazione di un nuovo principio di diritto, ma perfino rispetto all'applicazione di un principio che potrebbe essersi formato, per situazioni concretamente identiche, rispetto ad una allegazione fattuale diversa (e non per questo processualmente incompleta).
Dal canto loro, i giudici non vivono fuori dal mondo e, oltre la pre-comprensione che pure influisce sul ragionamento (e non pare traducibile in algoritmi), conoscono per esperienza i problemi sottostanti alle tipologie di controversie. Il che assegna rilevanza anche al ruolo del giudice nella formazione dei fatti, perlomeno in quanto, per quelli contestati, si impone la rimozione del loro status epistemologico di incertezza .
Da ciò deriva, anzitutto, un problema di accertamento istruttorio, di per sé causa di imprevedibilità, che tuttavia nel processo del lavoro è amplificato dalla rilevanza dell'interrogatorio libero e formale e soprattutto dalla gestione dell'escussione testimoniale.
Diversamente da altri adempimenti istruttori , non sembra possibile demandare alla tecnologia la valutazione delle risultanze di questa fase giudiziale, ma neppure il suo svolgimento, in cui la percezione giudiziale dell'altrui comportamento (seppur evidentemente non trasponibile nei verbali) non rileva solo ai fini dell'attendibilità delle dichiarazioni ricevute, ma anche per l'approfondimento dell'indagine fattuale. E infatti si ricorda, giustamente, che la acquisizione di risposte binarie su capitoli di prova specifici, tipica delle controversie civili, è difficilmente compatibile con principi e prassi del rito laburistico .
Senonché, da quell'approfondimento all'ampliamento dei fatti di causa il passo è breve. Così come il temperamento delle preclusioni processuali, opportunamente garantito dai poteri istruttori officiosi, colloca l’acquisizione della piena prova di un fatto al confine, quanto mai incerto, con la ricerca della verità materiale . Il che, tra l'altro, riporta il discorso all'incipit dell'analisi e, quindi, all'idea originaria di un giudice del lavoro che non era "un arbitro silente del contraddittorio, ma attore di un modello processuale collaborativo" .
Se ci si interroga su cosa possa chiedere il giudice all'IA (e gli avvocati al giudice) rispetto a questa dialettica, la risposta positiva sembra confinata alla completa disamina del fascicolo ma nel suo stato pre-istruttorio, ai fini conciliativi e di preparazione alla discussione.
Al contrario, qualora il giudice potesse affidarsi alla tecnologia evoluta "nella ricerca ... dei fatti", come letteralmente consente il Regolamento UE, non agirebbe semplicemente in un contesto di ‘alto rischio’, bensì in contrasto, neppure troppo celato, con la disciplina del nostro processo. Infatti, nulla esclude che l'IA elabori – peraltro induttivamente – dati riferiti a casi simili o apparentemente tali, evidenziando la necessità di indagare fatti ulteriori e così costringendo a motivare il loro rifiuto o ad ampliare il thema decidendum.
La questione, pertanto, non sembra riducibile al diritto di utilizzare un 'algoritmo ragionevole' – cioè che non scivoli da quello ausiliario-descrittivo ad uno decisionale-prescrittivo – ed investe, invece, anche la sola possibilità giuridica di utilizzarlo in modo ragionevole, oltretutto col pericolo di riportare lo stato del processo a quello delle allegazioni alluvionali del dopoguerra.
Il punto è che, fermo il principio inquisitorio per l’acquisizione dei mezzi di prova relativi ai fatti allegati dalle parti, il processo del lavoro è innanzitutto una vicenda umana e, come tale, deve essere condotto e gestito con ragionevolezza . Quest'ultima, però, è ben diversa dalla razionalità ed è un attributo esclusivo dell’uomo, tanto da avere antropomorfizzato l'interpretazione dei principi fondamentali della Costituzione.
Più in generale, del resto, se l'IA non è solo un 'pappagallo statistico', non è neanche un oracolo infallibile, restando un programma che, almeno allo stato, non ragiona come la mente umana in termini di creatività, emotività ed empatia. Il che non può comunque dirsi irrilevante per un contratto che involge la persona nel suo essere e per il quale, diversamente da quelli aventi ad oggetto beni patrimoniali, è "impossibile far corrispondere in tutto e per tutto alle regole astratte il concreto adempimento, soggetto persino alla variabilità di emozioni personali imprevedibili" .