TESTO INTEGRALE CON NOTE E BIBLIOGRAFIA

1. Introduzione: contesto, finalità e domande di ricerca
Negli ultimi anni, la diffusione di strumenti di Intelligenza Artificiale (IA) e la crescente digitalizzazione dei sistemi giudiziari hanno posto le premesse per una significativa trasformazione nel modo di intendere e gestire le controversie di lavoro. Da un lato, si evidenzia la necessità di rendere più snelle ed efficienti le procedure, spesso criticate per la loro lentezza; dall’altro, si avverte l’opportunità di ampliare e facilitare l’accesso alla giustizia, specialmente per i lavoratori in condizioni di fragilità o per le imprese di piccole dimensioni. Il diritto del lavoro, per sua natura, costituisce un laboratorio di sperimentazione ideale, poiché al suo interno si intrecciano profili di tutela dei diritti fondamentali, analisi di contratti e politiche d’impresa, nonché questioni di sicurezza e protezione dei dati personali.
La letteratura scientifica e gli studi internazionali, come evidenziato da Susskind, e da diversi rapporti dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro (ILO), mostrano che l’adozione di algoritmi predittivi e di piattaforme di e-justice può incidere non solo sulla rapidità dei procedimenti, ma anche sulle logiche di potere all’interno dei luoghi di lavoro e nel processo stesso. Nel contempo, il Regolamento (UE) 2024/1689 (noto come AI Act) e diverse linee guida impongono un approccio di cautela, onde evitare che la tecnologia finisca per comprimere i diritti fondamentali, rafforzare discriminazioni o sostituire integralmente la figura del giudice.
Un riferimento significativo in questa direzione è rappresentato dal Progetto IDEA, acronimo di “I tools to design and enhance access to justice”. Cofinanziato dall’Unione Europea, il progetto coinvolge sei Stati membri (Belgio, Croazia, Estonia, Italia, Lituania e Repubblica Ceca) e mira a coniugare l’uso di algoritmi predittivi con le esigenze di trasparenza, protezione dei diritti e qualità della giurisdizione. L’obiettivo è quello di sviluppare un sistema adattabile ai diversi ordinamenti, in grado di rispettare i principi fondamentali delineati dall’AI Act, e di favorire il dialogo fra giudici, avvocati, informatici e accademici impegnati a tradurre le potenzialità del calcolo algoritmico in soluzioni concrete per l’accesso alla giustizia.
Nelle pagine che seguono, si esamineranno in modo esteso i diversi aspetti connessi all’impiego di tecnologie di Intelligenza Artificiale nell’ambito delle controversie lavoristiche, valutando quanto possa incidere sull’efficienza e sui rischi di discriminazione o di perdita di controllo umano. Si metteranno in luce le complesse dinamiche poste dalla potenziale capacità di prevedere l’esito di cause sempre più numerose e variegate, nonché le differenze che emergono tra ordinamenti di common law, dove la giurisprudenza ricopre un ruolo primario, e sistemi di civil law, maggiormente ancorati a un impianto codicistico.
L’analisi affronterà, inoltre, le ragioni che hanno spinto i legislatori europei a escludere la figura del “giudice-robot” e a considerare come “ad alto rischio” i software giudiziari, chiarendo anche le possibili implicazioni di governance per i singoli Stati membri. In questa prospettiva, il rapporto fra magistrati e avvocati risulta cruciale: la presenza di strumenti predittivi o di automazione, infatti, non può prescindere da garanzie di trasparenza e dal rispetto del contraddittorio, elementi indispensabili a prevenire un uso acritico e opaco della tecnologia.
Nel corso dell’approfondimento, si osserverà come alcuni settori del contenzioso risultino più predisposti alla sperimentazione, specie in casi ripetitivi e caratterizzati da una giurisprudenza consolidata, mentre in altre aree, che presentano aspetti di maggiore delicatezza – come discriminazioni, licenziamenti disciplinari o fattispecie di mobbing – la componente di giudizio umano appare imprescindibile. Ampio spazio verrà dedicato anche al ruolo dei giuristi, e in particolare dei tecnici del diritto del lavoro, i quali non solo possono tradurre principi e norme in parametri programmabili, ma rivestono una funzione di controllo e indirizzo delle attività di sviluppatori e programmatori, così da prevenire l’introduzione di bias e il consolidarsi di pratiche ingiuste.
Infine, la discussione verterà sul tema della conservazione della decisione come atto squisitamente “umano.” Se da un lato un sistema di IA può offrire un prezioso contributo nell’elaborazione di dati, nella individuazione di precedenti o nel suggerire soluzioni, dall’altro si ribadirà l’importanza di salvaguardare la sensibilità interpretativa del giudice, per scongiurare che l’algoritmo si sostituisca a un bilanciamento che, soprattutto in ambito giuslavoristico, richiede un’attenzione peculiare verso i diritti fondamentali delle persone. L’obiettivo complessivo, in sostanza, è quello di delineare un quadro ampio e interdisciplinare in cui fonti normative europee, indagini empiriche, e riflessioni teoriche sul futuro della giustizia del lavoro confluiscano a comporre un’analisi il più possibile esaustiva e critica.
2. L’impiego dell’IA nel processo del lavoro: progresso o rischio?
2.1 Le potenzialità di innovazione nel contenzioso lavoristico
Proporre nel settore lavoristico l’uso di chatbots, software di text mining o piattaforme ODR (Online Dispute Resolution) può rendere più rapide e accessibili le procedure legate alle cause di lavoro. Le ricerche in materia segnalano infatti come l’aumento dei ricorsi abbia prodotto un carico di lavoro sempre più gravoso per i tribunali, e l’automazione potrebbe offrire un valido supporto. A livello pratico, la classificazione dei documenti e l’individuazione dei precedenti diventano operazioni assai più agili, facendo risparmiare al giudice lunghi tempi di esame manuale e consentendo all’avvocato di concentrarsi sulle questioni più complesse di interpretazione giuridica.
L’adozione di interfacce conversazionali o strumenti di guida si traduce, inoltre, in un maggiore accesso alla giustizia per i lavoratori che hanno scarsa dimestichezza con la terminologia legale o che temono gli oneri economici di un procedimento. Tali strumenti possono aiutare a inquadrare la controversia, chiarendo se e come promuovere un’azione. Un sistema di “Solution Explorer tool”, ad esempio, invoglia le parti a considerare soluzioni alternative o stragiudiziali, con vantaggi in termini di costi e tempi.
Un ulteriore punto di forza riguarda la possibilità di incrociare diverse fonti informative, da quelle riguardanti i contratti collettivi a quelle normative o giurisprudenziali. Così facendo, si crea una sorta di cruscotto digitale che supporta non solo il giudice, ma anche avvocati e consulenti del lavoro, offrendo una visione integrata delle regole di riferimento e delle sentenze passate. L’effetto, potenzialmente, è quello di migliorare la coerenza delle decisioni e rendere più agevole il confronto tra casi simili.
2.2 I rischi correlati alle tecnologie IA
Di fronte a questi vantaggi, non mancano tuttavia preoccupazioni di tipo etico e giuridico. Tra i rischi più rilevanti, i ricercatori menzionano anzitutto la possibilità di introdurre o amplificare bias e discriminazioni. Se il software viene addestrato su dati che riflettono prassi discriminatorie – si pensi a licenziamenti più ricorrenti nei confronti di donne in maternità – la macchina potrebbe finir per proporre soluzioni negative sempre a discapito delle stesse categorie, perpetuando disuguaglianze anziché eliminarle.
C’è poi il tema dell’opacità dei processi decisionali. Numerosi algoritmi basati su metodologie di deep learning risultano difficilmente spiegabili anche ai loro stessi programmatori, e ciò diventa un problema cruciale nelle controversie di lavoro, dove la motivazione della sentenza e la possibilità di confutare l’esito rivestono un ruolo essenziale. La mancanza di trasparenza mina il principio del contraddittorio, rischiando di trasformare il processo in un atto di fiducia nei confronti di una “scatola nera”.
Alcuni studiosi hanno inoltre evidenziato il rischio di marginalizzazione del giudice. Se l’algoritmo fornisce esiti numerici o soluzioni altamente automatizzate, il magistrato potrebbe limitarsi a ratificare risultati statistici, smarrendo quella funzione interpretativa e discrezionale che caratterizza da sempre il diritto del lavoro. La ricchezza delle situazioni concrete, la variabilità dei contesti aziendali e l’esigenza di valutare aspetti di “proporzionalità” rischiano di essere trascurate da un calcolo troppo rigido.
Infine, occorre considerare le questioni legate a sicurezza e protezione dei dati, un aspetto non secondario nelle controversie lavoristiche, che spesso implicano informazioni su retribuzioni, condizioni di salute o prestazioni professionali. È dunque necessario predisporre sistemi di gestione dei dati conformi al GDPR (Reg. UE 2016/679) e altrettanto indispensabili diventano i controlli per scongiurare potenziali data breach o usi illeciti delle informazioni. In assenza di dispositivi di sicurezza adeguati, il rischio di violare la privacy dei lavoratori diventa concreto e rischia di avere conseguenze anche sulla credibilità degli strumenti automatizzati.
3. Prevedere l’esito di una controversia: è davvero possibile?
3.1 Modelli predittivi e differenze tra common law e civil law
La cosiddetta “predictive justice” ha ottenuto risultati interessanti negli Stati Uniti, dove la giurisprudenza riveste un ruolo centrale e la tradizione di analisi empirica delle decisioni è radicata. Katz, Bommarito e Blackman hanno sottolineato come un algoritmo ben addestrato possa avvicinarsi a livelli di accuratezza notevoli nel prevedere l’esito di cause presso la Corte Suprema USA. In un recente studio, l’approccio “case-based” tipico del common law ha facilitato l’uso di algoritmi predittivi, grazie all’esistenza di precedenti vincolanti e alla disponibilità di dataset giurisprudenziali consolidati.
In Europa continentale, dove domina il civil law, la giurisprudenza ha invece un valore interpretativo senza essere rigidamente vincolante. L’assenza di un precedente obbligatorio rende più complessa la costruzione di modelli puramente statistici: in diritto del lavoro, i giudici si confrontano con norme codificate, spesso arricchite da clausole generali e principi costituzionali, e la componente di discrezionalità risulta molto più ampia. Di recente, Ramos-Maqueda & Chen hanno mostrato come questa differenza strutturale comporti maggiori incertezze quando si cerca di “quantificare” l’esito di controversie relative a licenziamenti o a diritti collettivi, rendendo la predittività algoritmica uno strumento ausiliario ma non determinante.
3.2 Limiti e complessità della predittività
Anche laddove i database rispondano a elevati standard di completezza, l’algoritmo non può assumere il ruolo di un giudice in carne e ossa. In primo luogo, la discrezionalità interpretativa e la necessità di tutelare valori costituzionali rimangono aspetti irrinunciabili. Un magistrato del lavoro, infatti, non si limita a verificare la liceità formale di un licenziamento o la presenza di un atto discriminatorio, ma è tenuto a valutare aspetti di proporzionalità e “ragionevolezza” in ogni singolo contesto (Cassazione, sez. lav., 2021). Studi recenti ribadiscono che la ricchezza delle situazioni concrete, unita alla variabilità delle interazioni tra le parti, rende particolarmente difficile tradurre appieno queste sfumature in mere correlazioni statistiche.
A ciò si aggiunge la difficoltà di disporre di dati perfettamente univoci, giacché la documentazione lavoristica è spesso frammentata e non sempre digitalizzata in modo omogeneo. Nel contenzioso di lavoro, i documenti spaziano infatti dai contratti individuali o collettivi alle buste paga, fino alle comunicazioni interne, e non di rado mancano formati strutturati che permettano una catalogazione automatica priva di errori. In queste condizioni, la validità della previsione algoritmica può risultare lacunosa o addirittura fuorviante, soprattutto se ci si affida a dataset non aggiornati o incompleti.
Un ulteriore elemento di complessità deriva dall’evoluzione continua del diritto del lavoro: riforme legislative, direttive europee e novità giurisprudenziali possono modificare in modo significativo i parametri di tutela e di calcolo dei risarcimenti in tempi relativamente brevi. Ciò implica la necessità di un costante aggiornamento del “corpus” di riferimento, pena il rischio che le correlazioni su cui il sistema IA si basa divengano rapidamente obsolete. Ramos-Maqueda & Chen, in proposito, hanno sottolineato come la tempestività nell’aggiornamento e la capacità di recepire i mutamenti normativi siano decisive per mantenere anche solo un livello minimo di affidabilità predittiva.
4. Il modello del “giudice-robot” e la scelta dell’AI Act: software ad alto rischio
L’AI Act (Reg. UE 2024/1689), originato dalla proposta COM(2021) 206 final, ha adottato fin dall’inizio un approccio incentrato sulla valutazione del rischio, classificando come “ad alto rischio” quei sistemi di Intelligenza Artificiale che incidono sui diritti e le libertà fondamentali. Tra questi rientrano le applicazioni legate alle controversie lavoristiche, per le quali vengono richiesti requisiti stringenti in termini di trasparenza, robustezza e supervisione umana. Nel contempo, si è escluso qualunque sistema volto a sostituire interamente il giudice, alla luce del fatto che l’attività giurisdizionale, specialmente nel campo del lavoro, presuppone una sensibilità costituzionale, valutazioni di merito, considerazioni d’equità e un margine ineliminabile di discrezionalità. Tale posizione affonda le sue radici sia in considerazioni etiche, sia nei principi sanciti dalla Carta dei diritti fondamentali UE (art. 47) e dalla CEDU (art. 6), che riconoscono nel giudice umano il garante supremo di un giusto processo. All’interno di questo quadro, è affidato alle autorità nazionali il compito di tradurre le nozioni di “alto rischio” e “supervisione umana” in normative, linee guida o protocolli operativi da applicare nei tribunali. Nel contesto del diritto del lavoro, ciò potrebbe voler dire, da un lato, introdurre procedure di auditing obbligatorie per verificare la precisione, la trasparenza e l’assenza di bias nei software di ausilio al giudice; dall’altro, istituire comitati etici composti da giuristi, informatici e rappresentanti di lavoratori e ordini professionali, con il compito di valutare concretamente l’effetto degli algoritmi sulle cause di lavoro. Un ulteriore elemento di garanzia consiste nella formazione continua rivolta a magistrati e avvocati, affinché possano acquisire nozioni basilari in materia di IA, esaminare criticamente i risultati prodotti dalle soluzioni automatizzate e far sì che l’innovazione tecnologica non si traduca in un “fai da te” privo di regole. In sostanza, la sinergia tra auditing, comitati etici e formazione è pensata per consentire che lo sviluppo di tecnologie IA avvenga in modo coordinato e rispettoso dei valori fondamentali, permettendo di coglierne i benefici senza sacrificare i diritti dei lavoratori.

5. Come cambia la dialettica processuale tra giudici e avvocati in presenza di sistemi di IA
L’avvento di strumenti di IA e la progressiva digitalizzazione interessano ogni momento del processo del lavoro. In fase introduttiva, le soluzioni algoritmiche possono offrire al lavoratore una panoramica delle diverse opzioni (conciliazione, mediazione, arbitrato o ricorso giudiziale), semplificando anche la stesura degli atti. Nello scambio di memorie, poi, sistemi di analisi testuale accelerano l’estrazione di concetti rilevanti da una moltitudine di documenti, facilitando sia l’individuazione di precedenti specifici, sia l’identificazione di questioni giuridiche controverse. Questo ricorso all’automazione rende necessario un rafforzamento del principio del contraddittorio: l’avvocato della controparte ha il diritto di accedere alle stesse informazioni ed eventualmente metterne in dubbio la validità, la pertinenza o la neutralità. Si delinea così un processo “ibrido,” in cui uomini e macchine collaborano, ma il giudice mantiene la facoltà di valutare criticamente l’esito prodotto dall’algoritmo, accettandolo o respingendolo. Un secondo aspetto cruciale è la trasparenza: se l’algoritmo funziona come una “scatola nera,” il rischio di un effetto di pseudo-oggettività è elevato, poiché l’avvocato potrebbe trovarsi di fronte a percentuali di probabilità (“hai il 75% di possibilità di perdere”), senza poter comprendere su quali basi siano state calcolate. Per evitare che un tale scenario comprometta la difesa effettiva, occorre prevedere meccanismi di spiegabilità (explainability) capaci di illustrare il percorso logico o i criteri principali che hanno portato l’IA a quella conclusione. Inoltre, è essenziale che le parti possano contestare dati e impostazioni dell’algoritmo, richiedendo di esaminarli o integrarli con nuove informazioni, così da impedire che il procedimento si riduca a un rito formale in cui la macchina emette verdetti insindacabili.

6. Ambiti privilegiati di sperimentazione e confini da non superare
Gli studi condotti in Paesi con un’elevata informatizzazione giudiziaria (ad esempio in Estonia, nei Paesi Bassi o in alcuni Länder tedeschi) suggeriscono che le controversie “seriali,” quali i licenziamenti per giustificato motivo oggettivo, i contratti a termine o le domande risarcitorie di somme pecuniarie, risultano particolarmente adatte a sperimentazioni basate su IA, poiché spesso si fondano su migliaia di casi analoghi e consentono all’algoritmo di individuare ricorrenze e di proporre con efficienza l’esito più probabile. La presenza di piattaforme informatiche integrate, in cui atti e sentenze sono già prodotti e conservati in formato elettronico, facilita inoltre la raccolta dei dati e riduce i costi d’implementazione. Tuttavia, se l’impiego di algoritmi predittivi appare relativamente sicuro nelle controversie standardizzate, in quelle più complesse—ad esempio discriminazioni di genere, mobbing o licenziamenti disciplinari basati su presunti illeciti—l’attenzione dev’essere massima: la natura sensibile di tali cause, che coinvolgono valutazioni approfondite del contesto lavorativo e delle dinamiche personali, non si presta a un approccio meramente statistico. Diventa dunque fondamentale prevedere un controllo costante sul funzionamento degli algoritmi, affidato a comitati interdisciplinari composti da giuristi, tecnici informatici e rappresentanti del mondo accademico e delle parti sociali, capaci di intervenire su eventuali distorsioni o anomalie. In ambito lavoristico, tale esigenza di vigilanza risulta ancora più pressante, poiché in gioco vi sono diritti inalienabili come la salvaguardia del posto di lavoro e la dignità del lavoratore.
7. Il ruolo dei giuristi: sinergia con i programmatori e garanzie di governance
La realizzazione di soluzioni IA applicate al diritto del lavoro non può ridursi a un puro esercizio di programmazione informatica, ma servono competenze integrate di tipo giuridico, etico e tecnologico. I giuristi assumono qui un ruolo di primo piano, perché devono, anzitutto, individuare le variabili effettivamente rilevanti dal punto di vista normativo: dalla tipologia contrattuale (tempo indeterminato, determinato, somministrazione) al quadro legislativo di riferimento, nazionale o comunitario, fino a considerare eventuali disposizioni speciali, come quelle in materia di tutela della maternità o di cassa integrazione. Inoltre, spetta loro tradurre i principi fondamentali (non discriminazione, equità, buona fede) in vincoli che il software deve rigorosamente rispettare, evitando di incorporare parametri potenzialmente distorsivi o addirittura incostituzionali. Nella fase di prova e valutazione dell’algoritmo, il giurista è poi chiamato a verificare la coerenza dei risultati, confrontandoli con vicende giudiziarie reali per evidenziare incongruenze o anomalie e suggerire gli opportuni aggiustamenti.
Un simile contributo risulta fondamentale anche sotto il profilo dell’interfaccia utente e dell’esperienza di utilizzo (UI/UX). Se il linguaggio adottato fosse troppo specialistico, si rischierebbe di ostacolare la comprensione, soprattutto a svantaggio di quei lavoratori che non dispongono di una consulenza legale professionale. È quindi indispensabile che gli esperti di diritto, collaborando con i programmatori, favoriscano una presentazione chiara e user-friendly degli output algoritmici.
Sul piano della governance, emerge poi la questione cruciale dell’accountability. Chi risponde di un eventuale errore macroscopico dell’algoritmo o di una decisione che risulti discriminatoria? Da un lato, gli sviluppatori devono progettare un sistema affidabile e avvertire in anticipo su eventuali limitazioni tecniche, come stabilito, tra l’altro, dagli articoli 16–29 dell’AI Act. Dall’altro, la magistratura non può abdicare al proprio compito di “sorveglianza umana”, analizzando in modo critico i suggerimenti dell’IA e non lasciandosi vincolare in modo acritico.
Un modello di responsabilità condivisa appare, in tal senso, la soluzione più equilibrata. Alle software house spetta la garanzia della robustezza tecnica, della trasparenza e della sicurezza dei dati; ai giudici e agli organi di giustizia il dovere di vigilare sulla conformità delle procedure al diritto sostanziale e processuale; ai giuristi, infine, la possibilità di affiancare rappresentanti dei lavoratori e dei datori di lavoro all’interno di comitati etici o organismi di monitoraggio, con il compito di effettuare periodici audit sugli algoritmi. In questo modo, l’innovazione tecnologica può procedere preservando sia i diritti fondamentali delle parti in causa, sia la qualità e l’affidabilità delle decisioni giudiziarie.

8. Garantire una decisione “intrinsecamente umana”
Nel dibattito su IA e giustizia, il principio di “human in the loop” assume un’importanza cruciale, poiché la macchina deve porsi come semplice ausilio, lasciando al giudice la responsabilità di valutare ogni aspetto soggettivo, costituzionale ed equitativo. Nel campo del lavoro, questa logica risulta ancora più evidente: le controversie spesso coinvolgono diritti personalissimi, come la reintegra sul posto di lavoro, il risarcimento di danni o la tutela da discriminazioni, e richiedono dunque un giudice in grado di discernere e motivare in modo completo. La supervisione del magistrato si traduce quindi nella possibilità effettiva di accettare o correggere la soluzione proposta dall’algoritmo e di spiegare in modo trasparente le ragioni di un eventuale scostamento. Inoltre, un sistema costante di auditing rende possibile rilevare eventuali “drift” o distorsioni che l’IA possa sviluppare nel tempo, permettendo di intervenire tempestivamente. In questa prospettiva, il Progetto IDEA diventa un esempio concreto di come coniugare l’innovazione tecnologica con la tutela dei diritti: la sua impostazione, infatti, prevede meccanismi di supervisione e verifica costante che coinvolgono giudici, avvocati e informatici, per evitare che gli algoritmi si sostituiscano del tutto all’esercizio umano della discrezionalità. Tale esigenza di controllo non si limita a questioni “tecniche,” ma affonda le sue radici nel riconoscimento – proprio dell’ordinamento europeo e internazionale – che il processo giudiziario non può ridursi a una mera applicazione di regole. In particolare, nel diritto del lavoro, il giudice bilancia la forza economica del datore con la vulnerabilità del lavoratore, e l’uso di strumenti automatizzati non deve intaccare valori come la dignità, la giusta retribuzione e la protezione da abusi o discriminazioni. Già la Commissione Europea, nel “White Paper on Artificial Intelligence”, insisteva sull’importanza di costruire un “ecosistema di fiducia,” ricordando che l’IA dev’essere un ausilio—non un sostituto—dell’agire umano, e tale concetto è stato recepito dall’AI Act, che intende preservare il ruolo insostituibile dell’autorità giudiziaria, influenzata da istanze sociali e morali che non possono essere appiattite su algoritmi.

9. Conclusioni: verso un equilibrio tra innovazione e garanzie nel diritto del lavoro
L’analisi condotta mette in luce come l’adozione di tecnologie di IA nel processo del lavoro possa costituire un’importante opportunità per rendere più rapide ed economicamente sostenibili le procedure, consentendo a un maggior numero di lavoratori e datori di lavoro di accedere con facilità alla giustizia. Al contempo, tuttavia, emerge la necessità di fronteggiare alcuni rischi, soprattutto quello di introdurre bias negli algoritmi, di generare opacità decisionale e di ridimensionare eccessivamente il ruolo del giudice. Questi pericoli rendono indispensabile una regolamentazione accurata, accompagnata da meccanismi di supervisione stringenti e dalla possibilità di monitorare costantemente il funzionamento delle soluzioni tecnologiche adottate.
La capacità di prevedere l’esito di una controversia offre spunti interessanti, in particolare nei sistemi di common law, dove la prassi del precedente risulta consolidata. In contesti di civil law, e nel diritto del lavoro in particolare, la componente interpretativa e l’ampia discrezionalità riconosciuta ai giudici confermano che la predizione algoritmica non possa sostituire l’apprezzamento umano. La previsione, dunque, può rivelarsi utile nel fornire stime di massima o scenari probabili, ma non garantisce un valore deterministico né assicura la comprensione di tutte le sfaccettature del caso.
La scelta operata dall’AI Act di rifiutare il modello del “giudice-robot” deriva proprio da questa considerazione: l’attività decisionale in ambito lavoristico implica valutazioni che trascendono la mera applicazione di schemi statistici. Per tale ragione, i software destinati all’uso in tribunale sono stati inseriti tra i sistemi “ad alto rischio,” con l’imposizione di regole precise in termini di trasparenza, controlli e supervisione umana. Tale visione si collega anche al tema della dialettica processuale: l’introduzione di strumenti predittivi, per quanto possa velocizzare le fasi istruttorie e la ricerca dei precedenti, non deve pregiudicare il diritto delle parti di comprendere e contestare la logica su cui l’algoritmo basa le proprie indicazioni. Senza adeguata “spiegabilità” e senza accesso ai dati di addestramento, verrebbe meno la natura partecipativa del giudizio, e il contraddittorio risulterebbe fortemente limitato.
Sul fronte delle sperimentazioni, si individuano alcuni ambiti in cui l’IA appare più facilmente applicabile, quali i licenziamenti di tipo economico, i contratti a termine e altre controversie dal contenuto altamente ripetitivo o standardizzato. In queste situazioni, l’adozione di algoritmi può tradursi in un reale vantaggio organizzativo, mentre nei casi più delicati—come i licenziamenti disciplinari legati a discriminazioni, fattispecie di mobbing o questioni di dignità professionale—la componente umana del giudice diventa irrinunciabile. In tali contesti, una decisione “personalizzata” e attenta alle dinamiche interne del rapporto di lavoro appare essenziale per garantire un esito equo.
Il ruolo dei giuristi, in questo scenario, risulta centrale. Agendo come intermediari tra il diritto del lavoro e i linguaggi di programmazione, sono chiamati a definire quali principi e normative debbano orientare lo sviluppo di algoritmi e banche dati, prevenendo discriminazioni e distorsioni. Diventano così figure di riferimento nella governance dei sistemi, lavorando fianco a fianco con sviluppatori, magistrati e parti sociali per dare vita a piattaforme in grado di rispettare i valori fondamentali del diritto del lavoro.
Sullo sfondo rimane, infine, il principio della decisione “intrinsecamente umana.” Le linee guida europee e l’AI Act sottolineano con forza come la funzione giudiziaria non possa esaurirsi in un’automazione, ma richieda l’esercizio di un potere discrezionale. In questo contesto, le attività portate avanti dal Progetto IDEA offrono un esempio di come bilanciare esigenze di innovazione e garanzie procedurali: la sperimentazione, basata su algoritmi “open source” e su un dialogo continuo tra paesi diversi, mira infatti a definire standard metodologici condivisi per l’uso dell’IA nei tribunali, sottolineando l’importanza di un controllo etico e di una supervisione trasparente che valorizzino la decisività del fattore umano. In definitiva, l’Intelligenza Artificiale può fornire un supporto significativo allo sviluppo di un sistema di giustizia del lavoro più rapido e accessibile, a patto che rimanga un “ausilio” e non un surrogato dell’intervento umano.
Da un punto di vista prospettico, la sfida principale consiste nel trovare un equilibrio fra innovazione e tutela dei diritti. Gli strumenti IA possono abbattere il cosiddetto backlog, facilitare la negoziazione e rendere più fruibili le informazioni complesse, ma necessitano di costanti verifiche e di un impegno continuo per garantire trasparenza, aggiornamento e neutralità dei dataset. Le raccomandazioni internazionali evidenziano, a tal fine, l’importanza di investire nella formazione congiunta di magistrati e avvocati, di istituire comitati etici permanenti e di concordare standard tecnici condivisi. Attraverso un dialogo multidisciplinare e un monitoraggio assiduo, l’IA può effettivamente tradursi in un valore aggiunto per il sistema giudiziario del lavoro, senza però sacrificare quei principi di umanità e proporzionalità che costituiscono il cuore stesso dell’attività decisoria.

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