testo integrale con note e bibliografia

1. Introduzione.
L’evoluzione e la diffusione dei sistemi di Intelligenza Artificiale anche in ambito giuridico, con l’aumento, in particolare, di software specificamente addestrati per svolgere una serie di attività di supporto rispetto alla professione forense, come, tra le altre, ricerche giuridiche avanzate e redazione di bozze di atti, impone la necessità di confrontarsi con alcune questioni ormai non più procrastinabili, proprio alla luce della velocità con la quale, quotidianamente, questi sistemi si evolvono e diventano di uso comune.
Il riferimento è, in particolare, alla necessità di verificare, senza assumere posizioni pregiudiziali, la possibilità di un utilizzo dei sistemi di Intelligenza Artificiale anche nell’ambito dell’esercizio dell’attività giurisdizionale, senza che ciò implichi ammettere la possibilità che questa attività sia affidata all’I.A.; il che si porrebbe, con tutta evidenza, in contrasto con i principi costituzionali di cui agli artt. 24 (diritto alla difesa), 25 (principio del giudice naturale), 101 (principio di soggezione della magistratura solo alla legge), 102 (attribuzione della funzione giudiziaria alla magistratura) e 111 Cost. (principio del giusto processo), che definiscono l’architettura del nostro processo, e che insieme all’art. 6 CEDU (diritto di difesa) rappresentano il massimo livello di garanzia di tutela dei diritti fondamentali ; principi che, certamente, quando sono stati elaborati e codificati, postulavano che la realizzazione del giusto processo (art. 111 Cost.) avvenisse in stretta correlazione con il principio del giudice naturale - umano - precostituito per legge.
Del resto, in questa ottica, sembra collocarsi, almeno a una prima lettura, il Regolamento europeo sull’Intelligenza Artificiale, c.d. AI Act, laddove, al comma 8 dell’Allegato III, classifica tra i sistemi “ad alto rischio” quelli “(…) destinati a essere usati da un’autorità giudiziaria o per suo conto per assistere un’autorità giudiziaria nella ricerca e nell’interpretazione dei fatti e del diritto e nell’applicazione della legge a una serie concreta di fatti, o a essere utilizzati in modo analogo nella risoluzione alternativa delle controversie” .
In una prospettiva immediata e ancorata al rigoroso rispetto del limite della prerogativa umana della decisione giudiziaria può quindi apparire proficuo, al fine di assicurare che si arrivi a una decisione corretta e tempestiva, considerare quanto sia fondamentale spostare lo sguardo sull’organizzazione della funzione giudiziaria: è evidente, infatti, che l’esercizio efficiente dell’attività giurisdizionale postula necessariamente che gli uffici giudiziari, le sezioni che li compongono e quindi i singoli giudici siano dotati di un’organizzazione adeguata e al passo con l’evoluzione anche tecnologica.
Ecco, allora che, se si sposta lo sguardo dal piano, per così dire, più prettamente giurisdizionale in senso stretto, ossia inteso come esercizio dello ius dicere, della funzione giudiziaria, mediante l’adozione di provvedimenti giudiziali, a quello organizzativo, che coinvolge, a propria volta, una serie di ambiti - che vanno dall’analisi dei flussi del contenzioso in entrata e in uscita, alla calendarizzazione dei procedimenti, alla c.d. “pesatura” dei fascicoli, ossia alla classificazione dei procedimenti in base all’oggetto in sede di assegnazione, alla complessità delle questioni giuridiche che essi pongono, o alla serialità delle stesse, nel senso di ripetitività delle controversie che impongono la soluzione di medesime questioni -, possono ipotizzarsi degli spazi per l’utilizzo di sistemi di I.A. che possono essere d’ausilio e supporto all’esercizio della giurisdizione, impattando in senso positivo sull’organizzazione di quest’.
In questa prospettiva, quindi, si proverà ad individuare, anche mediante esempi pratici, alcuni possibili ambiti di utilizzo di sistemi di I.A. che possano essere di ausilio concreto all’organizzazione del lavoro del singolo giudice e dell’ufficio giudiziario, evidenziando l’assoluta necessità che si sviluppi e si favorisca un dialogo continuo tra due mondi, quello giuridico e informatico, solo apparentemente distanti, come dimostrano le numerose innovazioni che negli ultimi anni hanno interessato il processo civile con una telematizzazione estesa a tanti ambiti (dal deposito telematico degli atti, alle notifiche effettuati a mezzo pec), fino ad arrivare, con la c.d. riforma Cartabia, ad una stabilizzazione di un sistema che, nato per fronteggiare l’emergenza pandemica , prevede la celebrazione dei processi anche da remoto, senza la compresenza di avvocati e giudice nelle aule di giustizia o in forma c.d. cartolare, mediante lo scambio di note scritte.
Al contempo, proprio questa evoluzione radicale nelle forme di celebrazione del processo sarà richiamata per mettere in evidenza la pericolosa concomitanza di una serie di fattori che, in uno scenario futuro, non poi così lontano, potrebbero portare a mettere in discussione anche il limite della riserva umana della decisione giudiziale, specialmente se si continuerà a premere l’acceleratore sulla velocità della decisione giudiziale a discapito della qualità della stessa, mettendo in luce la necessità di recuperare e valorizzare la componente “umana” delle decisioni, da intendersi come frutto non solo di approfondimento tecnico, ma anche di una visione a 360° gradi del giurista, radicata nella realtà e capace di fornire un’interpretazione delle norme che sia coerente con la disciplina comunitaria e costituzionale e, con quei principi generali che sono espressione di un ordinamento stratificato, evoluto e complesso come il nostro.

2. Possibili ambiti di sperimentazione dell’uso dell’I.A.
Il diritto del lavoro e il processo del lavoro possono costituire, rispetto al diritto civile e al processo civile in generale, un ambito e un luogo, per certi versi, privilegiati nello studio dell’individuazione di possibili utilizzi dei sistemi di intelligenza artificiale e dell’avvio di sperimentazioni mirate.
Ciò, a parere di chi scrive, è favorito da due fattori: il primo può essere ricondotto al fatto che il processo del lavoro, per come è strutturato, in particolare con la previsione di rigorose preclusioni processuali, consente una più agevole individuazione e delimitazione del thema decidendum rispetto al processo civile, che presenta invece una serie di appendici scritte che possono consentire, entro determinati limiti, modifiche della causa petendi e del petitum; ciò può rendere più agevole ipotizzare un utilizzo dell’I.A. in funzione classificatoria dei procedimenti, aspetto sul quale ci si soffermerà più diffusamente nel prosieguo.
Il secondo può essere ricondotto al fatto che nell’ambito del contenzioso giuslavoristico è più frequente la possibilità di controversie caratterizzate da tratti di serialità; si pensi, solo per citare un esempio più recente, al contenzioso in materia scolastica scaturito dal riconoscimento, in via via giurisprudenziale, a determinate condizioni, in favore dei docenti assunti con contratto a tempo determinato, della c.d. carta elettronica dei docenti prevista dall'art. 1, comma 121, della l. n. 107 del 2015 solo in favore dei docenti assunti a tempo indeterminato .
Anche con riferimento a queste ipotesi potrebbe risultare proficuo l’utilizzo di sistemi di I.A. in funzione classificatoria, per consentire più agevolmente agli uffici giudiziari complessivamente intesi e al singolo giudice del lavoro di conoscere in maniera più specifica il contenuto dei singoli procedimenti sin dal momento dell’iscrizione a ruolo, così da calendarizzarne la trattazione e la decisione simultaneamente.
Con maggiore impegno esplicativo, ciò che si intende evidenziare è che alcuni tratti strutturali del processo del lavoro - che impongono la sostanziale necessità di delineare in maniera specifica l’oggetto della singola controversia sin dal momento del deposito del ricorso (dell’iscrizione a ruolo del procedimento) o comunque della costituzione del resistente - e alcuni aspetti di natura, invece, congiunturale, come la dimensione plurima e collettiva di controversie che riguardano, ad esempio, determinate categorie di pubblici dipendenti (es. i docenti) o diritti trasversali a pluralità di lavoratori - si pensi alla questione concernente la monetizzazione della mancata fruizione di ferie da parte dei dipendenti pubblici - possono rendere più agevole un’attività di catalogazione dei procedimenti sopravvenuti in un determinato momento o comunque pendenti sul ruolo del singolo magistrato o sulla singola sezione lavoro di un determinato ufficio giudiziario.
Ed è proprio per consentire di effettuare un’attività di catalogazione e classificazione dei procedimenti, per così dire, avanzata, ossia che ne individui l’oggetto non soltanto in termini generali come già avviene ad esempio con l’iscrizione a ruolo, ma in maniera più analitica e dettagliata, che può ipotizzarsi un uso dei sistemi di I.A. ai fini di un’attività preliminare di “studio” del ricorso non in funzione sostitutiva di quella, assolutamente necessaria e insostituibile del giudice, ma in funzione di concreto supporto rispetto a quest’ultima, in modo, ad esempio, da favorire il raggruppamento di controversie con oggetti simili o identici ai fini della calendarizzazione delle prime udienze.
È possibile affermare, quindi, che un primo ambito in cui si può ipotizzare l’utilizzo del sistema di I.A. è rappresentato da quello dell’analisi del contenuto degli atti introduttivi (ricorso in prima battuta e memoria difensiva al momento dell’eventuale costituzione in giudizio della parte resistente); ciò non con lo scopo di sostituire lo studio del fascicolo da parte del magistrato, ma per agevolare quest’ultimo sul piano organizzativo, rendendo più celere la fase di fissazione delle udienze dei singoli procedimenti e anche di verifica del contenzioso pendente sul proprio ruolo – inteso come numero complessivo di procedimenti pendenti – non soltanto su piano, per così dire, “quantitativo” , ma anche “qualitativo”, consentendo, in questo modo, al giudice del lavoro di disporre, in tempo reale, di una “fotografia tridimensionale”, dei procedimenti pendenti in un determinato momento.
Si pensi, ad esempio, alla possibilità di disporre di un motore di ricerca che, implementando il software già in uso per la gestione telematica del contenzioso, consenta di “navigare” all’interno dei singoli procedimenti, individuandone in maniera più specifica alcuni elementi come l’oggetto, la natura documentale o meno, la presenza di richieste istruttorie, la riconducibilità o meno, in prima battuta, a fattispecie già esaminate da quel determinato ufficio giudiziario o dalla Corte di Cassazione.
Tutto ciò, ovviamente, dovrà avvenire nel pieno rispetto del diritto alla segretezza e riservatezza dei dati personali - dati che necessariamente sono presenti nei singoli fascicoli e negli atti che compongono questi ultimi - e quindi solo qualora siano assicurate le necessarie garanzie che i dati elaborati dal sistema per quest’attività di studio non possano fuoriuscire dallo specifico ambito e dalle specifiche finalità per le quali sono elaborati; anzi, sotto questo profilo potrebbe essere utile anche implementare il sistema di I.A. con una funzione di anonimizzazione degli atti, in modo da eliminare, quindi, sin da questa fase iniziale di studio e classificazione dei procedimenti, i riferimenti alle parti.
Un esempio pratico può, forse, aiutare a comprendere meglio l’utilità di questo tipo di attività di classificazione e catalogazione.
Al momento della redazione di questo testo, attraverso la consultazione del software “Consolle del Magistrato” è possibile verificare la pendenza, sul “ruolo” assegnato al sottoscritto, di 1.080 procedimenti; utilizzando i vari filtri di ricerca, è possibile ulteriormente verificare che, all’interno di questo numero complessivo, 397 procedimenti sono relativi a ricorsi per a.t.p. ex art. 445 bis c.p.c.; ancora, applicando ulteriori filtri di ricerca per nominativo della parte resistente, è possibile verificare che dei 1.080 procedimenti complessivi, 636 hanno come parte resistente l’INPS e 148 il Ministero dell’Istruzione e del Merito.
Ciò significa che, con lo strumento attualmente in uso, è già possibile verificare in tempo reale e con estrema rapidità alcuni tratti peculiari del contenzioso attualmente pendente innanzi al sottoscritto: cioè il fatto che oltre un terzo dei procedimenti è costituito da ricorsi per a.t.p., quindi da controversie di natura assistenziale soggette al procedimento ex art. 445 bis c.p.c., che oltre la metà delle controversie risultano promosse nei confronti dell’INPS e che un numero consistente di giudizi risulta instaurato nei confronti del Ministero dell’Istruzione e del Merito.
È evidente, allora, che l’utilizzo di sistemi di I.A. in funzione di analisi e di studio dei procedimenti e, quindi, della composizione del ruolo, tramite l’esame del contenuto dei ricorsi e, laddove presenti, delle costituzioni in giudizio, consentirebbe di verificare in tempo reale in maniera molto più approfondita e dettagliata la qualità del contenzioso, attraverso, in primo luogo, l’individuazione specifica dell’oggetto dei singoli procedimenti. Così come, in maniera analoga, sarebbe possibile verificare, ad esempio, se negli atti di un procedimento sono presenti richieste istruttorie e, quindi, di scrutinarne agevolmente e rapidamente la natura documentale o meno.
Ancora sarebbe possibile, sempre attraverso uno strumento di questo tipo, effettuare delle ricerche raggruppando i procedimenti per identità o similitudine di oggetto; ciò, sul piano pratico, potrebbe essere particolarmente utile perché potrebbe rendere più agevole per il magistrato l’attività di fissazione delle prime udienze tramite raggruppamento di procedimenti con oggetto identico o simile, cosa che in parte già avviene, ma in maniera, per così dire, più “artigianale” e intuitiva, e che però non sempre è possibile realizzare in tempi rapidi e in linea con le spesso numerosissime sopravvenienze. Si pensi, invece, alla possibilità, all’atto di fissare l’udienza di trattazione di un procedimento appena iscritto a ruolo, di richiamare, semplicemente con una rapida ricerca che impieghi pochi secondi - qual è il tempo che normalmente impiega un motore di ricerca giurisprudenziale implementato dall’ I.A. - i procedimenti aventi oggetto simile o identico già calendarizzati.
Peraltro, il vantaggio potrebbe essere significativo non solo in termini di risparmio di tempo nella calendarizzazione delle udienze, ma anche per consentire a un giudice che subentri in un determinato ruolo a seguito di trasferimento, di conoscerne la composizione in maniera più agevole e di “organizzarlo”, sul piano della calendarizzazione delle udienze, in particolare di quelle istruttorie e decisorie, in tempi molto più rapidi e con maggiore cognizione specifica di quanto consente il sistema attuale che, di fatto, come si è osservato, non consente una valutazione approfondita e, per così dire, “qualitativa” della composizione del ruolo - intesa come analisi del tipo di procedimenti pendenti, del grado di difficoltà, della serialità o meno delle questioni - ma soltanto “quantitativa”.
Inoltre, sotto altra prospettiva, che attiene maggiormente all’organizzazione dell’ufficio giudiziario nel suo complesso o comunque come singola sezione, l’utilizzo di sistemi di I.A. potrebbe agevolare e velocizzare l’attività di rilevazione statistica dell’attività giudiziaria svolta, rendendo possibile l’elaborazione in tempo reale dei dati estratti dai sistemi operativi utilizzati dal personale di cancelleria e dai magistrati, anche con la realizzazione, ad esempio, di grafici esplicativi sull’andamento dell’attività giudiziaria svolta dall’ufficio nel suo complesso, dalla singola sezione e/o dai singoli magistrati, rendendo così anche più immediata la fruizione di questi dati e consentendo, in questo modo, anche l’adozione da parte dei dirigenti degli uffici di eventuali correttivi a fronte di criticità emerse nella gestione del contenzioso o per lo svolgimento di alcune attività complesse che presuppongono l’analisi di una serie di dati come quella svolta per l’elaborazione dei c.d. programmi di gestione; e ciò anche alla luce della possibilità, innanzi evidenziata, di consentire un’analisi “qualitativa” della composizione del contenzioso pendente innanzi ai singoli magistrati, spesso difficilmente realizzabile in concreto.
Si pensi, ad esempio, alla possibilità, con l’ausilio di sistemi di I.A. che analizzino l’oggetto dei singoli procedimenti, sintetizzandolo, di suddividere, all’interno dei procedimenti sopravvenuti in un determinato lasso di tempo, questi ultimi per oggetto, distinguendo quelli che presentano tratti di serialità - la cui definizione può essere più agevole perché relativi a questioni già decise dai magistrati di un determinato ufficio o rispetto alle quali si sono già registrate pronunce della Corte di Cassazione che hanno affermato principi di diritto rilevanti ai fini della relativa decisione -, da quelli che, invece, presentano elementi di maggiore specificità e rispetto al cui esito può essere più determinante il “peso” dell’attività istruttoria.
È evidente, allora, che sul piano più strettamente organizzativo, al fine di assicurare una più corretta e ordinata gestione del contenzioso pendente innanzi al singolo magistrato, anche nella prospettiva del subentro di un giudice ad un altro o dell’adozione di provvedimenti di ridistribuzione dei procedimenti, e, in definitiva, una gestione più efficace del contenzioso, l’utilizzo di sistemi di intelligenza artificiale addestrati per svolgere i compiti innanzi descritti potrebbe risultare di estrema utilità, al punto da essere auspicabile.

3. L’importanza di un dialogo continuo tra giuristi e programmatori.
Introdurre nell’organizzazione dell’attività giudiziaria per le finalità innanzi descritte l’utilizzo di sistemi di I.A. implica che questi ultimi siano adeguatamente addestrati. E per un addestramento efficace occorre programmare un’I.A. fornendole dati corretti, completi e, ancor prima, chiarendo, a chi si occupa di programmarla, quali sono le esigenze concrete che, tramite essa, si intende perseguire. Ciò rende assolutamente necessario che si instauri un dialogo diretto, con uno scambio di informazioni continuo, tra giuristi e programmatori.
Informatica e diritto sono, almeno apparentemente, due mondi distanti che si parlano poco.
Eppure, a ben vedere, il processo civile e con esso il processo del lavoro hanno subito negli ultimi anni un processo di telematizzazione che ne ha modificato radicalmente alcuni aspetti fino a mettere in crisi anche un caposaldo come quello dell’oralità; basti pensare, tra l’altro, all’introduzione del deposito telematico degli atti di causa, anche innanzi alla Corte di Cassazione (art. 221, d.l. n. 34/2020, comma 5), del giuramento scritto da parte del c.t.u. (art. 221, d.l. n. 34/2020, comma 8), della trattazione scritta del procedimento (art. 221, d.l. n. 34/2020, comma 4) e della celebrazione dell’udienza da remoto (art. 221, d.l. n. 34/2020, comma 6 e 7) .
È indispensabile, allora, in questo quadro contemporaneo già notevolmente mutato e in cui il processo civile è sempre più “contaminato” da una branca così apparentemente lontana dal sapere giuridico come quella informatica, che si prevedano degli spazi, non solo di comunicazione, ma anche di riflessione, condivisi, tra giuristi e programmatori, affinché i primi siano posti in condizione di comprendere con esattezza le potenzialità dell’uso di sistemi di I.A. nella prospettiva di una più efficiente organizzazione del lavoro; al contempo, è indispensabile che anche i programmatori siano posti nelle condizioni di comprendere bene quali sono le esigenze concrete che l’I.A. potrebbe essere chiamata a soddisfare nell’esercizio dell’attività organizzativa a supporto di quella giurisdizionale strettamente intesa. Cercando di avere, al contempo, ben presente, alcune peculiarità che, se ignorate o trascurate, potrebbero vanificare l’esito positivo di questo tipo di sperimentazione; il riferimento è, tra l’altro, al complesso rapporto tra fonti interne e fonti sovranazionali, alle problematiche che scaturiscono dalla frequente oscurità e ambiguità dei testi normativi, alla difficoltà di orientarsi in una stratificazione di norme spesso inestricabile per mancanza di un adeguato coordinamento, alla eterogeneità delle modalità di redazione non soltanto dei provvedimenti giudiziali ma anche degli atti processuali.
Sono tutti aspetti forse scontati per i giuristi, e in primis per i magistrati che sono chiamati ad applicare e interpretare le norme, ma di cui deve necessariamente essere consapevole, quanto meno a grandi linee, chi è chiamato a occuparsi dell’addestramento di un sistema di I.A. e anche della verifica del suo corretto funzionamento una volta che ne sia consentito l’utilizzo, al punto da rendere auspicabile che all’addestramento partecipino, insieme, giuristi e programmatori.
Ecco, allora che appare assolutamente indispensabile il coinvolgimento di magistrati nell’elaborazione e approvazione di progetti legati ai possibili usi dei sistemi di I.A. a supporto dell’attività giurisdizionale e in particolare dell’attività organizzativa, poiché solo chi gestisce quotidianamente centinaia e/o migliaia di procedimenti - e ciò vale ancora di più per chi ricopre un incarico dirigenziale di direttivo come Presidente di Tribunale o di semi direttivo come Presidente di Sezione - è in grado di rappresentare le esigenze pratiche che potrebbero essere soddisfatte mediante l’utilizzo di sistemi di I.A.
Al contempo è indispensabile, proprio perché tali esigenze possano essere esplicitate adeguatamente, che anche i programmatori illustrino, con chiarezza, quali sono le possibilità offerte dall’attuale evoluzione dei sistemi di I.A. nel realizzare le esigenze manifestate da chi dovrebbe fruire di questi sistemi, evidenziandone aspetti positivi e possibili criticità, come ad esempio quelle derivanti dall’acquisizione di dati, per definizione sensibili, come quelli relativi a una controversia giudiziale se a ciò non si accompagni una coeva attività di anonimizzazione degli stessi o comunque la previsione di limiti e garanzie - da inserire anche all’interno dei contratti stipulati per l’utilizzo di questi software - per assicurare che tali dati non vengano acquisiti e utilizzati se non per la specifica finalità che il sistema di I.A. è chiamato a realizzare.
Inoltre, occorre che i canali di comunicazione tra magistrati - ma in realtà il discorso può essere esteso più in generale a tutti i giuristi, come categoria generale -, e programmatori siano previsti non solo in una fase iniziale, per così dire, propedeutica rispetto all’introduzione di questi sistemi, ma anche in una fase successiva, in modo da consentire di verificarne il corretto funzionamento e l’adozione di una serie di correttivi che solo l’esperienza concreta può essere in grado di suggerire.
Desta maggiori perplessità, invece, a parere di chi scrive, la possibilità di utilizzare sistemi di I.A. in chiave di prevedibilità dell’esito delle controversie, ossia mediante la realizzazione di banche dati, o comunque attraverso l’implementazione di quelle già esistenti, che consentano di conoscere nella maniera più specifica possibile l’orientamento di un singolo ufficio giudiziario su un determinato tipo di controversia, orientando in questo modo la parte e il difensore sulla scelta in ordine al se introdurre o meno un giudizio.
Aldilà di alcuni rischi, come quello, ad esempio, di profilazione del singolo magistrato, apparentemente evitabili mediante l’anonimizzazione dei dati personali dei provvedimenti, compresa l’identificazione del giudice che ha emesso il provvedimento - ma che potrebbero non essere del tutto scongiurati qualora, ad esempio, l’I.A. sia addestrata acquisendo ed elaborando, anche sul piano statistico, provvedimenti in maniera distinta per singolo magistrato -, sono forti le perplessità sulla reale utilità di un’attività di questo tipo, se solo si considera che la decisione del giudice di merito è, per definizione, una decisione sulla singola fattispecie che non può, quindi, assurgere a paradigma di un orientamento giurisprudenziale diffuso o condiviso se non si effettua, a monte, una corretta individuazione della fattispecie oggetto della decisione, che potrebbe presentare dei tratti peculiari rispetto ad altre, rendendo, in questo modo, vana la sua utilizzazione da parte di un sistema di I.A. per individuare orientamenti comuni e condivisi da un singolo ufficio giudiziario su una data questione . Del resto, come si è correttamente osservato , una soluzione di questo tipo appare più consona ai sistemi di common law, fondati sull’applicazione del metodo induttivo in base al precedente giurisprudenziale, rispetto ai sistemi, come il nostro, di civil law, basati sul metodo deduttivo che parte dalla disposizione normativa per arrivare alla risoluzione della singola fattispecie.
Anche in ordine a tale profilo appare, in ogni caso, fondamentale il coinvolgimento degli operatori del diritto e la comunicazione tra questi ultimi e gli informatici deputati a programmare e addestrare i sistemi di I.A., quanto meno al fine di consentire ai primi di mettere in luce le problematiche appena evidenziate, e, ai secondi, di individuare possibili correttivi da adottare per rendere più efficace l’utilizzo dei sistemi di I.A.
A ciò si aggiunga che, sempre in ordine alla possibilità di prevedere in concreto l’esito di una controversia giudiziale, non può non considerarsi che su tale esito incide, spesso, in maniera determinante, l’onere della prova, dal cui assolvimento (o mancato assolvimento) può, appunto, dipendere l’esito positivo o negativo di una lite, specie se non di puro diritto.
Sul punto è possibile osservare, in chiave ovviamente puramente esemplificativa ai fini dell’esame delle problematiche in oggetto, e senza voler in alcun modo operare una reductio ad unitam di un contenzioso estremamente eterogeneo e multiforme - in cui ben possono intrecciarsi problematiche concernenti la prova dei fatti e l’interpretazione di una questione giuridica - individuare, all’interno del contenzioso giuslavoristico, due macro tipologie di controversie: a) quelle che hanno ad oggetto questioni di puro diritto, in cui l’attività interpretativa/decisionale del giudice si incentra essenzialmente sull’interpretazione delle norme (si pensi al già citato esempio dell’estensione della carta docenti ai docenti assunti a tempo determinato); b) quelle che hanno ad oggetto questioni controversie sul piano fattuale e, quindi, in cui l’attività interpretativa/decisionale del giudice si incentra essenzialmente sulla valutazione delle prove, soprattutto orali (es. controversie che hanno ad oggetto rivendicazioni da parte del lavoratore di differenze retributive, per lavoro straordinario, lavoro festivo).
Questa suddivisione, certamente semplicistica, è funzionale a mettere in luce che se, almeno astrattamente, e con tutte le precauzioni del caso legate a una serie di variabili non del tutto prevedibili, con riferimento al primo tipo di controversie è possibile ipotizzare uno spazio per l’utilizzo di sistemi di giustizia predittiva, che consentano di prevedere, con un certo grado di approssimazione, l’esito di una controversia, perché più direttamente consequenziale all’interpretazione di una norma, con riferimento al secondo tipo di controversie, in cui è preponderante l’aspetto concernente l’assolvimento dell’onere probatorio, appare più difficile ipotizzare che ciò sia possibile, quanto meno in termini di elaborazione statistico probabilistica con una percentuale apprezzabile che agevoli quindi la scelta sul se introdurre un determinato giudizio, non potendosi ignorare il “peso” decisivo che assume proprio la variabile rappresentata dall’assolvimento dell’onere della prova. È evidente, infatti, che una valutazione prognostica sull’esito di una controversia basato sui precedenti “favorevoli” o “sfavorevoli” rispetto alla domanda proposta dal lavoratore potrebbe risultare condizionata non dall’esistenza di orientamenti meno o più “rigorosi” di un singolo ufficio giudiziario, ma da come nei singoli procedimenti scrutinati dall’I.A. per formare un dato statistico è concretamente stato assolto l’onere della prova dalla parte che agisce in giudizio.

4. Velocità e prevedibilità della decisione: verso una giustizia automatizzata?
Se è possibile ipotizzare uno spazio per l’utilizzo dell’Intelligenza Artificiale in funzione di ausilio e supporto dell’attività giurisdizionale, con alcune possibili applicazioni come quelle prospettate innanzi, appare quanto mai opportuno ribadire la necessità di fissare una netta, chiara, linea di confine, oltre la quale l’uso dei sistemi di I.A. deve considerarsi precluso: ed è proprio la linea che separa l’organizzazione dell’attività giudiziaria dall’esercizio della funzione giudiziale in senso stretto. Con il fermo auspicio, al contempo, che di quest’ultima siano preservati, e anzi valorizzati e ripresi, alcuni tratti che l’hanno certamente caratterizzata in passato e che sembrano ormai posti in secondo piano, sotto la spinta di una serie di fattori che si muovono nella direzione del perseguimento dell’efficienza e della velocità della giurisdizione, quest’ultima assurta sempre di più a vero proprio totem, al cui cospetto ogni altra qualità che pure dovrebbe caratterizzare una decisione giudiziale - in primo luogo, per quel che concerne la prospettiva di un giudice di primo grado, la capacità di delineare, con l’attribuzione di torti e ragioni, una definizione tecnicamente corretta e ponderata del rapporto controverso, capace di resistere ai gradi successivi - sembra passare in secondo piano .
Con maggiore impegno esplicativo, l’urgenza di ribadire ciò che potrebbe sembrare ovvio, ossia che l’attività decisionale resti un’attività essenzialmente umana, scaturisce dalla visione di un quadro d’insieme che registra la preoccupante confluenza, negli ultimi anni, di una serie di innovazioni intervenute non solo nel processo civile, e quindi anche nel processo del lavoro, ma anche nell’ordinamento giudiziario, che, pur motivate, quanto meno nelle intenzioni del legislatore, da finalità apprezzabili, riconducibili in gran parte all’esigenza di garantire una maggiore velocità e prevedibilità della decisione giudiziale, rischiano concretamente, anche per la loro coesistenza, quasi casuale, di sacrificare sempre di più la qualità della decisione giudiziale e di ridurre gli spazi per una decisione che sia frutto di un’adeguata e ponderata attività di interpretazione delle norme e di valutazione delle prove .
Il riferimento, in particolare, è, per un verso, a quelle innovazioni che, occasionate dall’accelerazione impressa dalla traumatica esperienza della pandemia, hanno spinto sempre di più il processo nella direzione della completa telematizzazione, al punto che anche l’aula di udienza, come luogo naturale e istituzionale di celebrazione dei processi, risulta smaterializzata e sostituita da una trattazione cartolare . Il rischio, in questo caso, è che uno strumento processuale certamente apprezzabile, quanto meno perché consenta una maggiore “comodità” di celebrazione delle udienze, in primo luogo per gli avvocati che possono evitare gli spostamenti in udienza sostituendoli con il deposito di memorie inviate dal proprio studio, possa pregiudicare la possibilità di un’interlocuzione diretta, ossia non mediata dall’atto scritto, con la propria controparte in primis, e poi con il giudice; il che può tradursi, specialmente nel processo del lavoro, in una riduzione notevole degli spazi per una conciliazione delle controversie.
Non a caso sul punto è intervenuto specificamente il d.lgs. 31 ottobre 2024, n. 164 (c.d. “Correttivo Cartabia”), in vigore dal 26.11.2024, che ha previsto, con evidente finalità di limitare l’applicazione della trattazione scritta alle prime udienze delle controversie disciplinate dal rito lavoro, espressamente, introducendo il quinto comma all’art. 127 ter c.p.c., che “L’udienza non può essere sostituita quando la presenza personale delle parti è prescritta dalla legge o disposta dal giudice”.
Sempre in questa prospettiva, per altro verso, non va sottovalutata l’importanza, anche simbolica, di un istituto come il rinvio pregiudiziale innanzi alla Corte di Cassazione ex art. 363 bis c.p.c., introdotto anch’esso dal d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 149 (“c.d. Riforma Cartabia”), che consente, in presenza di determinate condizioni , al giudice di merito di disporre il rinvio pregiudiziale innanzi al Giudice di Legittimità per la decisione di una questione, che presenti gravi difficoltà interpretative e che sia suscettibile di porsi in numerosi giudizi, che sia necessaria alla definizione anche parziale del giudizio e che non sia stata ancora decisa dalla Suprema Corte.
Si tratta di uno strumento processuale certamente apprezzabile, perché consente di evitare che su questioni fonte di contenzioso, per così dire, “seriale”, si adottino soluzioni diverse da un ufficio giudiziario all’altro, sollecitando l’intervento “preventivo” del Giudice di Legittimità, ed evitando che ciò avvenga attraverso il passaggio di una controversia dal primo al secondo grado e solo infine, magari a distanza di anni dall’iniziale instaurazione del giudizio, innanzi alla Corte di Cassazione. Il rischio, al contempo, è che, nel nome di una maggiore uniformità interpretativa e prevedibilità delle decisioni giudiziarie, per un verso, si possano ridurre eccessivamente gli spazi per un’interpretazione innovativa del giudice di merito, specie nella prospettiva della tutela di “nuovi diritti” o in quella dell’ampliamento della tutela di diritti preesistenti e, per altro verso, si possa favorire, indirettamente, un atteggiamento “pigro” del singolo giudice, che, pur animato da intenti lodevoli come quello di favorire l’uniformità degli orientamenti giurisprudenziali, potrebbe finire con il rinviare i procedimenti in attesa della pronuncia della Suprema Corte senza, quindi, decidere.
E ancora, in questo quadro complessivo non possono sottovalutarsi le conseguenze che potrebbero derivare dalla recente approvazione della riforma dell’ordinamento giudiziario, operata con il d.lgs. n. 44/2024, che, tra l’altro, ha sostituito l’art. 11 del d.lgs. n. 160/2006, ridefinendo i contorni della fattispecie della “grave anomalia” - che può comportare un giudizio negativo per il magistrato nel procedimento di valutazione della professionalità cui è soggetto ogni quattro anni ai fini della progressione in carriera -, prevedendo che essa ricorre anche quando “(…) il rigetto, la riforma o l'annullamento (dei provvedimenti) assumono carattere significativo rispetto al complesso degli affari definiti dal magistrato” introducendo, in questo modo, un parametro quantitativo, rappresentato dalla presenza di un numero di provvedimenti di riforma/annullamento delle decisioni rese dal giudice in valutazione di carattere “significativo” rispetto a quelle complessivamente emesse; si tratta di un dato che, se non adeguatamente ponderato e valutato, può favorire il rischio della diffusione di un conformismo giudiziario che, in un contesto come quello descritto, può in concreto ridurre notevolmente gli spazi per interpretazioni difformi che, pur nel rispetto del limite rappresentato dal dato letterale della norma, consentano la tutela di nuove situazioni giuridiche, emerse dall’evoluzione del contesto sociale ed economico, sottovalutando le peculiarità del caso concreto.
E allora viene da domandarsi, provocatoriamente, se, in un contesto come quello descritto, in cui è forte l’accelerazione impressa alla tempestività e velocità delle decisioni giudiziali, anche in virtù degli stringenti obiettivi di definizione del contenzioso fissati dal PNRR , l’evoluzione in atto possa portare - in un futuro che ora appare inimmaginabile e intollerabile ma che invece proprio le accelerazioni improvvise e imprevedibili impresse dall’esperienza pandemica dovrebbe indurci a ipotizzare come non del tutto fantascientifico -, il legislatore a interrogarsi sull’opportunità non solo di introdurre l’utilizzo dell’I.A. a supporto dell’attività giurisdizionale, ma anche di ampliarlo fino a sconfinare nell’ambito dell’esercizio dell’attività giurisdizionale in senso stretto, magari nella convinzione che solo un sistema di I.A. potrà assicurare che le decisioni giudiziali siano ancora più rapide e prevedibili di quanto già lo siano attualmente.
Il che metterebbe, in questo modo, in discussione il senso stesso della funzione giurisdizionale e finanche il senso stesso del nostro stare al mondo, come magistrati, come operatori del diritto e, forse, come uomini.
E non sembra un caso, allora, che durante la cerimonia di inaugurazione dell’anno giudiziario, il 24 gennaio 2025, la Prima Presidente della Corte di Cassazione, Margherita Cassano, abbia evocato l’immagine di “Una magistratura che, in nome di una presunta efficacia, non intende farsi acriticamente lusingare dalle prospettive dell’intelligenza artificiale”, affermando espressamene che quest’ultima “non potrà mai sostituirsi al processo decisionale del giudice e allo sforzo di ricercare e comprendere la complessa vicenda umana celata dietro la vicenda giudiziaria”.
Un monito ai magistrati, ma anche un richiamo all’essenza del processo decisionale, che è - e di questo ne hanno certamente piena consapevolezza i giudici del lavoro, chiamati a pronunciarsi, ogni giorno, su questioni che investono una dimensione essenziale dell’uomo come quella lavorativa -, destinato a incidere non su dei meri numeri, ma sulla carne viva, sul sangue delle persone.
Cosa di cui può essere pienamente consapevole, fino in fondo, soltanto un giudice che sia anche, e prima ancora di essere tale, un essere umano.

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