Testo integrale con note e bibliografia 

 

 

1. La funzione attuale della Corte di Cassazione è ancora descritta nell’art. 65 dell’Ordinamento Giudiziario (R.D. n. 12 del 1941), mai abrogato, che assegna all’«organo supremo della giustizia», l’attribuzione di assicurare «l'esatta osservanza e l'uniforme interpretazione della legge» nonché «l'unità del diritto oggettivo nazionale», oltre «gli altri compiti ad essa conferiti dalla legge».
Tale funzione ha un forte radicamento costituzionale nel principio di uguaglianza dei cittadini davanti alla legge, il quale non tollera che ogni cittadino “eguale” possa avere dal servizio della giustizia risposte divergenti in ragione della sola diversità degli organi che l’amministrano sul territorio nazionale.
Principio di uguaglianza contenuto nell’art. 3 della Costituzione, che è collocato tra i “principi fondamentali” e che precede anche le disposizioni che regolano l’autonomia e l’indipendenza della magistratura (artt. 101 e ss. Cost.), che la nostra Carta pone nella II Parte di essa, dedicata all’“Ordinamento della Repubblica”.
Proprio per tale radicamento, la funzione dettata dall’art. 65 O.G., nonostante il diverso quadro costituzionale, non solo non risulta intaccata dal Giudice delle leggi che ha da tempo riconosciuto l’alto “magistero” della nomofilachia (v. Corte cost. n. 204 del 1982 e n. 129 del 1986; più di recente cfr. Corte cost. n. 119 del 2015) ma è confermata e ribadita da tutta la legislazione processuale che ha riguardato la Corte di Cassazione negli ultimi anni.
Per ben quattro volte nell’arco di un decennio - nel 2006, nel 2009, nel 2012 e nel 2016 – il legislatore è intervenuto per varare riforme volte a rafforzare la funzione nomofilattica della Suprema Corte, a partire dal d. lgs. n. 40 del 2006 che, per la prima volta, traduce in lessico normativo, nel suo titolo, il vocabolo che identifica la custodia garante dell’uniforme interpretazione della legge.
Non è questa la sede per ripercorrere nel dettaglio tali passaggi legislativi, essendo condivisa l’opinione che individua l’obiettivo dichiarato di tale itinerario.
Preme piuttosto evidenziare che l’ultimo intervento (l. n. 197 del 2016 di conversione del d. l. n. 168 del 2016) scinde i percorsi processuali dei ricorsi per cassazione, ove superato il “filtro” della sesta sezione civile, al bivio imposto dal comma aggiunto all’art. 375 c.p.c.: da una parte la “regola” del rito ordinario che conduce alla «pronuncia con ordinanza in camera di consiglio»; dall’altra «la trattazione in pubblica udienza» culminante con una sentenza, nei casi in cui «sia resa opportuna dalla particolare rilevanza della questione di diritto sulla quale deve pronunciare».
Nel disegno del legislatore, l’udienza pubblica è il luogo elettivamente consacrato all’esercizio della funzione nomofilattica, dove si affrontano, con la discussione dei contraddittori e la presenza della Procura Generale, le questioni di diritto di “particolare rilevanza”; all’esito viene emessa una decisione che prende la forma di sentenza, destinata a costituire un precedente significativo volto a indirizzare gli altri giudici, mediante il pieno dispiegarsi dell’argomentazione logico-giuridica.
La Corte Suprema della giurisdizione, pur unitaria, è chiamata dal legislatore ad assegnare strade diverse a chi si rivolge ad essa, riservando solo alle controversie che si proiettano verso il futuro, per l’attitudine che palesano ad estendersi agli indefiniti casi dell’avvenire, il rito pubblico e la sentenza, di modo che le forme stesse annuncino simbolicamente l’affermazione della nomofilachia.
«In ogni altro caso» vi è la giustizia - qualitativamente non minore - del caso singolo, laddove la Corte, attraverso il patrimonio di esperienze e conoscenze dei medesimi consiglieri e con la stessa attenzione dovuta, esercita comunque il controllo della corretta applicazione della legge ad opera della sentenza impugnata; tuttavia la soluzione della controversia non evoca questioni di diritto suscettibili di applicazione generalizzata, sicché può essere delibata con uno sguardo rivolto esclusivamente al passato, alla stregua di regulae iuris già sancite, con un rito abbreviato e motivazioni concise.
Resta fermo che, allorquando nel corso dell’adunanza camerale emerga il carattere di “particolare rilevanza” ai sensi dell’art. 375 c.p.c. della questione giuridica esaminata, anche sulla base delle memorie presentate dalle parti o delle conclusioni rassegnate dalla Procura Generale, il Collegio potrà disporre il rinvio affinché il ricorso venga trattato in pubblica udienza (cfr. Cass. SS.UU. n. 14437 del 2018).

2. La Corte di Cassazione è parte della “comunità interpretante”, per svolgere il compito che istituzionalmente le viene attribuito.
Si vuole dire che la Corte, con tutti gli altri operatori del diritto, concorre al processo di interpretazione delle norme, sebbene nel grado peculiare che le compete nella formazione della giurisprudenza.
Lo spazio lasciato all’interpretazione dei giudici nel diritto post-moderno è postulato ineliminabile.
Non conta qui prendere partito su quanto sia esteso questo spazio e come lo stesso venga in concreto occupato dal formante giurisprudenziale (essendo note le severe accuse di creazionismo giudiziario, di libertinaggio interpretativo, di giurisprudenza anarchica), ma conta solo dire che esso va riempito, per necessità istituzionale, anche dalle sentenze della Cassazione.
Con due considerazioni preliminari.
La prima è che le pronunce della Corte sono, ovviamente, discutibili, nel senso che esse adottano una tra le più interpretazioni sostenibili, entro il perimetro disegnato dal principio di legalità. Pertanto ciascuno può, a pieno titolo, criticare la scelta operata dal giudice di legittimità e sostenere che l’interpretazione preferibile sia un’altra.
A partire dai giudici di merito, che possono sempre dialogare con la Corte - cui non sono gerarchicamente subordinati - promuovendo rinnovate esegesi; continuando poi con il ceto forense, chiamato ad offrire argomenti nuovi per mutare orientamenti obsoleti; per finire con la dottrina, che meritevolmente può segnalare aporie rispetto alle più meditate ricostruzioni dogmatiche che le competono ovvero cogliere emergenze sollecitate da una società in continua evoluzione.
La Corte non pretende che la decisione presa sia la migliore possibile, né tanto meno immagina di poter persuadere tutti.
La seconda considerazione è che se il compito affidato alla Cassazione è, per quanto detto, garantire l’uniforme interpretazione della legge, una primaria esigenza di rispetto di quello che è un principio logico di non contraddizione impone che tale uniformità sia assicurata, prima di ogni cosa, all’interno della Corte stessa.
Il contrasto di giurisprudenza di legittimità è una evenienza prevista come possibile dall’ordinamento, tanto che «il primo presidente può disporre che la Corte pronunci a sezioni unite sui ricorsi che presentano una questione di diritto già decisa in senso difforme dalle sezioni semplici» (art. 374, co. 2, c.p.c.).
Tuttavia è auspicabile, per quanto possibile e per non gravare più del necessario il massimo consesso già oberato, prevenire il conflitto prima che si manifesti.
Occorre soprattutto evitare che, in archi temporali ridotti e senza plausibili giustificazioni, l’interpretazione della stessa norma sia diversa sol perché magari è diversa la composizione dei collegi e quindi prevenire i contrasti inconsapevoli (decidere la stessa questione senza essere a conoscenza che è stata decisa da altro collegio) ma anche i contrasti occulti (decidere in ossequio solo formale al precedente ma in concreto decidere diversamente).
Occorre evitare perché dopo le decisioni della Corte di Cassazione c’è il giudicato. Non ulteriori gradi di giudizio che possano comporre la diversa interpretazione della legge.
C’è il giudicato oltre la Corte di ultima istanza e quindi, in quel caso deciso, la lesione irreversibile del principio di uguaglianza rispetto ai cittadini coinvolti dalle divergenti decisioni.
Il tradimento flagrante dell’essenza e della ragione stessa della nomofilachia.

3. Lecito chiedersi se oggi la Cassazione sia in grado di assolvere la delicata funzione che si è sinteticamente delineata.
Da anni i vertici della Corte, in atti ufficiali, denunciano la gravissima difficoltà in cui versa l’ufficio, principalmente a causa del numero delle controversie che non ha paragoni con qualsiasi altra omologa Corte Suprema al mondo.
Qualche dato può offrire la dimensione del problema.
Al 30 giugno del 2019 risultano pendenti presso le sole sezioni civili della Corte 113.792 procedimenti, con un ulteriore incremento rispetto al 31 dicembre 2018 quando le pendenze ammontavano a 111.275.
Il flusso delle sopravvenienze è in costante incremento: nel solo anno 2018 sono stati iscritti 36.881 nuovi procedimenti (+ 6.583 rispetto al 2017); al 30 giugno sono già 19.097 le cause sopravvenute nel primo semestre del 2019.
Nonostante l’aumento delle decisioni della Corte, che nell’anno 2018 sono giunte a 32.477, con un incremento rispetto all’anno precedente di 2.222 definizioni, si può considerare che, anche se non venissero più depositati ricorsi per cassazione, ci vorrebbero più di tre anni per definire il solo contenzioso pendente, agli attuali livelli di produttività che sono già quelli massimi esigibili, tenuto conto che mediamente ciascun consigliere redige circa 200 provvedimenti all’anno, oltre a studiare i fascicoli, a partecipare alle udienze ed alle camere di consiglio, a curare l’aggiornamento professionale.
Chiaro a tutti che, con questi numeri, è estremamente complicato garantire qualsivoglia uniformità, trasformando così il Supremo Collegio da luogo di persuasione per il futuro in luogo di disorientamento per gli operatori.
Basti pensare che, nella sola Sezione Lavoro, per fare fronte al numero della cause - che al 30 giugno 2019 registrano una pendenza di 18.259 fascicoli, con 2.647 procedimenti iscritti a ruolo nel primo semestre di questo anno - si riuniscono mensilmente circa 25/26 collegi, compresi quelli della sottosezione Lavoro della Sesta, in cui ruotano complessivamente 35/36 consiglieri. Ogni giorno lavorativo vengono pubblicate circa 25 decisioni della Sezione.
In questa situazione agevole comprendere come vi sia finanche una difficoltà materiale di avere conoscenza di ciò che ha appena deciso o che sta per decidere il collegio della porta accanto.
In che modo, dunque, tentare di assicurare la conoscenza delle questioni giuridiche comuni e delle reciproche opinioni dei consiglieri su di esse?
La conoscenza costituisce la pre-condizione di qualsiasi uniformità interna alla giurisprudenza della S.C.: se non si ha conoscenza che vi è una questione giuridica comune non vi può essere neanche la possibilità di avere coscienza della eventuale difformità delle opinioni.

4. Consapevole del problema, la dirigenza della Sezione Lavoro della Corte di Cassazione, in fruttuoso scambio di idee con i consiglieri che la compongono, ha deliberato di adottare una serie di misure organizzative volte a rendere più efficace, in una situazione gestionale così complessa, l’azione della nomofilachia.
Non si tratta di interna corporis arcani, bensì di atti ufficiali contenuti in provvedimenti formali, adottati dalla dirigenza della Corte secondo le scansioni procedimentali previste e nell’osservanza delle Tabelle di organizzazione dell’ufficio della Cassazione (cfr. artt. 7-bis e 66 R.D. n. 12/1941), approvate dal Consiglio Superiore della Magistratura.
4.1. In primo luogo, a partire dal 2016, è stato utilizzato uno schema organizzativo basato sulla ripartizione dei collegi della Sezione IV Lavoro in tre grandi aree specialistiche: Area 1, competente per i ricorsi in materia di impiego pubblico privatizzato; Area 2, competente per i ricorsi in materia di previdenza e assistenza; Area 3, competente per i ricorsi in materia di lavoro privato e diritto sindacale.
Il lavoro delle tre aree è coordinato dal Presidente titolare, il quale provvede direttamente anche alla gestione (in particolare alla formazione dei ruoli) di una delle suddette aree, delegando ad altri due Presidenti della Sezione la gestione delle due aree rimanenti.
A ciascuna delle tre aree è assegnato un numero di consiglieri e di presidenti stabilito con criterio proporzionale in base al numero dei ricorsi pendenti. L’assegnazione è tendenzialmente esclusiva, ma è consentita, in relazione ad esigenze specifiche, in particolare per la formazione dei collegi, la coassegnazione a due aree. E’ previsto il periodico e graduale avvicendamento di consiglieri presso ciascuna area, attraverso un meccanismo di progressiva rotazione.
Tale schema organizzativo ha già prodotto l’effetto auspicato di realizzare una maggiore specializzazione dei collegi, producendo rilevanti sinergie; inoltre l’abitualità nella composizione collegiale agevola lo scambio informativo e la reciproca e perdurante conoscenza degli orientamenti di volta in volta affermati.
4.2. In secondo luogo si è deciso di valorizzare l’attività dell’esame preliminare dei ricorsi (c.d. “spoglio”), nella consapevolezza che solo la previa conoscenza, sia pure schematica, del contenuto degli stessi e delle problematiche giuridiche che pongono, consente una loro gestione ottimale.
Nel febbraio del 2018 si è dunque varata una nuova struttura denominata SCO (acronimo di Struttura di Coordinamento Organizzativo) della quale fanno parte i componenti dell’Ufficio spoglio sezionale (3 consiglieri della Sezione e 6 magistrati addetti all’Ufficio del Massimario), stagisti avviati al periodo di formazione teorico-pratica presso la Corte (ex art. 73 d.l. n. 69 del 2013, conv. in l. n. 98 del 2011) e tirocinanti (ex art. 37, commi 4 e 5, d.l. n. 98 del 2011, conv. in l. n. 111 del 2011) nonché un consigliere incaricato di collaborazione interna destinato al supporto del Presidente titolare nel coordinamento delle attività delegate alle singole aree.
Compito della nuova struttura è non solo quello di provvedere alla schedatura preliminare dei ricorsi, indicando mediante parole operative le informazioni essenziali per individuare il contenuto del giudizio, ma anche quello di identificare, mediante lo strumento informatico applicato alla tecnologia del SIC, le cause che hanno carattere seriale (per parti o oggetto) ovvero che, pur non seriali, presentano comunque questioni giuridiche comuni, anche in stretto coordinamento con la Sesta Sezione – sottosezione Lavoro.
Ciò con l’obiettivo di consentire una gestione consapevole del contenzioso, mediante la formazione dei ruoli di udienza collegiale, che, anche in deroga al tradizionale criterio della trattazione dei processi secondo l’ordine cronologico di iscrizione del ricorso, permetta l’accorpamento delle cause sulla base della identità delle questioni giuridiche poste, delle materie trattate e delle relative problematiche.
Tanto in applicazione coerente delle previsioni delle Tabelle di organizzazione della Corte ove viene esplicitamente manifestato un orientamento favorevole ad un modello organizzativo che privilegi, oltre alle udienze seriali, anche le udienze a contenuto monotematico, per l’evidente vantaggio di trattare una certa tipologia di contenzioso attraverso l’esame di più ricorsi, affidati ad una pluralità di relatori, che pongono sotto diverse prospettive questioni connesse.
La Struttura di Coordinamento Organizzativo consente anche di dare attuazione all’espressa disposizione Tabellare che fissa criteri di precedenza nella formazione dei calendari di udienza, in particolare individuando «ricorsi aventi ad oggetto peculiari questioni giuridiche che, per la loro complessità e per la loro diffusione presso i giudici di merito, è opportuno siano sollecitamente decise dalla Corte nell’esercizio del suo ruolo nomofilattico».
La Sezione Lavoro, mediante la nuova struttura, ha altresì cercato di cogliere il senso della riforma operata con la l. n. 197 del 2016, alimentando l’impegno relativo all’esame preliminare dei ricorsi al fine di fornire una indicazione di massima, per il presidente e per il magistrato che lo coadiuva nella formazione dei ruoli di udienza, circa il percorso processuale indirizzato all’adunanza camerale ovvero all’udienza pubblica. Affinché la preventiva adeguata selezione dei ricorsi, che realmente pongano una questione di diritto suscettibile di applicazione generalizzata, consenta di attuare la riforma del 2016 non semplicemente per incrementare il numero delle decisioni quanto piuttosto per favorire l’esercizio meditato della nomofilachia in funzione di orientamento della giurisprudenza e di futura deflazione del contenzioso.
4.3. Infine è stato dato adeguato rilievo alla previsione Tabellare, che ha riscontro anche nella legge (cfr. art. 47-quater R.D. n. 12/1941 circa «lo scambio di informazioni sulle esperienze giurisprudenziali all'interno della sezione»), secondo cui «la trattazione dei ricorsi che sollevino importanti questioni giuridiche e riguardino un elevato numero di controversie pendenti dinanzi alla Corte di cassazione o ai giudici di merito potrà essere preceduta, al fine di pervenire ad una decisione che coinvolga un ampio numero dei magistrati della Sezione e sia particolarmente idonea a dar luogo ad un indirizzo consolidato, da riunioni di sezione indette dal presidente titolare o dal presidente di area, sentito il presidente titolare».
Pertanto, per le questioni interpretative più controverse e di maggiore impatto sul contenzioso sezionale, si è deciso di arricchire i percorsi decisionali attraverso un coinvolgimento reale di tutti i componenti della sezione che, una volta enucleata la questione giuridica rilevante, segue i seguenti passaggi:
- ricognizione dello stato della giurisprudenza e della dottrina, generalmente mediante una relazione tematica dell’Ufficio del Massimario;
- diffusione della relazione e contestuale fissazione di una riunione sezionale in cui verranno esaminate le possibili opzioni;
- scambio mediante posta elettronica delle opinioni dei consiglieri che ritengano di apportare il loro contributo;
- riunione finale con tutti i componenti della Sezione lavoro, con dibattito approfondito in cui si illustrano e si delineano le varie posizioni, eventualmente individuando quella prevalente.
In seguito, il primo collegio che dovesse trovarsi ad affrontare la questione rispetto ad uno specifico ricorso che la ponga, potrà – ovviamente in totale autonomia decisionale - avvalersi di tale imponente materiale preparatorio, pervenendo ad una decisione, come recita la previsione Tabellare innanzi riportata, «particolarmente idonea a dar luogo ad un indirizzo consolidato».
Il descritto meccanismo in alcun modo preclude alla pienezza della sovranità di ogni collegio di ravvisare nel caso sottoposto «una questione di massima di particolare importanza» da rimettere, ex art. 374, comma 2, c.p.c., alla valutazione del Primo Presidente perché possa disporre «che la Corte pronunci a sezioni unite».
5. Le misure organizzative tratteggiate, adottate in nome della nomofilachia, hanno finora prodotto, sebbene tra le molteplici difficoltà e con uno sforzo dei consiglieri di cui occorre dare atto, risultati confortanti.
5.1. Non solo dal punto di vista dell’aumento della capacità di esaurire i processi pendenti, che pure va rimarcata.
Infatti, a fronte di complessivi 5.574 nuovi ricorsi iscritti nel corso dell’anno 2018, sono stati eliminati con provvedimento definitivo pubblicato 7.300 ricorsi, dei quali 5233 in sezione e 2.067 nella corrispondente sottosezione della Sesta sezione civile, con un saldo positivo di 1726 ricorsi. I processi pendenti al 31 dicembre 2018 ammontavano a complessivi 18.724, ulteriormente diminuiti a 18.259 al 30 giugno 2019.
Analogo risultato positivo si era registrato nel corso del 2017, anno nel quale, a fronte di un numero di sopravvenuti sostanzialmente analogo (5.527 nuovi ricorsi iscritti a ruolo), sono stati eleminati nello stesso anno ben 7.282 ricorsi.
Nel corso del 2016 le sopravvenienze erano state pari a 5.615 ricorsi, mentre i ricorsi eliminati 6.877. I processi pendenti al 31 dicembre 2016 ammontavano a 22.226.
In sostanza in due anni e mezzo, e cioè dal 31 dicembre 2016 al 30 giugno 2019, i processi pendenti in Cassazione concernenti la sezione lavoro sono calati di circa 4.000 unità.
Il progresso dei dati appare ancora più evidente ove vengano considerati il numero dei provvedimenti pubblicati in Sezione Quarta: si è passati da1 4.575 provvedimenti definitivi emessi nel corso del 2016, ai 4.758 emessi nel corso dell’anno 2017 e, infine, ai 5233 emessi nel corso del 2018.

Anno

2016

2017

2018

2019

Primo semestre

 

Procedimenti sopravvenuti

 

5615

 

5527

 

5574

 

2644

Procedimenti definiti

6877

7282

7300

3161

Saldo definiti/sopravv.

1262

1755

1726

517

Rapporto definiti/sopravv.(%)

122%

131%

130%

119%

Proc. Pendenti al 31/12

22226

20378

18724

18259

(al 30 giugno)

5.2. L’incremento delle decisioni può comportare, per regola probabilistica, il percentuale dilatarsi del margine di errore, ma anche la perdita di efficacia dei precedenti, che è inversamente proporzionale alla quantità ed al numero degli stessi.
Invece, grazie anche alle misure organizzative approntate, nonostante l’aumento dei provvedimenti emessi la Sezione lavoro ha avuto cura di assicurare una maggiore coerenza interna dei propri orientamenti.
Intendendo la nomofilachia come vincolo procedurale che conferisce ordine al discorso della giurisprudenza, quale dovere funzionale di tenere ferma l’interpretazione già affermata fino a che, per il mutare del contesto normativo o sociale, non se ne imponga un’altra: non è sufficiente che la nuova soluzione sia ritenuta diversamente plausibile rispetto alla precedente, comunque parimenti plausibile, ma è necessario che in ragione di una sopravvenienza – giuridica o sociale di cui occorre dare conto - l’interpretazione prima accolta non sia più adeguata nel nuovo contesto in cui è chiamata a vivere.
L’etica del servizio e la deontologia di chi si sente parte di una squadra organizzata frena gli individualismi e scongiura il pendolarismo delle soluzioni, magari dovute al mero succedersi di maggioranze collegiali casualmente diverse.
Nel convincimento che certezza e prevedibilità delle sentenze dei giudici costituiscono ancora un valore ed un obiettivo qualitativo primario della giurisdizione e la Corte di legittimità non può sottarsi al compito dato.
Le Sezioni unite civili della Cassazione hanno, in proposito, sancito che l'affidabilità, prevedibilità e uniformità dell'interpretazione delle norme costituisce imprescindibile presupposto di uguaglianza tra i cittadini e di "giustizia" del processo, per cui va salvaguardata l’unità e la stabilità dell’interpretazione giurisprudenziale, massimamente di quella del giudice di legittimità (Cass. SS.UU. n. 23675 del 2014) .
Le stesse Sezioni unite (sent. n. 13620 del 2012) hanno avuto modo di affermare che lo stare decisis “costituisce un valore o, comunque, una direttiva di tendenza immanente all’ordinamento, in base alla quale non ci si può discostare da una interpretazione del giudice di legittimità … senza delle forti ed apprezzabili ragioni giustificative” dunque “una diversa interpretazione giurisprudenziale di una norma di legge rispetto a quella precedentemente affermatasi non ha ragion d’essere allorché entrambi siano compatibili con la lettera della legge, essendo da preferire l’interpretazione sulla cui base si è formata una certa stabilità di applicazione”. Non può – ha concluso la Corte – “l’utente del servizio giustizia essere esposto al rischio di frequenti modifiche degli indirizzi giurisprudenziali con evidenti gravi ripercussioni sulle effettiva tutela dei propri diritti pure garantita dall’art. 24 della Costituzione”.
Pertanto, anche se il precedente giurisprudenziale di legittimità non rientra tra le fonti del diritto e non è di norma vincolante per il giudice, tuttavia, in un sistema che valorizza l'affidabilità e la prevedibilità delle decisioni, l'adozione di una soluzione difforme dai precedenti non può essere né gratuita, né immotivata, né immeditata, ma deve essere frutto di una scelta interpretativa consapevole e riconoscibile come tale, ossia comprensibile (v. Cass. SS.UU. n. 11747 del 2019).

6. In un tempo in cui si registrano la crisi della fattispecie e la difficoltà finanche di individuare il parametro normativo applicabile, in cui il combinarsi delle fonti di diritto di diverso livello e di non sempre pregevole fattura priva di coerenza sistematica l’ordinamento, si leva dai consociati un diffuso smarrimento e la richiesta ragionevole di recuperare il senso della conoscenza preventiva della regola cui devono uniformare la loro condotta, non affidata esclusivamente ad un intervento giudiziale ex post, ignoto nel come e nel quando.
La risposta non può che essere una nomofilachia forte, non verticistica ma autorevole nella forza degli argomenti, attenta alle istanze del mondo del diritto ma stabile ed efficiente; in definitiva, un argine alla fluidità ed alla precarietà dell’esperienza giuridica contemporanea, affinché si eviti la più odiosa delle diseguaglianze perché consumata in nome di quella legge che invece dovrebbe garantire che tutti i cittadini sono uguali innanzi ad essa.

 

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